The Severed Garden
Ero di nuovo qui. Lo intuivo dall’inconfondibile scroscio dell’acqua che cancellava qualsiasi altro suono e dal modo in cui a ogni respiro l’aria finiva per serrarmi la gola. Mi trovavo disteso in mezzo all’erba in uno sconfinato giardino privo di vita: non c’era né il canto degli uccelli né il frinire degli insetti. Tutto era immobile e statico, quasi ostile: un locus amoenus a metà, una prigione tanto per il corpo quanto per lo spirito.
Avvertivo il calore del sole sulla pelle, i suoi tiepidi raggi continuavano a solleticarmi le palpebre ancora chiuse. Le serrai con forza, intimandomi di non sollevarle, ma la luce si faceva più intensa e insostenibile...
Spalancai gli occhi, momentaneamente disorientato.
Mi trovavo sdraiato ai piedi del letto, sul pavimento. Avevo le labbra bagnate, vi passo sopra la lingua, avvertendo un sapore salato, leggermente ferroso. sangue.
Provo a mettermi seduto, ma qualcosa mi blocca le gambe. Mi sollevo, liberandomi dal groviglio di lenzuola che mi intrappolava. Decido di andare in bagno a darmi una lavata, ma la testa inizia pulsarmi con ferocia e a darmi le vertigini. Mi sento sfinito. È da quasi un mese che continuo a fare lo stesso delirio notturno, ogni volta accompagnato da quel senso di oppressione che mi impedisce di respirare. In alcune occasioni, nel sogno, ho aperto gli occhi e guardandomi attorno ho notato uno specchio d’acqua in mezzo agli alberi. Ricordo bene che sulla sua superficie vi erano convogliati tutti i raggi solari che filtravano dai rami, conferendogli un colore rosso arancione. L’effetto ottico era meraviglioso, sembrava risplendere di luce propria, ma tutte le volte che provavo ad avvicinarmi ad esso il sogno si dissolveva, ed io mi ritrovavo nel letto, ansante.
Quanto ancora posso andare avanti così? Beh, a giudicare da quest’ultima volta non molto.
Raggiunto il bagno mi ripulisco dai residui di sangue.
Davanti allo specchio fisso la mia immagine. Ho i capelli di un rosso cremisi, perennemente arruffati, la pelle quasi diafana, e occhi verdi smeraldo con particolari cerchi blu inchiostro attorno alle iridi. Non sono solo i miei strani occhi a rendermi diverso, ma anche i lineamenti, quasi androgini. Questo è stato spesso motivo di scherno da parte dei miei coetanei , in particolar modo ai tempi della scuola.
Ma per adesso, questo è l’ultimo dei miei pensieri , perché anche se qui a Londra il tempo per lo più uggioso contrasta solitamente con le stagioni, siamo in piena estate e posso trascorrere le giornate lontano dai miei compagni di corso avendo la casa di mio zio completamente a mia disposizione.
Dopotutto George Derevell, mio zio, al quale sono stato dato in affidamento è forse l’unico parente ad avermi sempre saputo gestire, reputandomi un ragazzo responsabile e competente. Così da quando è partito in viaggio per Stanford, con la nuova e giovane compagna, io ho campo libero.
Agli occhi dei miei genitori sono sempre stato “uno sbaglio”, e fino all’ultimo dei loro giorni mi hanno sicuramente reputato la pecora nera della famiglia. Per il mio carattere acceso molti non vogliono avere niente a che fare con me, probabilmente per paura, per pregiudizio a causa di alcuni eventi che si sono verificati solo in mia presenza. Non è raro che mi arrabbi in modo piuttosto violento, e che simultaneamente i vetri di bicchieri, lampade e finestre cadano in frantumi, o che addirittura i mobili prendano fuoco dal niente… tutti elementi che fanno di me un diverso, un emarginato. Nonostante questa mia condizione da reietto posso considerarmi fortunato ad avere degli amici fidati che sanno come gestirmi e, soprattutto, che non hanno mai creduto a ciò che si dice di me. Credo che si siano resi conto che sotto a tanta tracotanza dimostro un animo fragile e segnato, lo stesso che mi porta ad isolarmi, il più delle volte paura attanagliandomi nella paura di far del male, anche se involontariamente, alle persone a me care.
