Fanfic su attori > Coppia Hemsworth/Hiddleston
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Autore: Angeline Farewell    13/07/2014    7 recensioni
La vita non si misura in "se" e "ma".
Eppure, basta davvero poco perchè le cose cambino e ci portino ad un futuro completamente diverso.
[...]C’era un ragazzo nudo in casa. Con sua madre.
O meglio, quella schiena nuda fu la prima cosa Tom registrò, ma era l’unica nudità vera, perché per il resto, il ragazzo aveva su almeno i pantaloni. E le scarpe. Non sapeva perché fosse importante avesse su le scarpe, ma Tom si sentì curiosamente sollevato.
“Tesoro, sei arrivato finalmente!”
La madre di Tom non sembrava per nulla turbata suo figlio l’avesse appena beccata con uomo nudo in salotto e lo abbracciò con calore dandogli il bentornato.
Tom non riusciva a fare altro che guardare il tizio che continuava ad essere nudo dalla cintola in su e continuava a rimanere nel salotto di sua madre senza apparente ragione.[...]
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Chris Hemsworth, Nuovo personaggio, Tom Hiddleston
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo otto.




Il tè preparato dagli inglesi è davvero più buono, non è una leggenda metropolitana.

Chris sorseggiava l’acqua colorata che tentavano di far passare per tè a Los Angeles e si disse che sarebbe stato meglio passare direttamente al caffè e basta: caffeina, caffeina, caffeina.

Era in California da un paio di mesi e vi aveva ritrovato l’oceano e l’odore di salsedine portata dal vento, soprattutto migliori opportunità di lavoro, ma era di nuovo sostanzialmente solo, distante un oceano dalla sua famiglia.

Lontano metà del globo dal tè buonissimo di Diana. Dalla pausa pomeridiana con Tom che non rinunciava mai al suo black tea e nemmeno a chiacchierare tra un sorso e l’altro.

Era gennaio inoltrato ed aveva dovuto lasciare di nuovo l’Australia dopo aver passato il Natale con la sua famiglia. Era pieno inverno e la Città degli Angeli era calda come fosse tarda primavera, quasi come a Melbourne. Le notti erano fresche e gli riportavano alla mente la fine estate londinese, un brutto e scomodo divano e due birre fredde, troppe chiacchiere e silenzi improvvisi, ovattati e inaspettatamente confortevoli.

Il suo manager lo ospitava in casa sua, occupava la sua dependance e gli faceva da baby sitter tra un provino e l’altro, in attesa della chiamata per il Ruolo, quello che gl’interessava davvero e che sperava allo stesso tempo di non avere, perché avrebbe voluto dire toglierlo a Tom e non voleva mettersi in competizione con lui, era elettrizzato da quella competizione, non sapeva nemmeno lui bene cosa volesse.

Tom, che non sentiva dal giorno di Capodanno, quando si erano scambiati gli auguri due volte sotto cieli diversi che esplodevano di colori. Non avevano parlato di lavoro, non di quel lavoro almeno, nessuno dei due sembrava voler ammettere fosse il ruolo cui ambivano di più entrambi: poteva diventare la loro occasione, magari l’unica.

Chris aveva fatto uno screen test appena il giorno prima per un altro horror, in cui avrebbe interpretato per l’ennesima volta il bello in canottiera, eppure era contento come non lo era da tempo di aver ottenuto la parte, perché sarebbe stato un gran film, se lo sentiva. Lo sceneggiatore, Whedon (1), era un tipo strano che sarebbe piaciuto a Tom, ma non poteva dire non piacesse anche a lui: poteva citare Puskin (sic!) e scrivere fumetti per la Marvel allo stesso tempo. Gli aveva persino assicurato le cose non si escludessero, anzi. Chris non aveva avuto il coraggio di ammettere che il suo personaggio preferito era Batman e Iron Man l’avesse scoperto al cinema, era sicuro si sarebbe offeso a morte.

