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Autore: King_Peter    14/07/2014    1 recensioni
Sta per tornare.
La sua storia sta per essere riscritta: paure misteriose rinasceranno, oscure forze.
Dolori dimenticati.
Qualcosa che gli Dei dell'Olimpo avevano persino dimenticato, qualcosa che ha covato rancore tra le fiamme del Tartaro e che adesso risorge per cercare vendetta, quella stessa vendetta che le è stata impedita anni prima e che ora brucia nelle sue vene del mondo come un fuoco.
Quel fuoco che brucerà il mondo.
Quel fuoco che dieci semidei dovranno spegnere.
Quel fuoco da cui deriverà la cenere della vita, il sapore di ruggine della vittoria.
♣♣♣
Sul volto di lei si dipinge un'espressione di terrore, mentre la sua mano corre al pugnale che porta al fianco, legato ad una cintura di pelle.
Cerca di trattenerlo, gli strappa persino la camicia di dosso pur di fermarlo, ma lui continua a camminare verso il mare aperto, non riuscendo più a sentire la sua voce, come se fosse atona, senza suono."

♣♣♣
""Potete solo rispondere alla chiamata."
Fissò ognuno con i suoi occhi millenari, come se stesse cercando di capire il legame che li univa, inutilmente.
"Potete solo giurarlo sul fiume Stige."
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Dei Minori, Gli Dèi, Nuova generazione di Semidei, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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12. This city never sleeps at night
 
 
Hope,
"It's time to Begin, isnt't it?"
 
