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Autore: jileysavedme    14/07/2014    0 recensioni
"Un suicidio non uccide solo una persona."
Genere: Azione, Drammatico, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Passarono i giorni, settimane, e Justin era con me. Ogni giorno, non si staccava mai, saliva dal mio balcone tutte le sere, magari un po' più tardi a volte per colpa delle così dette 'commissioni' che aveva da sbrigare, oppure perchè Scott lo tratteneva più del previsto, ma comunque in un modo o nell'altro lui era sempre seduto al bordo del mio letto a guardarmi. A guardarmi intensamente finché i miei occhi non si chiudevano da soli, ormai stanchi di guardare una simile bellezza come lui, era così tutte le sere.
Ero quasi arrivata al punto di pensare che lui avrebbe potuto provare qualcosa verso i miei confronti, per fortuna la vocina poco garbata e insistente nella mia testa riusciva a fermare questi tipi di pensieri dalla mia mente, l'unico che non avrebbe potuto portarmi via era quello di essere incondizionatamente innamorata di lui come non mai. Cavolo se era attraente! Ma già sapevo che, in qualunque modo o situazione, non avrebbe mai e ripeto mai guardato una ragazza tanto scombussolata come me, eppure, a poco a poco scoprivo che non era esattamente come tutti gli altri.
 
"Oh ti prego Nicole, vieni con noi."
Gli occhioni grandi di Scott mi puntarono imploranti e pieni di speranza aspettando un mio 'Si' che ero decisa a non dire.
"Ti divertirai."
"Certo, sempre se ti vesti come una puttana e fai come le altre."
La voce di Justin mi fece imbestialire come non mai. No! Non ci sarei mai andata a quella orribile party pieno di spogliarelliste pronte a prenderlo nel di dietro per qualche spicciolo. Quello era il posto preferito di quelli come Justin. Sporchi, zarri e arrapati, e sinceramente non mi farei mai aspettata che uno come Scott mi implorasse di fare una cosa del genere e in quel momento non avevo ottimi pensieri su Justin, non riuscivo a non pensare al fatto che se fossi andata si sarebbe fatto due o più ragazze alla volta. Davanti a me. A me.
No. Era escluso. Io rimanevo dov'ero.
"Non se ne parla! Io resto qua."  Puntai i piedi.
"Ti prego.." Scott era come un bambino, continuava a stritolarti l'anima finché non gli dicevi un di si a ciò che voleva. Forse un bambino con le caramelle sarebbe stato più ragionevole di lui.
Dopo svariate volte di convincermi e dopo aver ripetuto tante e tante volte quel 'no' alla fine vinse lui, dissi alla fine quel maledettissimo 'si' e dovetti trovarmi qualcosa da mettermi, siccome volevo per una volta ascoltare le parole di Justin, misi il vestito più corto e scollato che avevo, avevo la schiena scoperta, -come quasi la metà dei vestiti che comperavo, era qualcosa che adoravo particolarmente- aderente e  col pizzo nero, tacchi alti quanto bastava per arrivare almeno poco più sopra della spalla di Justin.
Scott rimase senza fiato quando mi vide con in dosso quel vestito, per fino mi confessò in segreto di voler che fossi la sua nuova fidanzata. Justin invece, non ebbe la reazione che desideravo. Appoggiato alla parete con canotta larga, pantaloni bassi e occhiali scuri, sbuffò e borbottò qualcosa sotto voce non udibile alle mie orecchie tirando a Scott le chiavi della macchina.
Ed eccomi qua, seduta sul sedile di una decappottabile nera nel posto del passeggiero con Justin e Scott davanti che ridevano e sbraitavano eccitati di fare una bella serata fra ragazze sexy e birra, io invece, ero a dir poco elettrizzata dalla paura, conoscevo Justin e sapevo che da lui non sarei potuta aspettare del bene, forse da Scott, ma da lui.. Da lui no.
"Se c'è gente strana giuro che torno a casa!" Mi lamentai quasi per tutto il viaggio facendo venir il mal di testa a Scott che si pentì di avermi dovuto pregare per portami.
Agitava le braccia sopra la testa ondeggiandole a ritmo dell'aria fresca della sera come se fosse a un concerto Rock&Roll. Scott con uno strattone secco del volante rigò a destra facendomi sbattere contro la portiera dell'altro lato dell'auto.
Quando scesi vennero due ragazzi con la pelle scura color cioccolato vestiti da rapper con collane d'argento e anelli alle dita, strinsero la mano a Justin e a Scott in un modo anormale, quasi come un codice segreto.
"Justin! Da quanto tempo cazzo! Come butta?" Il ragazzo più in carne diede una pacca alla spalla a Justin che lo fece spiegare in avanti a cui rispose semplicemente con un sorriso d'imbarazzo infilando le mani dentro le tasche dei pantaloni.
"Ma che domande fai Nash?!" L'altro rispose ironicamente riferendosi al fatto dei ormai famosi volantini per tutta la città con la sua faccia stampata sopra.
"Me la cavo."
"Si, Justin se la cava." Scott prese le sue difese.
"Allora alla prossima volta ci fai vedere qualche mossa!"
"Guarda qua che muscoli, porca puttana. Sei andato in palestra?"
Mentre discutevano fra di loro la musica che proveniva dalla grande villa davanti a noi era assordante, le luci verdi e blu uscivano dalle finestre spalancate. la gente usciva a vomitare sul prato per intossicazione d'alcool ed era solo l'inizio! Cavolo, sul serio Justin frequentava questo genere di gente? Ne sarei mai uscita viva senza vomitare anche io?
"Oh, guarda Nash, abbiamo una nuova amica di Justin!"
L'uomo in carne mi si voltò verso di me, Justin fece finta di nulla alzando gli occhi come se fossi come una scorta per cambiare discorso, i ragazzi invece tennero gli occhi fissi su di me interessanti a scoprire di più.
"Wow, quando avevi intenzione di portarcela?"
"E' brava a letto?" Il ragazzo diede un'altra pacca sulla spalla a Justin che fece uscire una risata profonda dalla gola per la domanda dell'amico rispondendo con ironia.
"Oh, certo! E' bravissima, dovreste provarla." Rivolsi uno sguardo freddo a Scott che zittì Justin con un cenno della mano.
"Lo spero. Piacere piccola, sono Nash, e lui è Brooth." Strinsi la mano sudata del ragazzo più magro, Nash. Brooth fece cenno solo con la mano, senza avvicinarsi.
"Entriamo, la festa non incomincia senza di me." Justin sorrise all'amico correndo con Scott verso le scale della villa che portavano all'entrata. Mi lasciarono da sola, davanti alla macchina parcheggiata con il loro amico Nash che non staccava gli occhi dal mio corpo.
Cominciavo ad odiare sul serio quel posto. Volevo tornare a casa.
"Allora.. Quanto vuoi per una notte?" Il ragazzo agganciò il suo braccio in torno alle mie spalle facendomi barcollare sui tacchi.
"Non sono la puttana di nessuno, e non voglio i soldi di nessuno!" Sbottai scrollandomi via di dosso le sue sudice mani sudate, alzai i tacchi e corsi dietro a Justin che ormai era già entrato in mezzo alla folla.
"Oh, tranquilla piccola! Se vuoi ne riparliamo sul prezzo!" Rise dietro le mie spalle.
Dentro, la festa era impazzita, c'era gente c'è ballava senza sosta, quella che fumava e quella che beveva. Gente normale? Solo io.
C'era troppa gente e troppo fumo nell'aria per riuscire a trovare Scott e Justin, vedevo gente che ballava e si divertiva, ragazze mezze nude con minigonne e ragazzi con occhi rossi come i vampiri, si sballavano fino a non sentirsi più le gambe, fino a non riuscir a dire il proprio nome e solo a quel punto riuscivo a capire perchè ogni volta che gli amici di Justin mi vedevano chiedevano se fossi la sua puttana.
"Nicole! Nicole, siamo qui!" Scott agitò una mano all'aria per attirare la mia attenzione in mezzo al fumo che si alzava sempre di più.
