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Autore: Chesy    15/07/2014    5 recensioni
Ci sono quattro elementi che governano il mondo:
- Acqua;
- Fuoco;
- Terra;
- Aria.
E se ognuno di loro avesse una storia, che cosa racconterebbe?
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Alec Lightwood, Magnus Bane
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«L'aria fresca della sera è il respiro del vento che si addormenta placido tra le braccia della notte.»
Umberto Eco
 
-Magnus.-

-Mh.-

-Maaaagnus.-

-Mmmmmph.-

-Magnus?- sbuffò divertito. –Dai amore, svegliati, o faremo tardi.-

Lo Stregone si voltò verso la fonte della voce, il volto per metà affondato nel morbido cuscino: osservò il ragazzo per qualche istante, un sorriso dolce sul viso, gli occhi da gatto che scintillarono per l’emozione.

-Mi hai chiamato “amore”?- allungò pigramente un braccio verso Alec, biascicando ogni parola. – Che splendido buongiorno….vieni qui.-

Afferrò la maglietta del ragazzo e lo trascinò tra le lenzuola, baciandolo appassionatamente: Alec chiuse gli occhi, lasciandosi trasportare, permettendo alle dita di scivolare dietro alla nuca di Magnus e lungo i suoi muscoli addominali, accarezzandoli.
Qualcosa scattò, però, nella sua testa, costringendolo a staccarsi dal bacio, a malincuore: il sapore dello Stregone sulle labbra, il suo fiato sulla pelle, la mano posata sul fondoschiena e una sul petto, dove batteva il cuore. Maledizione, era la tentazione peggiore, quell’uomo.

-Magnus….asp….aspetta.- tentennò a fiori di labbra, la lingua maliziosa dello Stregone a pochi millimetri dalla sua, il fiato che scivolava tra le due cavità, come se fosse l’unico ossigeno capaci di tenerli in vita. –Sessione di sesso mattutino da scartare…..Jace e gli altri ci stanno aspettando per la festa, non possiamo deluderli…-

-Uhhhhm, che peccato.- schioccò le labbra, seccato. – Proprio oggi volevano festeggiare il nostro anniversario? Me la pagheranno….-

Nessuno dei due si mosse, Alec ancora chino su Magnus, le dita pallide un contrasto vivido con la pelle scura dell’uomo: le braccia lunghe e fini cingevano ora il collo del Cacciatore, lasciandogli lo spazio per muoversi e guardarlo negli occhi, blu e pietre verdi-dorate a confronto.

-Dai, non fare così….sono stati gentili a organizzare la festa.- sorrise. –Una festa con tanti invitati.-

-Poco importa….-  sbuffò, perdendosi ancora un istante in quegli occhi blu.

Alec ghignò, scostò le coperte e le lenzuola scomposte, dando a Magnus un ultimo bacio sulla fronte: i capelli scuri gli ricadevano attorno alle guance, una parte di essi tirati indietro da un elastico che, dispettoso, sembrava lasciare quei fili d’inchiostro liberi d’incorniciare il viso, invece di fare il suo dovere.

-Ti aspetto in cucina….il caffè è pronto.- e uscì dalla porta.

Lo Stregone osservò il soffitto: mai prima di allora, si era sentito così poco in vena di andare ad una festa, anche se sapeva esserci ogni amico e compagno di lunghe e difficili avventure. Roteò gli occhi, passandosi le mani sul viso, l’anello dei Lightwood che brillava nell’anulare sinistro.

-Potrei alzarmi solo se fossi certo che il caffè te lo versi addosso, e sono costretto a leccartelo via.-

