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Autore: Calenzano    14/07/2014    1 recensioni
Keana, intellettuale del distretto 5, introversa e inquieta. Con tanta passione per i grandi ideali quanta sfiducia in sé stessa. E con il tacito desiderio di una sorella minore. Non certo il tributo ideale per i Giochi. Ma quando Capitol City va a colpire nel profondo, non può più permettersi di restare a guardare.
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovi Tributi, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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L'orrore del reale è nulla contro l'idea dell'orrore.

I miei pensieri, solo virtuali omicidi, scuotono la mia natura di uomo;

funzione e immaginazione si mescolano;

e nulla è, se non ciò che non è.

(W. Shakespeare, “Macbeth”)

 

 

Le spiego cosa deve fare, e lei impallidisce. “Ma non l'ho mai fatto....”

“Non è vero. Ti ricordi quando c'è stato quell'incidente alla centrale Tre, e tua mamma è stata chiamata per il soccorso agli operai feriti? C'eri anche tu, e so che l'hai aiutata a togliere diverse schegge. E' la stessa cosa. Io taglio, e tu cerchi di estrarre il chip. Abbiamo ancora un po' della pomata, vero? Ce la faremo bastare.” Ribatto.

Ci mettiamo in un angolo del seminterrato non visibile dall'esterno, le do il coltellino e preparo un po' d'acqua nel tappo della borraccia. Devo essere pallida come un morto, e ho il respiro corto all'idea di cosa stiamo per fare, ma non c'è tempo di indugiare. Recupero il rivestimento di stoffa della katana, lo arrotolo, facendomi aiutare a legarlo stretto attorno al braccio, in un improvvisato laccio emostatico; e stringo tra i denti un brandello della maglietta. Estraggo la spada, la spolvero velocemente con l'acqua, mentre Codrina fa lo stesso con il coltellino, e mi metto in modo che lei, mancina, possa operare senza impedimento. Poi mi costringo ad avvicinare l'arma all'avambraccio sinistro. Il reticolo di vene e capillari è visibile sotto la pelle pallida, attorno alla piccola massa scura del chip, e per un momento credo di non farcela. Ma poi vedo quanto la mia amica sia concentrata e fiduciosa, anche se tesa, e penso che esitare non mi aiuterà.

Rapidamente, faccio scorrere la lama sulla pelle. E' affilata come un rasoio, e dopo un attimo il taglio si colora di rosso scuro. La fitta è lancinante, e devo poggiarmi alla parete. Lascio cadere la spada, e mi afferro il braccio, mentre Codrina si appresta con il coltello. Credevo che il dolore fosse già micidiale, ma quando affonda la punta nella carne e inizia a cercare di mettere allo scoperto il chip ho davvero paura di non riuscire a reggere. Serro i denti sulla stoffa, ma mi sfugge lo stesso un urlo soffocato. Vedo Codrina sbiancare, per fortuna l'esperienza acquisita accanto alla madre non le viene meno, e continua con fermezza nel suo compito. Purtroppo non ho inciso abbastanza, e lei deve approfondire il taglio, mozzandomi il respiro. Stringo con tutte le mie forze la presa sull'avambraccio, cercando di tenerlo fermo, quando invece vorrei solo strappare via tutto. Cerco di distrarmi pensando confusamente alle citazioni che so sul dolore, poi contando in tutte le lingue che conosco, ma il pensiero che non posso farcela oltre prevale martellante su tutto il resto. Codrina deve ricorrere più volte all'acqua per pulire la ferita e renderla visibile, e spero che faccia finire presto questo supplizio. Tra le lacrime intravedo un raggio di luce abbagliante vagare sulle pareti, l'hovercraft mi sta cercando. Finalmente lei esclama: “Eccolo!” e combinando la lama del coltellino con il punteruolo forma una rudimentale pinza per estrarre il localizzatore. Getto un'occhiata sullo squarcio, ma lo distolgo subito con raccapriccio, e fisso la piccola pozza di acqua rosata che si è formata ai nostri piedi. La mia amica, dopo diversi tentativi, riesce alla fine ad afferrare il chip, stringendolo tra lo strumento e le dita sottili, e con fatica lo strappa via. Temo di svenire, e mordo il lembo fino a bucarlo, ma Codrina bagna abbondantemente la ferita, poi strappa un po' di stoffa dai propri abiti e la fascia stretta. “Appena il sangue si ferma, te la cucio.”

