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Autore: Prinzesschen    12/07/2014    3 recensioni
Niente è mai come sembra ed Hannah Kane lo avrebbe imparato a sue spese. Tutto comincia con un curioso incontro sotto la pioggia, un cagnolone dal pelo nero ed arruffato sconvolgerà la vita della giovane avvocatessa colmando la solitudine di una casa sempre vuota e riscaldandole il cuore con un pizzico di inaspettata magia.
Un latitante, un evaso in cerca di redenzione per una colpa che non ha mai commesso e che gli brucia l'anima graffiando il suo cuore dall'interno e procurandogli ferite che solo una giovane ed insolita donna in carriera saprà curare.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Sirius Black
Note: Lemon, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
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furry love 12

Furry Love

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12. I was alone, falling free,
Trying my best not to forget
What happened to us,
What happened to me,
What happened as I let it slip.

-Obiezione!-
Okay, forse avevo un tantino esagerato con i toni ma il mio assistito era davvero stato messo in una posizione scomoda ed io ero sull’orlo di una crisi di nervi.
-In base a che cosa, avvocato?- rispose il giudice, una donna di mezza età con evidenti frustrazioni personali impunemente riversate sulla sua condotta professionale. I giudici donna erano la categoria peggiore esistente sulla faccia della terra e se una strenua sostenitrice della causa femminista si trovava costretta a simili considerazioni, il mondo stava davvero andando a rotoli.
-Il mio assistito non ha sicuramente tenuto una condotta indecorosa come sostiene il collega, ogni sua azione è perfettamente scusabile in quanto reazione alla plateale infedeltà della signora Raley e se di abbandono del tetto coniugale si può parlare allora parleremo anche di un equo risarcimento dei danni morali dovuti dalla parte attrice nei confronti del mio cliente.-
Avevo i nervi a fior di pelle e troppe cose per la testa che mi avevano distolta dalla preparazione della difesa di Tayler O’ Brien che mi stava fissando, disperato, annuendo vigorosamente ad ogni mia parola. Non era stato affatto professionale il mio comportamento, senza contare che la storia della mia amnesia aveva fatto il giro di tutti i maggiori studi della città e la mia disattenzione non faceva che rendermi ancora più ridicola di quanto già non mi sentissi.
-Comprensibilmente, collega, credo abbia dimenticato le modalità di classificazione del danno morale e..-
-Non ho dimenticato proprio un bel niente, Jersen!- sbottai, ormai fuori controllo, sbattendo un pugno sul banco. Quell’infido e abietto omuncolo era stato mio collega all’università e con quell’atteggiamento arrogante che si era cucito addosso avrebbe potuto incantare chiunque tranne la sottoscritta, ricordavo troppo bene i suoi occhialoni da imbecille e l’indescrivibile proliferazione di brufoli sulla sua faccia da schiaffi.
-Avvocato la prego di mantenere dei toni adatti ad un’aula di tribunale, questo non è un mercato.
Abbassai il capo, sconfitta, e aspettai che il giudice deliberasse, rassegnata ad una disfatta epocale. Inaspettatamente il giudice optò per un rinvio a giudizio che mi avrebbe quantomeno fatto guadagnare del tempo per recuperare terreno.
Quando lasciammo l’aula ed ebbi congedato il mio cliente feci appena in tempo a vedere Jersen sfrecciarmi a fianco come fossi stata invisibile e affrettai il passo, raggiungendolo e strattonandolo per la giacca.
-Kane! Santo cielo, ti vedo un po’ agitata.-
-Agitata?! Jersen cerca di non sfidarmi perché non m’importa niente se te la fai con un magistrato, adesso, per me resti sempre un imbecille e a rovinarti ci impiego cinque minuti e giusto due telefonate.- berciai, dura.
-Mi stai minacciando?-
-Si che lo sto facendo, quant’è vero che mi chiamo Hannah Kane.-
-Data la tua recente amnesia potresti anche sbagliarti.-
-Lo stai rifacendo, brutto imbecille e non te lo ripeterò un’altra volta! Per tua informazione ricordo benissimo sia te che i tuoi fallimentari inviti a cena balbettati attraverso quel tuo maledetto e ridicolo apparecchio.- lo ghiacciai a voce alta facendo voltare numerosi colleghi prima di voltargli le spalle e allontanarmi.
Almeno avevo sfogato un po’ di rabbia.  