Scott mi passò un drink alcolico che non bevvi, lo passai a Justin che lo bevve come acqua, cercai di intrufolarmi fra la folla e cominciare a ballare. La musica era alta abbastanza da non riuscir a non far caso alla mia vocina interna che mi suggeriva di filarmela a gambe levate, ma no, volevo divertirmi per una volta, volevo dimenticare tutto e sballarmi come non avevo mai fatto. Così feci, cominciai a ballare alzando le braccia verso il soffitto, battendo le mani a ritmo di musica e scuotendo il fondo schiena come le ragazze in bella vista sui tavoli, la gente sul divano del salotto e sul pavimento si passavano una bottiglia di birra, passarono dei drink che non presi nemmeno quella volta. Justin e Scott erano spariti, sentivo solo la gente strusciarsi e sbandare contro di me, l'aria calda e il sudore che saliva sfinendomi mentre continuavo a immedesimarmi nella parte della ballerina professionista che non ero, da lontano vidi Josh, il ragazzo con i rasta che incontrai il giorno della rapina di Justin nel furgone bianco. Mi stava guardando. Feci qualche passo indietro cambiando direzione, andai verso sinistra sempre facendo lo slalom fra la folla trovando un punto meno visibile, non volevo nessun'altra sorpresa. Avevo parlato troppo presto.
Due mani grandi e calde circondarono il mio bacino avvicinandoselo a se facendo incontrare la mia schiena nuda contro un petto muscolo, non mi era consentito girarmi dato la posizione scomoda, ma avevo una vaga idea di chi fosse quando toccai un braccio muscoloso e un respiro profondo e ansimante al mio orecchio, chiusi gli occhi. Era Justin. Ne ero più che sicura anche ad occhi chiusi, riuscivo a riconoscere le sue braccia anche fra milioni, nessuno era come lui. Le sue labbra sfiorarono il lobo del mio orecchio ansimando, la presa forte e il corpo pesante che posava sulla mia schiena come se avesse bisogno di un appoggio. Non ebbi il coraggio di aprire bocca, la musica era sparita adesso. Sentivo solo il suo respiro e il battito del suo cuore su di me, le sue labbra sfiorarono il mio collo fino a lasciar un bacio umido sulle scapole, una sua mano passò lungo il mio braccio fino alla spalla, me la scoprì lasciando cadere la spallina del vestito, poi sparì. Il vuoto. Il vuoto dietro di me fu di nuovo lì, aprii gli occhi e dietro di me non c'era nessuno, Justin era sulle scale che portavano sul terrazzo della villa, gli occhiali neri scintillarono sotto le luci multicolor della festa, feci un passo avanti verso di lui e poi sparì di nuovo nel buio delle scale. Cominciava a diventare buio fuori, il cielo era nero. Notte fonda.
Era seduto sul pavimento a mattonelle grigie del terrazzo in mezzo alla foresta di piante e fiori profumati, riuscii a sentire l'odore del tabacco dalla sua bocca quando sospirò.
"Perché sei sparito." Fu tutto quello che uscì dalle mie corde vocali.
Non rispose, odiavo quando lo faceva. Ma lui era così.
Mi sedetti affianco, aspettando qualche segno di risposta, ma niente. Muto.
"Perché sei venuto qua? La festa non ti piace."
"Pare che a te piaccia molto, invece."
"Mi adeguo."
Si girò a guardarmi, mi vidi nel riflesso degli occhiali, ero sudata e il trucco cominciava a sbavare. Diavolo! Era meglio se non mettevo tutto quel trucco!
Mi tirò su la spallina, inghiottì la saliva rumorosamente.
"Sono simpatici i tuoi amici."
"Mh."
Non aveva voglia di parlare, lo avevo capito.
Scossi la testa, lasciando le gambe scoperte lungo il pavimento freddo. Guardai il cielo, era nero, le stelle erano l'unica cosa che lo abbellivano in mezzo a tutto quel colore cupo.
"C'è qualcosa che non va?" Chiesi. Nel cielo le sfumature  dal blu scuro al nero cupo erano evidenti, la musica proveniente dal piano di sotto era come un sottofondo, sembrava tutto così tremendamente irreale e non capivo il perchè.
"No. Sto bene." Avevo una voglia matta di avere delle risposte sensate, volevo chiedergli perchè era venuto da me, perchè mi aveva attirato a lui in quel modo. Perchè aveva voluto che salissi sul terrazzo con lui? Perchè sapevo che era così.
Preferii rimanere in silenzio, come sempre. Dalla tasca dei suoi jeans uscirono un pacchetto bianco, le sue immancabili sigarette, ne prese una fra le labbra e l'accese senza dire nulla, cominciò con i tiri. Prima uno, poi due, poi tre e quattro.. E così via.
"Fumare ti calma?"
Nessuna risposta.
"Sei agitato?" Guardava dritto davanti a se, come se ci fosse una sola direzione dell'orizzonte, le luci dei semafori erano l'unica fonte di luce per la strada a parte i fari di qualche macchina che passava ogni mezz'ora.
"Sei felice?" Fece un tiro verso di me soffiando il fumo fuori dalla sua bocca aggiustandosi gli occhiali sul naso.
"Sono felice solo se tu sei con me." Avrei voluto rispondergli così, anzi, la mia vocina dentro la testa lo avrebbe fatto al posto mio, e invece niente. Rimasi silenziosa come un pesce, gli risposi solo dopo pochi minuti rimuginando sulla domanda.
"Credo di si.." Lasciai la risposta in sospeso come se ci fosse dell'altro, e pareva che lo avesse capito. Davvero avrei potuto guardarlo in faccia dopo avergli detto certe cose? Oh, diavolo l'amore!
"Ma?"
"Ma?.." Ripetei.
Lui scrollò le spalle cambiando argomento, lo feci anche io lasciando perdere. Il problema non era cambiare argomento, il problema era non aver nulla di cui parlare con lui. Mi piaceva restare in silenzio e guardarlo fumare ma nello stesso tempo mi sentivo in dovere di dire qualcosa per rassicurarlo, come se ci fosse qualcosa di più in quella sigaretta, qualcosa che voleva bruciare invano. Ah, si, il suo cuore.
 
"Torniamo in pista?"
"Ci vuoi tornare?"
"B'è... Siamo qua, divertiamoci!" Gli sorrisi, lui piegò la testa da un lato come per capire, lo scrollai un po' alzandomi dal pavimento, gli porsi una mano che non prese, con una gesto si alzò da solo senza fatica.
Tornammo nel salotto, quella che doveva essere la "pista da ballo", Justin mi prese per mano e cominciammo a ballare insieme, la gente era su di giri, urlava e chiedeva drink al tavolo delle bibite, Justin prese una bottiglia di birra e mi convinse a darci dentro con l'alcool e, anche se contro voglia, cominciammo a bere qualche drink insieme, l'aria cominciava a diventare sempre pensante e la gola bruciava. Le bottiglie di Vodka sul pavimento vicino al bagno non erano promettenti, le ragazze vomitavano mentre i ragazzi gli tenevano i capelli, mi vennero i brividi al pensiero di esser io una di quelle ragazze, misi giù la bottiglia e mi diressi verso l'entrata. Avevo perso Justin per colpa del troppo fumo fitto, le cartine dei drum era ovunque e poco più vicino riuscii finalmente a trovare Scott con amici che rideva e si davano pacche sulle spalle come per incoraggiarsi mentre finivano lattine d'alcool una dopo l'altra.
"Scott?"
Era strano, puzzava d'alcool come non mai e aveva gli occhi rossi fuoco, le pupille dilatate e i capelli alla rinfusa come se avesse fatto una battaglia con i leoni, la cintura dei pantaloni slacciati e preservativi usati affianco a loro. Solo dopo aver spostato lo sguardo dal pavimento lurido vidi un gruppo di ragazze più nude di quelle che ballavano sui tavoli passarsi un piccolo tubicino con cui aspiravano dal naso tappandosi una narice con un dito della roba bianca messa in fila, quasi fosse farina, ma non lo era e lo sapevo bene. Cocaina! Rimasi senza parole, Scott era sbronzo e questo l'avevo capito ma dovevo trovare Justin al più presto.
"Scott, hai visto Justin?"
"No piccola, non ho visto Justin ma se vuoi in cambio posso farti vedere qualcos'altro?" Prese il laccio della sua cintura tirandolo barcollando, prese un altro drink dal amico e mi sorrise, un sorriso da sbronzo.
