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Autore: Aurelianus    12/07/2014    4 recensioni
E se la Germania non avesse mai perso la Seconda Guerra Mondiale, diventando la prima potenza planetaria? Cosa accadrebbe se in un lontano futuro, tutte le nazioni della Terra e le colonie fondate nello spazio dovessero far fronte comune contro una tremenda minaccia aliena? Le antiche rivalità, le vecchie contese, sarebbero accantonate? Ciò che resta dell'URSS, il potente Reich, l'Italia, l'Australia, gli USA e le altre nazioni sarebbero in grado di mettere insieme le loro forze e combattere non per un futuro migliore, ma per la possibilità di avere un qualsiasi futuro?
Storia scritta sulla base di un'idea dell'autore EFP John Spangler
Genere: Avventura, Azione, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Base Lunare Braun, 23 maggio 2468, ore 17.45 (data desunta dal calendario militare della Wehrmacht)
I calcoli che aveva di fonte erano stimolanti. Ci lavorava da mesi nei ritagli di tempo, ma quel giorno vi si era dedicato completamente: l’esame finale dell’Accademia l’aveva superato, le lezioni che si stavano ancora svolgendo erano una pura formalità, un semplice e crudele desiderio degli istruttori di divertirsi ancora un po’ a loro spese. Non era necessario degnarvi attenzione più di una certa misura.
Il disperato bisogno di nuovi ufficiali al fronte aveva convinto i vertici accademici a concedere un’opportunità di accelerare i tempi agli studenti migliori, così gli istruttori si erano visti strappare via le proprie prede preferite due anni in anticipo rispetto al consueto. Forse era per quello che erano di cattivo umore da un paio di settimane… d’altronde, ufficiali in una nave della Kriegsmarine a diciannove anni, chi non avrebbe accettato?
Tutti avevano superato brillantemente l’esame, cosa che non aveva costituito una grossa sorpresa dato che ognuno di loro era stato raccomandato dagli stessi insegnanti.
Sfiorò alcuni tasti dell’elaborate inserito nel banco, lanciando una simulazione. I risultati furono quelli previsti: aveva appena trovato un nuovo modo per calcolare una rotta nell’iperspazio. Un modo forse non più preciso, ma più rapido di quello in uso al momento e questo poteva dire molto.
Si apprestò a ricontrollare alcune variabili e rifare alcuni calcoli cercando di vedere se riusciva a perfezionare ancora i risultati, quando un’inaspettata gomitata lo colpì al fianco.
Sollevò la testa dal suo lavoro, infastidito. Edel lo stava guardando con un’espressione divertita.
Alzando le mani in un gesto interrogativo le disse: “Be? Cosa vuoi?”
Atteggiando le sue labbra ben disegnate in un grazioso sorriso, gli indicò con il mento di guardare in avanti.
Spostando gli occhi verso la direzione segnata, si trovò davanti un inferocito Sergente Meyer che lo trapassava con occhi di fuoco.
“Cadetto Wagner!” urlò.
Markus l’osservò di rimando, con un espressione che doveva essere palesemente scocciata, perché l’istruttore si volse e giunse alla sua postazione.
“Cadetto Wagner, solo perché è risultato il primo del suo corso non deve credersi tanto superiore: quello che andrà ad affrontare non sono simulazioni, ma vera guerra! Prestare attenzione a queste lezioni potrebbe insegnarle ancora qualcosa!” rincarò, indicando con un gesto imperioso lo schermo principale dell’aula.
Ancora una volta Markus seguì le indicazioni, portando il suo sguardo annoiato a fare un giro completo dello stanzone.
Trenta fra ragazzi e ragazze della sua età avevano puntato gli occhi su di lui; qualcuno ridendo, qualcuno scuotendo il capo, qualcuna sorridendogli ammiccando.