Due mani forti mi accarezzavano i fianchi e il mio collo era ripetutamente lambito da baci ora delicati ora troppo intraprendenti mentre sentivo l’eccitazione salire e invadere ogni fibra del mio corpo, sospiravo ma dalla mia bocca non usciva alcun suono.
Guardai le dita che accompagnavano lente ogni curva del mio corpo e mi resi conto che quelle mani non erano affatto di Jason.
-Sirius.-.
Mi sentii sussurrare pochi istanti dopo, il respiro rotto, la voce tremante.
Il contatto tra il mio corpo e quello dell’uomo che mi stringeva si faceva sempre più intenso, più intimo e non riuscivo a fermarmi, ad occhi chiusi accompagnavo i suoi movimenti come ipnotizzata, come a non voler perdere neanche un secondo di quel dolce tormento.
-Sirius..-
Aprii di scatto gli occhi, sicura di aver davvero pronunciato quel nome, e mi ritrovai a respirare affannosamente; portai le mani al viso e lo strofinai più volte, ancora sconvolta per l’intensità di quel sogno, chiedendomi che senso avesse sognare un pazzo con tendenze persecutorie e, peraltro, in atteggiamenti non esattamente ortodossi.
Mi misi a sedere e aspettai di regolarizzare il mio respiro mentre il mio sguardo correva alla sveglia che dal comodino mi avvertiva che erano già le otto del mattino.
Il sole filtrava timidamente dalla serranda appena socchiusa e mi imposi di alzarmi per aprire la finestra e fare entrare un po’ d’aria che riattivasse il ragionevole flusso dei miei pensieri per poi afferrare il telefono e chiamare il mio fidanzato.
Mi sentii strana nel farlo. Normalmente chiamare Jason non era esattamente il mio primo pensiero e mi sentivo un po’ come una compagna infedele con la coda di paglia quando, in realtà, era semplicemente stato un sogno e volendo avrei anche potuto raccontarglielo e riderne insieme a lui. O forse no.
-Buongiorno, tigre. Dormito bene?- mi interrogò la voce di Jason dopo neanche due squilli.
-Io?- ero sovrappensiero e tra le tante cose stupide che avrei potuto dire e tra le tante voci stupide che avrei potuto usare la scelta non era decisamente stata delle migliori.
-No, parlavo con la caffettiera.-
-Il tuo sarcasmo è veramente inopportuno, Jason Russell, lo sai che la mattina appena sveglia ci metto un po’ più del dovuto a connettere.-
-E così ti sei appena svegliata. Strano, normalmente sono io a chiamarti di prima mattina, considerato che sei il mio primo e ultimo pensiero della giornata. Devo preoccuparmi? Qual è il prossimo passo, mi chiederai di sposarti?-
-Sogna, Jason, magari ci credi.-
Brutta scelta lessicale, terribile collegamento mentale. Sogno, uomo, sesso, Sirius. Avvampai e ringraziai il cielo che Jason non potesse vedermi. Dovevo sciacquarmi il viso o forse farmi persino una doccia fredda anche se probabilmente un colpo in testa sarebbe stato il rimedio più efficace.
-Beh oggi avrai occasione di chiedere la mia mano a mio padre, bellezza. Ceniamo da lui.-
-Ti hanno mai detto che funziona al contr.. cosa? Da tuo padre? Stasera? Stai scherzando.- non potevo andare a cena dal mio capo e lui non poteva avvertirmi con così scarso anticipo.
Non ero mai stata ufficialmente presentata all’avvocato Russell senior come compagna di Jason e soprattutto mi ero sempre rifiutata di restare per pranzo o cena, in anni e anni di conoscenza, in quella enorme villa che loro chiamavano casa.
Avevano anche una domestica che cucinava e si occupava di tutto con un anacronistico completino che, a mio parere, serviva solo a risvegliare i bollenti spiriti del padre di Jason, di certo non meno donnaiolo del figlio nonostante l’età. Era un bell’uomo, Richard Russell, ma mi aveva sempre trasmesso una incredibile soggezione.
-No, non sto scherzando.- disse con voce meno allegra di quanto avrei sperato. Magari se l’era presa per il mio ennesimo rifiuto. Ero una fidanzata terribile, non solo mi permettevo di fare sogni erotici su altri uomini ma rifiutavo persino di cenare con papino. Aveva ragione il mio, di papà, quando diceva che ero troppo cattiva per una relazione sentimentale.
-Va bene.- sospira dunque, rassegnata. –Cena formale?-
-Cena con mio padre, rende formale anche ciò che non lo è.-
-Disse il signor Cravatta.- lo schernii e finalmente lo sentii ridere all’altro capo del telefono e ne fui inaspettatamente rincuorata.
-Ti passo a prendere alle sette, mia bella. Saresti stupenda anche se venissi nuda, non stare troppo a ragionare sul vestito come sempre.-
-Ti piacerebbe.-
-Non lo nego.- potevo immaginare il suo sorriso storto che accompagnava puntualmente risposte ad effetto come quella e scossi il capo.
-A stasera, playboy.-
-Nuda?-
-Ciao, Jason!.-

