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Autore: MayaSorako    12/07/2014    1 recensioni
Titolo precedente: "Un sole tutto mio"
In una mattina come un'altra, la città attende il sorgere del Sole per cominciare una nuova giornata; nessuno può sapere che stavolta non succederà.
L'Apocalisse si avvicina, e non è la prima volta.
In quella che in un tempo lontanissimo fu la leggendaria terra di Luminaes, c'è chi da una vita lotta disperatamente per salvare questo mondo maledetto da una fine predestinata. Ma c'è anche chi, questa stessa fine, la attende con trepidazione e impazienza, e spera in una rinascita che possa portare nuova luce alla sua buia esistenza.
E poi, esattamente nel mezzo, c'è Dia.
Dia è una ragazzina solitaria, a cui basta poco per essere felice: la sua amata terrazza ed il Sole. Non sa niente di questa Apocalisse, né di chi sia lei in realtà o di quale imponente fardello le sue esili spalle dovranno portare da quel terribile giorno. Suo malgrado, rimarrà coinvolta in una Profezia e in un conflitto molto più grandi di lei ma, in questo intenso viaggio, non sarà sola.
Questo mondo condannato a perire dalla sua stessa nascita, può davvero essere salvato?
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"Perché niente è più spaventoso che l'essere in due, soli."
Genere: Drammatico, Sovrannaturale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dia era ferma, inginocchiata da una ventina di minuti sul bordo della piscina, e fissava con occhi vuoti la macchia scura e rossastra sul fondo. Non era molto estesa, e con quel suo colore così cupo nessuno sarebbe riuscito a notarla in mezzo all'oscurità... se non avesse saputo esattamente dove cercarla. Granada la osservava dal portico della villetta, muta, aspettando che si rimettesse in piedi di sua spontanea volontà.
"Dovremmo andare", la informò tuttavia dopo aver scrutato per un po' il cielo sopra di lei, utilizzando un tono il più riguardoso possibile; il tempo che avrebbe voluto donarle, purtroppo, necessitava di essere impiegato in maniera meno umana e più efficiente. E loro dovevano essere forti. La ragazzina non se lo fece ripetere due volte: senza fiatare risalì in macchina e guardò il proprio quaderno degli appunti. Prese una matita e con una linea irregolare tagliò il primo nome della lista; la prima della lunga serie di morti con cui si sarebbero dovute trovare faccia a faccia, da lì in avanti.

Almeno ci siamo risparmiate il cadavere, per questa volta pensò Granada, cercando di vedere il lato positivo in una situazione che davvero non faceva ben sperare, nonostante lei cercasse con tutte le proprie forze di non cedere allo sconforto. Inserì la chiave e mise in moto, lasciando dietro di sé una villa che le aveva mostrato solamente il triste ricordo della famiglia a cui in un passato fin troppo vicino aveva fatto da casa e rifugio. Di certo la giovane donna non poteva sapere cosa fosse successo con esattezza, ma il frigo ancora pieno di prodotti ben lontani dalla scadenza e gli effetti personali meno essenziali sparsi sommariamente in giro, sembravano volerle suggerire una fuga precipitosa. E riportarle la memoria di qualcosa che anche lei, in prima persona, aveva vissuto.

La disperazione spinge a scappare le persone che non sono in grado di combattere.