"Scott! Diavolo, torna in te!" Lo spinsi indietro irritata, ma a lui pareva piacere questo mio lato tanto che non smetteva di provocarmi facendo battute squallide sulla mia sessualità verso i suoi amici che, sbronzi, rispondevano con un sorriso e occhiate perverse verso il mio corto vestito. Perché avevo messo quel fottutissimo vestito? Che vergogna. Decisi di passare oltre tornando alla ricerca di Justin, ma prima che potessi farlo una grande mano quanto quella di Justin, ovvero quella di Scott, si posò sul mio fondo schiena che afferrò e strinse irritando il mio sistema nervoso centrale.
Afferrai il suo polso e lo spinsi di nuovo contro la parete avanzando tra la folla irritata e confusa per il troppo caldo che cominciava a darmi alla testa, finalmente dopo qualche minuto trovai Justin, e la mia pazienza arrivò ad un limite troppo alto per restare calma.
Era seduto da una sedia di legno contro il muro che si limonava tranquillamente una fottutissima brasiliana con la pelle scura e lunghi capelli neri che le coprivano il viso, seduta sulle sue ginocchia, la rabbia mi fuoriuscì da ogni poro della mia pelle, ebbi l'impulso di prenderla per i capelli e urlarle in faccia che era mio e che non aveva in diritto di toccarlo, ma feci un respiro profondo e cercando di tenera la testa sulle spalle mi avvicinai a loro.
"Scusa?!"
Fu il tono più caldo che avessi potuto avere in quel momento, era a pari a quello di mia madre quando perdeva le staffe perché la biancheria non veniva mai bianca come voleva anche dopo venti volte in lavatrice. La ragazza stacco le sue carnose labbra da quelle di Justin irritata dal fatto di aver dovuto tagliare quel bacio appassionante per poter guardarmi in faccia, mi tremavano le mani dalla voglia di prendere a schiaffi a lui e a pugni lei. Bastò un'occhiata di ghiaccio per farle capire che doveva stargli lontano a meno che non voleva tornare a casa con un occhio nero, non ero una tipa violenta ma se toccavano ciò che era mio perdevo completamente le staffe con tutti, nessuno escluso. E lui era mio. Solo mio.
Justin salutò la ragazza leccandosi le labbra in segno che il bacio gli era piaciuto e la ragazza rispose lanciandogli un bacio a soffio, alzai gli occhi al cielo poi guardando le iridi marroni di Justin, aveva gli occhi arrossati e il viso rosso per il caldo, si stava morendo di caldo in quella casa.
"Oh Justin, ti avevo detto di non bere troppo! Guarda come stai messo!" Lo rimproverai consapevole che il giorno dopo non si fosse ricordato di nulla.
Lo portai fuori da quella casa chiudendoci la parte alle spalle, volevo solo che quella sera passasse il più presto possibile. Non ne potevo più. Ci sedemmo sul prato attorno alla villa  per dei minuti che sembravano ore, ci accasciammo per terra per guardare le stelle mentre Justin continuava a sghignazzare e ridere da solo barbottando cose insensate, nel giro di poco ci addormentammo insieme, io e lui soli nel prato verde nella notte fonda, con la musica a palla e le mani intrecciate.
Il giorno seguente, quando mi svegli, la villa era quasi vuota e i residui della festa erano sparsi per tutta la casa dentro e fuori, erano rimasti solo poche persone che, sdraiate sul pavimento o sui divani dormivano profondamente come se non ci fosse nulla che li disturbasse.
Justin non era più affianco a me, ero sola in mezzo all'erba e l'odore di alcool e tabacco ancora si sentiva pesantemente anche da fuori casa, Scott era seduto sullo zerbino davanti alla porta della casa mentre fumava lunghe sigarette bianche e sottili, stava parlando con Nash e Brooth che erano seduti poco più lontano da lui.
"Scott."
"Nicole, ti sei svegliata finalmente!" Scott verso di me seguito dagli amici che mi sorridevano, mi tirò su di peso con una sola mano mettendomi in piedi.
"Hai stracciato di brutto Justin sul fatto del sonno!" Nash mi guardò divertito dandomi una piccola pacca sulla schiena scoperta che mi fece sobbalzare in avanti.
"Cosa?" Li squadrai.
“Naah, niente lasciali stare. Sono degli idioti.” Scott emise una risata profonda tirando su l’ultimo tiro di sigaretta prima di buttarla sul prato e schiacciarla col piede.
“Dov’è Justin?”
“E’ andato a prendere da mangiare con Josh. Stanotte abbiamo finito tutto il cibo.”
“Oh..” Sospirai. “Quando torna?”
“Non saprei dirti, sono andati via solo da mezz’ora.” 
Entrai in casa e quasi mi spaventai, c’era carta igenica ovunque, le pareti erano sporche e il pavimento era pieno di impronte, bicchieri vuoti o rotti, preservativi usati e sigarette usate. Un vero porcile, quasi mi venne l’impulso di uscire di nuovo. Almeno i divani era puliti a parte le macchie di Champagne caduto, i cuscini profumavano d’alcool e l’aria ancora sapeva di Marijuana.
“I tuoi non ti sgrideranno?”
Nash e Brooth si guardarono in faccia prima di scoppiare in una rumorosa risata senza fine, sembra avessi detto la più grande battuta del secolo.
“Viviamo da soli, abbiamo 23 anni, piccola.”
“Oh.. Scusa, non lo sapevo.”
Poco dopo Justin sorpassò la sosia della casa dei due amici spaventandomi, corse insieme a Josh che si chiuse la porta alle spalle e con uno scivolo sul pavimento si appiattì sul pavimento insieme a Justin sotto la finestra della cucina invitando tutti noi a fare lo stesso, ci stendemmo tutti sul pavimento nascondendoci dietro al divano, sotto i tavoli o fra i mobili mentre la fuori una sirena della polizia passava da quelle parti con l’acceleratore come se stesse inseguendo qualcosa, o meglio, qualcuno. E sapevo che si trattava di Justin. Quando la sirena si allontanò tanto da non sentirla più la risata profonda di Justin e di Josh riempirono il silenzio calato poco prima l’arrivo della polizia spintonandosi uno con l’altro.
“Ci è voluto poco e ci mettevano in manette, porta puttana!” Josh esultò saltando in piedi come un grillo.
Justin rise annuendo all’amico riprendendo fianco ancora per la corsa, Scott gli mollò una pacca sulla spalla tanto forte da sentire un rumoroso “Ciaff” all’impatto con la pelle.
“Ma che bravo Justin! Fatti beccare così ti verremo a trovare dietro le sbarre come i tuoi amici!” Brooth risuonò molto ironico nei suoi confronti.
“Stai zitto e mangia!” Tirò all’amico un sacchetto marrone da cui il ragazzo tirò fuori un pezzo di pane e delle bottiglie d’acqua accompagnate con un pezzo di carne crudo.
Nash prese l’ultima birra rimasta –ben nascosta- nel frigo e la stappò senza sforzo cominciando a inghiottire lunghi sorsi facendo arrivare il livello a metà bottiglia. Cominciò a ruttare rumorosamente borbottando qualcosa che capii solo Justin che subito dopo rise, Scott con nonchalance fece notare che nella stanza c’ero anche io –in un angolino, ma c’ero anche io- e che non ero esattamente a mio agio in una casa con cinque ragazzi e una sola ragazza, ovvero io.
“Non farci caso ok?” Scott mi rassicurò. “Sono degli animali.”
“Parla per te, amico!” Brooth lanciò il tappo della bottiglia in pieno centro viso contro Scott che lo prese e contrattaccò l’amico.
Justin si voltò verso di me. Era senza quei orrendi occhiali scuri finalmente e le sue iriti marroni mi fissavano, cercai di non arrossire come al mio solito ma fu inevitabile, le mie guance si sfumarono di un rossastro accesso che fecero alzare la temperatura del mio sangue nelle vene. Venne a sedersi affianco a me senza dire una parola, quando il suo peso sprofondò sul divano sentii la marea di emozioni travolgermi di nuovo come la sera prima, quando si era avvicinato così tanto a me, quando le sue labbra erano al mio orecchio, e quando il mio cuore era sul punto di esplodere, quando il mio corpo tremava sotto il suo gelido tocco.
“Non dovreste bere.. Stanotte aveva bevuto abbastanza.”
“Come?” Ah, giusto. Come potevano sapere cosa avevano fatto se erano sbronzi?
“Forse non vorreste mai sapere cosa avete fatto.. Soprattutto tu, Scott.”
I ragazzi alzarono un forte “uuuuuh” verso Scott che divenne rosso in viso soffocando anche lui qualche risata, Justin accennò un sorriso contagioso che fece sorridere anche me.