Io mi limito a fare un segno di assenso, boccheggiando. Pian piano il dolore più lancinante si smorza in una serie di fitte a intervalli regolari. “Grazie.” Le sussurro appena ho ripreso fiato a sufficienza. Sono fradicia di sudore, e la mano sinistra mi trema incontrollabilmente. Ora dobbiamo andarcene di qui. Codrina individua una finestra un po' più larga delle altre. Issarmi fuori dal seminterrato con un braccio solo e con la testa che mi gira è quasi proibitivo, e mi devo praticamente far tirare da lei. Ma l'hovercraft è ormai alle nostre spalle, e possiamo allontanarci di soppiatto.

 


Non abbiamo fatto neppure cento metri, però, che mi devo fermare. I capogiri non accennano a smettere, e più di una volta barcollo. Codrina allora assume il controllo della situazione. Praticamente mi obbliga a sedermi al riparo di un cumulo, e a bere a lungo. “Un'altro po'.” Mi ingiunge, quando faccio per smettere.

“Obbedisco.” Dico con un sorriso stiracchiato. Anche se non vorrei, devo ammettere che ha ragione: è bello avere qualcuno che si prende cura di te. Toglie la fasciatura improvvisata e inizia a suturare la ferita, per poi spalmare i resti della pomata. Il sollievo è quasi immediato.

“Devi andare alla Cornucopia, sei ancora in tempo.... Non ti preoccupare per me, davvero.” Dice piano, ma ormai la conosco troppo bene per non immaginare cosa stia pensando.

“Lo so che non vedi l'ora di liberarti di me, ma mi dovrai sopportare ancora un po'. Spiacente.” Rispondo in un debole tentativo di ironia. Ma lei è seria.

“Keana, davvero. Hai infranto le regole... Finirai nei guai.”

“Conosci la storia di Antigone?” Le chiedo alzandomi con cautela. Lei scuote la testa. “Magari te la racconto mentre andiamo da Hebi. A ogni modo, dice che le regole del cuore vincono sempre su quelle ingiuste. Quindi tranquilla. Ora andiamo.”

Ma lei non si muove, e mi fissa con un'intensità che non le ho mai visto. “Non è questo. E' che.... Non voglio che finisci nei guai, ancora di più, per... colpa mia.”

Vorrebbe forse suonare decisa, ma nella sua voce sommessa c'è un mare di emozioni, tutta la sua dolcissima, meravigliosa fragilità. Si è portata dentro questo peso fino ad ora? Mi avvicino e la prendo tra le braccia. Lei risponde quasi convulsamente, e nel giro di poco sta singhiozzando come mai l'avevo sentita fare, lei, sempre così timida e controllata.

“Ehi, ehi. Tranquilla.” Le ripeto, ma anch'io mi sento travolgere dall'emozione. Solo quando intravedo l'hovercraft in lontananza mi costringo a lasciarla. Mi asciugo le lacrime. “Accidenti a te! Ero riuscita a trattenermi finora...” Esclamo scherzosamente, strappandole un sorriso a metà con un singulto. Dobbiamo andare, ma prima la guardo diritta negli occhi arrossati. “Codri... Sei un angelo a preoccupartene. Ma quella di finire nei guai è stata una mia scelta precisa, fin dall'inizio, e tu non devi in nessun modo sentirti responsabile. Hai capito?” Annuisce. “E ho intenzione di andare fino in fondo. Ora andiamo a fare quel che dobbiamo. Dopo, vedremo. Ma intanto saremo fuori di qua. Ok?”

Le porgo il pugno chiuso e lei lo scontra col suo. Le do un bacio tra i capelli, ormai appiccicosi e arruffati, e ci avviamo tra i vicoli. Devo tenermi più nascosta possibile, le telecamere sono ovunque, ma lo sfondo monotono dell'arena non rende semplice individuare la mia posizione. Ad ogni modo, devo sbrigarmi. “Allora, il nostro amico penserà che siate rimasti solo voi due. Visto che lui è armato e tu no, tu cosa faresti al suo posto?”