Mentre il veicolo e la sua mente viaggiavano, ricordò come, una volta giunta nel salone dell'abitazione, lo scricchiolio dei vetri rotti sotto le sue scarpe aveva scacciato via quelle memorie fastidiose per un momento. E come lei stessa, scuotendo leggermente la testa per recuperare lucidità, aveva poi aguzzato la vista al fine di evitare di calpestarne ancora. Era stato proprio allora che aveva notato l'oggetto rigido davanti ai suoi piedi e si era chinata per raccoglierlo; squadrandolo un po' più da vicino, aveva realizzato che si trattava dei resti di un carillon, uno di quelli con le sfere di vetro con la neve di cui aveva sentito parlare tempo addietro, forse soltanto una o due volte. Ne era rimasta soltanto la base in plastica costosa che, tra le schegge appuntite e i corpuscoli bianchi ancora impregnati del liquido viscoso in cui erano stati immersi per chissà quanto tempo, miracolosamente aveva ancora incollata sé la figurina in ceramica di un angioletto in preghiera con un'ala spezzata, dispersa chissà dove. Granada aveva così istintivamente girato l'arrugginita chiave laterale per scoprire se fosse ancora funzionante, ma un rumore stridulo e stentato ripetuto all'infinito iniziò a graffiarle i timpani, e il deturpato angioletto venne costretto a muoversi avanti e indietro nello spazio di un centimetro scarso, in un vano tentativo di adempiere nuovamente al proprio compito. Sul retro poi - aveva notato la giovane donna - era stato inciso a caratteri eleganti un messaggio, breve ma traboccante d'amore: 

 
"Al nostro piccolo, dolce angelo; per il suo quinto compleanno.
Sempre e per sempre orgogliosi di te,
Mamma e Papà"
 

La ragazza si era allora guardata intorno, malinconica, sentendo il petto improvvisamente più pesante. Un milione di frammenti luccicanti come stelle sparsi sul pavimento la circondavano, affilate reminiscenze di una bellezza perduta; quasi le era sembrato di scorgere i riflessi della sua vita i cui pezzi, per quanto lei si sforzasse di rimetterli a posto, di tenerli insieme e riempire pian piano le crepe sempre più numerose, finivano sempre in frantumi, ogni volta sempre più piccoli e ogni volta sempre più taglienti. Per quanto le mani di Granada sanguinassero nel tentativo di ricostruirla, quella sua fragile palla di vetro pareva condannata a quel destino: per sempre incrinata, per sempre informe, per sempre incompleta. Aveva posato nuovamente un veloce sguardo sulla base in plastica che teneva in mano, per poi lasciarla cadere con indifferenza nel sacchetto dell'immondizia lì vicino. 

Un giocattolo rotto... non serve più a nessuno.

Ma adesso tutto ciò non contava. Adesso - si disse Granada - conta soltanto questa strada. Quella strada così dissestata e ostile che si lasciava percorrere a fatica, avendo assunto come guardiana un'infinita oscurità in cui ogni singolo, spregiudicato raggio di luce finiva, prima o poi, col disperdersi. Dia, perso l'entusiasmo iniziale per l'essere stata liberata dalla propria prigionia, si sentiva spaventata e fragile, ora che quel buio vuoto intorno a lei minacciava di inghiottire tutto quanto, compresa lei e la sua inaspettata compagna di fuga, e di cancellarlo sotto ai suoi stessi occhi. Nonostante ciò, era riuscita a trovare un po' di coraggio dentro di sé grazie alla speranza che, insieme a quella donna che ancora era poco più di una sconosciuta, avrebbe potuto evitare anche una soltanto delle atroci sofferenze di cui lei stessa era stata testimone. Anche se, fino a quel momento, era andata tutt'altro che bene.
 
Stringeva il quaderno a sé con forza, cercando di non pensare al numero di vite che avevano già perso l'occasione di salvare, essendo stata però cosciente sin dall'inizio che sarebbe stato inevitabile. E teneva lo sguardo basso, puntato sui suoi stessi piedi ballerini che non stavano fermi un minuto; ma ogni tanto, quasi ad intervalli regolari, si voltava con discrezione verso Granada, che la notava sempre immediatamente e ricambiava, accennando un sorriso. E, allora, le voci preoccupate nella testa di Dia si facevano soltanto un po' più silenziose.
Non aveva idea di quale fosse l'origine della fiducia che nutriva nei confronti di quella ragazza. Ma, benché il timore che aveva provato nell'incrociare il suo sguardo glaciale e ostile per la prima volta fosse ancora fresco nella sua memoria, quella sensazione di disagio non era stata nulla in confronto al calore che quegli occhi tanto freddi all'apparenza erano riusciti a trasmetterle nel loro fugace ma intenso momento di fragilità.