“Racconta.” Scott alzò una mano in segno di vittoria dei ragazzi, arrendendosi.
“Sicuri?”
“Sicurissimi.”
“Okay.”
I ragazzi si misero comodi seduti sul tavolo della cucina pronti ad ascoltare ciò che avevo da raccontare e sapevo che si sarebbero fatte delle belle risate. Cominciai da Scott. Divenne tutto rosso quando gli raccontai ciò che mi aveva chiesto, Justin invece, serrò la mascella congelando Scott per un millesimo di secondo gli occhi come se la sua proposta gli avesse dato parecchio fastidio. Decisi di tenere per me il fatto di aver visto Justin baciare un’altra ragazza più bella di me, quel faceva male da raccontare e anche da pensare, passai avanti, dissi a Nash e Brooth tutto ciò che avevo visto fare da parte loro, anche se non erano tante. Scott mi chiese scusa per tutto il giorno del fatto mi avesse chiesto di andare a letto con lui, Justin invece si irritava ogni volta che riportava a galla quel fatto, se solo avesse saputo di quello che aveva fatto probabilmente si sarebbe preso a schiaffi in faccia da solo, oppure, si sarebbe congratulato con se stesso per l’ottima conquista che aveva fatto anche se sapevo che era più probabile che si sarebbe lodato che picchiato.
Dopo esser uscita dalla casa dei ragazzi, Justin mi accompagnò fino sotto casa, come al solito me lo ritrovai nella mia stanza ancor prima di poter esserci arrivata, ormai entrare dalla finestra per lui era un hobby.
"Passare dalla porta non è una cattiva idea, sai?" Chiusi la porta di camera mia alle spalle buttandomi a peso morto sul letto, avevo addosso ancora il vestito della festa che non ebbi la forza di togliere tanto ero stanca.
"Meglio non rischiare."
"Rischiare che cosa? Non c'è nessuno in casa."
"Non si sa mai.." Si strofinò gli occhi con le nocche delle mani sbadigliando come un bambino dall'aria assonnata.
"Hai sonno?" Fece cenno di no con la testa ma sapevo che mentiva, lo feci adagiare sul bordo del letto guardandolo. Era bellissimo in tutti i casi, i capelli scompigliati dalla mattina ancora erano rimasti e le occhiaie sotto gli occhi erano una delle sue imperfezioni che amavo di più, ma che lui poi, era perfetto.
"Sai.. Alla festa.." Non sapevo esattamente se era giusto dirglielo o meno, ma volevo che sapesse quello che aveva fatto davanti ai miei occhi, come le sue labbra erano finite sopra quelle di una brasiliana dal culone quanto un'anguria.
"Hai.. Baciato una ragazza." Lo dissi con cuore spezzato e le lacrime agli occhi. Sapevo benissimo che a quel punto, la sua risposta sarebbe stata del tipo: "Ehy, era carina?" oppure "Ho rimorchiato benissimo questa volta!" o robe di questo genere.
Invece la sua risposta mi lasciò spiazzata.
"Ah. Mi dispiace."
"Ti dispiace?" Com'era possibile che Justin McCann per la prima volta mi stava dicendo che gli dispiaceva di aver baciato un'altra? Credetti di sognare per un attimo finché qualcosa mi fece capire che era tutto vero ciò che stava succedendo.
Due labbra calde e morbide avvolsero delicatamente le mie muovendole in modo dolce, la sua mano prese il mio viso che spinse contro il suo con più energia, le mie labbra erano ferme dato il momento imbarazzante ma poco dopo d'istinto iniziarono a muoversi con le sue, chiusi gli occhi presa dalla passione del momento e mi lasciai andare, posai una mano sul suo braccio di ferro mentre le nostre labbra continuavano a toccarsi sempre di più trasformandosi in più di un bacio semplice, era qualcosa di fottutamente bello e lui lo stava facendo con me, mi stava baciando come desideravo.
Fu lui a interrompere il bacio per riprendere fiato, aprii gli occhi e vidi le sue iridi marroni vicino al mio viso, mi morsi il labbro inferiore arrossendo in viso per ciò che era appena successo, odiavo i momenti imbarazzanti come quello ma lui sembrava a suo agio, non disse nulla, allontanò il viso di qualche centimetro e si bagnò le labbra con la lingua.
"Ora l'ho fatto da sobrio." Fu l'unica cosa che mi disse subito dopo, io mi sentii un brivido freddo percorrermi la schiena fino al cuore, che tremò.
"Si.." La mia voce era acuta e secca, non avevo più voce per dire nulla, era come se tutta l'energia di botto si fosse volatilizzata nel nulla lasciandomi a secco.
"Devo andare."
"No, ti prego." Lo afferrai per l'altro braccio tirandolo verso di me.
"Non posso."
Mi alzai dal letto tenendo stretto il suo braccio senza mollarlo, fece qualche passo indietro finendo con la schiena contro il vetro della mia finestra. Lo guardai dritto negli occhi, il sole entrava dalla finestra e riscaldava le piastrelle del pavimento fino a farle diventare delle piccole stufe.
"Fallo di nuovo."
Sapeva a cosa mi riferivo naturalmente, ma lui non mosse più un muscolo, fece segno di no con la testa togliendo lo sguardo dal mio viso, mi fece male.
"Ti prego.." Strinsi più forte il suo braccio che irrigidì, serrò la mascella e si bagnò le labbra ancora una volta.
"Ho sbagliato a farlo."
"Perché?"
"Tu mi piaci Nicole, ma non ci sarà mai niente fra di noi." Quelle parole mi spezzarono il cuore in mille pezzi, chiusi gli occhi e lasciai scivolare qualche lacrime dai miei occhi.
"Sono un criminale." Mi ricordò con voce fredda.
Affondai l viso fra la sua canottiera stringendo i pugni cercando di non singhiozzare con una bambina, ma era inevitabile. Perché doveva succedere tutto a me? Ogni volta era sempre così, quanto tutto sembrava andare bene doveva esserci per forza qualcosa che andava male, maledetti la festa di Taylor per avermelo fatto incontrare. Smisi di piangere, tirai su lo sguardo e con uno sguardo lo spinsi fuori dalla finestra della mia camera, lui non disse nulla, sapevo meglio di lui che doveva essere così, solo il mio cuore piangeva sangue e anche se era ancora li già mi mancava. Con un salto sparì nel nulla, chiusi la finestra e cominciai a piangere, a dirotto come una cascata, bagnai il cuscino così tanto che sembrava una spugna zuppa.
Mi addormentai consapevole di non essere io la ragazza giusta per lui, sapendo che qualunque cosa avessi fatto in quel momento non ne sarebbe valsa la pena, per lui non esistevo. Ero solo una piccola parte del suo divertimento, che cosa ci stavo affare ancora al suo fianco? Mi giurai di non guardarlo più in faccia, faceva troppo male. Avrei assorbito il mio dolore pian piano raccogliendo ogni singolo pezzetto del mio cuore in frantumi in cerca di qualcuno bravo nel aggiustare cose andate in rovina, come la mia vita, per esempio.
 
Andai a casa di Rosy per distrarmi, lei mi raccontava quello che succedeva nella sua vita –ovviamente, migliore della mia- e io, come vera amica mi congratulavo con lei e sorridevo al suo fianco, condividevo le sue gioie e chiacchieravamo del più e del meno insieme, più volte parlavamo di ragazzi e più volte mi fece tornare nella mente le parole di Justin, lui era un criminale e io una semplice ragazza messa in mezzo come ruota di scorta di tutti. Io e lui non ci eravamo più sentiti per settimane, Scott era preoccupato per noi, mi chiamava quasi una volta al giorno e io ogni volta non rispondevo, una volta perfino me lo trovai sotto casa, non aprii la porta. Era insistente, non riusciva a spiegarsi del perché non ero più li con loro e del perché non volevo più sentir parlare di Justin, forse non gli aveva raccontato nulla. Rosy invece, si era finalmente messa con David, il mio vecchio amico d’infanzia, restava interi pomeriggi a parlarmi di cosa facevano insieme e di come si sentiva amata. E io? E io non potevo fare altro che soffrire dentro, mi mancava così tanto ma non meritava nulla, non meritava nemmeno di esser pensato, ma chi poteva domare un cuore innamorato come il mio? Cazzo, ancora potevo sentire le sue deliziose labbra sopra le mie e più ci pensavo più la voragine dentro di me si faceva sempre più grande, avevo bisogno di risentirle ancora una volta, anche solo per un secondo. Non avevo mai provato un bacio come quello con Justin, era il ragazzo più stronzo che io avessi mai conosciuto ma cavolo, quelle labbra erano droga.