“Penso... Che verrei a cercarmi.” Risponde Codrina.

“Infatti. Per questo io non devo farmi in nessun modo vedere, fin quando non sarete davanti. A quel punto....” Ma mi turba l'idea di cosa dovrà accadere a quel punto. Per cui ometto il seguito, e mi concentro sui dettagli. “A quel punto si renderà conto di essere in svantaggio, e non gli resterebbe che fuggire per andare ad asserragliarsi da qualche parte, tenendoci sotto tiro. Ormai non dovrebbero restargli che poche frecce, ma non possiamo rischiare. Quindi faremo in modo di attirarlo in un posto dove non possa scappare.” Rifletto su quale potrebbe essere.

Codrina ha un'esclamazione, e al mio sguardo interrogativo si avvicina e mi sussurra all'orecchio: “La galleria! Quella al centro commerciale, da dove siamo fuggite dai manichini.” Intelligentemente ha parlato coprendosi la bocca, per non dare agli Strateghi indicazioni su dove trovarmi.

“Bravissima!” Esclamo con ammirazione. Ma quando cerco un modo per tradurre il piano in pratica, ho un moto di disappunto. E' evidente che stavolta dovrà essere Codrina a fare da esca, e l'idea non mi piace per niente.

 

 

Sto sudando a più non posso sotto il telo grigio che abbiamo trovato semisepolto fra le macerie. Ma almeno così riesco a confondermi con il paesaggio desolato che ci circonda. Ho lo stomaco in subbuglio all'idea di cosa sto per fare. Stiamo per braccare il tributo del 2 come finora lui ha fatto con noi. Ingannarlo, attirarlo in trappola, e poi finirlo. Così, lucidamente, senza pietà. E allora? Qualcosa dentro me si ribella. Lui non lo farebbe, forse? Certo che sì, anzi, lo farà. Ucciderà Codrina come ha ucciso il suo alleato dell'1, se io non lo fermo prima. Sto solo difendendo me stessa e lei. Dopotutto, non l'ho già fatto con Retia? Quando l'ho scaraventata contro il muro elettrico avevo tutte le intenzioni di eliminarla, di annientarla, di farle pagare quel terrore che fino a un attimo prima mi aveva fatto provare. Se ne sono stata capace con lei, perchè con lui no? E' la guerra. Siamo in guerra. O è come se lo fossimo, e allora non c'è posto per la pietà. Bisogna fare quello che è necessario, punto e basta. E poi, mica gliel'ho chiesto io di venire qua. I Favoriti sono tutti volontari, loro sì che lo sono, quindi se la cercano. E non possono lamentarsi, se la trovano.

Respiro a fondo. La verità è che sto per aggredire un ragazzino tredicenne, e che forse già sta immaginando di poter tornare a casa. Hebi è subdolo e pericoloso. Ma chi lo ha reso tale? Chi inculca ai ragazzi dei due distretti privilegiati che è un onore battersi agli Hunger Games? Chi li spinge ad allenarsi fin da piccoli per questo? Chi li rende giovanissimi killer assetati di sangue? Loro. Snow, e il suo odioso regime. L'unica guerra giusta e benedetta sarebbe quella contro di loro. Questa non è guerra, è un gioco al massacro tra disperati. E' per questo che non riesco a odiare i miei avversari come vorrei.