"Sicura che sia da questa parte?" chiese all'improvviso Granada quando il silenzio si fece per lei troppo pesante. Si stava sforzando di sembrare tranquilla davanti alla ragazzina insicura che aveva sconsideratamente portato con sé in quella battaglia silenziosa, ma anche per lei era lontanissima la certezza di aver preso la decisione giusta. Che mi è saltato in mente? si domandava, con rimprovero, mentre vedeva quel panorama abbozzato a malapena cambiare pian piano attraverso il parabrezza.
"Sì", rispose semplicemente Dia. E così continuarono a procedere lungo quella strada, per diverse ore, per poi imbattersi nell'ennesimo buco nell'acqua della loro solitaria crociata.

Tutto questo non ha senso, si disse Granada, esasperata dalla catena di fallimenti da cui non sembrava più in grado di liberarsi. Non va bene, ripeteva nella sua testa.

Non va bene

Se ne stava appoggiata ad un vecchio muretto di pietra dura adiacente all'abitazione che aveva appena controllato, con le braccia conserte e gli occhi serrati, e il piede sinistro che batteva sul terriccio della sperduta campagna in cui erano finite a tempo col suo battito. Non sapeva cosa fosse peggio: se il silenzio innaturale, l'odore di morte, o lo sguardo vuoto degli amici e familiari che avevano trovato il coraggio di restare, quando si chiedeva loro del malcapitato di turno.
 Granada si sentiva come intrappolata in un rompicapo senza soluzione, un labirinto senza uscita in cui era destinata a passare da un vicolo cieco all'altro fino a quando il suo tempo non si fosse esaurito; e per di più, oramai, tornare indietro era fuori questione. Con che faccia avrebbe mai potuto presentarsi all'Organizzazione, dopo quello che aveva fatto? Vero: dalla loro fuga non era ancora trascorso nemmeno un giorno, ma fatto sta che aveva rapito la Portatrice, almeno agli occhi del resto del mondo; e, tenuto conto del suo passato, di certo l'avrebbero fatta fuori a vista non appena si fosse avvicinata troppo. Di certo, la stavano già cercando per fare giustizia. Provando a mettersi nei panni dei propri colleghi, comprendeva benissimo quanto fosse grave ed imperdonabile il gesto che aveva fatto, e non riusciva a ricordare che cosa l'avesse portata a credere che fosse una buona idea. 

In quel momento, come in un flash, tornarono le lacrime di Zeno. 
Oh... Giusto.
 
Forse lo shock che le avevano provocato aveva fatto impazzire anche lei, alla fine; non tanto per il fatto che perfino lui avesse infine ceduto al sospetto, spinto da un'irragionevole biondina che ormai aveva perso la testa; quanto per la rabbia, la sofferenza che la vista di quel pianto le aveva fatto provare. Perché lei odiava vederlo piangere. Più di ogni altra cosa; più del mondo incomprensibile ed ingiusto in cui era nata, più di sé stessa. E quella ragazzina poi... che da un giorno all'altro si era ritrovata sola, sperduta, al centro di una battaglia che non era la sua. Così innocente, così ignara, così inerme da pensare di non avere neanche il diritto di dare voce al proprio dolore. 
Quella era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Era stato ciò che lei cercava da tanto tempo senza neanche esserne consapevole: la motivazione che le serviva per prendere una sua posizione, per fare quello che lei, semplicemente lei e nessun'altro, sentiva giusto. Ma cosa avrebbe dovuto fare, ora che si trovava come bloccata nel mezzo tra ciò che desiderava e ciò che temeva di più?
"Ora di là", suggerì in un soffio una voce tremolante, quasi interrompendo la tribolata marcia della Land Rover. Dia aveva afferrato la manica destra della giacca a vento di Granada, e la stava buffamente strattonando nel goffo tentativo di liberarla dai suoi pensieri. A quel punto la donna la guardò, soffocando l'istinto che aveva di sfogare la vergogna che provava per sé stessa con una risata e, carezzandole piano i capelli, annuì e girò moderatamente lo sterzo, per prendere la destra dell'imminente bivio alberato.