Passavo le giornate seduta sulla panchina di un parco, leggendo un romanzo d’amore preso in prestito da una libreria mentre l’aria d’estate mi scompigliava i capelli facendoli cadere sul viso, un’ombra davanti a me mi coprii il sole oscurando le pagine del mio libro, alzai gli occhi dal per controllare chi fosse ed era Scott, sobbalzai all’indietro con la schiena contro la spalliera della panchina, che diavolo ci faceva li?
“Finalmente ti ho trovata!” Il viso di Scott sembrava serio ma nello stesso tempo felice di vedermi.
“Ciao.” Feci la voce più fredda che potessi avere.
“Sono due settimane che non ti vedo più. Non rispondi al cellulare e neanche al citofono.”
Feci un respiro profondo.
“E’ successo qualcosa con Justin?”
“Si..”
Volevo essere sincera con Scott, perché era l’unico che forse riuscita a comprendere come mi sentivo, non avevo nessun’altro con cui parlare di lui. Scott lo conosceva, sapeva com’era fatto, poteva darmi consigli.
“Vuoi raccontare?”
“Si.”
“Ti ascolto.”
Presi un respiro profondo.
“L’altro giorno a casa mia.. Justin mi ha baciata.” Diventai rossa in viso, un ampio sorriso comparve sul viso di lui che ridacchiò per qualche instante esitando.
“Davvero? Sono felice per voi. Quindi.. tu e Justin..”
Fidanzati? Bella battuta.
“No Scott, è proprio questo il punto. Justin pensa che non ci sarà mai nulla fra di noi, dice di essere cattiva, di essere un criminale, che non è posto per me quello al suo fianco..” Presi a singhiozzare ripensando alla voce di Justin mentre mi diceva quelle cose, mentre pronunciava quelle maledettissime frasi.
Scott non disse nulla, posò una mano sul mento come per pensare e dopo poco, parlò.
“Non te la prendere, davvero. Io lo conosco, e so com’è fatto.” Annuii a Scott con gli occhi pieni di lacrime e con la voglia di sprofondare fra ne sue braccia ed essere rassicurata con delle frasi del tipo: “andrà tutto bene.”.
“Lo so, è per questo che lo sto dicendo a te.”
“Dagli tempo, non penso che lui pensi davvero le cose che ti ha detto, ha solo paura.”
Guardai Scott confusa quando disse la frase “ha solo paura”, Justin McCann che ha paura? Sul serio? Mr. Muscoli e bombe che ha paura? No, non ci credo.
“Proverò a parlargli io, non abbatterti, non riesce ad ammettere quello che prova. E sai cosa?”
“Cosa?”
“Ne sono così convinto perché non ho mai visto Justin uscire con la stessa ragazza più di due settimane, e tu sei l’unica ragazza che è rimasta in contatti con lui per il più lungo dei tempi. Non è uno di quei ragazzi semplici, lui è complicato, faccio fatica a capirlo anche io che lo conosco da quando è nato.”
Scott fece una paura, si stirò la schiena fino a farla schioccare per poi guardarmi in viso, una lacrima mi aveva segnato lungo la guancia fino al mento, l’aria cominciava a farsi fresca finalmente dopo tutto quel caldo.
“Anche se non si nota, quando ci sei tu lui è agitato, non sa cosa fare o cosa dire.”
Scott mi scrollò con le parole, agitato? Quando c’ero io? No, infatti non si nota ma.. Se fosse davvero così, allora questo cambierebbe radicalmente le cose.
“Vi ho visti alla festa sai..”
Scott si girò verso di me con un sorriso.
“Eravate seduti fianco a fianco sul terrazzo, e parlavate..”
“Si..”
Scott rimase con me tutto il pomeriggio, parlammo di Justin il più del tempo, gli parlai liberamente di quanto mi piacesse. Di quanto mi metteva il imbarazzo, la sua voce, le sue mani, le sue labbra, i suoi occhi.. Di quanto mi piaceva quando si arrabbiava, di quanto straordinariamente era perfetto per me, e di quanto avrei dato per averlo. Esattamente, perché avrei dato tutto da me stessa per averlo mio almeno per qualche secondo, di quanto avrei dato per sentire ancora le sue labbra sulle mie.
Era come parlare con un fratello, con lui potevo dire qualunque cosa che lui mi avrebbe capita ed ascoltata come una sorella minore, a volte piangevo, a volte ridevo, ma era sempre bellissimo parlare con Scott, perché era semplicemente se stesso con tutti e non era come Justin, non lo era.
Verso sera tardi mi accompagnò a casa, prima di andare via promise che avrebbe parlato con Justin, gli sorrisi timidamente e lo ringraziai, fece retro marca con la macchina e sparì fra le altre auto e le luci dei lampioni.
“Nicole, è pronto da mangiare.” Mia madre era a casa, e c’era anche mio padre, seduti alla tavola. Mio padre era col computer, su un sito che già mi era famigliare, ma certo! Era il sito dello scompartimento di tutti i carcerati di Londra, bastava digitare il nome del carcerato che si cercava per trovare tutte le informazioni e lui aveva digitato il nome “Justin McCann”.
“Non ho fame..” Guardai mio padre che si tolse gli occhiali da vista per guardarmi meglio, aggrottò le sopracciglia e allungò il braccio per prendere la bottiglia di Whisky dal tavolo e berne un lungo sorso.
“Ascolta tua madre, vieni a mangiare.”
“Davvero, non ho fame, sto bene così.”
Dovette insistere parecchie volte prima di obbligarmi a scendere per la cena, mia madre era pallida, i capelli erano sempre di meno e non riuscivo a capire il perché, forse fumava e beveva troppo, mio madre invece era concentrato sullo schermo del pc a trafficare chissà cosa su quel sito sbottando a voce alta e imprecando quando non riusciva a fare quello che doveva. Lavai i piatti al posto di mia madre, che diceva le facevano male le mani e le gambe, gonfie. Lasciai mia madre con la sigaretta fra le labbra e mio padre con gli occhi sullo schermo prima di sparire in camera mia chiudendomi a chiave, ero stanca, di tutto.
Dei miei, di Justin, del fatto che non potevo avere quello che volevo, di Rosy perfino che non c’entrava nulla, ma in quel momento anche la persona più buona del mondo ai miei occhi sembrava la peggiore, avevo voglia di profondare nello stato di incoscienza senza farne più ritorno, come la morte. Non senti nulla, non provi più dolore, ne felicità, ne tristezza, il vuoto. Era quello che avevo dentro ogni giorno, Justin sembrava non capirmi, Scott invece capiva solo una piccola parte di ciò che avevo dentro che sinceramente, non riuscivo a capire nemmeno io, come potevo pretendere che gli altri mi capissero?
Mi addormentai presto, più presto del solito e dimenticai di spegnere il telefono, mi maledetti quando la vibrazione del telefono sopra il comodino rimbombando mi svegliò nel bel mezzo della notte.
Sul display illuminato c’era il suo nome, sorrisi quando lo vidi ma il mio sorriso sparì quando ricordai ciò che mia aveva detto, dove l’aveva trovato il coraggio di chiamarmi dopo ciò che aveva fatto? E nel bel mezzo della notte! Avevo voglia di rispondere e dirgli quanto l’amavo ma lasciai che il mio telefono vibrasse sul comodino girandomi dall’altra parte del letto, dopo la seconda chiamata smise di vibrare per qualche minuto lasciandomi pensare che finalmente aveva capito che non volevo sentirlo, o che almeno, stessi dormendo –che era ciò che cercavo di fare-.
Riprese a vibrare più rumorosamente alla quarta chiamata, non resistetti più, presi il telefono fra le mani e risposi, infuriata.
“Justin, cosa vuoi?”
“Ti prego, scendi.” Aveva il suo solito tono di voce, freddo e da duro, non era affatto cambiato dall’ultima volta, e io che speravo in qualche cambiamento, anche piccolo, ma niente.
“Cosa?”
“Sono sotto casa tua. Scendi.”
“Che diavolo ci fai sotto casa mia a quest’ora della notte?” Sussurrai a voce alta guardando fuori dalla finestra.