Era oziosamente impegnato a rileggere il suo copione svaccato in veranda quando il cellulare aveva dato segni di vita. Era sera tardi ed era impossibile fossero i suoi genitori, era sicuro non potesse essere Mindy, la ragazza conosciuta qualche giorno prima in spiaggia: si erano visti quello stesso pomeriggio per un aperitivo che non aveva lasciato una buona impressione a nessuno dei due, era evidente da come si erano salutati.

“Indovina chi ha già trovato casa a L.A.?”

La linea era disturbata dalle migliaia di miglia di distanza, eppure Chris avrebbe riconosciuto ovunque la voce di Tom.

“Mi hanno convocato per un provino e, dato che sarò lì, ne approfitterò per girare un po’ la città, magari procurarmene altri.”

Un provino. Non aveva specificato, ma Chris aveva capito immediatamente a quale provino si riferisse.

Non avevano parlato molto, poi, la linea era disturbata e la prepagata andava prosciugandosi per la distanza, ma Tom aveva fatto in tempo a dargli il suo nuovo indirizzo, persino a contagiarlo con il suo entusiasmo, facendogli dimenticare per un momento che lui quella convocazione non l’aveva ancora ricevuta. E chissà se sarebbe successo.

L’avrebbe ricevuta, o meglio, il suo manager gli avrebbe detto che era stato chiamato dai Marvel Studios, solo due giorni dopo, poco prima che arrivasse Tom.

Erano di nuovo su un terreno equo.

Ed era ridicolo scivolare su quella china, lo sapeva benissimo, perché lui e Tom erano amici ed erano professionisti, aveva altri amici attori come lui, molti amici attori, i suoi due fratelli erano attori, e non si era mai preoccupato della competizione, bastava mettercela tutta e che vincesse il migliore.

La verità era non avrebbe dovuto seguirlo in teatro, perché al Donmar si era chiesto davvero come fosse possibile facessero entrambi lo stesso lavoro, come fosse possibile gli attori che tenevano testa ad uno come Branagh sul palco fossero considerati semplicemente “caratteristi”, nomi sconosciuti ai più, noti solo ad appassionati ed addetti ai lavori. Per il grande pubblico non esistevano, non guadagnavano nemmeno abbastanza da potersi comprare casa.

Ed aveva cominciato a farsi brutte domande cui aveva ostinatamente rifiutato di rispondersi, perché non aveva mai cercato scuse in vita sua né si era fatto sconti, non si sarebbe fatto demoralizzare dal talento degli altri, avrebbe lavorato di più per limare il suo. Sapeva di potercela fare e non si sarebbe arreso, non come Luke che aveva usato la famiglia come scudo contro le delusioni di una carriera per pochi. Aveva sempre voluto essere tra quei pochi.

Tom si era sistemato in un brutto appartamentino a Burbank, a qualche isolato dagli Studios. Dalla scelta era evidente non avesse davvero intenzione di fare il turista e, onestamente, non poteva dargli torto: la Los Angeles ordinaria, quella della gente comune che non aveva uffici grandi come Penthouse e auto da lavoro da centomila dollari, era bruttina, quasi triste, una metropoli con strade troppo larghe e troppo brutto cemento. La costa era un’altra cosa, la costa era il paradiso, ma sulla spiaggia non poteva viverci chiunque, non come nei telefilm.

La facilità con la quale erano scivolati nella routine che avevano stabilito a Londra era quasi allarmante, tanto da far sogghignare il suo manager, che non credeva alla storia dell’amico inglese in trasferta.

“Se ti sei trovato una ragazza tanto meglio, basta che non ti fai incastrare proprio ora, ricorda che vivo ancora dalla parte sbagliata della South Bay, e sono sempre convinto che alla spiaggia mi ci porterai tu.”

Chris negava e rideva sempre di quella battuta, un po’ per scaramanzia, un po’ per il disagio che gli procurava l’allusione alla sua vita sentimentale. E a Tom.