Improvvisamente qualcuno bussò alla porta aperta, per segnalare la propria presenza.
"Ne hai ancora per molto?" domandò Indro preoccupato. Fissava Zeno divorato dall'ansia, con il sangue nelle arterie in subbuglio: non sarebbe voluto tornare in quella stanza per nessun motivo al mondo, ma come al solito si era lasciato trascinare dagli eventi e adesso non era altro che un messaggero in conflitto con la propria coscienza, consapevole che prima o poi avrebbe dovuto dare quella notizia, per quanto questo avrebbe potuto distruggere il suo amico. Lui aveva a malapena notato la sua presenza, dandogli le spalle seduto da almeno un paio d'ore su quel letto ancora sfatto, con la schiena dritta e le mani posate sulle ginocchia a tenere Acrux, in posizione di attesa. E lo sguardo perso, lontano, di chi è completamente altrove rispetto a dove il suo corpo farebbe pensare. Indro un po' riusciva ad immaginare cosa gli passasse per la testa in quel momento, ma un po' capiva di non averne idea; non adesso che Granada era sparita da più di 12 ore, senza lasciare traccia. E quel giovane uomo col cuore in gola di fronte a lui ancora non lo sapeva, ma... non era l'unica.

"Zeno, non puoi-"
"Sarà qui a momenti" lo interruppe lui, con tono privo di vita. Indro scosse la testa di nascosto, amareggiato: io non credo proprio. "Non è necessario che tu resti qui. Torna alla Cittadella: potrebbe passare da lì prima, per cercarmi." La voce già innaturale che risuonava nella casa vuota si trasformò pian piano in un sussurro e poi in un sibilo sul finire della frase. Il suo interlocutore si passò la mano tra i capelli biondo cenere tirati all'indietro, esasperato, senza sapere che pesci prendere. Sganciare la Bomba in quel momento sarebbe stato davvero un disastro.
"Appunto per questa ragione! - colse la palla al balzo, provando a tergiversare - Ascoltami: ti do il cambio io qui; tu invece perché non-"
"No." 

Quell'atteggiamento così apaticamente inflessibile stava davvero mettendo alla prova la sua pazienza. Svegliati! fu sul punto di gridare, ma non ne ebbe modo.
"Io non..." esordì Zeno titubante, tradito infine dall'emozione che stava cercando di nascondere a sé stesso. "Non sono sicuro che abbia voglia di vedermi, adesso." Indro sentì gli occhi del collega farsi lucidi, anche se da lì non poteva scorgerli. Cercò di dirgli che non fosse così, che si sbagliava, ma quelle parole in cui neanche lui stesso credeva sarebbero parse soltanto una presa in giro, alle sue orecchie. "Tornerà presto, credimi" ripetè allora Zeno con più enfasi, nel tentativo di convincerlo. "Non andrebbe mai lontano senza la sua pistola, non sarebbe da lei" continuò, forzando una risata disillusa mentre annuiva compulsivamente. L'amico lo guardava, colmo di compassione e disagio, senza riuscire a dire nulla. "Starà facendo un giro in macchina qua vicino per sfogare i nervi, fidati di me. E' fatta così, lo sai anche tu!" Rise ancora più forte, ancora più disperato. Indro respirò pesantemente, prendendosi di coraggio e prendendo una decisione.

"Zeno, c'è una cosa che dovresti sapere..." esordì, interrompendo il suo delirare e catturando la sua attenzione. "Un paio d'ore fa un Associato ha fatto la solita ronda della Zona Residenziale, e... - esitò un momento, alla ricerca delle parole adatte - Beh, diciamo che Granada non è l'unica ad essere sparita nell'arco dell'ultima mezza giornata" concluse infine, rassegnato. Zeno fu come colto da uno spasmo involontario, i suoi respiri corti e veloci come non mai.
"Stai cercando di dirmi qualcosa?" chiese tutto d'un fiato, soffocando l'astio che stava nascendo dentro di lui, tentando ostinatamente di non lasciar andare in pezzi la propria maschera di noncuranza, già vistosamente logorata. Indro proseguì imperterrito, ormai convinto che non ci fosse altra via se non quella di sbattergli in faccia la cruda realtà.
"Quello che Ali ha cercato di fare in questa stanza è imperdonabile." Vide di spalle il collega che lentamente annuiva. "Tuttavia, alla luce dei fatti odierni... dobbiamo renderci conto che probabilmente è stata l'unica che ci ha visto giusto." 

