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Autore: Selhen    13/07/2014    1 recensioni
Anni di guerra, territorio conteso e fazioni eternamente in lotta nella terra del dio Aion. Com’è possibile per Selhen nutrire odio verso qualcuno che l’ha risparmiata? Com’è possibile odiare senza conoscere veramente il volto della guerra?
Com’è possibile parlare con un nemico e trovarlo così normale e uguale a se stessi?
Una nuova avventura di Selhen solo per voi. Recensite numerosi. Le vostre recensioni mi danno la carica per scrivere sempre di meglio. Un abbraccio, la vostra autrice.
N.b. avviso gli eventuali lettori che ho postato questa storia più corretta e revisionata su wattpad. Se la preferite con meno imperfezioni sapete dove andare, sono selhene. :)
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Quella mattina il sole nascente spandeva i suoi deboli raggi su Elian. Benchè fosse ancora l’alba si prospettava già una torrida giornata di sole e l’arsura dei mesi estivi a Elysea non risparmiava neanche la notte.
Era questo a cui Velkam aveva pensato appena sveglio, con la fronte imperlata di sudore e i capelli arruffati da un’orribile notte insonne e tormentata dai sogni.
Il giovane cacciatore si stiracchiò pigro, prolungando ancora per qualche minuto quel momento di indolenza poi fece forza sui suoi addominali per mettersi a sedere sull’enorme e lussuoso letto di camera sua.
Il suo sguardo smarrito percorse le pareti un po’ scarne della casa. A parte trofei di lotte e qualche mobile di alta qualità, in quella casa non c’erano tracce di decorazioni o tappeti e tappezzeria d’arredo.
Era chiaro che, da quando era venuta a mancare sua madre, quella enorme e ricca casa era divenuta per lui solo un luogo di passaggio e un posto dove depositare, come a un’esposizione, le valanghe di trofei al merito che con la sua forza e le sue grandi azioni lodevoli, gli venivano continuamente assegnati.
Velkam si guardò accanto, vagamente perplesso. Una piccola sagoma dormiva rannicchiata a lui e teneva le mani intrecciate al suo addome, come se nel sonno non avesse voluto lasciarlo scappare. Un tenero sorriso gli ravvivò l’espressione mentre con una mano, delicato, accarezzava alla ragazza un ciuffo della sua grande frangetta bionda.
L’espressione della giovane donna si contrasse per poi rilassarsi a quella carezza. Infine Echo si voltò dall’altra parte rannicchiandosi su se stessa lasciandolo libero di sollevarsi.
Il cacciatore fece mente locale, sforzando di ricordarsi quello che era accaduto la sera precedente.
Mentre si sciacquava frettoloso il viso in una bacinella di acqua fresca ripensò al party, al vino, all’euforia della serata, e poi più nulla.
Non poteva definirsi un tipo irresponsabile, ma per quella sera aveva deciso di affogare tutti i suoi pensieri spregevoli nell’alcool. Solo quando beveva, o quando combatteva freddo e razionale, riusciva a dimenticare per un po’ tutti i lati più miserabili della sua esistenza d’elisiano d’alto rango.
Ricorda figliolo, più grande sarà il tuo potere e più il popolo si aspetterà da te”, gli aveva detto un tempo suo padre dopo una battaglia in cui era rimasto ferito.
Velkam era un buon rampollo. Discendeva da sangue nobile ma questo status non gli era mai andato a genio. Era sempre stato un elisiano un po’ ribelle, testardo, eppure cosciente nelle sue responsabilità.
Da bambino, un po’ come tutti i figli degli elisiani più nobili, era stato cresciuto con la dottrina che il popolo asmodiano fosse una razza da annientare, e aveva dedicato tutta la sua giovinezza e la sua esistenza a combattere in nome della sua razza.
Un gemito sommesso aveva annunciato che Echo si era nuovamente agitata nel letto. Chissà che stava sognando.
Velkam la osservò da lontano, stupendosi di quanto potesse somigliare a un fiore delicato. La sua carnagione, liscia e rosea, lasciava spazio a due gote un po’ più arrossate. I suoi capelli lisci e biondi erano come il grano in estate e le piccole labbra rosee e contratte. Le lunghe ciglia dorate coprivano due iridi azzurro cielo che quando i raggi del sole le toccavano sembravano essere uno specchio d’acqua cristallino.
La sua sfera e il suo libro di incantesimi giacevano sul pavimento dove li aveva abbandonati la sera prima, e il vestito rosso era un po’ sgualcito dalla notte passata riposandoci dentro.
Probabilmente la ragazza si era presa cura di lui quando il cacciatore, giunto all’ennesimo cocktail, aveva perso la cognizione del tempo e della ragione.