-Ti ho sentito, sai?-
 
 
La serra, illuminata dalle candele, dipingeva sulle poche piante bagliori dorati: che fossero daphne bianche oppure semplici gelsomini, fiori d’arancio o piccoli lilium, poco importava. Le ampie finestre a vetro erano un sottile separé trasparente che divideva gli invitati dalla città velata dal tramonto invernale: raffiche di vento sferzavano gli alberi e facevano tremare leggermente gli infissi, ma nulla di troppo grave. Clary si era data da fare, e nulla era sfuggito al suo sguardo: cosparso di rune l’intero edificio, quest’ultimo non poteva crollare neanche se avesse voluto.
L’ampia sala – da principio dipinta di bianco, con qualche zona in legno scuro a vista - era stata decorata con semplici tende blu notte, interrotte, di tanto in tanto, da un coloro oro delicato, quasi misto all’argento: tavoli ricolmi di cibo erano stati sistemati verso l’esterno, sedie e piani, con tovaglia e apparecchiatura completa, si disponevano a semicerchio, lasciando il centro sempre sgombro. Un pianoforte bianco occupava un angolo della stanza, il più vicino possibile allo spiazzo vuoto creato apposta solo per una cosa: ballare.
Ed era proprio sopra di esso, che il vetro rivelava un cielo blu intenso, con nuvole ancor più scure, che correvano rapide trasportate dall’aria fredda: le stelle brillavano come puntini lontani, quasi invisibili, in una notte priva di luna.
Il vociare delle persone riempiva ed echeggiava in ogni spazio: amici vicini e lontani, pochi e intimi, erano stati invitati a quella festa in cui Magnus e Alec erano i protagonisti. Il primo si sentiva perfettamente a suo agio, tra Nascosti e Nephilim, agghindato con una giacca nera e una semplice camicia bianca, sopra un paio di pantaloni scuri e scarpe altrettanto cupe, ma lucide. L’unico eccesso erano i glitter blu e oro – il medesimo, chiaro, delle decorazioni- che tiravano indietro i capelli scuri, scoprendo il viso spigoloso ma addolcito da un ampio sorriso.
Il secondo, ancora non si era abituato a tante persone attorno: sì, erano tutti amici. Sì, non era poi una festa che coinvolgeva ogni clan o essere della città – elementi indispensabili alle feste di Magnus -, ma proprio non era quello il suo ambiente: se con lo Stregone si completava, allora era quello, uno dei tasselli che andava riempiendosi solo con la presenza della sua altra metà.
Come il compagno, aveva in dosso abiti scuri – un gilet abbinato a pantaloni e scarpe del medesimo colore -rotti da una camicia bianca, sbottonata e sotto al quale spiccavano i marchi vecchi e nuovi, tracciati sulla pelle diafana: i capelli neri erano stati sistemati, con una riga, sulla sinistra, lasciando la parte del viso destra libera dalle lunghe ciocche.

Magnus, da lontano, si soffermò a guardarlo, sorridendo nel vederlo fuori dai suoi soliti abiti malconci, elegante e ben curato, quasi non fosse più lui: eppure il semplice colore roseo delle gote e la sua figura lievemente ingobbita, non lasciavano dubbi sul fatto che fosse il suo Alexander.
Jace, Clary, Isabelle e Simon si affiancarono al suo ragazzo, come sostegno morale: in mano i bicchieri con liquidi colorati, i volti rilassati e sorridenti, le parole rivolte al giovane Cacciatore piene di affetto e sincera felicità. Quando Luke alzò il calice, invitando tutti al brindisi, la gente urlò il nome dei due sposi e si congratulò ancora con loro, festeggiando la loro unione: che fossero felici in apparenza, ma che in realtà covassero ancora dubbi su di loro, poco importava. Quel giorno era importante e Robert sapeva di dover evitare di mettere in piedi – voluta o non – una scenata, cosa che pensava anche Maryse.
[La canzone suonata da Jace è "You found me" dei "The Fray",
Piano cover.]

Magnus lanciò un’occhiata a Jace che, staccatosi dal gruppo, raggiunse il pianoforte bianco e, dopo un breve attimo di silenzio, prese a suonare, le dita forti del guerriero così delicate sui tasti, agili e rapide tanto da concepire una dolce melodia. E, lentamente, lo Stregone posò il calice sul tavolo, avvicinandosi ad Alec e allungando, verso di lui, la sua mano sinistra, quella con l’anello che gli aveva donato pochi anni prima: il ragazzo guardò la sorella, che sorrise, prendendo il suo bicchiere. Clary gli diede una lieve spinta, Simon alzò in pollice come incoraggiamento.

E fu tra le braccia di Magnus, in mezzo alla pista: la musica chetava ogni parola, ogni pensiero. Per Alec, in quel momento, non c’erano sguardi rivolti a loro, pensierosi nell'osservare due uomini ballare, felici di vederli insieme, delusi, orgogliosi o chissà cos’altro. Per il Cacciatore c’era solo lui, l’uomo che aveva scelto come suo sposo: aveva amato una sola volta nella vita, e la sua fortuna era stata di trovare subito la sua metà.
Dicendo “ti amo” aveva sancito un legame: in molti dicevano quelle sillabe, ma poi capivano che non era qualcosa in cui credevano, e si lasciavano, perché non sentivano altro che fredda indifferenza. Lui no, aveva scelto Magnus: aveva scelto di fare un salto nel vuoto, amandolo, senza ripensarci. Perché, anche nel momento più buio della loro relazione, non aveva mai smesso di sentire quel calore tanto forte e delicato, come un battito d’ali: ogni volta che lo guardava, che lo toccava, che lo ascoltava, si presentava, sempre più deciso.