Calò il silenzio più totale in quella camera e la reazione di Zeno - i cui respiri si erano improvvisamente arrestati - si fece nuovamente attendere. "Non sai quanto mi dispiaccia, amico mio." Lui non fiatò e non mosse un singolo muscolo, e continuò a guardare il nulla dritto davanti a sé. Certo di essere ascoltato, Indro gli si avvicinò, andandosi a sedere accanto a lui per poggiare una mano sulla sua spalla. "Stento a crederci quanto te, Zeno. E mi sento un grandissimo idiota per aver insistito sul contrario, per averla difesa davanti a te, per le parole che ti ho detto quando ancora scambiavo il falso col vero. Ma la verità è questa, e tu devi fartene una ragione!" Il suo tono era determinato ma comprensivo. Capiva benissimo quale shock fosse per lui, ed era sinceramente preoccupato; ma più che dargli l'ennesima strigliata e sperare, non poteva fare. "Rialzati, amico mio. Anche dopo tutto questo, io sono sicuro che tu, tu e forse nessun'altro, ne sei in grado. Perché tu hai ancora persone su cui poter contare."

 Tutto d'un colpo Zeno scostò violentemente la sua mano dalla propria spalla, senza mai degnarlo di uno sguardo.

"Che cosa ci fai qui, Indro?" chiese poi con tono neutro. L'altro non capì; lo guardò con aria stupita per diversi secondi, prima che lui continuasse. "Torna subito alla Cittadella. Se non sbaglio ti avevo chiesto di stare vicino ad Ali." Indro era ancora a bocca aperta, in confusione. Dove vuole arrivare? Che senso ha questo discorso, proprio adesso?
"E' così, ma-"
"Corri. Non voglio che sia sola al suo risveglio" lo interruppe, di nuovo, cancellando l'ultima mezz'ora di discussione che il collega aveva portato avanti. Quest'ultimo sospirò per la tensione accumulata prima di riuscire a rispondere.
"Vieni con me allora" quasi lo supplicò.
"Non posso."
"Che diavolo vuol dire non posso?!" La collera ebbe il sopravvento. "Sul serio non ti rendi conto di cosa stia succedendo? O hai intenzione di volgere gli occhi altrove e continuare a comportarti come se nulla fosse?!" Cosa ti manca ancora per poter accettare la realtà?
"Non ci vorrà molto" ribadì un'altra volta senza battere ciglio. "Sarà qui da un momento all'altro."

Indro scosse la testa, contrariato ed incredulo. 
E' totalmente andato... pensò. Si alzò in piedi e si avviò, ormai arreso, verso l'uscita.
"Tra un paio d'ore tuo padre manderà una squadra a cercarla" aggiunse poco prima di lasciare la stanza. " ... E non penso che si faranno troppi scrupoli, se si tratta di prenderla viva o morta."

E se nemmeno questo sarà in grado di smuoverti, non c'è più speranza né per te, né per questo mondo.

Zeno sentì il rumore della porta che veniva chiusa e i passi pesanti di Indro che si allontanavano rapidamente. Arrivato all'auto quest'ultimo si guardò indietro riluttante, con una crescente sensazione di disagio. Per quanto detestasse ammetterlo, quella storia, in fondo, puzzava un po' anche a lui. Granada sarà anche stata spaventosa, ma non era una bugiarda. La ragazza inquieta che aveva visto poco tempo prima davanti al Centro Operativo, tanto turbata dal rischio di perdere la fiducia della persona per cui aveva vissuto metà della sua vita, non poteva essere una doppiogiochista; ma tutto questo lo aveva realizzato soltanto adesso, nel vedere la cocciutaggine di Zeno anche di fronte ad un fatto schiacciante come quella fuga repentina.
"Accidenti" sbuffò,  guardando seccato lo schermo del cellulare. "Mi sa che stavolta mi toccherà chiamare quel numero."