Hope era rimasta più che scossa quando l'Empire State Building aveva cercato di collassare sotto il suo stesso peso e la cosa le sarebbe sembrata ininfluente se non ci fosse stata anche lei dentro l'edificio.
Quello che si prospettava all'orizzonte livido di rabbia era un esercito di grandezze enormi, troppo difficile da battere per soli dieci semidei che non erano nemmeno nelle loro condizioni ottimali.
Hope fletté la spalla dove una delle arai l'aveva colpita, facendo scrocchiare le ossa del collo e muovendo a ritmo le dita delle mani, come costringendole a svegliarsi da un lungo coma, preparandosi ad un attacco improvviso, cosa che poteva avvenire da un momento all'altro.
Al capo dell'esercito c'era un uomo alto, di bell'aspetto e con un'armatura greca completa indosso, scintillante anche in mezzo a tutto quel nero cupo che li circondava.
Sulla punta dell'Empire State Building crepitarono una serie di fulmini.
Hope sentì un peso stretto sul cuore, ricordando le parole con le quali sua madre aveva avvertito sia lei che sua sorella Lia riguardo ad un incantesimo che avrebbe potuto cambiare le sorti della nuova guerra: spostò lo sguardo dall'uomo che avanzava verso di loro, con fare lento e suadente, incontrando gli occhi scintillanti di sua sorella Lia che aveva fatto apparire un avatar a forma di leone ai suoi piedi e che aveva una voglia matta di sguinzagliare tra le gambe di dracene, segugi infernali e qualsiasi altro mostro stesse pregustando di fare un banchetto con la loro carne semidivina.
Hope si immaginò la scena in cui un lestrigone ordinava ad un fast food della carne.
- Semidivina, divina o mortale? - chiedeva la commessa, mentre con fare annoiato il lestrigone si puliva i denti con uno stuzzicadenti.
- Semidivina -
- Al sangue, ben cotta o bruciacchiata? - continuava la cameriera, quando il lestrigone si spazientiva e inghiottiva prima lei e poi tutti i pezzi di carne che si trovavano nelle cucine, distruggendole e andandosene in cerca di un altro McDonald's dove poter far rifornimento.
Represse il senso di vomito che le salì lungo la gola, accorgendosi di essersi completamente persa tutto il viaggio dell'esercito e dell'uomo verso la porta dell'Empire State Building.
Per essere un mostro, era decisamente troppo bello: capelli scuri e ricci sormontavano la sua testa, visibili solo dopo che si tolse l'elmo di bronzo e lo stringesse tra un braccio e il fianco, mentre sulla sua bocca si plasmava un sorriso a quarantadue denti.
Una leggera barbetta contornava il suo mento, due occhi del colore del mare ci scrutavano attentamente ed emanavano, allo stesso tempo, un misto di curiosità, intelligenza e capacità di strozzarti con un solo dito della mano se non stavi attento.
Hope intuì che l'uomo davanti a loro si era allenato parecchio, perché aveva delle gambe muscolose e un petto che avrebbe fatto girare la testa persino a Brad Pitt in Troy: in sostanza, era l'uomo perfetto, ma Hope dubitava che si sarebbe seduto e avrebbe steso una tovaglietta da pic-nic come avevano fatto le tre dee nella discoteca.
L'ultima notte era cominciata.
L'uomo si fermò ad una decina di metri da Luke, l'ascia di bronzo celeste stretta in mano, lo sguardo battagliero e intelligente almeno quanto quello dell'oplita greco che avevano davanti.
C'era qualcosa che accomunava i due, ma Hope non riusciva a centrare il nocciolo della questione, non riusciva a capire in che modo potessero essere simili.
Trovò accanto a sè Daphne, l'arco ligneo dove era incoccata una freccia.
Atena.
L'esercito alle spalle dell'uomo ringhiò di disapprovazione, ma un altro gesto del greco e quelli si zittirono nuovamente, dopo aver fatto cozzare le loro armi contro gli scudi.
Finalmente Hope aveva capito chi avevano di fronte, aveva capito il perché Luke assomigliasse molto all'uomo dagli occhi cangianti e si chiese come avesse fatto ad essere così cieca.
"Odisseo." ringhiò la figlia di Ecate, gli occhi ridotti ad un unico cumulo di rabbia, "O Ulisse, come dovremmo chiamarti?" chiese, stizzita, mentre il cielo rombava la sua ira.
Lui ridacchiò, tenendo stretta la sarissa*, puntata saldamente a terra.
"Oh, cosa abbiamo qui?" domandò lui a sua volta, muovendo un passo aggrazziato verso di loro, fermato solo dall'ascia permalosa di Luke, il suo sguardo duro e freddo, "Una figlia della dea della magia, a quanto vedo."
