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Autore: Oducchan    01/09/2008    3 recensioni
da qualche parte nel nulla, covo dell'Akatsuki, notte. Deidara si aggira insonne per i corridoi cercando di uscire senza farsi notare, ma incappa in Sasori e nella sua intransigenza. perchè il biondino preme tanto per andare al villaggio più vicino? cosa si nasconde nella sua tristezza? è solo il preludio di una notte strana, un po' movimentata, una notte sbronza. un preludio a una svolta nella particolare "amicizia" che lega i due artisti.
Genere: Triste, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Akasuna no Sasori , Deidara
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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IT’S OUR DRUNK NIGHT

 IT’S OUR DRUNK NIGHT

 

La porta si aprì con un lieve cigolio, subito trattenuta da due mani che la accompagnarono per evitare che il rumore si protraesse, insieme a un’imprecazione soffocata. I passi, lievemente dubbiosi, si susseguirono leggeri nel corridoio, interrompendosi a intervalli regolari per permettere al loro proprietario di ascoltare il silenzio della notte.

In una delle stanze silenziose, Akasuna No Sasori abbandonò un’attimo la marionetta che stava costruendo, disturbato da quei movimenti circospetti, e tese l’orecchio per tentare di determinare che cosa, o chi fosse la fonte di tali rumori. All’avvicinarsi dell’incerta camminata, ruotò lo sgabello sul quale sedeva e si alzò da tale postazione, scocciato, per andare alla porta della sua camera e accostarla quel tanto che gli consentiva di sbirciare fuori, nel buio più totale : ancora suoni strascicati, titubanti, quasi intimoriti. Che stava succedendo?

Poi si avvertì uno scalpiccio convulso, un tonfo secco, qualcosa che rotolava e una sonora parolaccia all’indirizzo dell’universo; il rosso aprì definitivamente l’uscio, appoggiandosi scontroso allo stipite mentre allungava il braccio per accendere l’illuminazione artificiale con un gesto secco. Ormai in quel covo di matti non si poteva più stare tranquilli neanche in piena notte? E dire che sceglieva proprio quelle fasce orarie per lavorare nella sua stanza per non venir in alcun modo interrotto.

Sbuffò contrariato, riconoscendo nella figura spalmata a terra, inciampata in un’arma lasciata sbadatamente in giro da Hidan in mezzo al camminamento, quella ormai molto familiare di Deidara.

-che diavolo stai facendo?- gli chiese con un sospiro esasperato, incrociando severo le braccia.

Il biondo alzò lo sguardo, lasciando perdere per un istante la caviglia che si massaggiava con foga, e in pochi secondi inquadrò e registrò la presenza, e il cipiglio, del compagno di squadra. Normalmente, avrebbe biascicato qualche scusa o sarebbe strisciato via con la coda fra le gambe, ma quella sera appariva parecchio strano, quasi nervoso: sbuffò, alzò gli occhi al cielo, e puntò le braccia al suolo per rimettersi in piedi

-che cavolo ci fai ancora sveglio, danna?-

-che ci fai tu sveglio, idiota. Lo sai che io non dormo- rispose lo Scorpione con astio, squadrandolo velenoso da capo ai piedi. L’altro reagì con una smorfia di ironia acida, storcendo gli occhi e il viso

-oh, scusa tanto se me lo sono dimenticato, uhn. Posso sapere ora che caspita vuoi?-

-senti, ragazzino, sei tu che al posto di startene nel tuo letto sei andato in giro a far casino, quindi vedi di tener bassa la cresta- con un gesto secco del polso, fece aderire dei fili di chakra azzurro alla marionetta e allo sgabello, trascinandoseli vicino per ritornare a lavorare: aveva la netta sensazione che quella conversazione sarebbe durata ancora un po’ -allora, dove stavi andando?-

-da nessuna parte. Mi sgranchivo le gambe, uhn- rispose rigido il biondo, evitando accuratamente di incrociare il suo sguardo e iniziando a giocherellare con le lunghe ciocche di capelli.