In quello stesso momento, a distanza di diversi kilometri, due minute figure si facevano strada a passi veloci e silenziosi tra il buio di un deserto paesino di campagna. Mano nella mano, con le pallide dita saldamente intrecciate, due impavide bambine dai candidi capelli e gli occhi acromatici camminavano decise, facendo attenzione a ciascun rumore sospetto le loro orecchie avessero udito.

"Nivi, sei stanca?" domandò ad un tratto a bassa voce quella che incedeva più avanti, conservando il ritmo.
"No no, Nee!" rispose l'altra con un po' meno discrezione, facendosi rimproverare dalla sorella maggiore. "Ops! - sussurrò la più piccola, coprendosi d'istinto la bocca con la mano libera - Scusami Nee, per un attimo avevo dimenticato che siamo in inconnito..."
"In incognito Nivi; ho detto che siamo in incognito, come i ninja!" la corresse immediatamente la più avanzata.
"Sì: in inconnito!" ripetè la sua interlocutrice, senza comprendere il proprio errore. Sua sorella sospirò, esasperata, senza dire più nulla. Procedettero ancora per un po' tra le casette di legno e le vie acciottolate, andando a finire poi, senza incrociare anima viva, sul sentiero che portava fuori paese.

"Manca poco" esordì Nee voltandosi indietro per accennare un sorriso. Nivi, che teneva lo sguardo basso, imbronciata, annuì impercettibilmente, senza alzare gli occhi. "Che ti prende?" le domandò la maggiore fermandosi, ma senza mai lasciare la sua mano. Lei scosse la testa, dondolando i codini alti, restìa a parlare. "Cosa c'è, Nivi?" le chiese nuovamente, con più rigore, sollevando dolcemente il suo viso con una mano affinché la guardasse. E, dopo qualche attimo di esitazione, la minore cedette.
"M-mi dispiace, Nee... Non volevo mangiare tutto il tuo budino..." le rispose, trattenendo a stento le lacrime. L'altra fece come per ignorarla, e riprese la marcia, rischiando di far inciampare la sorellina colta alla sprovvista. "N-Nee...?" chiamò, sul punto di scoppiare a piangere. Sei arrabbiata, Nee?
"Mangerò il tuo quando avremo trovato mamma e papà." 

Nell'udire quelle parole, un gioioso sorriso si formò sul volto di Nivi.
"Ok!" esultò. Si stropicciò un po' gli occhi, dopodiché si scusò di nuovo per aver alzato troppo la voce.
"E poi, i budini che ci compravano in quella chiesa neanche mi piacciono..." continuò Nee, nell'impacciato tentativo di rassicurarla. Lei rise.
"Nee... non si dicono le bugiee..." la canzonò, dondolando il braccio che le teneva unite. L'altra la strattonò, arrossendo. "Ahi! Mi hai fatto male!"
Nee la zittì all'improvviso, arrestando il passo. "Nee...?" chiamò titubante la sorella.
"Shh! - le tappò la bocca d'impulso - "C'è qualcuno!" bisbigliò, turbata. Nivi si mise in punta di piedi per guardare oltre, notando una grossa macchina nera accostata perpendicolarmente all'ingresso della strada asfaltata. Spaventate, si guardarono l'un l'altra e strinsero la presa, giurandosi senza usare parole che, qualunque cosa fosse successa, sarebbero rimaste insieme.