Il suo provino ai Marvel Studios non era andato bene. Branagh non era stato presente, ma l’aveva visto chiaramente nell’espressione delusa degli sceneggiatori, negli sguardi dei loro collaboratori che, dal gradimento iniziale per quel che vedevano, erano passati alla perplessità per la sua interpretazione.

Non poteva dire di poter dar loro torto, si era fatto schifo per primo, troppo agitato per riuscire davvero a gestire la tensione: aveva finito per fare la figura dell’idiota mimando quel poco che ricordava dell’interpretazione dello stesso Branagh di un Amleto vittoriano (2). E, se si era accorto del tentativo, lo sceneggiatore non aveva apprezzato per niente, liquidandolo velocemente per far posto al prossimo candidato. Che poi era suo fratello minore, ma anche quella era una cosa successa spesso, si ritrovavano agli stessi provini e si punzecchiavano di conseguenza, senza problemi. (3)

Il provino di Tom, al contrario, sembrava essere andato bene. Sembrava, perché non gli avevano dato una risposta chiara né fatto rassicurazioni, solo scontati complimenti per la sua bravura. E gli avevano chiesto di tornare per un nuovo provino dopo aver messo su più peso e muscoli possibile: avrebbe dovuto interpretare Thor, in fondo.

Era stato quasi costretto a portarlo fuori a festeggiare, ed alla fine avevano comunque bevuto pochissimo entrambi, non solo – nel caso di Chris – per la delusione per l’esito del provino. Non si fidava più a bere troppo, soprattutto dato che non aveva programmato di tornare a casa.

Era rimasto a dormire sullo scalcagnato divano dell’appartamento di Tom più volte, quasi a voler recuperare il tempo perduto, i giorni in cui non si erano parlati al telefono e i giorni che comunque non potevano passare insieme lì a Los Angeles, perché Tom non mentiva quando gli aveva detto di volerci provare davvero, di voler provare ovunque, quelle settimane a L. A. le avrebbe sfruttate fino in fondo.

E così aveva fatto.

Almeno fino ad una settimana prima di ripartire per Londra, quando tutto sembrava essere cambiato ancora una volta per non cambiare per niente. Ed era una cosa che mandava Chris ai matti, quel modo che aveva Tom di dare l’impressione gli scivolasse tutto addosso, come fosse una superficie impermeabile a tutto. E Chris sapeva non fosse così.

A chi poteva dare la colpa per quell’ennesimo episodio? Per quanto ci avesse pensato e ripensato, non c’era nessuno, nulla, da poter biasimare.

Quella mattina Chris si era svegliato particolarmente scontroso, il divano era scomodo ed aveva dormito malissimo. E Tom continuava semplicemente il suo via vai tra provini e screen test e non gli parlava, aveva smesso persino di scribacchiare sul suo taccuino nero, sembrava non avesse più nulla da dire nemmeno alla carta. Eppure si mostrava sempre allegro, sempre di ottimo umore, sempre attivo e pronto a fare cose e vedere gente.

Anche quella mattina sembrava essersi alzato con il piede giusto, aveva riso della faccia contrariata e sprimacciata di Chris e gli aveva versato un succo di frutta prima di mettersi a preparare il caffè.

Avevano fatto colazione insieme come capitava sempre quando Chris passava la notte da lui e avevano chiacchierato del più e del meno, evitando accuratamente di parlare di lavoro e dell’imminente partenza.

“Accidenti, è tardissimo, ora devo proprio andare. Non dimenticare di chiudere a chiave la porta se vai via.”

Era corso a lavarsi i denti, poi aveva preso la giacca, si era piegato a baciarlo frettolosamente ed aveva infilato subito la porta.

E di primo acchito Chris non aveva pensato ci fosse nulla di anomalo in quel che era successo, aveva mugugnato un ciao assonnato e si era versato dell’altro caffè.

Poi però aveva sentito il sapore di menta sulle labbra e aveva quasi fatto cadere la tazza.

Tom lo aveva baciato. Tom lo aveva baciato e lui si era limitato a rendergli le cose più semplici sollevando la testa. Si erano baciati.