“Scendi e basta.”
Agganciai il telefono, presi una canottiera e un paio jeans e scesi al piano di sotto, erano quasi le quattro del mattino e i miei ancora dormivano, fra meno di due ore mio padre si sarebbe alzato per andare al distretto di polizia e questo mi metteva timore, speravo solo che avrebbe fatto il fretta, stavo morendo di sonno. I miei capelli erano un disastro ma non me ne fregava nulla, sotto casa mia c’era Justin che mi stava aspettando, quelli passavano in un secondo problema.
Quando aprii la porta del portone di casa mia Justin era poco più il là appoggiato ad una Mercedes grigia chiaro lucida e pulita, in mano aveva una rosa rossa che nascondeva fra la giaccia di pelle nera che aveva addosso, sorrisi timidamente correndo verso di lui. Mi ero promessa di dover restare arrabbiata con lui ma era fottutamente impossibile con lui, lo abbracciai forte e lui fece lo stesso con me cingendomi i fianchi con le mani, mi diede la rosa in mano e mi accennò un sorriso.
“Perché sei venuto..” Guardai la rosa e l’annusai, aveva il suo odore, ancora meglio di quello originario della rosa.
“So che hai parlato con Scott.”
“Si, ci hai parlato anche tu?”
Non rispose, mi prese per mano e aprii la portiera del passeggiero per farmi entrare.
“Dove vuoi portarmi a quest’ora?” Justin sorrise.
“E quest’auto di chi è?”
“L’ho comprata, ovvio.”
“Dubito che tu l’abbia compara Justin..”
Fece retromarcia e roteando il volante fece un inversione a U e tornò in dietro sfrecciando tanto da sentire le gomme sull’asfalto fischiare, svoltò sulla prima a destra dando gas.
“Un furto dei ragazzi, ci sanno fare eh.” Rise guardandomi dallo specchietto retrovisore.
Rimasi a bocca asciutta mentre le mani di Justin agili ruotavano il volante a destra e a sinistra finché non parcheggiò al primo posto libro dentro le strisce, scese dal sedile del guidatore e aprii quella del passeggiero dove sedevo io, credevo volesse farmi scendere ma invece fu lui a salire, chiuse la portiera dietro la sua schiena e si asciugo le labbra bagnate con il dorso della mano.
“Avevo bisogno di un posto tranquillo.”
La cosa non mi quadrava siccome era notte fonda ed ogni angolo della città era deserto e tranquillo, giocò per qualche instante con i lacci del cappuccio con le dita come per prendendo tempo.
“Dobbiamo parlare.” Io annuii.
“E per le cose che ti ho detto l’ultima volta..”
“Non devi dire nulla Justin, è acqua passata.” Gli sorrisi zittendolo.
“Invece si, devo dirti la verità.”
Per una volta, la voce di Justin era sincera e non scherzava affatto, lo capii da come mi guardava intensamente, avvicinò il suo corpo al mio, il suo ginocchio toccò il mio facendomi fremere, una sua mano sulla mia coscia destra si trascinava su, fino al bacino dove lo afferrò saldamente facendomi avvicinare come voleva lui, mi soffio in faccia prima di parlare di nuovo. Io rimasi in silenzio ad ascoltarlo.
“In questi giorni, mentre tu non c’eri mi sono sentito solo.”
Strinse la mia mano, forte.
“Ti voglio.” Chiusi gli occhi alle sue parole col desiderio che non finisse mai quel momento, memorizzai la sua voce mentre lo diceva così che avrei potuto risentirla quando ne avevo voglia, come una cassetta. Mandi indietro e riparte dall’inizio.
Le sue labbra posarono sul mio collo, poi sulla mascella, sulla guancia e infine finirono il loro tragitto sulle mie labbra, fu come la prima volta, anzi, forse meglio. Combaciavano con le mie come d’incanto, come una favola scritta col lieto fine, lui era il mio lieto fine.
Scivolammo sul sedile, distesi uno sopra l’altro a baciarci come quelle coppiette che vedevo nei film che fino ad all’ora avevo sempre odiato, ma solo ora riuscivo a capire quando bello fosse avere a fianco qualcuno che ti vuole così come sei. Il suo corpo era sul mio, era come fare l’amore coi vestiti, faceva caldo e l’odore di tabacco dalla sua bocca mi stordiva, continuavamo a baciarci con foga senza dare retta all’ora, quando ci staccammo dai miei occhi uscirono un paio di lacrime di felicità, finalmente per una volta ciò che desideravo era mio, ed era la cosa più bella. L’emozione era più grande di qualunque altra al mondo, lui era il mio piccolo tesoro, ora.
 
Il piccolo orologio incorporato della preziosa Mercedes segnava le nove e mezza e il sole batteva dal finestrino semi aperto un caldo africano, la mia fronte era bagnata e stavo sudando come non mai, di tracce di Justin neanche una, feci per chiudere gli occhi ancora qualche istante quando qualcuno bussò dal finestrino del mio posto.
“Scott?” Portai una mano davanti al viso per riparare i miei occhi dal sole mettendo a fuoco una sagoma scura e alta davanti a me. Fece il giro dell’auto e aprii la portiera davanti lanciandomi un occhiata, sorridendomi felice.
“Buon giorno scappata di casa!” Si sedette sul sedile e si girò verso di me, fra le mani aveva un panino del McDonalds e una Coca-Cola.
“Dov’è Justin?” Chiesi, guardando fuori dal finestrino.
“Arriva fra poco, tranquilla.”
“Comunque… Grazie Scott.”
“E di cosa?”
“Per aver parlato con Justin, so che l’hai fatto.”
Scott prese il contenitore della Coca-Cola e ne bevve un sorso lungo leccandosi poi le labbra con la lingua.
“E’ il minimo che potevo fare.” Mi sorrise. “E così adesso sei la sua ragazza…”
“Come lo sai?”
“E’ la prima cosa che mi ha detto stamattina.” Scott rise guardandomi dallo specchietto del auto, io arrossii all’idea del fatto che Justin non pesasse altro che al nostro fidanzamento.
La mia conversazione con Scott stava diventando abbastanza imbarazzante per me ma per fortuna poco dopo vidi Justin in lontananza che veniva verso di noi, quando fu abbastanza vicino da vedere il mio viso gli sorridi timidamente come se fosse uno sconosciuto appena incontrato.
Portava una canotta grigia con dei pantaloni della tutta neri abbastanza larghi, abbigliamento che la sera prima non avevo neanche notato dato il buio, aprii la portiera del guidatore e salì in macchina senza nemmeno guardarmi, forse era imbarazzante per lui aprire discorso su ciò che era successo ieri davanti a Scott quando lo era per me, rimasi in silenzio.
Mentre guidava notai sul suo collo una grossa macchia viola quasi livido, sorrisi fra me e me sapendo benissimo che era dovuta ad un mio succhiotto fatto mentre ci stavamo baciando, rimasi qualche secondo concentrata sul suo collo ricordando le immagini del suo corpo caldo contro il mio, sorrisi di nuovo.
“Mi accompagnate a casa?”
“No, vieni con noi. E’ un problema?” Scott aprii il finestrino dell’auto e ci sputò per poi richiuderlo.
“No, è ok. Sta cominciando a fare fresco, non avete nulla? Ho freddo.” Mi lamentai.
“C’è una felpa di Justin sotto il sedile, vedi se ti va bene.”
Guardai sotto il sedile e trovai una felpa nera con la scritta ‘NY’ su di essa, era larga il triplo di me ma siccome era l’unica cosa che avevo a disposizione dovevo farmela andar bene comunque.
“No, è perfetta. Grazie Justin.” La indossai, le maniche erano lunghe ed era larga, mi arrivava quasi fino alle ginocchia ma mi piaceva lo stesso perché aveva il suo odore, l’odore di Justin. Quel odore che avrei annusato ogni secondo della giornata.
Poco dopo dietro di noi spuntò un furgoncino nero opaco che sembrava seguirci e, dopo averlo fatto notare a Scott, cominciò ad agitarsi in modo incontrollabile.
“Oh cazzo, Justin seminali.”
Justin guardò dallo specchio retrovisore il furgoncino che avevo avvistato io poco prima premendo il piede più forte sull’acceleratore, sobbalzai dall’altro lato del finestrino alla prima curva che fece a tutto gas, guardai di nuovo fuori ed erano ancora dietro di noi, avevano accelerato anche loro e Justin sembrava preoccuparsi.