Si avvicinarono di soppiatto tenendo occhi e orecchie bene aperte, in attesa che qualcuno sbucasse da qualche parte per iniziare a scappare a perdifiato. Ma i dintorni sembravano liberi, e quando le bambine furono vicine al finestrino dell'auto, essa parse loro vuota. Si sporsero entrambe per averne la certezza, e a Nivi scappò un sospiro di meraviglia.
"Nee! Guarda!" chiamò sopraffatta dall'entusiasmo, mantenendo basso il tono di voce soltanto per non disturbare la ragazzina dormiente al di là dello sportello.
"Ho visto, ho visto. Però adesso-"
"E' così carina! Guardala: sembra una bambola come quelle della mamma!" Non la stava minimamente ascoltando, tanto era presa da quella sconosciuta. "Nee, secondo te mi lascerebbe spazzolare i suoi capelli?" La maggiore sbuffò di disappunto. "Secondo me-"
"Nivi, dobbiamo andarcene da qui..." cercò di farla rinsavire.
"Ma io voglio spazzolarle i capelli!" si intestardì lei, dondolando nuovamente i codini, totalmente assorbita dal suo nuovo capriccio. "E voglio farci amicizia!"

"Nives" la chiamò Nee spazientita. Lei le mise il broncio.
"Uffa, non mi piace quando mi chiami in quel modo..." brontolò.
"E' il tuo nome..." sibilò la sorella maggiore, ormai al limite.
"Sì però... Però uffa!" Proprio non voleva saperne, e iniziò anche a battere i piedi per terra e a sbuffare a ripetizione. "Forse ci può dare un passaggio!" affermò poi, tornando alla sua prima preoccupazione.
"Ma non sappiamo nemmeno di chi è questa macchina, Nives!"
"E tu sei antipatica, Neera!" gridò facendole prima il verso e poi la linguaccia.
"Allora ti lascio qua con la tua nuova amica!" ribattè ansimante Nee, esausta. Lasciò la sua mano e le voltò le spalle, ma si trovò davanti una minacciosa figura che la guardava di sbieco, perplessa. Nivi se ne accorse, e lo spavento fu tale che la fece sobbalzare e correre dalla sorella in lacrime.
"Nee, aiuto!!! Una strega!!!" pianse terrorizzata. Nee era del tutto immobilizzata dalla paura. 


Oh santo cielo...
Di fronte a loro, con un po' di provviste appena comprate tra le braccia, Granada le fissava, confusa e un po' offesa, ma più che altro scocciata.
Me lo sentivo che lasciare qui l'auto sarebbe stata una cattiva idea...




Sicuro che Indro fosse ormai lontano - era trascorsa almeno un'ora dalla sua visita - Zeno si alzò in piedi. Si diresse verso la scrivania con passo pesante e mente vacua, alla ricerca di una certa foto.
La tieni ancora qui... Sorrise con sincerità, per la prima volta dopo quella che era sembrata un'eternità, felice di avere azzeccato il cassetto.
Scambiò la pistola con quella vecchia foto e la strinse nel proprio palmo, tornando poi al letto, stavolta coricandosi a pancia in sù, a fissare per un po' il soffitto.
Poi chiuse gli occhi, e cominciò a pregare.

 
Torna presto.
 
 
Angolo della insopportabile, incostante e incomprensibile Maya:

Saaalve(bla bla bla) sono tornaata(bla bla bla) mi davate per dispeersa(bla bla bla) e invece sono di nuovo qua(bla bla bla bla).
Bla.

Ma passiamo alle cose importanti!
 
1- Nuovo capitolo!
2- Nuovi personaggi!
3- Nuovi complessi mentali!
4- Lol.

Perdonatemi ma alle 4 e 30 del mattino non mi viene altro da aggiungere.
Spero che sia valsa la pena di aspettare per questo capitolo, e mi farebbe un IMMENSO piacere ascoltare le vostre opinioni su quest'ultimo, o sulla storia in generale, o su un personaggio a caso, o, chessò, SUGLI ARCOBALENI. Quanto son belli gli arcobaleni? Ora però mi dileguo, che probabilmente è meglio per tutti.

 
Il capitolo è dedicato all'onnipresente e dolcissima Iriisya, per quando torna dal bosco sperduto in cui l'hanno portata (D:)

 
Alla prossima!
See you next time!

Mata ne!
(?)
  
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