Lo schermo era congelato in una Fregata Virtuale, come si soleva definirla all’Accademia: la registrazione di una battaglia realmente avvenuta, terminata con una cocente sconfitta per la Kriegsmarine, a cui il malcapitato studente di turno toccava provare a cambiare il finale inserendo qualche variabile; ovviamente, la simulazione era estremamente realistica, quindi praticamente impossibile da vincere. Pochi ce la facevano. A lui era capitato in passato di vincerne qualcuna, ma solo quelle ambientate dopo il 2453.
“Allora, Cadetto, riconosce lo scontro?” fece Meyer, con un tono soddisfatto che non preannunciava nulla di buono.
Il fallimento di un suo compagno era ancora ben visibile, quando il simulatore iniziò ad azzerarsi: doveva essere solo l’ultima di una sequela di imbarazzanti sconfitte, inferte all’autostima dei giovani appena promossi da un aguzzino sadico che si divertiva ad umiliarli un’ultima volta.
Be non lo sapeva, aveva avuto altro da fare.
Appena le navi tornarono alla posizione di partenza e il pianeta nella cui orbita si era combattuto fu visibile, riconobbe la battaglia. Tutti la conoscevano, chi non avrebbe ricordato il giorno in cui la storia era cambiata per sempre?
“Sì” rispose laconico.
“Bene: ci faccia un po’ di ambientazione, dato che lei in Storia militare aveva il massimo dei voti” fece il Sergente, pensando di infierire.
“29 gennaio 2440, ore 16.57, colonia Esterna di Neu Frankfurt: il luogo del primo contatto,” prese a recitare senza aver bisogno di starci a pensare, “Il 3 gennaio si erano perse le comunicazioni con la colonia e i tentativi di ristabilirle nei giorni successivi fallirono. Il Comandante Krause fu incaricato di recarsi sul luogo e accertarsi della situazione” introdusse.
“Krause aveva a disposizione quattro navi: l’incrociatore leggero Emden e le fregate leggere Hansa, Coronel e Kormoran. Quando arrivarono a destinazione, trovarono che tutte le città della colonia erano state distrutte da un bombardamento effettuato con armi sconosciute, ma di efficacia tremenda. Diciassette minuti dopo essere entrati in orbita, una nave non identificata è uscita dall’iperspazio a quattrocento chilometri dalla loro posizione, sbalordendoli. Nessuna nostra nave aprirebbe una finestra di uscita così vicino ad un pianeta: rischierebbe di rientrare nello spazio normale all’interno di esso, data l’imprecisione dei nostri motori di salto.”
“Molto bene cadetto Wagner, continui” lo incitò l’istruttore, infastidito per non essere riuscito a metterlo in difficoltà.
“Lì per lì si è pensato ad un attacco della Federazione Russa, ma essendo le colonie sovietiche distanti svariate centinaia di anni luce da Neu Frankfurt e “dall’altra parte dei territori controllati dall’umanità” si è compreso immediatamente che non era possibile; perciò si è passati alla comunicazione con la nave, intimandole di indentificarsi e ricevendo come risposta un’assurdità religiosa nella nostra lingua che sino ad ora, in vent’otto anni dal primo contatto, rimane l’unica comunicazione diretta che si sia mai avuta con i Korakiani. Per il resto ci hanno fatto capire la loro profonda ammirazione nei nostri confronti sparandoci addosso e ammazzandoci a milioni” fece con un sorriso a trentadue denti e scatenando risate in tutta l’aula.
“Ehi! Non era una battuta!” sbottò nei confronti dei compagni, risentito… ma non troppo.
“Faccia poco lo spiritoso: avanti, si appresti ad inserire la sue disposizioni nel suo banco, ora sarà collegato al simulatore” l’ammonì seccamente Meyer.