“Chi sono?” Chiesi, ma nessuno dei due mi diede una risposta, il viso di Scott cominciò a sudare freddo mettendo fretta a Justin continuando a ripetergli di accelerale più che poteva, ma loro erano dietro.
Al prima stradina isolata fuori dalla città Justin accostò spegnendo il motore, il furgoncino si fermò esattamente a qualche chilometro più avanti a noi.
“Nicole, qualunque cosa succeda, tu resta qua.” Guardai Scott che lanciò un occhiata a Justin che rivolse a me, ci guardammo per qualche instante poi aprii frugò sotto il sedile del guidatore e prese una pistola, la caricò e se la infilò nei pantaloni, Scott fece cenno di scendere e aprii lo sportello. Justin scese dalla macchina facendomi cenno di chiudermi dentro l’auto, così feci, bloccai i finestrini e le portiere, ero chiusa dentro.
Dal posto di guida del furgone scese un uomo più grosso degli altri, aveva la barba scura e gli occhi di ghiaccio, riuscii a vedere la furia del uomo anche da lontano. Aprii la porta scorrevole del furgone e scesero altri quattro uomini grossi e muscolosi che venivano contro di noi, quasi tutti in tasca portavano una pistola, cominciai a sudare freddo anche io.
Scott fece il primo passo verso di loro mentre Justin continuava a tenere le distanze, lanciò un occhiata a me, scioccò la mascella e avanzò anche lui indeciso verso gli uomini che si fermarono a pochi metri da loro, uno di loro disse qualcosa che non capii, Justin si irrigidì e Scott parlò contradicendo, l’uomo più grosso si avvicino di più a Scott che fece qualche passo indietro, cominciarono a discutere rumorosamente, ebbi la tentazione di abbassare il finestrino per sentire ciò che dicevano la per la mia sicurezza e per la fiducia di Justin non lo feci, mi limitai a seguire il linguaggio labiale, sembravano molto arrabbiati, tanto che uno sferrò un pugno contro il furgone, Justin sbottò alzando la voce, l’uomo più grosso si avvicino a Scott sferrandogli un pugno nello stomaco che lo fece cadere in ginocchio.
Justin a quel punto scattò come un filmine contro l’uomo che spinse indietro, i quattro uomini li accerchiarono mettendoli in condizione di arrendersi, Justin tirò fuori l’arma che puntò verso l’uomo grosso che a sua volta ne tirò fuori un’altra puntandola verso le tempie di Scott mentre si rialzava.
Uno dei quattro uomini mi sentii strillare mentre guardavo Scott al tappeto, cominciò a venirmi incontro e Justin gli puntò la pistola contro facendo passi avanti ma erano in trappola, strillò qualcosa al uomo che avanzava verso di me ma era evidente che se avrebbe sparato ci avrebbe rimesso la testa di Scott, digrignò i denti confuso, l’uomo si fermò a pochi metri dal mio finestrino, persi di vista la situazione e Justin si ritrovò a dover difendere se stesso e me dal uomo più grosso che cominciò a gridargli contro radunando i quattro uomini in torno a Scott e cominciarono a picchiarlo lanciandogli contro pugni e calci, cominciai a gridare più forte e Justin sparò un colpo al cielo come per dichiarare guerra, l’uomo ordinò ai suoi cani da battaglia di fermare l’attacco, abbassò la pistola e cominciarono a discutere di nuovo, Scott era sul pavimento che giaceva tossendo a più non posso. Poco dopo i quattro uomini fecero retromarcia, e con loro anche l’uomo grosso, prese Scott sotto braccio e lo portò fino all’auto, aprii la portiera dalla mia parte e ce lo infilò dentro che zoppicava e tossiva ancora.
“Oh mio dio, Scott! Scott stai bene?” Justin mi ringhiò contro.
Feci mettere la testa di Scott sulle mie gambe mentre Justin ripartì a tutto gas sulla strada.
“Hai visto che hai fatto?!” Justin mi urlò contro.
“Io?! Non ho fatto niente!”
“Non potevi startene zitta, guarda cosa hai fatto razza di ragazza!”
“Non parlarmi in quel modo, vi avrebbero ammazzati di botte lo stesso!”
“No se tu fossi stata in silenzio, cazzo!”
Feci per ribattere ma Scott alzò una mano in segnò di silenzio, tossì rumorosamente e mi guardò con aria distrutta.
“Justin.. Non è colpa sua, smettila!” Scott rimproverò Justin che fece la prima curva bruscamente.
“Ah no? Allora di chi è la colpa?” Ribatté infuriato.
“Di nessuno, smettila di fare il bambino per una volta!” Gli gridò contro tanto da riuscire a farlo zittire.
Rimanemmo zitti tutto il tempo fino all’arrivo a casa.
Aiutammo Scott a salire le scale con più facilità e una volta in casa lo adagiammo sul divano per farlo riposare, mi sedetti affianco a lui con gli occhi tristi. Justin aveva ragione, era colpa mia se ora lui era ridotto così.
“Scusami, fa tanto male?”
“No, sto bene.”
“Chi erano quei uomini? Cosa volevano da voi?” Guardò Justin che scuoteva la testa impedendogli di dire di più.
“Nessuno.” Rispose Justin, freddo come il ghiaccio. “Hai già fatto abbastanza.”
“Da mesi ci danno la caccia, ci vogliono tutti morti.” Scott sospirò guardando dalla mia stessa direzione, Justin ringhiò alla spiegazione dell’amico scuotendo il capo.
“Non potete semplicemente parlargli?”
Justin scoppiò in una risata rumorosa sfoggiando il suo meraviglioso sorriso bianco.
“Sei sempre così ingenua, Nicole?” Nella sua voce c’era un filo di sarcasmo che mi fece sorridere, effettivamente parlare con qualcuno che non desiderava altro che vederti morto non era proprio il massimo.
Scott mi sorrise alzandosi dal divano tenendosi lo stomaco, poco dopo scomparve dietro la porta della sua stanza lasciandomi in compagnia di Justin che con nonchalance fumava la sua sigaretta senza far caso in nessun modo a me.
“Justin, portala da qualche parte, non vorrai di certo stare qua a badare a me.”
Scott comparve di nuovo senza maglia, sul suo stomaco c’era una grossa macchia color violastro scuro, altre ferite cicatrizzate seguivano dopo di essa, non aveva i muscoli scolpiti come li aveva Justin ma era comunque un bel uomo.
“E dove dovrei portarla scusa?” Justin alzò le mani in aria ruotando gli occhi al cielo.
Scott lo convinse a portarmi da qualche parte ancora non bel identificato, salimmo in aiuto e partì a tutto gas, tirò su il cappuccio della felpa e indossò gli occhiali scuri per non farsi riconoscere mentre sfrecciava sull’asfalto con la sua Ranger Rover nera lucente, facemmo kilometri di strada prima che svoltasse al primo vicolo isolato come quello in cui mi ero infilata la prima volta che lo avevo incontrato, si fermò a pochi passi da dei resti di un edificio andato in fiamme, lo capii dalle pareti nere cenere e dai vetri in mille pezzi e le crepe attorno alle porte.
Justin chiuse la portiera e si avvicino verso di me, si umidì le labbra per parlare ma non disse nulla, io feci altrettanto osservando il prezioso edificio alto e nero. Justin mi condusse dietro di lui all’interno, le lunghe scale a chiocciola che portavano ai piani superiori erano crepate e sola uno strato di macerie e polvere, guardare giù da quelle scale mi metteva le vertigini e ad ogni piede che mettevo sembravano creparsi sempre di più, mi strinsi timidamente al braccio di Justin che guardava dritto davanti a se salendo tutte le scale fino all’ultima. Mentre salimmo sbirciai con la coda dell’occhio varie stanze senza porte, avevano qualche lavagna a gessetto ormai penzolante dal muro, tutte le stanze erano quasi vuote, in alcune c’erano solo macerie e polvere in altre, invece, c’erano delle vecchie cattedre da scuola in legno e vari fogli scritti sul pavimento senza mattonelle. Rabbrividii guardando il soffitto pieno di ragnatele calanti e ragni fermi sulle proprie creazioni fatte di fili di seta quasi invisibili. Si fermò all’ultimo piano dell’edificio davanti all’ultima stanza, unica con la porta, era grigia e ricoperta di polvere fitta con un lucchetto d’acciaio e un foglio di carta attaccato con lo scotch con un avvertenza di “edificio instabile” che Justin strappò dalla porta bruscamente irritato.