-ah, certo. Siccome oggi non hai fatto sufficiente chiasso, mi pare logico che tu continui pure di notte!-

-abbassa la voce, danna- si guardò attorno, le iridi chiare a soffermarsi sulle porte chiuse, accompagnandosi con ampi cenni delle braccia –sennò si svegliano tutti-

-perché? Hai qualcosa da nascondere, nel tuo peregrinare notturno?- gli domandò a bruciapelo con un sorriso si sufficienza e godendo della sua espressione furiosa e arrabbiata. Però venne colto subito dopo da una strana agitazione, quando Deidara, senza rispondere in qualche modo alla provocazione, tentò di superarlo per proseguire la sua camminata.

-dove stai andando?- gli chiese ancora, con un’insolita intonazione accorata, maledicendosi subito per quella minuscola e per lui incomprensibile debolezza. Il munekin della pietra, per quanto stupito pure lui, tornò a voltarsi nella sua direzione fulminandolo con uno sguardo di fuoco

-ma a te che importa, uhn? Non puoi tornare a giocare con le tue bamboline?-

Sasori sussultò, ma non diede a vedere che dopo essersi esposto tanto, quella battuta cattiva lo aveva in qualche modo colpito, e reagì con altrettanto livore.

-voglio sapere dove vai, baka, in modo tale che se ti perdi so cosa dire al leader per venirti a cercare. Sei capace di questo e altro, tu-

Il dinamitardo sembrò ponderare la questione, boccheggiando per un’istante alla ricerca di qualcosa d’arguto con cui controbattere, ma si arrese: fece un gesto con la mano e cambiò espressione; sembrava ci fosse qualcosa che lo turbasse, e che premesse vivamente di andarsene da lì

-vado a prendere una boccata d’aria, se non ti dispiace. Ora mi vuoi lasciare stare, uhn?-

Prima che potesse fare un solo passo verso l’uscita, però, un filamento di chakra azzurro si avvolse attorno al suo polso, bloccandogli ogni possibilità di ulteriore movimento; spazientito e coi nervi ormai logorati, Deidara tornò a rivolgergli la propria attenzione in uno svolazzo dorato

-insomma, Sasori, che cazzo vuoi ancora?-

-conoscere la motivazione che ti spinge a mezzanotte passata a ricercare altrove dell’aria fresca. Come se qui dentro non ce ne fosse abbastanza- gli rispose serafico, senza neanche alzare lo sguardo dal lavoro certosino di livellamento del legno che stava eseguendo , mantenendo puntato sull’interlocutore solo il mignolo destro –sai, qualcuno potrebbe pensare che tu stia tremando qualcosa. Magari un’insubordinazione-

-che vuoi che me importi?- deidara si strinse con noncuranza nelle spalle, la smorfia di indifferente ironia a distorcergli malamente i lineamenti raffinati, la voce distorta dall’esasperazione –come se avessi deciso io di venirmene a stare qui a far parte della vostra banda di cretini, uhn. Vai pure a raccontare al tuo prezioso leader che me ne vado a spasso: la cosa non mi tange nemmeno. La mia volontà conta meno di zero, e andare a cercare per mari e per monti delle bestie pelose e codute rischiando pure la vita non è esattamente il sogno della mia vita, quindi se mi ammazza mi fa felice, se mi sbatte fuori pure, uhn. Ah già, certo, ci siete voi, sua maestà Itachi Uchiha coi suoi begli occhietti, e sua santità Akasuna No Sasori, mister faccia di legno. Oh, non voglio ritrovarmi a camminare a testa in giù o chissà che altro, grazie, preferisco filarmela finchè sono in tempo: ho una fama da codardo da rispettare, io, uhn-

