C'è tempo per recuperare
Salve! questa è la seconda storia che pubblico, non sono brava a scegliere rating e generi, quindi se qualcosa va cambiato vi prego di recensire, ogni consiglio per migliorare è ben accetto!
C’era
poca confusione nel giardino della scuola quella
mattina. Era l’ultimo giorno prima delle vacanze estive e la
maggior parte
degli studenti aveva deciso di anticiparle già da tempo.
Solo uno sparuto
gruppo di ragazzi del quinto anno continuava a girovagare per
l’edificio.
Intontiti dalla calura e disperati a causa dell’esame
imminente, impazzivano
nel tentativo di recuperare in pochi giorni l’intero
programma di storia.
Fra loro
c’ero anche io e dicerto non mi trovavo in
condizioni migliori. Sebbene anno dopo anno sia sempre stato additato
come il
più secchione della classe, la rassegnazione si era
impossessata anche di me,
con il risultato che non toccavo libro da due settimane.
Così mi ritrovai a
gironzolare per il cortile in mezzo alla massa di zombie decerebrati
dei miei
compagni.
Quella mattina,
complici la
crescente paranoia e la presenza oscura dell’esame che
aleggiava su di noi, mi
sembrò di scorgere qualcosa di insolito: uno strano
individuo si aggirava nei
pressi del cancello. Era vestito di nero dalla testa ai piedi e portava
un
foulard azzurro che solo a vederlo faceva sentir male. La figura
incappucciata
andava avanti e indietro e sembrava sghignazzare in modo inquietante.
Mi venne
un brivido: se al posto di quel ridicolo foulard avesse avuto una
falce, la
morte gli avrebbe probabilmente consegnato il proprio posto.
Mi fermai un
attimo a riflettere su
ciò che mi era passato per la testa: decisamente, ero troppo
stanco e paranoico
ultimamente. Decisi comunque di restare nascosto in un angolo buio,
oramai mi
ero incuriosito e volevo cercare di capire chi fosse. Non ebbi neanche
il tempo
di appostarmi che l’individuo sparì dalla mia
visuale. Tutto ciò che ero
riuscito a cogliere prima che si dileguasse era una fronte molto alta e
degli
occhi chiari. Ero sicuro di averlo già visto, ma dove?
Un senso di
inquietudine mi
accompagnò per tutto il tragitto verso casa. Appena arrivai accesi la tv,
sperando che
magari qualche programma spazzatura potesse distogliermi abbastanza da
quei
pensieri. Evidentemente però non fu la scelta più
saggia: a quell’ora
trasmettevano solo un programma pomeridiano che stava mandando in onda
un servizio
su un recente omicidio.
Sbuffai. Questo
non faceva che
accrescere la mia paranoia verso l’individuo incappucciato,
anche se di fatto
la sua unica colpa era stata quella di passare davanti ad uno studente
un po’
nevrotico e stressato. Gironzolai un po’ per casa in cerca di
qualcosa per
distrarmi ma fu inutile. Qulache ora dopo decisi di mettermi a letto,
sperando
che una bella dormita sarebbe servita a far tornare le mie ormai
distanti
connessioni logiche. Quando mi svegliai era già il tramonto,
e pareva che fossi
leggermente rinsavito. Mi sedetti e gettai uno sguardo torvo al libro
di
Filosofia. Non avevo più scuse, dovevo finire di studiare.
Ancora non
riuscivo a capire come
mi fossi ridotto così. Non avrei mai creduto di poter
arrivare quasi ad odiare
anche le materie che avevo sempre prediletto. mentre sfogliavo la
pagina, notai
che sul libro si rifletteva una lieve macchia di luce. Sposatai il mio
sguardo
verso l’angolo della scrivania ancora colpita dai pochi raggi
di sole rimasti e
subito trovai ciò che cercavo: una cornice rossa di
alluminio, con un angolo
non ancora in ombra. La presi per spostarla e la osservai meglio: era
una foto
di classe del terzo anno che chissà per quale motivo tenevo
ancora in camera.
Metà delle persone che si trovavano in
quell’immagine le trovavo
insopportabili, perciò decisi che questa era la volta buona
per eliminarla.
Stavo per
metterla in un cassetto,
quando tra quelle facce sorridenti vidi un volto familiare. Un lampo mi
attraversò la mente. Come avevo fatto a non capirlo subito?
Già solo vedendo
quel foulard me ne sarei dovuto accorgere!
L’uomo
incappucciato… Era Paul, uno dei miei compagni
del terzo anno. Già da tempo avevo cominciato ad odiarlo.
Cercava sempre
giustificazioni di ogni tipo per poter saltare compiti e
interrogazioni, per
non parlare poi dei continui tentativi di raccomandazione.
Fortunatamente
l’insegnante di italiano e quello di fisica avevano deciso di
mettere un punto
a questa storia.
Ovviamente
però, per quanto possa
essere stata una liberazione per noi, per Paul questo non era che un
minimo
problema. Il suo caro paparino infatti lo aveva iscritto in una di
quelle
scuole in cui, per farla breve, il voto che ottieni è
direttamente
proporzionale all’importo che versi.
E
così il caro Paul potè recuperare
l’anno perso in men che non si dica e fu ammesso agli esami,
con una media
decisamente più alta di quella che avrebbero potuto prendere
gli studenti più
studiosi della mia scuola, compreso me. Ecco perché si
trovava lì: rideva di
noi e probabilmente si stava vantando di quanto fossero alti i suoi
voti.