Il mondo non aveva smesso di girare fuori dalla finestra, ma lo stesso non si poteva dire per l’interno di quella piccola cucina nella periferia di Los Angeles, dove un ragazzo australiano riguardava al suo quarto di secolo sotto una luce nuova.

Perché lui e Tom si erano baciati e ancora non sentiva montare il disgusto e la vergogna, solo il disagio e la paura per il dopo. Che cosa avrebbe fatto? Che cosa avrebbero fatto? Tom era davvero consapevole di quel che era successo? Chris l’avrebbe scoperto presto, su quello non c’erano dubbi.

Ponderò se la scelta migliore non fosse andar via dall’appartamento, tornare alla dependance e fingere non fosse successo nulla, fingere di non aver mai conosciuto Tom in primo luogo. Si diede del cretino mille volte per non aver tagliato i ponti subito, di aver cercato innanzitutto un approccio con lui quando l’apparenza urlava che non potevano esserci basi per alcuna amicizia.

Si era guardato intorno furioso e aveva avuto voglia di distruggere quel maledetto divano sgangherato che non l’aveva lasciato dormire ed aveva rallentato i suoi riflessi ed il suo giudizio, avrebbe voluto distruggerlo in vece dell’altro maledetto divano che invece l’aveva lasciato dormire comodamente un’intera notte abbracciato a qualcun altro.
E gli erano tornate alla mente le foto scattate da Freddie e il viso sorridente e rilassato di Tom in ognuno di quegli scatti, le loro braccia che si toccavano per la vicinanza eccessiva, gli abbracci non necessari, gli sguardi in sottecchi.

Che cosa poteva fare? La verità era non volesse andar via. Aveva paura, ma non voleva andar via, e voleva continuare ad avere Tom nella sua vita, perché lo ancorava a qualcosa che non sapeva o voleva chiamare, eppure si sentiva totalmente perso, l’orizzonte davanti a lui non aveva più nulla di familiare, nessun punto di riferimento sulla direzione da prendere.

Aveva aspettato.

Tutto il pomeriggio e fino a sera, aveva pranzato da solo in casa ed era uscito solo per comprare il necessario per la cena. Tom avrebbe dovuto essere tornato da ore e la sua assenza urlava il disagio che sentiva montare dentro anche Chris, sempre più forte.

“Pensavo fossi andato via.”

Chris non l’aveva sentito rientrare, troppo concentrato sui suoi pensieri. Tom era ancora all’ingresso, aveva richiuso lentamente la porta alle sue spalle e posato la giacca, ma non lo guardava. Ogni gesto era lento come se volesse prolungarlo il più possibile, per avere la scusa di non volgere lo sguardo nella sua direzione, di non doverlo raggiungere in cucina.

“Ho preferito rimanere.”

Erano rimasti in silenzio per un tempo tanto lungo da sembrare infinito, muti e immobili. Tom continuava a guardare ovunque tranne Chris, che non smetteva invece di cercare il suo sguardo. Aveva avuto molto tempo per pensare a quel momento e non aveva intenzione di scappare né di lasciar perdere. Non di nuovo.

“Tom-”

“Mi dispiace.”

Tom lo aveva interrotto e finalmente guardato dritto negli occhi, apparentemente sicuro di quel che stava per dire.

“Mi dispiace. So che non sono scusabile, ma ti assicuro che è stato un incidente, uno stupido incidente dovuto all’agitazione ed alla fretta e non si ripeterà mai più.”

E Chris avrebbe dovuto essere contento, perché gli stava offrendo la scappatoia ideale per evitare il problema, gli stava fornendo su un piatto d’argento l’opportunità di giocare all’amico magnanimo che perdona l’offesa senza colpo ferire. Solo che non era proprio così, perché Chris continuava a guardare davanti a sé e non trovare nulla di familiare, una strada tutta nuova che non voleva percorrere da solo senza il minimo appiglio. Aveva paura.