Le dita del rosso continuarono a muoversi sul ciocco di legno destinato a diventare un braccio, ma la mente galoppava ormai altrove: con la coda dell’occhio aveva seguito tutto lo sfogo di Deidara, restando affascinato dalla mobilità di quel corpo flessuoso. C’era una cosa che in Deidara spiccava sul resto: la gestualità. Quando parlava, specie se infervorato come in quel momento, l’artista biondo accompagnava alla voce ampi gesti delle mani, movimenti estesi delle braccia, piccoli scatti delle dita e una discreta mimica facciale, tanto che pure le lingue che sbucavano dai palmi si muovevano di conseguenza, senza intralciare minimamente il resto degli arti. Spesso le dita correvano ai capelli biondi, o alla borsa di argilla; sembrava essere dotato di un modo tutto suo per gesticolare, anche quando assumeva pose grottesche per prenderlo in giro, e accompagnava tale espressività a qualunque conversazione. Immancabilmente, Sasori non si perdeva un’istante di tali movenze anche solo millimetriche, ammirandolo silenziosamente e senza neanche accorgersene: quando si risvegliava da tali contemplazioni, attribuiva il tutto al solo interesse tecnico di esperto marionettista per un corpo tale da essere adattissimo per la trasformazione in meccanica. Certo non ammetteva mai a se stesso che con tale considerazione automaticamente attribuiva al biondo un corpo perfetto.

Talmente perso in questo rimuginio indistinto, abbassò lievemente la guardia, quel tanto che bastava al compagno per liberarsi dalla sua presa con uno strattone e allontanarsi con passo spedito, ma prima che riuscisse a girare l’angolo scattò in piedi e trovò il fiato per richiamarlo un ulteriore volta

-Deidara! Insomma, vuoi dirmi dove vai?-

Quello si fermò, indugiando qualche secondo di spalle per decidere se ignorarlo o meno, ma poi tornò a girarsi per guardarlo

-ancora? Ma sei proprio un rompiscatole!- scocciato, gettò un’occhiata rapida a tutte le stanze, casomai qualcuno si fosse destato a causa del chiasso, prima di ritornare sui suoi passi e avvicinarsi al collega –basta che non lo dici a nessuno, non voglio grane: qui vicino c’è un piccolo villaggio, vado lì a fare un giro, uhn- sussurrò circospetto

-e perché ora, di grazia?-

-oh, ma quanto sei noioso, uhn. Saranno affari miei o no?- il povero munekin aveva ormai i nervi a pezzi, sia per l’alzataccia, sia per la conversazione, sia per i misteriosi motivi che l’avevano spinto a cercare di allontanarsi dal covo, ed era al limite della sopportazione. Possibile che il danna potesse essere tanto cocciuto e rompiballe? All’espressione neutra ma indagatrice che quegli li rivolse, gettò le armi e si arrese.

-e va bene: ho bisogno di alcol. Tutto qui, uhn-

Sasori alzò un sopracciglio sconcertato da quello che aveva udito: -cos’è, oltre che pazzo sei pure alcolizzato?-

-ovviamente no, cretino. Mica mi sbronzo tutti i giorni, uhn-

-e ogni quanto lo faresti, per curiosità? Ogni due?-

-solo una volta all’anno, uhn. Ora posso andare, o l’interrogatorio non è ancora terminato?- Deidara sembrò tornare ad allontanarsi con un’espressione che doveva essere sdrammatizzante, ma la successiva occhiata truce di Sasori lo fece desistere.

-a che cavolo serve sbronzarsi?-

-sai, voi marionette non potete capire: la sbronza è la migliore amica dell’uomo. E a volte è utilissima per dimenticare- e lo disse con un’ironia stretta che celava molto, moltissimo altro; da lui sembrava stillare una disperazione immensa, un dolore tanto acuto che poteva trapassare da parte a parte come una lama. I suoi occhi grigioazzurri erano spenti, opachi, inquieti, privi della vivacità che generalmente li caratterizzava, di quella vena di follia accesa che esprimevano; tutta la sua persona esprimeva sofferenza, un’angoscia vibrante che soffocava ogni altra emozione. Cos’era che Deidara voleva a tutti i costi dimenticare, che lo piegava in due in una morsa di dolore e lo faceva stare tanto male? Sasori quasi non riusciva a riconoscerlo, in quel relitto umano in cui la sua vivace personalità si era trasformata in qualche attimo: per lui, che negli slanci di fantasia del biondo, nelle sue battute, nel suo brio, nei suoi concetti assurdi, riusciva a vedere qualcosa che ricollegava alla vita stessa, quella manifestazione di strazio era insopportabile. Non era forse Deidara, quello che rideva sempre? Quello che affrontava sempre le situazioni con vigore? Che faceva lo sbruffone in continuazione, a costo di ridicolizzarsi agli occhi degli altri munekin? Vederlo ridotto a qulla maschera lo fece sentire in qualche modo vulnerabile: se un tipo come Deidara, sempre solare, sempre incrollabile, sempre sicuro di sé e delle proprie idee, poteva venire abbattuto da quacosa, che speranze c’erano per lui, misero pezzo di legno trasportato dalla corrente degli eventi?