E lo sapeva, non ci sarebbero mai stati ripensamenti: se fosse tornato indietro, avrebbe scelto ancora Magnus.

Alzò lo sguardo su di lui, la mano sinistra stretta nella sua, l’altra che lo spingeva, dal busto, ad aderire perfettamente al suo corpo: incrociò i suoi occhi da gatto, un riso appena accennato sul volto, il fiato che spostava le ciocche nere. Sorrise, Alec: gli occhi blu illuminati da qualcosa di intenso, le labbra tirate, i denti bianchi e scintillanti scoperti.

Magnus sentì battere il cuore del suo sposo contro il suo petto, come se cercasse di stimolare il suo a seguirlo: come se gli dicesse “ehi, batti forte con me, non lasciarmi solo.”
Si ricordò le parole che disse al ragazzo, che più nulla l’avrebbe stupito, dopo anni passati a camminare tra le epoche, vedendo le persone care morire: niente, proprio niente l’avrebbe riscosso dal torpore che l’aveva ricoperto. E poi era apparso lui, con i capelli neri e gli atteggiamenti schivi, i tratti dolci, la rabbia e la tristezza nel cuore: la sua voglia di proteggere, di essere migliore.
Alec era arrivato, e tutto era cambiato. Il torpore era svanito, e aveva ricominciato a vivere, senza accorgersene: realizzò in quel momento, solo in quel momento, quanto era cambiato da quel giorno di tanti anni fa, ad una delle sue solite feste.
Per Lilith, quel ragazzo l’aveva salvato. Senza saperlo, l’aveva fatto: essendo semplicemente se stesso, era riuscito a riscuoterlo e a renderlo nuovamente Magnus, il ragazzo che si era perso tra le epoche, desideroso di amare ma timoroso di piangere la scomparsa di coloro a cui teneva.
Avvicinò le sue labbra a quelle di Alec, socchiudendo gli occhi: tra le ciglia brillavano frammenti di oro, verde e qualcos’altro.
Non un colore, ma un misto di sentimenti.
Attorno a loro, alcuni si erano uniti alla danza: mano nella mano, uniti, tutti avevano qualcuno con cui condividere un ballo. Clary vicino a Jace, che ancora suonava; Isabelle e Simon, Jocelyn e Luke….

Era quello, era solo quello: una danza di vite, di amori, amicizia e affetto. Un ballo in cui fiammelle dorate prendevano parte, senza accorgersene, sospinte da un vento che le smuoveva senza che realmente se ne capacitassero: un vento che sospinge tutti, anche se non lo sappiamo.
Poi un suono, fastidioso, come uno stridio: Jace s’immobilizzò, fermando la musica di colpo. Alec si ridestò dal sogno in cui era caduto, come lui anche Magnus aveva l’espressione di chi viene svegliato bruscamente: Isabelle e gli altri si allertarono, Robert diede ordine di prepararsi, poiché i demoni erano entrati in azione.
Il Cacciatore osservò suo marito, titubante: il cuore che voleva restare, il corpo già in corsa verso l’armeria.
Magnus si fece scuro in viso: gli diede un bacio, rapido, e lo guardò andare via.
Lo sapevano entrambi: era quello il suo dovere e non poteva ignorarlo. Neanche il giorno del loro anniversario, neanche allora avrebbero potuto ignorare il dovere dei Nephilim.
Rimase fermo lì, alcuni ospiti che osservavano i Cacciatori sparire oltre la soglia, altri che mormoravano: senza musica, fu come se l’ambiente fosse diventato, improvvisamente, gelido. Senza la sua presenza o quello di tutti gli altri, nella stanza echeggiava il silenzio.

-‘Sta attento, Alexander.-

 
 
Era oramai notte fonda: Magnus continuava ad andare avanti e indietro per il salotto, il bel vestito sostituito da jeans e maglietta. Sapeva che Alec tendeva ad avvisarlo, quando faceva tardi: sapeva che, se fosse accaduto qualcosa, Jace e gli altri lo avrebbero chiamato.
Anche il Presidente sembrava irrequieto: continuava a scendere e salire dal divano, avvicinandosi a Magnus come se cercasse risposte che, però, neanche lui aveva.
Sapevano entrambi che non era la prima volta che Alec tardava: era un Cacciatore, a volte il suo dovere lo tratteneva per molto, molto tempo, e non…..
Uno scatto e la porta si aprì: Magnus si congelò sul posto, mentre il Presidente correva in quella direzione. Alec apparve sulla soglia, tra le braccia due fagotti: aveva i capelli incrostati di sangue e polvere, così come la pelle, e nei suoi occhi c’era un velo di paura. Osservò lo Stregone, forse sorpreso di trovarlo lì, ad attenderlo: fece qualche passo avanti, incerto sì, ma non tanto da farlo cadere.

