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Autore: DaisyBuch    18/06/2014    0 recensioni
Quanto è sottile il confine tra realtà e fantasia?
La vita di Camilla è cambiata velocemente, aveva tutto quello che si poteva desiderare. Eppure non va tutto liscio, qualcosa si rompe, lei si rompe. Camilla è appesa ad un filo, eppure non se ne accorge.
Genere: Malinconico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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form Il mio udito fu il senso che si risvegliò per primo. Udii quel fastidioso rumore di sottofondo ch era simile ad una sveglia, lo sentii per molto tempo prima di realizzare cosa fosse, mi ci vollero ore per prendere coscienza e risvegliarmi del tutto. Dopo un po’ il rumore si fece più intenso e più vicino, i miei occhi sembravano sigillati, non riuscivo a muoverli e neanche a capire dove fossero. Quasi come se non avessi più coscienza del mio corpo. Dopo altro tempo che sembrava infinito sentii una scossa sul dito, non l’avevo mosso io, si era mosso da solo, ma almeno avevo individuato dove fosse. Provai a muovere quel dito, ma non ci riuscii e per quanto riguarda le altre dita, non sapevo dove fossero, non ricordavo più la fisionomia del mio corpo. Ma a poco a poco sentii i brividi sul braccio, e individuai anche quello, e dopo molto tempo riuscii a stabilire quasi tutte le parti del mio corpo senza muoverle.
Tutte tranne la testa, quella la sentivo pesante e mi faceva male per lo sforzo perciò senza volerlo, mi addormentai di nuovo. Il giorno dopo mi sveglia potendo muovere tutte le dita, piano piano e dopo svariati tentativi, il rumore di sottofondo si era fatto più chiaro e la mia mente si era risvegliata. Avevo riacquisito la capacità di pensiero, quella di intendere e di volere almeno. Capii che mi addormentavo spesso e mentre riflettevo molte volte non ricordavo ciò che stavo pensando prima di addormentarmi, il mio corpo era stanco, la testa ancora pesante e non riuscivo a muovere né le labbra che sembravano ancora incollate, assieme alla lingua che invece sembrava scomparsa, e gli occhi erano ancora chiusi. Ma mi sembrava di vedere, mi ero fatta un’idea di dove mi trovassi, o almeno pensavo a molte cose che si figuravano davanti a me, perciò non sentivo il bisogno di aprire gli occhi. Apparte il rumore della macchina dell’ospedale ( almeno così dedussi dopo un po’ di tempo) non sentivo nulla, solo gradualmente mi accorsi che stessero passando intere giornate, poiché qualcuno entrava spesso dalla porta, il che era scandito dal rumore della porta stessa e dalle voci lontane che udivo quando questa si apriva. Entrava dalla porta se ne stava lì per un po’, pregavo che spengesse del maledetto rumore, ma non lo fece. Il giorno dopo venni svegliata da questa voce femminile e dolce che parlava con altre due persone. Le conoscevo bene queste voci, una era di mio padre e l’altra di mia nonna. Afferrai poche parole, -Come sta?-
-Si è stabilizzata, starà bene.- Continuarono per un po’ ma non mi andava di sentirli parlare, stavo provando ad intervenire, provai a muovere il dito. Ce l’avevo fatta! L’indice e il pollice si muovevano, provai a muovere le gambe e le braccia ma non ci riuscii, provai a parlare ma niente. Stavolta non riuscivo ad addormentarmi, mi stavo annoiando. Non ero più rimbambita come gli altri giorni, questa volta sentivo tutto e riuscii anche a sentire il profumo di papà e mamma nell’aria. Forse oggi c’era stata lei. Sicuramente, avevo riconosciuto il suo profumo, lo spruzza sempre ovunque, ed è buonissimo. Poi più che altro ci fu puzza di malato, ovvero di me. Altrimenti perché sarei qui, incollata da qualche parte senza potermi muovere, né aprire gli occhi e la bocca?
Questa domanda venne velocmente sorpassata dal mio cervello, mi pulsò la testa e mi scordai a ciò a cui stavo pensando, ma non ci feci molto caso. Il giorno dopo aprii la bocca, lentamente le mie labbra di schiusero era come se per tutto quel tempo avessi avuto della colla tra esse. Fui sollevata, feci un ampio respiro dalla bocca, che mi fece male al petto, ma almeno sentii il petto, che era una delle ultime cose che mancava all’appello. Inumidii le labbra, mossi la lingua. Era una sensazione magnifica. Ma cominciai a pensare al peggio, all’appello adesso mancavano solamente gli occhi e le gambe, per il resto sentivo o muovevo tutto.  Pensai di essere diventata cieca, o forse non avevo più le gambe. Il panico s’impadronì del mio cervello, non riuscivo più a pensare, avevo paura. Feci una serie di ampi respiri, l’ultimo della quale non sentii neanche troppo male al petto. Perché ero finita all’ospedale? Perché sicuramente ero all’ospedale, l0’ipotesi che fossi morta era da escludere, sentivo troppe voci, troppi profumi familiari. Chi ero? Pe rispondere a questa domanda mi ci volle un po’. Scoprii di non ricordare quasi niente. Associavo voci e profumi a persone o a posti, ma non ricordavo quasi nulla. Ma si finisce all’ospedale perché ci si è fatti male, forse ho fatto un incidente. La testa mi ricominciò a pulsare, decisi di smettere di pensare e agire.

   
 
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