Non riuscì a rispondergli, e lasciò che finalmente potesse allontanarsi nel silenzio più assoluto, mentre ripensava alle proprie ferite. Il tempo di qualche minuto, e la tranquillità cupa della notte gli parve troppo rumorosa per i suoi gusti; avvertiva una strana inquietudine a restare lì fermo, così decise che tutto sommato poteva permettersi una pausa; abbandonati gli strumenti di lavoro, si allontanò rapido per raggiungere il biondo all’ingresso del covo, giustificando la sua presenza con un contestatissimo “vengo con te, almeno non fai qualche cazzata

 

 

Erano ormai arrivati all’ottava bottiglietta di sakè, allineate in bell’ordine davanti al suo naso; gli occhi cerulei di Deidara si erano fatti lucidi e le sue parole sconnesse, mentre il barista della piccola locanda li fissava sempre più truce.

Dal canto suo, Sasori sembrava, e lo era, preoccupato per il comportamento del compagno di squadra, che diventava sempre più triste a ogni sorso che ingollava, continuando a insultare mezzo mondo. Lui e Itachi in primis.

-siete solo dei coglioni, tu e le tue marionette- biascicò riempiendosi di nuovo il bicchiere –coglione tu e coglione loro-

-moccioso, vedi di moderarti o qui ci sbattono fuori- lo avvisò prudentemente, nen ricevendo però attenzione alcuna

-coglioni. Specie quel coso, il tizio che hai ucciso coi capelli neri…chi cavolo era, hic? Il kazekage? Coglione, comunque-

-d’accordo, direi che è sufficiente così- il rosso si alzò dal tavolo, pagò di tasca propria le consumazioni più un paio di bottiglie extra per tenerselo buono, e trascinò di peso un Deidara barcollante fuori dallo stabile, lasciandolo andare appena poté constatare che sembrava aver ancora un minimo di controllo motorio

-coglione- ripeté quello, facendo due passi avanti –coglione- con un passo a destra.

Poi improvvisamente, crollò. Sferrò un pugno micidiale al muro della stradina sconnessa che stavano percorrendo, sbrecciandolo e tagliandosi la mano, cacciò uno stridio da animale ferito e si accasciò a terra scoppiando a piangere a dirotto.

-coglione…io non volevo…sono solo..un coglione…io…-cercava di articolare qualcosa tra un singhiozzo e l’altro, il petto squassato dal pianto troppo a lungo trattenuto. Si graffiò le guance, tempestando poi la strada di pugni, si prese il capo tra le mani sotto lo sguardo esterrefatto di Sasori, troppo sbalordito per muoversi o tentare di fermarlo

-io la odio, l’argilla, uhn. Hic.- frignò- la odio, la odio, la odio. È colpa sua. Io..io..io non l’ho fatto apposta…mi dispiace…-

Imbarazzato, ma sotto sotto incuriosito, la marionetta gli si accoccolò vicino, cercando di consolarlo con dei leggeri colpetti sulle spalle :-ehm…di che stai parlando, esattamente?-

-io non sono come voi, danna- uggiolò l’altro, piangendo più forte –non sono diventato un ninja traditore perché…sniff…perché non avevo niente di meglio da fare che far saltare in aria mezza Iwa. È che…che…tousan picchiava akasan. E io… l’argilla…le bocche…- tirò su con il naso, versando altre lacrime copiose – è uscito un ragno e gli si è attaccato alla faccia. Io non volevo, davvero…è stata l’argilla…è scoppiato in aria tutto il quartiere, e lui… e lei…gli ho visto il sangue…il cervello…e poi…- non riuscendo a continuare, troppo sconvolto per affrontare quegli orribili ricordi, riprese a piangere, frastornato, indifeso e vulnerabile.