“Non importa, non fa nulla, lo so. Se sono rimasto è per evitare malintesi. Non è successo niente di grave. Ho preparato la cena.”

Nessuno dei due aveva davvero fame ed era evidente, ma Tom gli aveva rivolto un sorriso tanto sollevato e grato che Chris aveva avuto voglia di buttar via ogni imbarazzo ed abbracciarlo fortissimo. Sapeva di non poterlo più fare, e quello era l’unico motivo che gli faceva rimpiangere quello che era successo.

Tom aveva chiacchierato più che mangiato. Aveva riempito ogni secondo di silenzio con aneddoti e ricordi, con risate brevi e stonate, era andato avanti per oltre un’ora a simulare un’allegria troppo falsa perché Chris non lo cogliesse a recitare una parte.

“Non mi hai ancora detto come sono andati i provini.”

Sapeva che non avrebbe dovuto chiedere, non si domanda ad un altro attore dei suoi provini, ma se Tom era suo amico da tale l’avrebbe trattato, senza mezze misure: tutto pur di strappargli la maschera dal viso e ritrovare un’espressione autentica.

Tom non gli aveva risposto subito. Aveva accettato con un cenno la birra ghiacciata che gli stava porgendo e ne aveva preso qualche sorso pensieroso prima di sorridere con noncuranza.

“Sono andati, direi.”

“Sì, ma sono andati bene o male? Lo so che non ti piace festeggiare in anticipo, ma un paio di bicchieri non sono un party.”

“Sono andati. Non molto bene.”

“…”

“Mi hanno giudicato abbastanza bravo, ma non sono altrettanto commerciabile, sembra.”

“Commerciabile…?”

“Vuol dire che non sono abbastanza bello da giustificare la spesa, ecco tutto.”

Aveva fatto spallucce e gli aveva rivolto di nuovo quel sorriso falsissimo, ma non l’aveva guardato negli occhi. Si era alzato e aveva raggiunto la finestra, fermandosi a guardare la città all’esterno, tutta luci al neon e nemmeno una stella piccola piccola.

“Non ha importanza, non ci avevo sperato poi tanto.”

“Tom…”

“No, sul serio, va tutto bene. Che se ne vadano tutti al diavolo.”

“…”

“Che si fotta Los Angeles, si fottano le sue luci, e le sue donne costose, e le strade di lusso, me ne torno a casa, me ne torno in Inghilterra, torno - ”(4)

“Sei andato a puttane per così poco!?”

Chris si era alzato a sua volta, incredulo. Non sapeva più chi o cosa stesse guardando, a quel punto, perché tutto si sarebbe aspettato tranne una confessione del genere da parte di uno come Tom. Era per quello che aveva fatto tanto tardi…?

“Cosa? Ma che dici!”

“L’hai detto tu!”

“Io non- no! Non intendevo dire – certo che no! Era una citazione!”

“Eh?”

“Sto rileggendo Ask the dust in metropolitana, stavo solo citando e - ”

Non aveva terminato la spiegazione, era scoppiato in una risata metallica e orribile, quasi isterica.

“Stavo solo citando. Aveva ragione mio padre, non riesco nemmeno più a deprimermi o arrabbiarmi senza rubare le parole a qualcun altro.”

Chris sapeva che l’intimità – la fisicità – del loro rapporto non era così scontata e naturale come l’aveva voluta pensare. Tom non era il suo unico amico, nel corso di quasi ventisei anni ne aveva avuti molti, aveva persino condiviso casa e lavoro con qualcuno di loro, ma con nessuno erano mai capitati incidenti come quelli che sembravano inseguire lui e Tom. Se potevano ancora chiamarsi tali, poi.

Non sapeva se l’avesse abbracciato quando il suono spezzato di quella risata così falsa era mutato in un autentico singhiozzo, o se era stato il contrario, se non avesse avuto bisogno di aspettare.