Vagabondai per negozi per tutta la giornata provando una quantità inenarrabile di abiti alla ricerca di qualcosa di adatto ma non pretenzioso e finendo sempre per cambiare idea dopo la quarta giravolta davanti allo specchio.
Le commesse, disperate, dopo aver rivoltato ogni stand per soddisfare le mie psicotiche e confuse richieste, cercavano puntualmente di convincermi che quel delizioso vestito azzurro si intonava perfettamente ai miei occhi facendoli risaltare ma che in fin dei conti anche quell’altro semplice tubino color ghiaccio era molto fine e adatto al mio fisico.
Mi sentivo un po’ una bizzarra Julia Roberts in Pretty Woman ma bionda, molto più sbadata e decisamente meno avvenente.
-Prenderò questo.- decretai infine rivolta alle commesse dell’ultimo negozio dopo aver provato l’ultimo vestito dell’ultimo stand dell’ultima stagione e notai con disappunto il sollievo delle donne quando una di loro si affrettò alla cassa quasi preoccupata che cambiassi nuovamente idea.
Ero abbastanza soddisfatta della mia scelta. Il vestito era semplice ma elegante e Richard Russell non avrebbe avuto nulla a che dire e magari avrebbe smesso di trattarmi al pari di una qualsiasi praticante come non ero più da tempo.

-Tanto sforzo per un vestito che ti toglierò tra poche ore, voi donne siete davvero incomprensibili.- decretò Jason cingendomi la vita con le braccia e strofinando il naso contro il mio.
-Pensi di farlo proprio sotto il naso di papà?- lo presi in giro mordendogli giocosamente il labbro inferiore.
-Ci sono stanze di quella casa ancora da collaudare, non credi? Tra una portata e l’altra potremmo..-
-Riordina gli ormoni, non ho intenzione di dare nell’occhio né di sembrare una delle imbarazzanti galline che sei solito portare a casa.-
-Pensi davvero che abbia portato tutte le donne con cui sono stato a cena con mio padre?-
-Mi stupisce che un bravo avvocato come te badi così poco alle parole, prova a riferirti di nuovo a tutte le tue fiamme e dovrai chiamarne urgentemente una per rimpiazzarmi.- lo minacciai puntandogli contro un dito con aria inviperita.
Lui rise e mi baciò con trasporto affondando le mani tra i miei capelli. –Non c’è ragione perché tu sia gelosa. Nessuna donna ha mai contato tanto, per me, quanto te adesso.-
Incapace di ribattere mi limitai a sorridere, intenerita, e ad accarezzargli il volto.
-Andiamo?- sussurrai dopo qualche istante di indecisione su quale fosse il modo meno inopportuno per infrangere l’armonia di quel momento e metterci in marcia verso casa Russell sulla Russell-mobile.
-Tu e il romanticismo viaggiate su due binari paralleli, Hannah. Non credo mi ci abituerò mai.- sospirò prendendomi per mano e avviandosi verso l’uscita.