Sospirando, riprese a parlare: “Signore, vincere questa battaglia è impossibile” ammise indicando lo schermo “Quello è un incrociatore Korakiano, 1200 m per 800m di diametro nel punto più largo. Scudi, corazze, torrette a ripetizioni con cannoncini a particelle e l’arma principale, il cannone a particelle, lo rendono oltremodo potente; non si sa ancora di preciso come questi armi funzionino, ma si sa che sono maledettamente efficaci. Nel 2440 le nostre navi non avevano alcuna possibilità di vincere una battaglia: usavamo una lega di titanio tre volte più debole rispetto alla lega titanio-acciaio che si usa dal ’53, i missili Braun IV aveva un quarto della potenza rispetto ai Braun V, i cannoncini  mitragliatori da 50 e 150 mm avevano meno munizioni e una capacità di penetrazione mezza rispetto ad ora e il cannone ad accelerazione magnetica aveva una potenza sei volte inferiore” elencò, marcando particolarmente la voce sull’ultimo dato.
“Molto bene, allora non deve avere ansie da prestazione nel timore di fallire, se sa già che non ce la farà, primo del corso. Proceda!” infierì aspramente, mentre un sorriso si estendeva sulle sue labbra.
Alzando platealmente gli occhi al cielo, suscitando così un’altra espressione cagnesca nel viso di Meyer, fece partire la simulazione.
Le quattro navi si diressero verso l’incrociatore alieno, che mandò in quel momento lo storico messaggio:
“La vostra esistenza è un affronto per le razze pure. Il nostro Dio ha posto sulla nostra strada voi, disgustosi e deformi abomini adoranti del Maligno, per metterci alla prova. Noi non lo deluderemo! È sua volontà che voi moriate affinché il grande Impero Korakiano possa ergersi vittorioso in ogni parte di questa coltre di stelle. E voi, demoni, soccomberete ai Giusti!”
“Ehi! Chi sarebbero i deformi?” sbottò indignata Alenn, una bruna statuaria che aveva tutto il diritto di reagire a quel modo, dato il suo aspetto più che piacevole.
Markus si soffermò un istante a osservarla, mentre la classe scoppiava in un’altra risata.
Alenn ricambiò lo sguardo, lanciandogli un sorriso tutt’altro che innocente: sapeva di piacerle, ma non aveva mai iniziato niente con lei, la frequentava solo perché era un’eccellente addetta alle armi, utile per studiare.
“Cadetto Wagner!” lo riportò alla realtà Meyer.
“Che scocciatura” brontolò, senza alcuna traccia di ironia. E forse fu solo per quello che l’istruttore, diventato cinereo dalla rabbia, mandò giù e si limitò a squadrarlo imbufalito.
Prese il comando della situazione.
Krause non aveva commesso errori, aveva perso la battaglia non perché incapace, ma perché si era trovato di fronte un osso troppo duro da rodere.
Esattamente nello stesso istante in cui anche il Comandante aveva dato l’ordine il 29 gennaio 2440, anche lui fece partire i Braun IV nella simulazione.
Il profilo a forma di razza della nave nemica si voltò nella direzione della sua flottiglia virtuale ad una velocità impressionante, impossibile per i rozzi propulsori di manovra dell’epoca.
I raggi del sole illuminarono il vascello: in effetti era davvero bello; minaccioso e mortale, lo scafo lucido come uno specchio e dal color del rame, aveva riflessi neri dove la luce non lo colpiva, cosa che dava vita ad un effetto splendido.
Dalle ali della nave, le torrette secondarie, aprirono il fuoco. Dozzine di missili furono intercettati ed esplosero lontani dal loro bersaglio; quelli che giunsero a destinazione, cozzarono innocui a ridosso di uno scudo azzurrino.
Esattamente come Krause, dispose che le navi eseguissero delle manovre elusive mentre scaricavano i loro pezzi da 50 e 150 sul vascello alieno, accompagnandoli con un’altra bordata di missili.
Quel uragano di fuoco si dimostrò inutile contro gli scudi Korakiani, che semplicemente si illuminavano senza fluttuare, quando venivano colpiti.
Poi gli alieni passarono al contrattacco.