Sentii
l’odio ribollire più che
mai. Era mai possibile che mentre io sgobbavo tutti i giorni per poter
sperare
di passare con un voto alto, lui si gongolava pigramente in spiaggia
ogni sera?
Possibile che nessuno avesse ancora pensato a fare qualcosa?
Persi il
controllo. Cominciai a
pensare in modo sconnesso, avrei voluto urlargli contro,
ucciderlo… Ucciderlo.
Sì, ecco cosa avrei fatto.
Mi guardai
intorno in cerca di un
modo, guardai nuovamente la mia scrivania. La soluzione era proprio
lì davanti
a me.
Poco dopo stavo
caricando in
macchina due pesanti zaini e sul sedile anteriore un’altra
borsa più piccola.
Misi in moto e mi diressi al molo, dove sapevo che Paul andava ad
ubriacarsi.
Non ci misi
molto ad arrivare,
accostai e aguzzai lo sguardo verso la riva in cerca della mia vittima.
Eccolo, era
seduto poco distante
dall’acqua, con tre bottiglie di birra vuote ai piedi e
un’altra semivuota in
mano. Controllai che non ci fosse nessun’altro e scesi
dall’auto. Senza farmi
sentire mi avvicinai lentamente e lo chiamai. Non appena si
girò, lo colpii con
un grosso mattone: il vocabolario di latino. Paul cadde a terra
stordito. Lo
trascinai di peso su una vecchia imbarcazione, caricando anche gli
zaini e la
borsa con le corde. Lo portai al largo, lontano abbastanza da non
essere
distinguibile dalla riva, poi lo imbavagliai e gli legati mani e piedi.
In fine
con un’ultima corda gli legai i due zaini al collo,
posizionandoli sul bordo
della barca e aspettai il suo risveglio, guardando il cielo stellato
che si
rifletteva e brillava nell’acqua scura increspata dalle onde
sotto di noi.
Passò
qualche miuto e Paul
finalmente aprì gli occhi. Era ancora stordito e ci mise un
po’ a rendersi
conto di cosa stesse succedendo. Non appena capì
cercò di divincolarsi e di
parlare, ma fu tutto inutile, il peso era troppo.
“Bene
bene… Quanto tempo che non ci
vediamo Paul” un ghingo mi si dipinse sul volto. “
Sai, avrei voluto chiamarti
ma con tutto questo studio non ho proprio avuto tempo.” Paul
mi guardava
terrorizzato, non riusciva a capire.
“A
quanto pare invece, tu sei
rimasto parecchio indietro. Quant’è che non tocchi
un libro? Un mese? No, no,
no…” Cominciò a tremare, gli occhi
sgranati dalla paura. “Non prendiamoci in
giro, non hai mai mosso un dito in tutta la tua vita. Ti sei crogiolato
nella
tua ignoranza, cullato dal fatto che qualcuno ti avrebbe sempre coperto
le
spalle e avrebbe pagato pur di mandarti avanti.”
Feci un attimo
di pausa, avanzando
di un passo verso di lui. “Non si fa Paul.” Dissi
scuotendo la testa. “Tanta
gente come me ha faticato per arrivare fin qui, quindi credo sia giunto
il
momento per te di fare altrettanto. Certo, ormai l’esame
è vicino, ma sta
tranquillo, avrai tutto il tempo per recuperare!” I suoi
occhi imploravano, ma
ormai non potevo più tirarmi indietro.”Da dove
cominciamo? Matematica?” Poggiai
un piede sul primo zaino, spingendolo un po’ più
verso il bordo della barca. “O
Italiano?” E spostai il piede sul secondo zaino. Paul
ovviamente non poteva
rispondere e continuava a tremare. “Credo sia meglio italiano
sai? Ho sempre
odiato quel fingerti uno scrittore quando a malapena riuscivi ad
arrivare alla
sufficienza nei tuoi temi. È ora di ripassare un
po’…” Spinsi lo zaino in acqua
e Paul trascinato dal peso lo seguì, portandosi dietro anche
l’altro. In men
che non si dica sparì nell’acqua scura, lasciando
solo qualche bollicina a
galla. Quando anche quelle sparirono, provai una strana sensazione, un
misto di
liberazione e angoscia. Poi improvvisamente sentii un trillo assordante
che
quasi mi spaccò i timpani. Sembrava mi stesse perforando il
cervello. Persi l’equilibrio,
caddi in acqua e…
Caddi dalla
sedia. La sveglia
continuava a suonare imperterrita. Ancora non riuscivo a capire cosa
fosse
successo, ero completamente intontito, ma evidentemente mi ero
addormentato
mentre studiavo. Mi era capitato spesso nell’ultimo mese, per
questo puntavo
una sveglia ogni due ore. Guardai l’orologio, erano
già le cinque del mattino. Mi
misi a letto per riprendermi, poi mi sistemai per avviarmi a scuola. Mi
aspettava
una lunga camminata. Prima di uscire di casa, spuntai per bene un paio
di
matite e le infilai in borsa.
Ero circa a metà
strada, ma invece
di continuare, presi una deviazione a sinistra: dovevo passare da una
persona. Mentre
camminavo frugai nella borsa e recuperai la matita. Suonai il
campanello e dopo
pochi secondi la porta si aprì. Sorrisi. Strinsi in mano la
matita appuntita. “Ciao
Paul.”.