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Autore: DalamarF16    11/07/2014    8 recensioni
Sono passate poche settimane dagli eventi di New York, e Clint deve fare i conti con la sua coscienza, con le azioni commesse sotto il controllo di Loki. Accanto a lui, a cercare di aiutarlo, ci sarà Natasha, ma una nuova recluta darà una svolta alla vita di Occhio di Falco...
Genere: Avventura, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Nick Fury, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Avengers: Rinascita.'
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PERSONAL SPACE: Rieccomi! Come sempre grazie a tutti coloro che hanno commentato, mi fate davvero felice! Sono contenta che questa cosuzza vi piaccia!
Niente, vi lascio al capitolo e ci vediamo in fondo!

Capitolo 9: Natasha

Natasha aprì gli occhi lentamente, e la prima cosa di cui si rese conto era che aveva un mal di testa di quelli che non vengono tutti i giorni.
La seconda che non era nella sua stanza alle Vele.
La terza era che non aveva la minima idea di cosa fosse successo.
Cercò di alzarsi, ma un cerchio alla testa le suggerì che era meglio non mettere troppo alla prova il suo fisico.
Fece un respiro profondo e con molta, moltissima cautela, voltò la testa a destra e a sinistra. Era in una stanza senza delle vere e proprie finestre. La luce proveniva da delle feritoie disposte a pochi centimetri dal soffitto, larghe pochi centimetri e alte anche meno, messe a distanza regolare su due dei quattro lati. Evidentemente quelli che coincidevano con le mura di cinta di quel...qualunque cosa fosse quel posto.
Non riusciva a vedere la porta dalla sua posizione, probabilmente era dritta davanti ai suoi piedi, ma non ce l'aveva fatta ad alzarsi a sufficienza senza che la nausea l'assalisse, per cui non aveva un quadro completo della stanza.
Istintivamente cercò a tastoni nella tasca degli shorts che indossava la presenza ormai familiare della sua linea con Clint. Ovviamente gliel'avevano tolto.
Dannazione.
Non che avesse intenzione di chiamarlo, Occhio di Falco non era assolutamente nella condizione di poterla venire a salvare. Tra i sensi di colpa e la sua impulsività si sarebbe fatto ammazzare in meno di dieci secondi netti.
Ma in qualche modo l'aveva sempre rassicurata il fatto di averlo con sé. Era come se avesse sempre una via d'uscita, per quanto la maggior parte delle volte che se ne servivano implicava che erano in missioni separate, probabilmente a mezzo mondo di distanza l'uno dall'altra.
Smise di pensare a Clint per provare a concentrarsi su sé stessa.
Iniziò un vecchio giochino, forse inutile, ma che la aiutava a mettere a fuoco la situazione
Dove sei? aveva appurato di non saperlo, ma probabilmente in una prigione o un qualche magazzino. Era ancora negli Emirati? La domanda non aveva risposta. Non aveva idea di quanto fosse rimasta priva di sensi.
Cosa è successo? Questo era già più difficile. Cercò di ricordare. Era stata tutto il giorno con lo sceicco, avevano parlato, di affari per lo più. Poi era scesa per cercare di mettersi in contatto con Clint. Questi erano gli ultimi ricordi più o meno lucidi che arrivavano pian piano alla sua mente.
E poi? E poi... un uomo. Da dietro. Una botta. Fine delle trasmissioni.
Cercò di focalizzarsi su quell'uomo. Di richiamare alla mente ricordi sbiaditi, ma niente, non riusciva a metterne a fuoco il viso, forse nemmeno aveva avuto il tempo di vederlo.
Lo sforzo mnemonico le provocò un nuovo attacco di nausea e giramenti. Questa volta non riuscì a ricacciarlo indietro ed ebbe appena il tempo di voltare il viso prima di vomitare quelli che erano i resti dell'ottima cena avuta con lo sceicco. Fortunatamente la barella/lettiga su cui era sdraiata era abbastanza stretta, e gran parte del rigurgito finì per terra. Non un bello spettacolo, ma sicuramente meglio che impregnare un materasso.
Solo quando fece per sollevare la mano sinistra e pulirsi la bocca si rese conto di essere legata mani e, scoprì non appena cercò di muoverli, piedi. Aveva solo pochi centimetri di movimenti concessi. Giusto quello che bastava per toccarsi le tasche, altrimenti si sarebbe subito resa conto di non potersi muovere, invece era riuscita a cercare la presenza del telefono senza problemi.
Imprecò tra sé.
Odiava non sapere cosa stesse succedendo.