Ordinò alla Kormoran di compiere una manovra evasiva, poiché bersaglio più probabile. Ma esattamente come nella battaglia reale, le sfere azzurrine delle torrette aliene si abbatterono impietosamente sulla nave, facendola esplodere.
L’incrociatore virò strettamente portandosi in posizione per colpire l’Hansa, ma si trovò di fronte anche il Coronel. Le due fregate scaricarono le proprie batterie lanciamissili e i propri cannoncini contro la nave aliena, mentre l’Emden si posizionava alla sua poppa, dove il vascello Korakiano aveva solo due torrette, e fece fuoco con la sua arma principale.
Fosse stata una nave umana, sarebbe stata annientata dall’attacco combinato; fosse anche stata priva degli scudi, con il resistente strato di corazze di cui disponeva come secondo sistema di protezione, sarebbe rimasta solo lievemente danneggiata.
Con le armi dell’epoca non c’era storia.
Invece l’invisibile barriera che la circondava completamente, si accese di una tonalità un po’ più intensa d’azzurro rispetto a prima, ma la nave rimase inviolata.
Dalle sue ali partì una bordata di sfere azzurrine, il Coronel la evitò con un’abile manovra, l’Hansa scansò solo la prima metà: fu raggiunta e distrutta dalla conseguente, violenta esplosione.
“Cadetto Wagner!” sbraitò Meyer,  interrompendo la partita “Lei mi sta prendendo in giro! Sta eseguendo la simulazione in modo che sia identica alla vera battaglia!” lo accusò, rosso in volto e imperlato dal sudore.
Markus alzò le spalle, giustificandosi: “La strategia di Krause non aveva falle, semplicemente con la tecnologia dell’epoca era impossibile riuscire ad aver ragione di un loro incrociatore con solo quattro navi, tutte di classe leggera per altro.”
“Ed è proprio questo il senso dell’esercizio, cadetto: mettervi in situazioni apparentemente impossibili dalle quali dovete uscire!” esclamò trionfante.
“Voi tutti state per diventare ufficiali a bordo di una nave da guerra, e aspirate certo ad avere una comando tutto vostro un giorno, giusto?” li interrogò, guardandoli uno per uno.
“Come pensate di essere qualificati a diventare comandati di una nave, o di una flottiglia, se non sapete tirarvi fuori da situazioni di svantaggio?” fece, secco.
“State andando ad affrontare un nemico molto potente, determinato e spietato. Non pensate di intenerirli, loro non prendono prigionieri: un solo errore e siete morti, non ci sono seconde possibilità in questa guerra. Insegnarvi un po’ di umiltà e abbassare un po’ la vostra cresta, fa parte del mio lavoro. L’arroganza ha portato solo sconfitte in questo conflitto” concluse.
“Cadetto Wagner, immagino che avrebbe proseguito la sua partita tentando di piazzare un ordigno nucleare Gungnir nelle vicinanze della nave, sperando si spezzarne gli scudi, sbaglio forse?”
“Protocollo di base dell’accademia e percorso d’azione logico: se le armi convenzionali falliscono, passa al nucleare. Il nucleare risolve tutto” replicò, allargando le braccia in un gesto di ovvietà.
“Mmh,” grugnì il Sergente, “ovviamente, certo. Ma gli scudi della nave aliena avrebbero retto e, ritenendo impossibile vincere lo scontro, avrebbe ripiegato cercando di salvare le navi superstiti.”
“Be, il fallimento del Gungnir è opinabile: essendo sparato da solo e senza alcun altro missile ad attirare il fuoco nemico, la contraerea Korakiana lo ha colpito prima che giungesse al bersaglio; quindi i loro scudi hanno dovuto resistere ad un’esplosione i cui effetti sono stati smorzati dalla distanza” replicò, candido.
“Cadetto, se ha individuato un aspetto da cui divergere con la strategia del Comandante Krause, perché diavolo non lo ha fatto?!” ruggì l’istruttore, inviperito.