Il munekin della sabbia lo ascoltò in silenzio, analizzando le informazioni ricevute e provando un’isolita sensazione a livello dell’unico organo in lui rimasto umano: non riusciva a capacitarsi di come potesse un tipo solare, ironico, ed egocentrico come Deidara, che non faceva altro che esaltare la sua arte, riuscire a covare un tale odio verso se stesso. L’, nel buio quasi assoluto di quel vicolo, appallottolato su se stesso, il volto rigato di lacrime che non accennavano a scemare, il naso e gli occhi arrossati, tremante e singhiozzante, sembrava più che mai un bambino inerme. Gli faceva male vederlo così. dopotutto, per quanto lui cercasse di essere impermeabile alle emozioni, quel biondino dall’aspetto delicato suscitava in lui uno strano attaccamento. Così vitale, così esuberante…avrebbe voluto che con quello spirito vivesse per entrambi, anche la sua indolente esistenza a metà. Deidara non poteva soffrire: era troppo perfetto perché potesse succedere.

Sospirò forte, appoggiando una mano al capo del compagno e facendo scorrere le dita legnose tra i sottili fili dorati; il giovane alzò subito il viso su di lui, fissandolo con gli occhioni imperlati sgranati

-quand’ero molto piccolo, il Villaggio della Sabbia era in guerra con quello della Foglia; accadde che, in un’imboscata tesa a un piccolo manipolo delle nostre forze, uno dei loro shinobi uccise i miei genitori in combattimento. Sotto ai miei occhi, che incautamente li avevo seguiti- sollevò mestamente lo sguardo a fissare le stelle –avrei fatto qualunque cosa, pur di farli tornare da me, qualunque, anche trasformarli in marionette; non ha funzionato. Così nessuno è più riuscito a capirmi, nemmeno mia nonna, e ho finito per allontanarmi da tutti e restare da solo. Come vedi, neppure io ho tradito Suna per divertimento- fece una smorfia –io le odio, le marionette-

Deidara non reagì mentre ascoltava il racconto, restando a fissare il nulla con sguardo vacuo e vuoto; quando lo Scorpione ebbe terminato, cacciò in mano al burattino umano una delle bottiglie che si erano portati dietro e che miracolosamente era ancora intera, senza dire nulla

-beh? Lo sai che io non posso…-

-zitto, e bevi-

-Deidara, è inutile, non…-

-oh, falla finita, hic. Buttala giù in un sorso- e per dare l’esempio, scolò di botto la sua. Seppur diffidente, Sasori accostò il fiaschetto alle labbra e osò ingollarne una sorsata, avvertendo subito dopo una strana sensazione mentre il liquido rotolava giù per la gola verso uno stomaco inesistente: avrebbe pensato poi a liberarsene; ora, bere assieme a Deidara, lo aveva in qualche modo tranquillizzato

-però che sia l’ultima volta, ubriacarsi fa male. Toglie lucidità-

-la smetti di fare la piattola, uhn? O ti devo chiamare mammina? “mammina, ho paura del buio, aiuto!”-

-quanto tempo è passato, Deidara?-

L’altro non gli rispose subito, restando a mugolare qualcosa di sconclusionato mentre rimestava il contenitore di vetro e il poco liquido rimastovi; poi fece una smorfia e si mise a contare con le dita

-quindici anni- proferì infine con scarsa convinzione

-e questa cosa del riempirti di sakè e venire a piangere sotto le stelle la fai da allora?-

-nooo, solo da quando sono venuto a stare nell’Akatsuki, uhn. Sopportare tutto questo quando sono con voialtri coglioni è più difficile, sai, con questi jinkucosi rompete parecchio le palle. Hic-

Tacquero entrambi, pensierosi  affranti. Il rosso gettò un’occhiata al compagno, vedendolo finalmente acquietato, sperando in cuor suo che il peggio fosse stato superato. Temeva però che passata la fase triste della sbronza, ne subentrasse una attiva o distruttiva

-e per te, Danna? Quanto…quanto tempo è passato?-

-ventisei anni, più o meno-

-oh, beh…auguri- con sarcasmo e una buffa espressione, il biondo alzò verso l’alto la bevanda in un brindisi immaginario, per poi bersi avidamente anche le ultime gocce rimaste sul fondo.