-Suo padre vi raggiungerà tra qualche istante.- disse Charlotte, la governante, rivolta a Jason mentre entravamo in casa. Doveva aver fatto qualcosa ai capelli perché l’ultima volta che l’avevo vista era decisamente più bionda.
-Buonasera, Charl..-
Jason mi diede una leggera gomitata bloccandomi mentre la ragazza mi rivolgeva un’occhiata confusa.-Lei si chiama Cassie.-
-Che fine ha fatto Charlotte?- chiesi sottovoce mentre la superavamo per raggiungere il salotto e lui mi rispose con una scrollata di spalle.
-Avvocato Kane, che piacere!- mi salutò, cerimonioso, Richard Russell raggiungendoci, stretto nel suo completo gessato.
-Il piacere è mio, avvocato Russell. Allo studio si sente moltissimo la sua mancanza.- mentre lo dicevo mi maledii per la mia incapacità di trovare una osservazione migliore e possibilmente più intelligente.
-Posso chiamarti Hannah, adesso, mh?- chiese indicando con il capo la mano di Jason ancora intrecciata alla mia e fui quasi certa di notare un lampo di fastidio attraversare i suoi occhi magnetici.
-Certamente, signore.-
-Tu chiamami pure Richard.- concluse sbrigativo procedendo verso il tavolo della sala da pranzo e prendendo posto.
Avrei davvero dovuto chiamare il mio capo per nome? Richard potresti per favore passarmi la saliera? No. Niente da fare, avvocato Russell sarebbe bastato. Per sempre.
-Cassie, puoi cominciare a servire l'antipasto.- decretò, imperioso, quando ci fummo accomodati al grande tavolo mentre con gli occhi scorrevo le numerose posate che circondavano il servizio di pregiata porcellana e i bicchieri di vetro così sottile che, ne ero certa, ne avrei distrutto uno prima della fine della serata. Nella migliore delle ipotesi.
-Allora, Hannah, quale novità mi porti? Come procede con la Hughster Financing? Uno degli azionisti coinvolti è un mio caro amico e non fa altro che elogiare il tuo operato.-
-Ne sono lusingata, avvocato. In pratiche come questa impiego il quadruplo dell’attenzione e della diligenza perché sono in ballo somme a dir poco esorbitanti e non rischierei mai di causarne la perdita.-
-Devi sempre fare molto attenzione.-
A quelle parole sentii qualcosa nel mio cervello scattare e non mi accorsi neanche che Cassie aveva servito le tartine alle verdure; il tono di Richard Russell aveva un qualcosa di minaccioso, nonostante il sorriso di circostanza che increspava le labbra sottili ed ebbi l’impressione che non fosse la prima volta che mi trovavo in una situazione simile.
-Ci tenevo a scambiare qualche parola con lei, avvocato Kane, è una donna intelligente e brillante e questi sono tempi difficili.
Sentii la voce di Richard Russell nella mia testa come una sorta di interferenza e per un attimo strizzai gli occhi, sorpresa da una improvvisa fitta alla testa.
-Tutto bene?- chiese Jason, premuroso, stringendomi la mano posata sul bordo del tavolo e mi accorsi di aver accartocciato tra le dita il pregiato tovagliolo di stoffa color panna.
Alzai nuovamente lo sguardo sul padre del mio fidanzato e vidi che mi stava ancora fissando come se stesse cercando di guardarmi attraverso e portai istintivamente una mano alla fronte che pulsava furiosamente come se il cuore stesse pompando sangue ad una pressione eccessiva.
-Si, non.. non preoccuparti.-
-Cosa si prova a sapere che stai per morire, mh?-
Era ancora la voce di Russell? O era la mia immaginazione che mi stava giocando brutti scherzi? Mi sembrava di aver la testa invasa da pensieri estranei e dolorosi.
-Scusatemi, devo andare un attimo..- ero troppo agitata e confusa per scegliere quale vocabolo tra bagno e toilette fosse il più appropriato ma Jason capì e annuì.
-Ti accompagno?-
-No, Jason, sono sicura di potermela cavare.- ironizzai sperando di tranquillizzarlo prima di uscire da quella stanza e tirare un profondo respiro.
In bagno mi sciacquai ripetutamente il viso con acqua fredda, incurante del trucco che sarebbe venuto via e poi mi concessi qualche secondo arpionando il bordo del lavandino con le dita e fissando la mia immagine riflessa.