Da quando aveva rimesso, non passò molto tempo che entrasse una persona. Era un uomo, da quello che potè intuire. Non le parlò, non fece cenno di vederla e/o sentirla quando provò a chiamarlo, a fargli notare la sua presenza.
Sembrava molto imponente, le spalle erano larghe (anche se la sua visuale poteva essere distorta dalla sua prospettiva di prigioniera) e aveva il volto coperto da un passamontagna che copriva anche gli occhi con una fitta rete nera, molto simile a quella presente sul tradizionale burqa portato dalle donne in Afghanistan. L'uomo le era del tutto irriconoscibile.
Lo guardò attentamente, cercando di carpire eventuali zoppie o movimenti caratteristici, ma doveva essere stato ben addestrato. Non traspariva nulla.
Lui pulì dove aveva sporcato, poi la lasciò di nuovo sola.
Natasha conosceva la tattica: lascia solo il prigioniero a cuocere nel suo brodo, fallo cedere al panico, e dopo farlo parlare non sarebbe stato un problema.
Cercò di stare calma, di non agitarsi. Chiuse gli occhi e cercò di recuperare le forze.
Era spaventata? Ovviamente.
Poteva permettersi di cedere? Mai.
Non era diventata una delle migliori sul campo comportandosi come una qualunque. Lei era la Vedova Nera, e chiunque fossero quegli uomini, presto avrebbero assaggiato un po' delle sue capacità.
Il riposo è un arma.
Natasha si costrinse a dormire.

Venne svegliata da una secchiata di acqua che definirla gelida non era sufficiente.
Un grido le salì spontaneo alla bocca, mentre iniziava a tremare di freddo. Era ancora vestita come era scesa da quella stanza. Shorts di cotone e una t-shirt a maniche corte con il cappuccio. Cubetti di ghiaccio misti ad acqua erano posati sulla sua gola, e uno le era penetrato nella scollatura, fermandosi nell'incavo del reggiseno.
Aprì gli occhi azzurri, indossando subito quella che Capitan America definiva “la sua armatura” da Vedova Nera. Si finse più spaventata di quel che era: le pupille dilatate, il respiro affannato, un naturale tentativo di liberarsi.
Non tutti questi sentimenti erano falsi, ma la paura che provava era perfettamente sotto il suo controllo, pronta a essere usata a suo piacimento.
-Chi...chi siete? Che...cosa volete?- La sua voce aveva un tono innaturalmente più alto, con una nota di isterismo che di norma non le apparteneva. Cercò di muoversi, per tentare di vedere chi fossero i suoi carcerieri, ma chiunque l'avesse catturata sapeva fare il proprio lavoro: restavano costantemente al di fuori della sua vita.
-Basta con le finte, Natalia-
Il suono del suo vero nome le provocò un brivido gelido lungo la spina dorsale.
Natalia Romanova era morta quel giorno allo SHIELD, quando avevano deciso che l'avrebbero ammessa nell'organizzazione.
Rimase comunque lucida, cercando di giocare bene le proprie carte.
-Natalia? Ma che? Chi? Che volete da me? Chi è questa Natalia?-
Ma capì che la sua commedia era finita nel momento in cui qualcuno le mise davanti agli occhi la sua foto segnaletica. Anzi no, era il suo file al KGB. Il curriculum di un passato che credeva lasciato alle spalle e che ora rientrava, prepotentemente, nella sua vita.
A quel punto mise da parte la recita della donna spaventata per iniziarne subito un'altra: quella dell'impenetrabile Vedova Nera.
I suoi occhi si fecero freddi come il ghiaccio, e assunse una posa tranquilla, immobile.
-Cosa volete- Chiese di nuovo.
-Solo sapere cosa vuoi dallo sceicco, signorina Romanova-
L'aver scoperto di essere ancora nelle mani di Rayhan in qualche modo là rinfrancò.
Per un attimo, aveva temuto di essere finita di nuovo in Russia, sotto il controllo di quello che era nato dalle ceneri del KGB. Non avrebbe retto l'idea di un nuovo addestramento, di nuovi condizionamenti mentali. Di nuovi omicidi senza apparente motivo.
-Avete fatto i compiti...i miei complimenti-
Osò rispondere con la faccia tosta che la contraddistingueva e che le aveva salvato la pelle più volte di quante potesse ricordare.
Lo schiaffò arrivò imprevisto e forte, lasciandole una spiacevole sensazione di bruciore sulla guancia.
-Tutto qui?- Rincarò la dose -Un misero schiaffo?-
-Rayhan si è raccomandato: non dobbiamo farti troppo male-
-Che gentile-
Rispose con un sorriso strafottente.
-No- Finalmente la voce conosciuta dello sceicco le arrivò alle orecchie -Voglio solo avere il piacere di farti urlare ed estrarre personalmente tutte le informazioni che vorrai darmi suoi tuoi capi-
La voce dell'uomo era pacata, ma aveva una nota glaciale che le lasciò non poca inquietudine addosso. Fin dal loro primo incontro aveva capito che era un professionista, ma mai le aveva dato l'impressione di essere un torturatore. Bè, evidentamente Natasha non era l'unica brava a fingere.
Ed, evidentemente, lo SHIELD era molto bravo a nascondere le informazioni sui propri agenti, se quello che era riuscito a trovare era il suo file al KGB. Oppure, ora che ci pensava, era trapelato solo quello che Fury aveva voluto che trapelasse. Il suo passato. Non il suo presente.
Poiché aveva imparato che nessuna informazione è davvero segreta, l'ultima conclusione era quella più plausibile.
-Accomodati- rispose -Se hai letto quel file sai che non è facile farmi parlare... per cui...buon divertimento-
Lui le si avvicinò e finalmente Natasha potè vederlo in faccia. Il suo volto era impassibile. Non la odiava per l'inganno, né era disgustato. Sembrava...il volto di un uomo prima di cominciare una riunione di affari: interessato, concentrato eppure lievemente annoiato.
Questo non le sollevò il morale.
Una persona arrabbiata, o delusa, tendeva a sfogare le proprie emozioni subito, con inaudita violenza, salvo poi crollare e allentare le cose, oppure uccidere la propria vittima una volta raggiunto un livello di frustrazione tale da non volerla più nemmeno sentire respirare. Ma se era solo una questione di affari, Natasha non aveva dubbi: avrebbe fatto un lavoro minuzioso e costante, e tendenzialmente, poteva andare avanti all'infinito.
Le cose non si mettevano per nulla bene.