Decise di cambiarsi i vestiti. I suoi puzzavano di sudore e alcool, e come per Echo, anche a lui erano rimasti addosso tutta la notte. Infilò così la tenuta da combattimento e prese lo scintillante e prezioso arco che il padre gli aveva lasciato. Avrebbe fatto un giro di perlustrazione alla ricerca di qualche spia asmodiana nelle zone di Elysea.
Quando uscì fuori di casa la luce del sole lo investì, ma la brezza mattutina non rendeva ancora l’aria estiva così pesante. Elian non si era ancora risvegliata, e Velkam sapeva che quello sarebbe stato il momento migliore per beccare qualche asmodiano in territorio elisiano con le mani nel sacco.
Raggiunse Sanctum dove incontrò i Daeva più mattinieri iniziare a esporre le proprie mercanzie e da lì, con un cenno a Polido, il responsabile del teletrasporto, aveva chiesto di essere spedito ad Eltnen.
Erano soprattutto le zone verdeggianti e piene d’acqua, quelle in cui gradiva svolgere le sue spedizioni, e la zona nei paraggi della fortezza di Eltnen era verde e rigogliosa.
Si chiese se anche il suo migliore amico Gaar si fosse ripreso dalla sbornia della sera precedente, visto che quando si trattava di far bravate, erano sempre in due.
Scosse la testa come per mandare via dalla propria testa il pensiero scomodo e si riconcentrò sul tragitto da seguire. Quando la fortezza di Eltnen gli si parò davanti, sopraelevata quasi a toccare con le sue immense guglie il cielo, si sporse oltre il parapetto guardando giù.
Ogni elisiano che per pigrizia non voleva attendere il teletrasporto che lo avrebbe accompagnato di sotto, avrebbe dovuto lanciarsi in volo e lasciarsi andare in picchiata fino a sfiorare con la punta del naso l’azzurro lago che circondava i piedi della fortezza.
Il suono di due immense e maestose ali bianche che si schiudevano precedette il momento in cui Velkam, con massima libertà, si lanciò nel vuoto. L’aria fresca gli sferzò la faccia mentre cadeva giù, in picchiata, poi con un colpo d’ali, come era solito fare, era rimasto sospeso sul pelo dell’acqua e lì le aveva richiuse, sicuro che non si sarebbe bagnato per via dei pesanti stivali in pelle che gli proteggevano i piedi.
Direttosi verso riva tese le orecchie, per captare qualsiasi suono che non fosse il canto degli uccelli o il frinire delle cicale, la zona era ancora poco trafficata, a quell’ora del mattino, quindi ne avrebbe approfittato anche per stare un po’ solo con se stesso.
Lo scalpiccio dei suoi stessi passi sul selciato lo accompagnarono finchè non si ritrovò nei pressi del laghetto su cui aveva fatto, quasi un mese prima, quell’incontro singolare con la Daeva asmodiana che più d’una volta si era imbattuta nel suo cammino.
Si sedette nuovamente presso riva e guardò in direzione del cespuglio in cui quel giorno si era nascosta, quasi si aspettasse di rivederla là, nascosta tra le fronde.
Aveva sempre pensato agli asmodiani come a esseri ignobili e senza sentimenti. Aveva immaginato che fossero solo programmati per uccidere, e che, oltretutto, fossero tutti uguali: dei brutti ceffi pallidi come cadaveri e ferini come bestie indomate. Ma se avesse dovuto paragonare Selhen a qualcosa di ferino, non sarebbe riuscito a pensare a qualcosa di spregevole per descriverla. L’aspetto austero e a tratti combattivo di Selhen, era facilmente accostabile a quello di un fiero Karnif dalla coda spinata. Le sue mani adornate da ditali argentei che ne rivestivano gli artigli non erano nulla di impressionante, Velkam si ritrovò a pensare che quella parte selvaggia che caratterizzava ogni esemplare di razza asmodiana, avesse piuttosto una sua innata eleganza.
Abbozzò un sorriso a quel pensiero e i sanguigni occhi di Selhen gli ricomparvero nei ricordi. Era un’asmodiana alle prime armi, e lo aveva detto il suo sguardo smarrito quando il cacciatore l’aveva scoperta.
 In un’altra occasione Velkam non si sarebbe neanche alzato dalla riva del lago, ma avrebbe afferrato fulmineo il suo arco e avrebbe lanciato la freccia alla cieca consapevole di un possibile bersaglio nascosto tra le foglie. Eppure stranamente quel giorno era stato curioso. Sapeva che c’era stata un’incursione asmodiana ad Eltnen e che l’ordine supremo era stato quello di ripulire ed eliminare tutti  i superstiti fuggitivi.