Col trascorrere del tempo posso affermare di aver imparato a convivere con la mia solitudine, e ho dato sempre meno peso a ciò che gli altri dicono di me, diventando ciò che sono ora e sono sempre stato: un diciannovenne determinato e indipendente, capace di potersi muovere in quel grande teatro che è la vita senza fare troppo affidamento sugli altri.
Non sapendo come meglio spendere il mio tempo libero da esami vari, decido di inaugurare le vacanze gustandomi la colazione, un cornflakes alla volta.
Scostai la tenda della finestra in cucina e sbirciai fuori: un inaspettato sole bussava ai vetri. Non potevo non approfittare della bella giornata e decido di uscire fuori, così ritorno in camera e mi vesto velocemente con una t-shirt grigia accompagnata da una felpa e un paio di pantaloni sportivi. Preparo anche un piccolo zainetto contenente una bottiglia d'acqua, l’inseparabile I-pod, il mio portafoglio e un paio di occhiali da sole. Mentre scendo le scale sento squillare il cellulare e mi precipito verso l'apparecchio.
-Hei, Michael!- è James, il mio migliore amico, che dall’altro capo della cornetta gemeva di eccitazione. -Ciao! Cosa c'è di nuovo? Non è da te chiamarmi così presto.- chiedo guardando l’orologio -Indovina? Alex dopo la festa di ieri sera ha litigato con Mariah e lei lo ha lasciato per...- si interruppe. - Per chi?- avevo un sospetto..-Per me!!- esplose, trafugando i miei dubbi- Non è fantastico?! Ho una cheerleader per ragazza!-
-Bel colpo! Ora speriamo che Alex non decida di darvi la sua benedizione!
Alex è fisicamente ben più robusto di James, nonché manesco, e può considerarsi la rappresentazione dei clichés tradizionali sui ricchi figli di papà, pensando a lui mi viene da aggiungere che e non è tipo affatto raccomandabile visto come adora sperperare soldi.. Lui e Mariah stavano insieme da quattro mesi, ma non avevano mai formato una bella coppia, e la notizia della loro separazione non avrebbe sorpreso nessuno, tutt'altro.
Mi sforzai di immaginare James e quella pettegola insieme...
-Uffa Michael! Sai sempre come rovinare tutto!- protesta – Dimmi, a te le cose come vanno? Dopo ieri sera avrai dormito spero.- - No, ancora quel sogno...- -Non capisco davvero cosa possa voler dire. Te lo ripeto sempre che dovresti informarti, sai? Ci sono molte…. - Non l'ascoltavo più ormai, quando iniziava con i suoi soliti discorsi da psicologo sull’interpretazione dei sogni e sul simbolismo diventava insostenibile per uno come me che non credeva a queste cose, e che non ha tantomeno mai avuto fede. – James perché non fai un salto da me, Mio zio è partito ieri sera e visto che sei sveglio potremo andare a farci un giro e dopo giocare alla play- proposi, interrompendo le sue astruse teorie –Mi spiace, Mike ma quest’oggi avevo in programma di portare la bella a spasso, giusto per vedere come va.. ti posso raggiungere in serata-
Sorrido, pensando a quella strana coppia – Per questo ti ho chiamato così presto- -Non importa, organizzeremo qualcosa domani, ok?- -Bien. Se vuoi che venga stasera dimmelo! Stammi bene Michael!- riattacca.
Mi dirigo verso la porta attraversando corridoio e salotto. Una volta fuori mi guardai attorno. L'aria quel giorno era insolitamente calda, frizzante e salubre. Il sole brillava nel cielo di Londra e non c'era una nuvola. Incredibile! I giorni estivi così sono rari. Guardo l'orologio, sono da poco passate le nove e per le tranquille strade del quartiere non passa molta gente; così mi avvio verso il parco più vicino, il Vicky Park.