Non fu smentita.
Gli interrogatori si susseguivano con una cadenza irregolare. C'erano giorni in cui non le lasciavano un minuto per respirare. La interrogavano per ore e quando pensava fosse finita, ricominciavano. Oppure le lasciavano ore che sembravano infinite prima di ricominciare.
Decisamente sapeva come far cedere i propri aguzzini.
Ai suoi silenzi corrispondevano torture sempre peggiori. Avevano iniziato con le classiche minacce di chi aveva visto troppi film polizieschi. Dalle minacce di dolore fisico a quelle di stupro.
Inutile dire che le minacce le erano scivolate addosso come l'acqua della doccia.
Ben presto le minacce avevano avuto seguito. Tutte quante. Stupro incluso.
Aveva cercato di estraniarsi, di ignorare quegli uomini che la toccavano ovunque, i loro membri ovunque. Non era niente di nuovo. Il KGB l'aveva sottoposta a torture ben peggiori per prepararla a quella che era inevitabilmente la fine di una spia donna catturata, prima di venire uccisa.
Ma l'umiliazione, la voglia di mandare a fare in culo tutti e tutto, l'aveva colta più di una volta. Alla fine, cosa le aveva dato Fury? Un addestramento, un lavoro che alla fine non era molto diverso da quello che faceva prima. Tutto questo valeva l'essere violata?
Decisamente no.
Ma poi aveva pensato a Clint. E successivamente Steve e Bruce. La loro delicatezza nei suoi confronti. La sensibilità e la tenerezza del primo, catapultato in un mondo per lui irriconoscibile; i sensi di colpa del secondo, dopo che aveva perso il controllo rischiando di ucciderla. Tony, insopportabile e, doveva ammetterlo, irresistibile. E sì...perfino Thor, il semidio imperscrutabile ma che si era esposto in prima persona per salvare la Terra. Clint. Coulson. Clint.
Loro valevano il suo silenzio. Al cento per cento.
Quindi aveva resistito. A ogni pausa, allentava un po' le corde, massacrandosi i polsi, resistendo al dolore.
Alla fine riuscì a estrarre una mano. E con calma anche l'altra. Aveva già appurato che non c'erano telecamere nascoste, gridando più di una volta, disperata, che non ce la faceva più, che era pronta a parlare.
Nessuno aveva reagito, e nessuno le aveva chiesto niente gli interrogatori successivi. E soprattutto, nessuno aveva mai accennato a controllare i legacci.
Si mise finalmente a sedere, la schiena indolenzita dalla lunga degenza forzata e dalle multiple ferite.
Si guardò, shorts e slip erano spariti e la t-shirt era strappata in più punti. Del reggiseno nemmeno l'ombra, ovviamente.
Non perse poi molto tempo.
Facendosi strada dolorante ma caparbia riuscì a guadagnare l'uscita.

PERSONAL SPACE: Capitolo abbastanza Natashoso, lo ammetto, ma dopo averla piantata per un po' mi ha telefonato minacciandomi per cui... XD
Niente spero vi sia piaciuto, nel caso fatemelo sapere! (Anche se non vi è piaciuto eh? )
   
 
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