Lui ne aveva avuta una davanti e l’aveva lasciata libera di tornare a casa. Forse era stato il suo aspetto piacevole e inoffensivo allo stesso tempo, o forse quel giorno era in vena di dispensare grazie, ma di certo non le aveva torto un capello.
La massa di lunghi lisci capelli argentei si aggiunse a rendere più nitida la figura di Selhen nei suoi pensieri. Il corpo slanciato e proporzionato, la pelle argentea, pallida. Selhen era un’asmodiana affascinante, che tentava a tratti di mostrarsi sicura quando sicura non era.
L’ultimo incontro tra loro risaliva al giorno precedente, quando lei, per sdebitarsi, aveva deciso di salvargli la vita. I verdi occhi di Velkam ricaddero sulle bende strette alle ferite del suo braccio. Era stata Selhen a sistemargliele con mano delicata mentre continuava a fingere di essere imbronciata con lui.
Una risata scosse il petto di Velkam nel ricordare il muso lungo di lei. Quelle labbra così rosse e prepotenti come i suoi occhi nel viso bianco ed evanescente. Era stato quello, forse, ad incantarlo. Quel contrasto così selvaggio e marcato, quell’insolito accoppiamento di colori. Il bianco della sua pelle e il rubino di quelle labbra schiuse per il timore di chi gli stava davanti.
In confronto loro elisiani erano così normali… così banali.
Crucciando appena la sua espressione si chiese come sarebbe stato se fosse nato asmodiano. Se avesse dovuto combattere per la fazione opposta. Poi fece una smorfia di disapprovazione, non poteva mettersi a pensare certe assurdità.
Suo padre lo aveva avvisato quando aveva cominciato a prendere lezioni di asmodiano dallo shugo contrabbandiere che in quell’occasione era stato assunto come suo precettore: conoscere la loro lingua sarebbe stata un’arma a doppio taglio. Se anche fosse stato possibile comprendere gli ordini e i dialoghi che gli asmodiani si scambiavano in battaglia, dialogare con il nemico avrebbe anche potuto accrescere il rischio di avvicinamento a uno di essi, e avvicinarsi avrebbe significato affezionarsi, crearci un qualche legame, e crearci un legame avrebbe reso l’eliminazione del nemico molto più problematica.
Velkam, ai tempi, non aveva neanche ascoltato quell’avvertimento. Entusiasta com’era di sperimentare la guerra aveva assorbito tutti gli insegnamenti dello shugo come una spugna ed era riuscito presto a padroneggiare quella lingua astrusa e sgradevole all’orecchio. Sapeva di essere stato uno dei pochi ad avere avuto quella fortuna e aveva sempre usato quel dono singolare con parsimonia finchè…
Finchè non era comparsa quell’asmodiana nella sua vita.
Si era accorto che conversare con il nemico, se inoffensivo, non era nulla di male, e la situazione era iniziata a degenerare quando l’aveva lasciata andare per la seconda volta, quasi lei fosse divenuta una specie di sua protetta.
Provò a pensare come sarebbe stato se non l’avesse più rivista. Se lei fosse stata uccisa da un qualunque altro suo compagno elisiano. Un moto di coscienza molto nascosto parve ribellarsi nel profondo ma Velkam lo mise quasi subito a tacere stringendo convulsamente il suo arco tra le mani.
Beh forse un po’ gli sarebbe dispiaciuto. Non faceva Selhen così letale da ritenerla una minaccia, o forse, l’aveva incontrata solo nelle occasioni sbagliate. In ogni caso non gli riguardava poi così tanto. Se fosse morta sarebbe solo stato un problema suo.
A quei pensieri il cacciatore si scompigliò i capelli castani che gli erano finiti dentro l’occhio con una folata di vento e aveva distolto lo sguardo dalle bende sul suo braccio. La ferita avrebbe impiegato pochi giorni a ripristinarsi. Era il bello di essere un Daeva.
Poi un piccolo capello argenteo scosso dal vento attirò la sua attenzione. Era un capello di Selhen rimasto impigliato nel nodo della stretta fasciatura. Con due dita il cacciatore lo prese e lo tirò, stando attento a non farlo spezzare mentre lo sfilava piano piano. Era sottile e bianchissimo. Se lo rigirò per qualche secondo nei polpastrelli prima di lasciarlo volare via e una sensazione di disagio lo colse all’improvviso.
Era stato uno sciocco, il giorno precedente. Aveva mostrato a Selhen la sua debolezza. Si era lasciato curare da un’asmodiana.
Si biasimò per quell’atteggiamento così stupido e infantile. E l’aveva anche baciata sulla gota fredda e marmorea fingendo, ovviamente, che quel gesto fosse cosa da poco!