Come aveva fatto a capirlo?
Hope spostò il peso del suo corpo da un piede all'altro, nervosa, mentre continuava ad aprire e chiudere le dita delle mani, costringendole a collaborare.
Ulisse mosse due passi, fermato dall'ascia permalosa di Luke e dal suo sguardo duro come due sfere d'acciaio.
"Un figlio di Atena." commentò, compiaciuto, allargando la sua bocca ad un sorriso a quarantadue denti, "Una volta tua madre era la mia protettrice: mi aiutò a far cadere la città di Troia, mi protesse durante il viaggio di ritorno ad Itaca, ma adesso ..."
Un tuono scosse la terra, facendo sobbalzare Daphne che era accanto ad Hope.
"Adesso cosa, Odisseo?" sibilò una voce stizzita che proveniva dall'alto, "Cosa dovrei fare adesso se non distruggerti all'istante?" chiese, retoricamente.
Il greco alzò le braccia al cielo.
"Come desiderate, mia signora."
"Smettila!" sentenziò Atena dall'Olimpo, "Hai perso il diritto di chiamarmi il quel modo quando la brama di potere e la magia, oh, dell'amore hanno offuscato la tua mente!" lo rimproverò.
Accanto ad Hope, Daphne sobbalzò alla parola amore, chiedendosi se in quale modo c'entrasse sua madre.
"Mia signora, portate rancore?" chiese ironicamente Ulisse, ridendo.
Un fulmine colpì l'asfalto a pochi centimetri dai sandali che indossava, costringendolo a sobbalzare e ad arretrare verso il suo esercito.
"Non dimenticarti chi sono." commentò astiosa Atena, l'odore di ozono ancora nell'aria, "Una volta potevi considerarti un mio pari, ma adesso devi stare al tuo posto."
"E per questo che ho cambiato schieramento, dea della guerra." le rispose Ulisse, urlando al cielo, "Niente più dei dell'Olimpo, niente più Atene o Ares. Solo noi."
"Il potere ti ha dato alla testa." ringhiò Atena, mentre il cielo rombava cupo, "Non prenderai mai l'Olimpo!" lo avvertì.
Ulisse rise.
"E come vorreste proteggerlo voi immortali, eh?" chiese, poi abbassò lo sguardo su Hope e gli altri, "Con queste mezze calzette di eroi? Una volta sceglievi molto meglio i tuoi guerrieri, mia signora. Scommetto che non sanno neppure cosa sia il triangolo dell'Espressione."
Hope si agitò sul suo posto, stringendo forte le else dei suoi pugnali avvelenati.
"Non vorrai dire ..."
Ulisse rise, lasciandola basita.
"Si, mia cara figlia di Ecate." commentò lui, quando finalmente la voce di Atena si zittì, "Il collegamento di tre sacrifici umani per risvegliare la dea."
"Non puoi farlo." ribattè impaurita Hope, muovendosi verso di lui, "Ti servono tre semidei per il triangolo e non ne hai ancora preso nessuno."
Lui rise, ancora, e Hope prese in considerazione l'idea di ficcargli un pugnale in gola per zittirlo.
"Errore."
Bashir scosse la testa, guardandolo con orrore, mentre Daphne urlava all'impazzata, come se fosse stata in preda alla follia.
"Lizzie!" urlò, un nome perso nel vento che riportò Hope al campo mezzosangue, "Lurido bastardo!" continuò, incoccando una freccia e scoccandogliela contro.
Ulisse la fermò a mezz'aria, spezzandola in due, un sorriso sadico sul volto che fece venire i brividi lungo la schiena ad Hope.
"E così te ne servono altri due." commentò Luke, l'ascia che aveva assunto una strana colorazione argentea, "Scommetto che sei venuto a proporci di consegnarci per poi ucciderne due e risparmiare gli altri, non è così, traditore?" domandò il figlio di Atena.
Ulisse annuì, compiaciuto.
"Beh, almeno la progenie della dea è più saggia della dea stessa." commentò lui, guardando il cielo aspettando chissà cosa.
"Scordatelo!" ringhiò Lia, l'avatar del leone che le dava manbassa, producendo un rumore poco gentile ed invitante con la gola.
Lui rise, per poco non beccandosi uno dei coltelli di Hope sulla faccia.
"Sarà la mia ultima offerta di pace, semidei." disse, "Prendere o lasciare."
Stranamente fu Warren a parlare, dato che lui di patti se ne intendeva, più o meno, tranne quando si trattava di negoziare con Nemesi.
"Senta, signor conquistatore di Troia, prenda le sue offerte di pace e porti le sue chiappe via di qui, prima che le usi come base per il barbecue di stasera, chiaro?"
Ulisse alzò le braccia al cielo.
"Mi senti, Atena?!" chiese, divertito, "Sarai l'ultima delle dee, quella che costringerò a vivere per osservare tutto ciò che ella stessa ha provocato! Divertiti a guardare morire i tuoi eroi!"
E la battaglia ebbe inizio.