Il mal di testa sembrava essersi attutito e quando fui sicura di poter tornare ad affrontare una conversazione in modo civile tornai verso la sala da pranzo.
-Com’è possibile?- sentii Jason ringhiare tra i denti e mi nascosi dietro la porta, istintivamente.
-Non ne ho idea, Jason, ma quella stupida ficcanaso sta cominciando a ricordare. Sono solo piccoli flash ma nessuno ci assicura che non riacquisterà del tutto la memoria.-
-Papà, è impossibile! Ogni ricordo dovrebbe essere stato totalmente cancellato.-
-Hai detto di essere stato interrotto da quel dannato cane, probabilmente non ha funzionato come avrebbe dovuto. Sai che non c’è altra soluzione, adesso, non possiamo più rischiare.-
La voce di Richard Russell era ferma e glaciale contrariamente a quella disperata di Jason che sentivo distintamente muoversi avanti e indietro per la stanza.
-No!-
-Jason, smettila. Non ti permetterò di mettere a rischio la nostra copertura per una maledettissima cotta. Per una babbana, poi.-
-Io sono innamorato di lei, chiaro? E non ti permetterò di..-
-Non me lo permetterai?- scandì, lento e crudele, Russell.-Non costringermi a usare su di te lo stesso rimedio che avevi trovato per lei. A differenza tua io non fallirei.-
Quelle parole non avevano senso. C’era qualcosa di profondamente sbagliato in quella situazione e per la prima volta negli ultimi mesi ebbi paura. Non frustrazione, non esasperazione, paura.
Indietreggiai, attenta a non far rumore e dopo aver dato una veloce occhiata intorno uscì da casa Russell cominciando a correre nella notte fredda.
Ero arrivata lì con la macchina di Jason e ovviamente non avevo le chiavi, così corsi più veloce che potevo per allontanarmi da quello che mi sembrava ogni istante di più un castello di menzogne e omissioni. Non avevo perso la memoria, mi era stata portata via in un modo che non ero ancora capace di spiegare.
Russell mi aveva davvero minacciata e se quei frammenti di memoria erano veri era anche arrivato vicinissimo all’eliminarmi.
Ma perché? Non riuscivo a spiegarmi cosa potessi aver fatto né che tipo di copertura avrei potuto far saltare. Cosa c’era dietro? E che diavolo di insulto era babbana?
Con il fiato corto e il petto in fiamme mi fermai, cercando di respirare a fondo con tutta l’intenzione di riprendere la mia corsa quando sentii un fruscio e mi voltai, immediatamente.
Mi sentivo osservata e per la prima volta il pensiero che qualcuno stesse vegliando su di me mi rincuorò. Non poteva essere Jason, né suo padre ma entrambi avrebbero potuto raggiungermi in macchina nel giro di pochi minuti e non avrei avuto scampo.
C’era solo una persona che poteva avermi seguita fin lì.
-Sirius! -
Nessuna risposta né rumore giunse alle mie orecchie e temetti di aver immaginato tutto.
-Sirius, dannazione, lo so che ci sei! Voglio sapere la verità credo di essere.. in pericolo.- terminai quella frase con voce fievole, rivolta alla notte scura. Nessuno mi stava osservando né ascoltando. Ero sola sul ciglio della strada mentre le macchine mi sfrecciavano a fianco.
-Aggrappati a me e chiudi gli occhi.-
Era la sua voce.
Non ero il tipo di persona che accettava alcun ordine ma sentii di dovermi fidare e feci come mi aveva detto.
Mi voltai mi lasciai avvolgere dalle sue braccia mentre chiudevo gli occhi e il profumo della sua pelle mi invadeva le narici. Tutto sembrò vorticare come se fossimo stati inghiottiti da un tornado e poi sentii di nuovo l’aria intorno a me fermarsi e la presa dei miei piedi al suolo farsi più salda così come quella delle mie mani sulle sue spalle.
-Dobbiamo parlare.-
 

Song: Meds - Placebo

Artwork: HilaryC 

PS: ci tenevo a specificare che la prima parte del capitolo potrebbe essere, o meglio sicuramente è, molto approssimativa. Il fatto che io studi Giurisprudenza non mi ha comunque ancora dato le conoscenze necessarie per descrivere un'udienza vera e propria, sono ancora solo al secondo anno e le procedure sono ancora lontane. Se qualcuno di voi studia Giurisprudenza e ha notato stranezze in quel passaggio sappia che è per questo motivo! Un bacio, A.

  
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