-Aiutami, non ce la faccio.- sussurrò.

Magnus accorse, due falcate e fu da lui: prese uno dei due sacchi che il giovane teneva tra le braccia, stringendolo, mentre la stoffa cadeva a terra, rivelando il contenuto.
Un cuore batteva deciso sotto le sue mani, la pelle calda entrò in contatto con la sua: due braccia velate di squame verdi si contorsero, sporche di nero e rosso. Due piccoli occhi scuri lo scrutarono, pieni di lacrime: la bocca sigillata, a trattenere singulti muti e pieni di dolore.
Diamine.
Stava tenendo tra le braccia un bambino.

[.....]
 
-Quindi li hai salvati da….quell’attacco. E adesso cosa vorresti fare?-

-Non lo so….ho promesso alla madre che me ne sarei preso cura, ma…..era delirante, non capiva, non sapeva chi ero…..potrebbe avermi scambiato per qualcun altro.-

Alec trasse un profondo respiro, ma lo rilasciò dopo un attimo: guardava dinanzi a se, la spalla appoggiata a quella di Magnus. Aveva un cerotto sulla fronte, i capelli bagnati dopo la doccia che si era fatto: lo Stregone non aveva cambiato espressione da quanto l’aveva visto varcare la soglia, sporco e sconvolto, con due bambini tra le braccia. Ora guardava il Cacciatore, il tono mite ed equilibrato, quasi stesse parlando con un animaletto selvatico.
L’alba illuminò di grigio l’intera dimora, velando di toni cupi anche gli elementi dai colori più accesi: il respiro ritmico di due bambini riempiva il silenzio che si frapponeva tra i due ragazzi, costringendoli a parlare sottovoce, per non svegliarli.

Alec, non appena aveva messo a letto i piccoli, aiutato da Magnus – con un pizzico di magia, si sa- aveva spiegato la faccenda con lucidità, lasciando che però la sua voce s’incrinasse in più punti: un gruppo di demoni aveva attaccato una zona appartata, dove bordelli e sale da gioco si alternavano lungo il viale. Nonostante si fossero organizzati per sterminarli senza fare vittime, uno di loro gli era sfuggito e aveva sfogato la sua rabbia contro una donna: quest’ultima, morente e trovata proprio da Alec, l’aveva pregato di prendersi cura dei figli. Figli che, presto, aveva scoperto altro non essere che figli di un demone.
I tratti che portavano lasciavano ben poco all’immaginazione.
E così se li era portati dietro, due fagotti gemelli di due anni, sconvolti e piangenti, nonostante le proteste dei suoi compagni e dei genitori: sapeva solo che aveva fatto una promessa o, meglio, era stato costretto a farlo. Solo per lei, quella donna dai capelli neri e gli occhi grigi: quella donna che lo vedeva e lo supplicava.

-Non so neppure il suo nome…- mormorò. – Come quello dei due bambini.-

Sospirò e guardò Magnus: Alec era posato in avanti, mani nei capelli arruffati, i denti stretti, la mandibola rigida. Lo Stregone posò una mano sulla sua spalla, accarezzandogli, con le nocche, la spina dorsale.

-Perché….- si schiarì la voce. –Perché non li teniamo con noi?-

Il Cacciatore alzò lo sguardo sull’uomo: non aveva gli occhi sgranati per la sorpresa, o la classica espressione che prometteva una crisi isterica. Lo sguardo di Alec era fermo, deciso, le labbra presto si mossero in un’inca domanda.

-Ne sei…..sicuro?-

Avevano parlato di adottare, di allargare la famiglia, ma non così: pensavano di parlarne ancora, di discutere insieme, di decidere quando e come. Ma tutto era accaduto così velocemente che neanche se ne erano accorti: ora la possibilità era davanti ai loro occhi, avevano una scelta.

Quale strada avrebbero preso?

-Sì.- rispose, e non c’era tentennamento nella sua voce.

Era diretta, proprio come il suo sguardo: intrecciò le dita con quelle di Alec, lasciando che i suoi occhi scivolassero sugli anelli che si erano scambiati, sui palmi uniti.
Guardò il Cacciatore con tanta sicurezza e amore, che questo non si trattenne dal baciarlo: ma Magnus prese a parlare proprio quando fece per avvicinarsi.