La verità era un’altra. Era stato curioso di sapere che sensazione si provasse a fare qualcosa di così abominevole come baciare una dell’altra razza. Era rimasto colpito dall’assoluta naturalezza con cui Selhen aveva fatto lo stesso alla Sillus.
A quel contatto si era quasi aspettato di esplodere, o di ferirsi mortalmente, di bruciarsi, scottarsi, morire… ma non era successo assolutamente niente, e questo lo aveva lasciato deluso, quasi svuotato.
Quell’esperienza aveva minato seriamente tutto quello che aveva impiegato a costruirsi in una vita: una teoria secondo cui non poteva esistere, neanche nei più remoti pensieri, un accordo con l’altra razza, un contatto visivo né, a maggior ragione, fisico. E solo in quel momento si era accorto che quella teoria non aveva alcun fondamento. Quell’odio infiammato tra le due razze era solo il frutto delle manipolazioni mentali dei Daeva altolocati che portando avanti gli ideali di una guerra giusta salvaguardavano i loro interessi.
Alla fine dei conti al centro di tutto cosa c’era? L’amicizia tra un elisiano e un’asmodiana che sarebbe stata anche punibile con la morte, se fosse stata scoperta.
Alto tradimento e disonore massimo. Fare comunella con le bestie indisciplinate di Asmodae era uno dei reati che non meritava pietà, dalle sue parti.
“Sapevo che ti avrei trovato qui”, aveva detto una vocina melodiosa alle sue spalle cogliendolo di sorpresa.
Velkam si voltò all’improvviso colto alla sporvvista. Come avevano potuto, i suoi sensi in allerta, dimenticarsi di scandagliare la zona e permettergli di abbassare le difese?
“Echo”, disse voltandosi dalla parte della ragazza che avanzava nel suo elegante vestito rosso un po’ sgualcito.
La Daeva dall’aspetto angelico stirò un piccolo sorriso e allungò una mano verso di lui per aiutarlo a rimettersi in piedi. “Dormito male questa notte?”, domandò.
Velkam scrollò le spalle. “Colpa tua e della tua invadente presenza…”, scherzò con un mezzo sorriso. In realtà Echo era così minuta che la sua presenza, quella notte, non aveva fatto alcuna differenza.
Lei lasciò andare la sua mano e lo guardò da sotto in su con ammirazione. “Mi perdonerai, ma ieri sera ero così esausta che dopo averti riaccompagnato a casa ti sono crollata accanto”.
Velkam le rispose con un tenero sorriso. “In questo modo non faremo altro che aumentare le malelingue sul nostro conto. Sai che a Sanctum sono uno degli oggetti di gossip preferito dai daeva nullafacenti”.
Echo ridacchiò. “Ti importa qualcosa?”.
“Sinceramente? Mi è sempre importato molto poco di quello che la gente dice”, disse lui disinteressato .
I luminosi capelli di Echo rilucettero ai primi raggi più caldi del mattino. “Che ne dici di darmi qualche dritta su come si caccia?”, chiese poi come se quella fosse stata la migliore trovata del momento.
“Solo perché oggi è la mia giornata libera”, rispose lui tirando fuori dalla faretra un’elegante freccia dalla coda piumata.
“Vada solo per oggi…”, sbuffò la fattucchiera con un cipiglio dispiaciuto. Diede un’occhiata a un foglio che estrasse dalla borsetta e sorrise radiosa. “Ho anche una missione qui vicino. Si comincia, da questa parte!”, trillò trotterellando lungo il vialetto sterrato.
Velkam sorrise all’entusiasmo di quella ragazzina perennemente allegra e si apprestò a seguirla. Quanto a Selhen, e ai pensieri che fino a poco prima lo avevano distratto, li seppellì in una parte remota della sua testa e lì li lasciò, preparandosi piuttosto ad un’autentica giornata da perfetto elisiano.
Era arrivato il momento della caccia agli asmodiani, ed era meglio mettere da parte i sentimentalismi, se voleva essere un bravo precettore per la sua cadetta.
 
 
[Ecco a voi lo speciale che avevo promesso. Consideratelo come un extra tutto all’insegna di elysea che avevo già pronto in attesa della ventesima recensione, per cui ringrazio la mia cara Mikachan **
E’ bellissimo leggere i vostri commenti a volte anche simpatici e, lasciatemelo dire, un po’ comici.
Godetevi questo lungo speciale e un bacione a tutti quanti. Always in my heart.
Fatemi sapere che ne pensate u.u, si accettano anche critiche e consigli <3 al prossimo capitolo!]
 
 
pezzo: http://www.youtube.com/watch?v=iY_KPElG6kI
  
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