 
 
[...]
 
Warren,
"Do I have Run and Hide?"
 
 
Warren non si era mai sentito meglio in mezzo ad una battaglia: trucidare, infilzare e decapitare erano le attività che più lo divertivano e rinvigorivano la sua salute, visto il potere di suo padre.
Sapeva che c'era un solo, vero dio: si chiamava Morte e l'unica cosa che puoi dire alla morte è non oggi.
Warren non aveva nessuna intenzione di morire, non lì, non sotto i colpi di quello scavezzacollo di Ulisse.
Sfoderò le coppia di katane e cominciò a fare strage dei corpi nemici, schivando, abbattendo dracene e mostri come se fosse la cosa più naturale al mondo, infilzando segugi infernali come se fossero fatti di cartapesta e non sentendo nemmeno un briciolo di stanchezza, continuando a combattere come una macchina da guerra destinata a non essere mai arrestata.
I suoi compagni di impresa erano solo macchie nella battaglia, guizzi fulminei che Warren non riusciva a distinguere: dove vi erano corpi bruciati, dove corpi addormentati, dove corpi distrutti e risucchiati fino alla loro essenza e rispediti direttamente nel Tartaro.
Tutto sommato il loro era un buon assetto, ma stavano lentamente retrocedendo verso le porte dell'Empire State Building, la loro fine, quindi.
Warren non poteva permetterselo, quindi scivolò tra la folla di mostri, menando colpi a destra e a manca, cercando di trovare Ulisse e la sua smania di divertimento: se era follia che stava cercando, follia avrebbe trovato.
Pan per focaccia, diceva un proverbio, ecco: Warren era sicuro che avrebbe rotto tutti i denti di Ulisse così che non avrebbe potuto mangiare né il pane, né la focaccia.
Ma non era facile dato che Ulisse appariva e scompariva nella mischia come se fosse a conoscenza del teletrasporto: il bagliore degli scudi, la lucentezza delle armature per un attimo accecarono Warren che si piegò in due, colpito dalla mazza di un lestrigone alquanto grande, prima di essere polverizzato da un fendente della sua katana.
"Cercavi me?" chiese una voce sulla sua spalla.
Warren caricò il colpo, sfruttando lo slancio verso l'alto e poi azzardando un fendente, accorgendosi solo dopo della falla del suo piano: Ulisse bloccò il suo braccio sinistro e glielo girò, spezzandogli le ossa e facendo urlare di dolore Warren, che perse la presa sulla sua katana.
Anche se sarebbe guarito nel giro di poco, il figlio di Ares si sentì sbilanciato a combattere solo con una mano: attaccò ancora Ulisse con la mano buona, parando un suo affondo e cercando di fargli perdere la presa sulla sua lama, prima di cadere a terra e quasi venire infilzato dalla sua spada.
"Combatti bene." commentò sarcastico Warren, mentre le ossa del suo braccio si mettevano a posto, "Per essere un vecchietto."
Si slanciò verso la katana che era a terra, rotolando e ferendo ad  una gamba Ulisse, trapassando il suo gambale destro.
Ulisse urlò qualcosa in greco, ma Warren non ebbe il tempo di fare da traduttore perché dovette bloccare ancora uno dei suoi attacchi, indietreggiando quando Ulisse gli mollò un calcio in pieno stomaco e, considerato che non aveva un'armatura, fece piuttosto male.
"Non conquisterai mai l'Olimpo." sputò a terra Warren, un sorriso folle in volto, le spade che scintillavano davanti alla luce che emanava la sua armatura.
"Perché lotti con tanto ardore, semidio?" chiese lui, "Gli dei non hanno mai fatto nulla per te, non è così?"
Warren rise.
"Mi hanno insegnato a combattere!" rispose, slanciandosi verso di lui, cercando un affondo, mentre Ulisse lo bloccava e gli spezzava i  polsi.
Warren cadde a terra, dolorante: doveva solo resistere qualche minuto, poi il suo potere di guarigione avrebbe rimesso tutto a posto.
Ma anche quel potere cominciò a mancare.