Erano rimasti stretti l’uno all’altro per un tempo indefinibile, cadenzato solo dal respiro pesante di Tom che tentava di fare meno rumore possibile soffocando i singhiozzi tra il collo e la spalla di Chris.

Erano fradici di lacrime e sudore, ma nessuno dei due sembrava intenzionato a sciogliere l’abbraccio, che a tratti sembrava una morsa tanto era stretto. Non aveva importanza. Chris gli accarezzava piano i riccioli alla base del collo, non diceva nulla, perché non conosceva parole adatte a consolarlo, aveva solo le sue braccia, il suo affetto, sperava bastassero.

E Chris aveva inspiegabilmente tentato di opporre qualche resistenza quando aveva sentito Tom cominciare a ritrarsi, ad allontanarsi. L’aveva guardato asciugarsi velocemente le guance con il palmo delle mani, rivolgergli un mezzo sorriso imbarazzato senza osare guardarlo.

“Scu - ”

“Non dirlo.”

“Sono ridicolo.”

“Che importanza ha.”

E Tom l’aveva guardato di nuovo con quella sua espressione indecifrabile, una pagina bianca su cui non aveva ancora deciso cosa scrivere. La stessa espressione che aveva la sera in cui si erano incontrati, la sera in cui avevano deciso di uscire la prima volta insieme, il giorno in cui avevano guardato le foto di Freddie.

Poi qualcosa d’infinitesimale si era come spezzato, l’orlo della pagina aveva tremato, aveva sospirato rassegnato ed abbassato lo sguardo.

“Tanto ormai cos’ho da perdere?”

E si era avvicinato di nuovo, gli aveva preso il viso tra le mani ancora umide di lacrime e l’aveva baciato. Di nuovo. E di nuovo Chris non si era ritratto.

L’aveva fatto Tom, quasi immediatamente. Non aveva abbassato lo sguardo senza espressione, non aveva fatto niente, era rimasto in silenzio, immobile e in attesa di qualunque reazione, senza lasciar trapelare nulla di quel che provava lui per primo.

Chris avrebbe voluto colpirlo per quell’unico motivo, perché si lasciava leggere per un istante, poi lo lasciava privo di punti di riferimento in un paese sconosciuto, tra le mani una mappa illeggibile.

“Scusa.”

“Devi sempre per forza dirlo, vero?”

“Tu non dici nulla.”

“Perché tu parli sempre troppo.”

Chris l’aveva baciato di nuovo e non si era limitato a sfiorargli le labbra, sarebbe stato ridicolo al punto in cui erano arrivati. E Tom non baciava come una ragazza, non somigliava ad una ragazza, non era fragile, non era dolce, non era morbido. Era spigoloso e duro, soprattutto con se stesso. Era l’oceano che bacia le coste nei giorni buoni e poi le divora quando il cielo è in tempesta. Chris non aveva nessuna scusa per quel che stava facendo, né voleva più cercarne: il corpo e la bocca di Tom non lasciavano ombra di dubbi, non avevano nulla di languido o androgino, e andava bene lo stesso.

“Non ci dormo più su quel divano.”

“…”

“D’accordo?”

“D’accordo.”






Note:

(1) Joss Whedon è uno degli sceneggiatori di “The cabin in the woods”, meta-horror in cui Chris interpreta il bello della compagnia, Curt. Whedon è laureato in letteratura russa ed è stato anche uno degli sceneggiatori delle serie Marvel Astonishing X-Men (2008) e Runaways.

(2) Hamlet (1996), trasposizione cinematografica in epoca vittoriana del dramma shakespeariano, diretto ed interpretato da Kenneth Branagh.

(3) Anche Liam Hemsworth era in lizza per il ruolo di Thor e, inizialmente, sembrava avere maggiori possibilità di ottenere la parte rispetto al fratello maggiore, silurato dopo il primo provino e ripescato successivamente da Branagh.

(4) Citazione da “Chiedi alla polvere” (Ask the dusk) di John Fante. La traduzione del passo è mia e – ovviamente – aggiustata alle circostanze. ^^’

   
 
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