Sono assorta in questi pensieri, quando mi arriva un'eco in lontananza. Ci siamo, mi dico con una stretta allo stomaco. Devo calcolare i tempi al millimetro. Non posso uscire troppo presto, o gli Strateghi avranno modo di capire dove mi trovo. Una volta inquadrata, la galleria è perfettamente riconoscibile. Ma anche ad attendere troppo rischio di non fare in tempo a raggiungere il luogo dell'agguato. Sento il rumore convenuto come segnale, non posso più aspettare. Gettando via il telo, mi appresto alla galleria e inizio a salire le scale. Una volta arrivata in cima, col fiatone, mi infilo nello stretto spazio tra la parete di vetro e la struttura metallica dell'architettura, e inizio con cautela a spostarmi, aderente al cristallo. Cerco di non guardare il vuoto alle mie spalle, e la Rambla diversi metri più sotto, ma la testa mi gira ugualmente. Il raggio laser ha devastato diversi edifici, e gli alberi, laggiù, sono ridotti a scheletri anneriti. Raggingo con sollievo il punto dove la copertura di vetro è infranta. Ora inizia la parte più delicata. Sposto la katana dietro le spalle, e inizio ad arrampicarmi, afferrando una barra dello scheletro d'acciaio, cercando di ridurre al minimo il contatto con il metallo arroventato dal sole. Il braccio sinistro duole ferocemente, e più volte rischio di scivolare, via via che la curvatura aumenta. A un certo punto mi trovo a dovermi letteralmente issare e temo di non farcela, cadrò come ho fatto in allenamento. In lontananza, sopra i tetti degli edifici, appare l'hovercraft. Come temevo, hanno capito dove sono. Con la forza della disperazione, riesco a trovare un punto di appoggio, e annaspando mi ritrovo sopra la copertura di vetro. Dov'è Codrina? Prima di separarci l'ho praticamente supplicata di fare attenzione. So che sarà prudente, ma sono lo stesso sulle spine. “Anche io ti voglio bene.” Mi ha bisbigliato prima di sparire.

E se non fosse riuscita a evitare le frecce? Ma poi lei appare laggiù in basso, correndo a perdifiato verso la rampa di scale. Con cautela mi avvicino al buco nella volta, preparando la spada. Il junior del 2 sbuca dietro di lei, brandendo la balestra. La mia amica inizia a salire la rampa di scale, ne intravedo la sagoma attraverso il vetro. Lui però si ferma in fondo, e con mio grande orrore, lo vedo prendere la mira. Sto per gridare per avvertirla, a costo di mandare all'aria la sorpresa, quando lei si abbassa su un pianerottolo, mandando a vuoto il tiro, e riprendendo la corsa un attimo dopo. Trattenendo il respiro, la seguo con lo sguardo mentre si avvicina. Anche l'hovercraft però si sta inesorabilmente avvicinando. Dai Codri, dai! La incito mentalmente, fremendo di impazienza. E' visibilmente stanca, e lo zaino che porta, come se gliel'avessi lasciato abbandonando l'arena, le sbatte sulle spalle, ma non molla. Finalmente la vedo passare nella galleria sotto di me, e la sua figura torna a confondersi sotto il vetro. Mi arriva una ventata d'aria smossa, il velivolo è ormai a pochissima distanza, posso distinguerne tutti i particolari. Uno scalpiccìo, e finalmente vedo il junior entrare nella visuale. Non penso, semplicemente stringo la katana, e mi lascio cadere nell'apertura.

Non riesco a travolgerlo come avrei voluto, ma lo urto comunque pesantemente, facendolo barcollare e cadere in avanti. La sua espressione quando si volta e mi vede è di totale, sincera incredulità.

“Cosa fai ancora qui...?” Mormora, poi vede l'arma che ho in mano, e la voce gli si fa acuta di spavento. “Non puoi! Non puoi più intervenire, ora sei fuori!”