-va bene, direi che ora è proprio il momento di rientrare, prima che tu ne esca col dire qualcosa di cui poi ti potresti pentire a mente lucida- Sasori fece per rialzarsi, temendo che si stessero avventurando su un terreno pericoloso per entrambi, ma come tentò di svellerlo da terra, quello gli poggiò stancamente il capo sulla spalla e il braccio con la bottiglia sul petto, con un’espressione ciondolante e sonnolenta rivolta alla volta celeste.

-guarda quelle cazzo di stelle, uhn. Mi piacerebbe proprio farle saltare tutte quante in aria. Sarebbe un’esplosione fantastica- poi si voltò verso il compagno, arrivando quasi a strusciare la punta del naso sulla sua guancia –Danna, ti prego…possiamo restare qui, uhn?-

Senza voltare il capo, lo osservò di sottecchi, teso e un po’ spiazzato: le guance arrossate, striate da righe luccicanti, gli occhi ancora lucidi e persi, i capelli un po’ sparpagliati col ciuffo disordinato mezzo appiccicato alla pelle. Le labbra rosee e lievemente dischiuse.

“È ubriaco” si ripetè più volte mentalmente.

-mi spiace, Deidara…dobbiamo rientrare al covo, lo sai- senza ascoltare le sue proteste (e anche quelle più vellutate del suo cervello), lo sostenne mentre si rialzavano entrambi in piedi, ma se lo ritrovò subito appeso addosso, le braccia strette attorno alle spalle e la testa tuffata contro il suo petto. Rimase rigido, cercando di mantenere l’autocontrollo.

-mi dispiace, danna…mi dispiace…mi dispiace…- mormorava piano alla stoffa, ripetitivo, come spaventato da qualcosa di indefinito. Il rosso gli accarezzò per un’attimo il viso, cedendo per un istante a se stesso, poi decise che se voleva arrivare prima dell’alba era meglio caricarselo sulle spalle o sarebbero rimasti lì in eterno.

-tranquillo, va tutto bene. Però, promettimi che non ti ubriacherai più: ti preferisco in versione sobria-

-promesso- biascicò in risposta il biondino, mentre scivolava docile sulla sua schiena, stringendosi maggiormente a lui come alla ricerca di un disperato calore. Poi, mentre stavano avviandosi, borbottò poche ultime parole con la voce impastata di sonno –arigatou, Sasori no Danna-

L’interessato vacillò un istante, avvertendo un piacevole tepore scivolargli dalle gote aride al petto, e riscaldarlo internamente come mai gli era successo prima; sorrise lievemente, tremante

-grazie a te, Deidara-

Pian piano il biondino scivolò placidamente nel sonno, mentre il compagno s’incamminava verso il boschetto in cui era nascosto il loro nascondiglio, felice di aver rinunciato per una volta a muoversi per mezzo di Hiruko. Era stata una serata un po’ strana, e sentiva una strana euforia nel contatto prolungato con Deidara.

Che fosse tutta colpa del sakè?

 

 

 

(Non direi, n.d.tutte i/le fan dello yaoi qui presenti.)

Buongiorno a tutti! Arrivo un pelo in ritardo perché avrei voluto pubblicare ieri, ma non ci sono riuscita, quindi ho dovuto posticipare.

Il mio regalo, per il mio compleanno, a tutti voi: perché vi voglio bene!

Un po’ triste, magari, parecchio strano, però devo dire che mi piace. Sasodei rulez. Forse Dei biascica un po’ poco, ha la sbronza coerente, ma non sapevo come renderla senza scivolare del demenziale.

A presto (perché io continuo a macinare atrocità. Non vi lascerò in pace, kukukuku) e grazie a tutti. Besos

Vostra wolvie

 

Ps ah già, dimenticavo. Non sono a conoscenza di dettagli biografici della vita di Deidara, quindi ho inventato tutto. Gli anni, pure. La dipendenza di deidy dall’alcol, pure. Perché i personaggi appartengono a Kishimoto, e blablabla Eh no, sono una persona molto allegra, anche se non ci credereste mai ^^.

 

 

 

 

 

   
 
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