“Be, lei ha interrotto la simulazione prima che si arrivasse a quel punto”
Meyer digrignò i denti e socchiuse gli occhi, preparandosi a rispondere… proprio in quell’istante il segnale acustico che metteva fine alla lezione, l’ultima della loro vita, suonò.
Tutti gli studenti si alzarono, incamminandosi verso l’uscita e trattenendosi a stento dal precipitarvisi correndo: nell’ultimo giorno, il contegno marziale che con solerzia era stato inculcato negli studenti, generalmente scompariva.
Markus stette al suo posto, aspettando pazientemente che la calca affluisse nei corridoi.
“Sa, Wagner? La preferivo di più quando non fingeva di essere il buffone del gruppo e si limitava a essere il ragazzo gelido e apatico di sempre, è un comportamento che le si addice di più… oltre a far dannare meno noi istruttori” gli confidò il Sergente, quando rimasero soli.
Si alzò in piedi, raccogliendo meticolosamente le sue cose, soprattutto il palmare in cui aveva salvato i dati su cui stava lavorando prima di essere interrotto.
“Be, Sergente, l’anno passato gli psicologi avevano ritenuto il mio comportamento calmo e misurato una semplice maschera per nascondere il mio desiderio di vendetta verso i Korakiani. Sa, un ufficiale che sia accecato dal desiderio di rivalsa ha buone probabilità di condurre i propri uomini verso un’inutile, prematura e infruttuosa morte. Non sia mai che lo Stato mandi a morire degli uomini senza ricavarne qualcosa, sarebbe immorale... e penso anche incostituzionale” fece, riflettendo “Se non avessi cambiato modo di comportarmi negli ultimi sei mesi, non sarei mai stato incluso in questo gruppo. Mentre invece così hanno ritenuto che mi fossi sbloccato e che avessi accantonato il passato… e poi diciamocela tutta: ogni singolo uomo valido è necessario, non è tanto il caso di fare gli schizzinosi” rivelò, gelido.
Dirigendosi verso l’uscita, si soffermò di fronte a lui, “Comunque sia, Sergente, le sue lezioni si sono dimostrate utili, alla fine” gli disse lasciandolo attonito.
Uscì camminando rapidamente, nel tentativo di evitare inutili convenevoli, aveva del lavoro importante da sbrigare.
“Ehi, Markus!” lo chiamò qualcuno da dietro le sue spalle. Inutile, l’avevano visto.
Ignorando il richiamo, si fece largo verso tra i suoi compagni, rimasti a parlare nel corridoio.
“Markus! Dove scappi?!” lo accusò una trafelata Edel, mentre gli si accostava.
“È già la seconda volta che te lo ripeto oggi, e la cosa inizia a infastidirmi: cosa vuoi?” le disse calmo, mentre continuava a camminare.
“Sempre gentile tu, eh?” lo redarguì, con un mezzo sorriso.
Sospirando, si bloccò in mezzo al corridoio, volgendosi verso di lei e squadrandola da capo a piedi: alta, bionda, occhi azzurri. La perfetta ariana.
Certo, le manipolazioni genetiche intraprese dal Reich nel 21° secolo avevano aumentato di molto la percentuale di popolazione che possedeva quei tratti, un tempo così rari.
A quegli idioti che stavano al comando non era bastato sterminare milioni di persone in nome di un ideale assurdo, lo avevano voluto perseguire in ogni modo, rischiando di causare un errore irreparabile nel DNA della razza umana.
Nonostante tutto era una ragazza attraente.
“D’accordo, di cosa hai bisogno, Edel?” riprovò, addolcendo il suo tono.
“Io, Julia e Alenn volevamo ringraziarti per tutte le volte che ci hai dato una mano con le lezioni quest’anno…”
“Se fosse così, mezza classe dovrebbe ringraziarmi. Non lo fatto certo per altruismo: più soldati escono dall’accademia, più Korakiani muoiono. E poi ve la siete cavata egregiamente anche da sole, non mi dovete nulla” la interruppe, riprendendo la via verso il suo alloggio.