"Sai, forse dovresti dare ascolto alla ragione o forse è la pazzia a guidare la tua scelta?"
La voce di Nemesi diede voce alle sue paure, rotolando appena in tempo per schivare il suo affondo diretto allo stomaco.
"Smettila di fuggire, semidio!" ringhiò Ulisse, togliendosi l'elmo e lasciando al vento i suoi ricci scuri, "La tua fine è vicina! Tu sei il prossimo passo del sacrificio!"
Qualcuno urlò: Warren ebbe appena un minimo di forze per voltarsi e vedere Selene armata della sua spada e contornata da un'aura di sabbia dorata correre verso di lui.
"NO!" urlò, precipitandosi verso il figlio di Ares.
"Selene, vai ... vai via, ti prego."
Si accorse solo in quel momento che aveva anche due costole incrinate, guardando gli occhi di ghiaccio di Selene, rivolti verso Ulisse.
"Tu, lurido mentecatto." ringhiò Selene, alzandosi in piedi e puntando il dito contro il greco.
"Oh, quale miglior sacrificio se non per amore?" chiese Ulisse, pulendo la sua lama su uno stendardo di un lestrigone, "Dimmi, chi morirà per prima? Tu o la tua ragazza?"
Warren sembrava aver bevuto un sorso di lava incadescente.
"Va via, Sel!" pregò, prima che Ulisse la sbalzasse via quando lei cercò di attaccarlo, cadendo poco più in là, forse svenuta.
Il cielo ringhiò la sua rabbia, mentre tuoni e fulmini si aggiravano tra le nubi, attirati verso la cima dell'Empire Statue Building.
Se Warren doveva morire, doveva farlo a testa alta, come un vero figlio di Ares: si rialzò, reggendosi a fatica in piedi per via del fatto che non possedeva più il potere di guarigione.
Guardò Selene, poi rivolse un sorriso divertito e folle ad Ulisse, aprendo le braccia per consegnarsi al suo carnefice, aspettando la sua stessa fine.
Silenzio.
Fu un attimo: sotto lo sguardo attonito di Selene, la lama bronzea di Ulisse trapassò da parte a parte l'addome del ragazzo.
Warren si spinse ancor di più verso Ulisse, infilzandosi egli stesso con la spada, mentre il silenzio scendeva sulla terra e il mondo sembrava farsi più buio, bagnato dalle lacrime di dolore della figlia di Morfeo, cacciando un urlo roco e cupo che riecheggiò nella solitudine delle vie di Manhattan.
Ulisse sorrise, compiaciuto, gli occhi un unico cumulo di piacere e delizia, mentre si allontava, andando chissà dove e lasciando lì Selene, risparmiandola per bontà d'animo o per crogiolarsi del dolore?
Warren stramazzò a terra con un tonfo, la polvere della battaglia si alzò intorno al suo corpo mentre la vita scivolava via, cercando un posto migliore dove vivere.
Selene si trascinò verso di lui, tutte le ossa doloranti, ma non le importava. Prese il suo volto tra le mani, lo baciò, mentre lacrime amare scendevano lungo le sue guance.
"Sel, scusami ... scusami se sono stato così stronzo."
La figlia di Morfeo non aveva nemmeno la forza di parlare che lo zittì, donandogli un ultimo bacio, quello sussurrato tra le braccia della morte, proprio come gli aveva predetto lo spirito di Bloody Mary che in realtà era Partenope.
Quando Selene riaprì gli occhi, Warren era morto, gli occhi aperti su una distesa di stelle che non avrebbero mai più potuto vedere.
 
 - - - 
*panda's corner*
*Schiva i pomodori marci che stanno per tirargli*
Ok, sono di frettissima, ma devo almeno fermarmi due minuti per contemplare la morte di Warren ç___ç è il mio primo personaggio che uccido in assoluto e devo dire che è stato esaltante davvero bruttissimo çwç
Ma d'altronde, ve l'avevo detto che qualcuno doveva pur morire, no? ç___ç Selene è straziata dal dolore, sopravviverà oppure si lascerà andare per rivedere il suo amato? E i nostri semidei uccideranno Partenope e Ulisse? u-u
Non si sa xD Prossimo aggiornamento mercoledì con il 13 capitolo :D
Alla prossima :') Grazie :3


King


 
 
 
  
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