“Non mi pare.” Rispondo, cercando di suonare fredda, ma la voce mi tradisce, tremando. Mi impongo con tutte le mie forze di non pensare a nulla, devo solo sfoderare e colpire, ora che è ancora carponi e disarmato, dato che la balestra gli è finita per terra nella caduta. Estraggo la spada lasciando cadere il fodero, e mi avvicino al junior, che mi sta ancora fissando attonito. Di certo è l'ultima cosa che si aspettava, è la prima volta nella storia degli Hunger Games che qualcuno osa violare le regole così clamorosamente. Ho i denti serrati fino a far male, e lo stomaco che si contrae con violenza. Muoviti, maledizione! Lo sto urlando? A me stessa o a lui? Non posso farcela, non così. Non con lui che mi fissa immobile, non con Codrina che ci guarda, impietrita. Voglio gridarle di andare via, di non guardare, sarà già abbastanza brutto senza che lei assista. Di fronte a lei, così sensibile, così pura, semplicemente non posso. Dall'alto, improvvisamente, la luce si fa accecante. L'hovercraft è ormai sopra la galleria, e sta proiettando il suo faro diritto su di noi. Gli occhi mi lacrimano, l'urgenza mi martella in testa, ma ancora non riesco ad agire. Qualcosa, dentro di me, percepisce l'abisso che mi si apre davanti, e mi trattiene con tutte le forze dal fare il passo per sprofondarvici. Purtroppo, o per fortuna, l'intromissione riscuote il junior del 2, che ne approfitta per passare all'azione. Si solleva, e si rende conto della situazione. Di fronte a lui ci siamo io e la mia spada; alle sue spalle la galleria finisce nell'invalicabile barriera elettrica. Tutt'intorno a noi solo il vuoto. Ma dietro di lui c'è anche Codrina, immobile, disarmata. Il suo unico ostacolo verso la vittoria, e il ritorno a casa. La fissa cattivo. E con uno scatto felino si lancia sulla balestra. Questo mi provoca un soprassalto, e anch'io mi lancio in avanti, sollevando la katana. Lui, vedendomi attaccare, è costretto a cambiare obiettivo. Si volta repentino e punta l'arma contro di me. In un lampo, quasi per riflesso, ho la consapevolezza che non farò mai in tempo a calare il colpo prima che scocchi, e con una fulmineità che mai ho avuto in mesi di allenamento con Torio, gli scaglio contro la spada. La fretta rende il mio tiro maldestro, ferendolo solo lievemente, ma lo impedisce il tempo necessario perchè possa arrivargli addosso. Agguanto la balestra e cerco di strappargliela di mano. Lui si oppone tenacemente, e si scatena una lotta furibonda. Ci strattoniamo qua e là, avvicinandoci pericolosamente alle pareti di vetro della galleria, e ai punti dove queste sono state infrante, e nessuna protezione separa dal salto nel vuoto. Quanto meno, così vicini, l'hovercraft non può azionare il campo di forza che mi risucchierebbe, o rischierebbe di prelevare anche il mio avversario. Stringo la presa fino a farmi sbiancare le nocche e dolere il braccio ferito, ma lui non è da meno, anzi. E' alto poco meno di me, e ci troviamo praticamente faccia a faccia. Lo sento mugugnare tra i denti per lo sforzo, ma d'un tratto prorompe in un: “Tu hai ucciso la mia amica!” troppo alto perchè voglia farsi sentire da me e basta. “Io le volevo bene...!” Continua producendosi in una smorfia sofferente.

Avverto mio malgrado una fitta al cuore sapendo che non ha torto su ciò che ho fatto, ma anche la rabbia al vedere che neppure adesso rinuncia alla sua commedia. “Falla finita, non ci crede nessuno.” Ringhio, sfruttando l'ira per imprimere uno strattone violento verso il basso. Lui si piega come se stesse per cedere, quando all'improvviso lascia andare una mano cogliendomi di sorpresa e mi colpisce in pieno viso. Ci ha messo tutta la forza possibile, mirando alle labbra gonfie, e io vedo le stelle. Per un attimo rischio di lasciarmi andare, slittando verso il bordo della sopraelevata. Intuisco il vuoto alle mie spalle, e rischio di essere costretta a lasciare la stretta per salvarmi.