“Cazzo, no.”
Imprecò a voce alta gettando il foglio sul pavimento e tirò fuori dai pantaloni la sua immarcabile pistola caricandola facendomi segno di mettermi dietro di lui, fece partire due colpi fitti che scassinarono il lucchetto facendo rimbombare i colpi per tutto l’edificio che mi fecero tappare le orecchie con le mani dal frastuono fastidioso.
“Potevi avvisare però.”
Aprì con un calcio la porta della stanza entrandoci lentamente con la pistola in mano infilandola poi nella cinta del pantaloni da dove era uscita, la stanza era come tutte le altre più o meno, c’erano due cattedre e parecchie sedie e degli scaffali pieni di polvere su cui erano posati vari libri.
“Questa era una scuola?”
“Ma come siamo intelligenti, Nicole.”
“Perché mi hai portato in una scuola abbandonata?”
“Era dove stava sempre mio padre.”
“Faceva l’insegnante?”
Lo sentii ridere.
“No.”
“E allora perché stava in questa scuola?”
“Non stava in questa scuola.”
“Non capisco.”
Mi sentii confusa per le sue affermazioni poi smentite, mi avvicinai a lui per poterlo guardare bene in viso leggendo un’espressione triste.
“Quei uomini che hanno picchiato Scott erano nemici di mio padre.”
“Cosa voglio da te, Justin?” Posai una mano sul suo braccio tatuato guardandolo negli occhi, però lui non contraccambiava tenendo lo sguardo fisso sulle tavole del pavimento come per nascondere i propri sentimenti. L’orologio che aveva sul polso luccicò sotto la luce proveniente dalla finestra rotta dell’edificio illuminando anche il suo viso oscurato dal cappuccio.
“Un tempo lavoravano insieme, ma mio padre scoprii delle cose che non doveva sapere e cominciò la battaglia fra loro. Lui faceva parte di un ghetto, non aveva mai lavorato seriamente, faceva quello che sto facendo io ora. Ma poi, un giorno venne preso di sorpresa e lo uccisero, quel giorno mia madre era li con lui e vide tutto, cercò di chiedere aiuto..”
Sospirò.
“Uccisero anche lei e scapparono bruciando i resti di questa scuola. Avevo solo 9 anni quando succedette tutto questo e Scott era amico di mio padre e per quanto mi ha raccontato, so che lui stava al fianco di mia madre mentre mio padre era in giro a fare chissà cosa. Mi disse di non fidarmi di nessuno ed è quello che sto continuando a fare, ma non mi sta portando da nessuna parte.”
“Di me però ti sei fidato.”
“Solo perché tu non sei come gli altri.”
“E come sono?”
“Sei gentile, dolce, a volte un po’ scorbutica ma sei la creatura più accettabile di questo pianeta, mi fai dimenticare il male.”
Mi sorrise mostrando il sorriso bianco, mi morsi il labbro inferiore dalla voglia di baciarlo ricambiando il sorriso. Non credevo davvero che avesse potuto dirmi cose come quelle che mi aveva appena detto, non ero io la creatura più bella, era lui.
“I tuoi genitori ti volevano bene, e anche Scott te ne vuole, e noi ci saremo sempre per te, non devi temere nessuno Justin. Credimi.”
Strinsi la sua mano con la mia infilando le dita fra gli spazi delle sue, un secondo e tenero sorriso comparve sul suo volto lasciandomi senza fiato, quello era senz’altro il sorriso più bello che avessi mai visto in vita mia.
“Tu non mi vuoi bene?”
“Io ti amo, Justin.”
Per la prima volta riuscii a far restare lui senza parole, potevo vedere i suoi evidenti occhi lucidi sui miei che poco dopo chiudemmo entrambi sprofondando in un lungo bacio lento e appassionato, quasi come uno di quelli che si vedono in tv, solo che noi non fingevamo.
Mi portò sul terrazzo dell’edificio, anche li tutto era andato in fumo, il fuoco aveva lasciato solo le ossa di quel bel ricordo ma il panorama visto da quell’altezza faceva restare senza fiato, potevo vedere casa mia piccola come una formica e le case intorno sembravano così lontane quando invece erano più vicine di quanto pensassi, era qualcosa di spettacolare.
Quando uscimmo dall’edificio era quasi sera e cominciavo ad essere stanca ed affamata, guardai Justin che salii in macchina mettendola in moto per partire, infilò una mano in tasca e tirò fuori le sue Marlboro rosse da cui estrasse una sigaretta che posò fra le labbra accendendola buttando fumo dal naso.
“Vieni da me.”
Sapevo che non era una domanda ma anche se avessi voluto stare tutta la notte con lui non avrei potuto siccome era troppo tempo che passavo fuori casa e i miei genitori avrebbe potuto preoccuparsi –dubitavo di questa opzione- ma oltre a questo, avevo voglia di dormire nel mio letto senza troppi problemi, Justin era fantastico ma stare con lui e con i problemi che doveva affrontare era stancante per una ragazza come me che non sapeva nemmeno cos’era una pistola.
“Devo tornare a casa.”
“Allora vengo io da te.”
Alzai gli occhi al cielo per la sua poca capacità di capire quando una voleva stare da sola ma accettai comunque l’auto invito di Justin, che comunque dormir con lui era sempre stata una delle cose più belle che avrei messo al primo posto.
Parcheggiò nel retro di casa mia facendomi scendere, fece una breve chiamata a Scott avvisandolo che non sarebbe tornato a casa questa sera ed entrai in casa come se nulla fosse, salutai i miei genitori che erano al tavolo pronti per mangiare, accennai un segno di scuse per il ritardo a cena e salii in camera mia, dove Justin era entrato dalla finestra come al suo solito.
“Resta qua, torno subito.”
Corsi di nuovo al piano di sotto facendo un salto evitando gli ultimi tre gradini delle scale entrando in cucina con un sorriso.
“Ciao papà, ciao mamma.”
“Dove sei stata?”
Papà cominciò con le solite domande da poliziotto.
“Fuori.”
“E con chi?”
“Papà, non ho più 12 anni.”
“Quando avevi 12 anni non uscivi per così tanto tempo.”
“Ora sono grande.”
Aprii il frigo e trovai del pane e qualche fetta del salame, perfetto.
“Vado a mangiare in camera mia.”
Annunciai prima di correre su per le scale ignorando i richiami di mio padre sul fatto che non dovevo mangiare in camera e che avrei sporcato qualcosa, aprii la porta della camera e sorpresi Justin col mio telefono in mano che leggeva segretamente i miei messaggi.
“Justin!”
“Hai parlato di me a questa Rosy?” Indicò il display del telefono illuminato su un vecchio messaggio inviato a Rosy in quale parlavamo dell’annuncio che avevo trovato la prima volta sul quale c’era la sua faccia.
“No, e fatti gli affari tuoi.”
Con gesto sfilai il telefono dalle sue mani spegnendolo e lanciandolo sul letto poggiando il cibo sulla scrivania della camera.
“Nessuno sa che ti conosco. Comunque ti ho portato da mangiare.”
“Quindi la nostra è una relazione segreta? Mi piace.” Poco dopo era dietro di me e mi accarezzava i fianchi in modo del tutto provocante mentre con le labbra mi stuzzicava il collo in modo perverso, rabbrividii respingendo i suoi gesti.
“Non posso dire mica a tutti che sono fidanzata col criminale più ricercato di Londra.”
“Perché no? Magari finiamo in prima pagina.”
“No Justin, l’unico posto dove finiamo, tu in galera e io da uno psichiatra.”
Justin rise alla mia affermazione afferra una fetta di salame infilandosela tutta in bocca masticando on gusto, alzai gli occhi al cielo, era come i bambini.
Restò al mio fianco tutta la notte restando all’ascolto di qualche possibile arrivo di padre o madre in camera mia alla sprovvista ma per fortuna non accade nulla di tutto ciò e arrivammo alla mattina senza farci scoprire. Dormimmo quasi abbracciati, io sotto le coperte e lui sopra, sdraiato affianco a me stringendomi come una bambina che aveva bisogno d’amore, tanto amore. Avrei mentito se non avessi detto che stare con lui mi rendeva felice e speravo solo che nella sua testa lui stesse pensando le mie stesse parole.
 
  
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