-Diamine, sì. Ne abbiamo parlato a lungo, era ora c’è questa possibilità: chiederemo l’affidamento, ci occuperemo di loro. Sono tanti i figli di demoni che non hanno una guida, allo sbando.- gli occhi si velarono di tristezza. –Possiamo dare loro una casa, Alexander. E lo faremo insieme.-

Parole che volevano dire: “non sei solo, ci sono io con te.”
E Alec non si trattenne più: lo baciò sulle labbra, sul naso, strinse la presa sulle sue mani e lo accarezzò, cercando sotto al palmo la pelle soda dello Stregone. Magnus schioccò le dita, isolando i loro suoni dal mondo che li circondava, cosicché i bambini che riposavano non potessero sentirli.

Vento.
Portava novità, trasportava i sentimenti e i ricordi: l’aria era capricciosa e volubile, ma anche dolce e premurosa, quando lo desiderava, quando sentiva di doverlo essere.
Scivolava nell’anima e nel cuore, risucchiava e trascinava via granelli di dubbi e di vite piene di dolore: gonfiava i sentimenti come la felicità e l’amore, faceva vivere chi abitava le lande polverose o verdi della Terra.
Sembrava sospingere le convinzioni, renderle vere: quasi suggeriva, con un bisbiglio, che strada intraprendere e qual era, secondo lei, quella giusta. Il vento gridava gioia e dolore: il vento era un mezzo per comunicare sete o fame, bello o brutto, nuovo o vecchio, indifferenza e amore.
E, in quel momento, scivolavano nell’aria echi di piacere: sospiri umidi, promesse certe di un futuro fatto di salite e insicurezze, ma di affetto e aiuto reciproco. Il vento era, ora, ciò che avvolgeva i due amanti che, dinanzi a lui, avevano promesso e deciso: non da soli, ma insieme.
Ecco cosa diceva, il vento.

 
-E così siamo genitori, eh?-

Magnus strinse Alec a se, le dita che scivolava tra i capelli lunghi, giocando con le ciocche: i suoi occhi guardarono il Presidente, acciambellato nel letto spostato, con uno schiocco, nell’area libera del soggiorno.
Vegliava sui due bambini, come uno zio premuroso.

-Già.- rispose. –Sì, ehm, ora ho un dubbio.-

Magnus tornò a fissare Alec, lasciando il gatto e i due piccoli addormentati, privi del suo sguardo.

-Sarebbe?-

-Chi fa la mamma? –

Ci fu un attimo di silenzio, e Magnus inarcò un sopracciglio, senza smettere di osservarlo: baciò Alec, le guance arrossate come uno schizzo di rosso sulla tela bianca.

-Ovviamente tu.- rispose, sicuro.

-Faticavo ad immaginare una risposta diversa.-

E si mise a ridere, seguito da Magnus.
Un bacio delicato pose fine loro discorso.



Lo Stregatto Parla.

Mi volete bene? Spero di sì.....sto crollando, ma tengo duro solo perchè voglio postare questo capitolo, solo per voi. Sono ispirata, che volete farci: che cosa sono, in confronto, ore di sonno perse o simili? Domani inizio un nuovo lavoro e non ho studiato niente e la colpa è vostraaaaaaa!!
Scherzi a parte, spero che "Vento" vi piaccia: il prossimo capitolo è facilmente intuibile e sarà anche l'ultimo, sigh....
Comunque, oggi ho pensato a tutto quello che volevo scrivere, ma ora non mi viene in mente: un grazie speciale a Stella13, che mi segue sempre e, nella mia prima FF, è stata la prima a sostenermi e a incoraggiarmi. Ti dico grazie solo ora, scusami.
E grazie a _black_rose_ che mi ha dedicato il capitolo della sua FF.
Voi non mi vedete, ma vi sto abbracciando forte forte: non avete idea di quanto sia importante, per me, il vostro sostegno e le vostre parole.
Chi non ho citato, non pensi di essere meno importante: siete tutte/i importanti, allo stesso modo.
Grazie di cuore.
Ora vado, mi serve un caffè per svegliarmi....e una tisana per andare a dormire.

Ps. CoHF è ancora sul comodino vicino al letto, lo leggo piano piano, anche se ho già estrapolato tutte le scene Malec (non si dovrebbe fare, ma chissene!).
Ps.2. Mi auguro di vedervi al prossimo capitolo, "Terra", sperando di non cadere nello scontato >.<
  
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