“Oh, ma dai! Dopodomani ci imbarcheremo su navi diverse e verremo spediti in zone differenti del fronte. Probabilmente non ci rivedremo per dieci anni o giù di lì” continuò, rincorrendolo.
“Sempre se i Korakiani non ci ammazzano prima” congetturò, mentre rivolgeva la sua attenzione ai calcoli.
“Menagramo,” lo apostrofò, mentre evitava gli altri cadetti tentando di inseguirlo “Comunque, nella mia stanza ho una bottiglia di vera Vodka russa! Sono riuscita a corrompere il cuoco della nostra ala e prenderla di contrabbando, pensavo di dividercela!” propose con un entusiasmo accattivante.
“Io? Con voi tre? Da solo nella vostra stanza?” le disse fermandosi di colpo  in mezzo al camminamento panoramico, un tubo trasparente che collegava due edifici della base Braun. Il  grigio chiaro del suolo lunare sotto, lo spazio nero e le stelle brillanti sopra. Uno spettacolo piacevole all’occhio.
“Perché cosa c’è di strano?” fece lei, con un’innocenza così falsa da essere quasi divertente.
“Assolutamente nulla” assicurò in tono beffardo.
“Comunque con tutti i nostri amati compagni che pagherebbero per avere un’opportunità simile con una sola di voi tre, venite a importunare me?” aggiunse.
“Appunto: non dovresti fare lo schizzinoso, allora vieni sì o no?” si annunciò Alenn, avvicinatasi senza che nessuno dei due se ne accorgesse.
Osservandole, fu tentato per un istante, un lungo istante, di accettare. Erano così belle, così estroverse, ed era così piacevole passare il tempo con loro: sprizzavano vita da tutti i pori. Socchiuse le labbra, per proferire così faticosamente quel sì così insistentemente  reclamato, quando,  sollevando lo sguardo, scorse una nave transitare alcuni chilometri sopra di loro. Classe Thor, incrociatore pesante, commissionati e progettati dopo la disfatta di Neu Bavaria del 2461, affinché un simile disastro non si ripetesse. Doveva essere appena uscito dai cantieri in orbita geostazionaria attorno alla luna.
Loro emanavano vita. Lui si era votato alla morte molto tempo prima.  
“No, ragazze. Grazie, davvero, ma ho da fare” decretò, voltandosi e procedendo verso il settore alloggi.
Non lo seguirono.
Aveva rischiato di dimenticare il motivo per cui era lì, il motivo per cui aveva passato la sua intera adolescenza a studiare e a esercitarsi. Non aveva sacrificato tutto se stesso per il nulla, la meta era così vicina! Presto avrebbe avuto la sua occasione, la possibilità di fare la sua parte in quella guerra. E, perché no? Iniziare a farsi ripagare il debito di sangue che aveva con quei disgustosi insetti, vomitati fuori da chissà quali pianeti della galassia.
Si avvicinò ad uno degli oblò, guardando in alto: vide le stazioni spaziali della griglia difensiva orbitale; i grandi cantieri fluttuanti nel vuoto impegnati a produrre navi, caccia, navette e ogni genere di velivolo che servisse al fronte. Tumori ferrigni e metallici che assorbivano quantità enormi di risorse dai molti luoghi occupati dall’uomo; un volume di risorse reso disponibile dal lavoro febbrile e interminabile di milioni di persone in dozzine di mondi. Mentre lì sotto si produceva la carne fresca, capi di prima qualità da mandare al macello, affinché le parole di Erodoto, in tempo di conflitto i padri seppelliscono i figli, si avverassero.
Un detto che, forse, avrebbe preferito fosse stato valido anche per lui.
Luna, solo una, e nemmeno la più grande, delle tanti basi su cui si fondava l’alimentazione del grande inferno.
Un inferno chiamato guerra.
  
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