Ma prima di riuscire a sfruttare il vantaggio lui lancia un gemito, scostando la testa, e la sua morsa si allenta. Ne approfitto immediatamente, temendo un'altra finta, e torco la balestra finchè non è puntata contro di lui. Un'ultima freccia solitaria è ancora inserita, la punta d'acciaio quasi bianca sotto la luce intensa. Le mie dita sudate si intrecciano con le sue, e non so chi sia a premere effettivamente il grilletto. Ma sento uno scatto, e una vibrazione. Il junior impallidisce, e lascia la presa sull'arma. Me la ritrovo libera tra le mani, e la scaravento giù nella Rambla attraverso l'apertura nel vetro. Quando torno a girarmi, ansante, lui è piegato in due, e si tiene lo stomaco. Resto immobile a guardarlo, finchè vedo qualche millimetro di carbonio, ciò che resta dell'impennaggio della freccia, spuntargli fra le dita sporche di rosso scuro. Cade in ginocchio, poi, lentamente, si affloscia. Il dardo l'ha praticamente trapassato da parte a parte. Dietro di lui appare Codrina, pallida come un morto. Ha in mano qualcosa, ci metto un po' prima di capire che è uno dei pezzi di vetro che coprono il pavimento della galleria. Ora comprendo cosa ha fatto lasciare la presa al tributo del 2. Vorrei ringraziarla, ma i suoi occhi sgomenti sono lo specchio dei miei, e non riusciamo a fare altro che guardarci in silenzio. Perchè Templesmith non dice nulla? Penso confusamente. Poi un lamento mi risponde. Non è ancora finita, mi rendo conto con orrore. Il cannone non ha sparato. Lentamente, come un automa, vado a raccogliere la spada. Quindi tiro un profondo respiro, e torno indietro. I rantoli del junior sono appena udibili sopra il forte ronzare del velivolo sopra di noi, ma a me suonano assordanti. Mi fermo davanti a lui.

“Codrina, non guardare.” La voce mi esce rauca e sgraziata. Ma Hebi invece alza gli occhi e mi fissa, i lineamenti deformati dal dolore. Non credevo di riuscire ancora a provare qualcosa, eppure mi ritrovo a considerare questo ragazzino morente. Ha solo un anno più di Codrina, e ora più che mai sembra un bambino dallo sguardo inquieto. “Non è difficile, Keana.” La voce di Elder pare un'eco distorta. In questo momento, invece, è la cosa più difficile del mondo. Non c'è proprio nulla che in questo momento mi possa soccorrere, nessun pensiero, nessuna filosofia. Solo la promessa che ho fatto, di proteggere Codrina a tutti i costi, e non solo fisicamente. Se qualcuno deve sporcarsi le mani e l'anima, quella sono io. E' l'ultimo prezzo da pagare. Ma la spada sembra più pesante di una montagna. No, non posso farlo. Tanto non è necessario, basta attendere. Tra pochi minuti se ne andrà da solo. Ma proprio per questo, non sarebbe più pietoso intervenire, e porre fine alla sua agonia? Cambio idea almeno tre o quattro volte. Tanto, nel profondo, so che sono state le mie mani a chiudersi sul grilletto. E allora perchè non andare fino in fondo? Chiudo gli occhi, ben sapendo che è inutile. Con uno strattone, sollevo l'arma, lascio che la punta scivoli verso il basso. Ma quest'ultima abiezione mi viene risparmiata. Un sospiro strozzato, il boato del cannone, e quello dell'hovercraft resta l'unico rumore. Apro gli occhi, e incrocio quelli spenti di Hebi. E' finita.

Lascio andare la spada, che rotola a terra rumorosamente. Mi muovo verso Codrina, e ci fissiamo senza una parola, prima di scivolare in un abbraccio incerto. E' curioso, penso stringendola. Fin da quando mi sono concessa di sperare nella vittoria mi immaginavo questo momento come incredibilmente liberatorio. E invece non provo nulla. Né sollievo, né tantomeno gioia. Niente. Solo uno sfinito vuoto, mentre la testa pulsa. La voce di Templesmith, che dopo una lieve esitazione, ci proclama vincitrici della quarantaquattresima edizione degli Hunger Games, mi arriva lontana. Fisso il nulla, e lascio che l'hovercraft cali, scompigliandoci i capelli con lo spostamento d'aria.

 



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E.N.P.


Ma che razza di conclusione...? Banale? Scontato? Datti all'ippica, cialtrona? Boni! Posate quei pomodori. Ancora un momento di pazienza. Nessuno ha detto che sia finita qua, e, come ben sanno i nostri eroi, a Capitol City non apprezzano granché i colpi di testa....

 
  
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