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Autore: Nidham    16/07/2014    1 recensioni
Breve elucubrazione della mia ladra nel momento piu' triste del videogioco, quando una scelta porta a tragiche conseguenze. Fatemi conoscere il vostro parere, visto che è anche il mio primo tentativo^^
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La prima volta in cui l'ho visto era mio nemico e un semplice elfo non troppo alto, con la faccia da schiaffi e lo sguardo strafottente.

Non c'era niente che mi piacesse in lui, tanto meno la rapidità con cui si era arreso e mi aveva defraudato della possibilità di ucciderlo, costringendomi a tirarci dietro una mina vagante e un ulteriore problema a cui badare.

Era un Corvo, un assassino patentato e un imbroglione per professione, come potevo fidarmi della sua parola? Eppure, come potevo giustiziarlo dopo che aveva lasciato cadere il suo pugnale?

C'era già abbastanza morte intorno a me senza che vi aggiungessi sangue non proprio innocente, ma almeno ancora rosso e libero dalla corruzione.

Dovetti sopportare diversi rimbrotti, più o meno velati, e confrontarmi con una miriade di opinioni discordanti, dopo aver sentenziato di lasciarlo vivere, ma finché chiunque fosse contrario alla mia decisione non avesse avuto abbastanza fegato da impugnare la spada e staccargli la testa dal collo, il mercenario sarebbe rimasto al nostro servizio... formalmente, se non concretamente.

Le prime notti non ero riuscita a dormire e non mi ero neppure sognata di affidargli un turno di guardia. Passi il buon cuore, ma la stupidità non mi era concessa.

Alistair era ancora più teso di me e passava tanto tempo a osservare il nuovo venuto che Morrigan aveva ipotizzato potesse finire a pomiciare con un hurlock scambiandolo per la sottoscritta o magari che stesse cambiando gusti in fatto di relazioni amorose, provocazione che aveva fatto particolarmente infuriare il mio compagno e aveva dato all'elfo materiale per qualche sardonico flirt, per il quale, del resto, non avrebbe avuto neppure bisogno di particolari incoraggiamenti.

L'assassino sembrava completamente a suo agio con noi, scherzava, si comportava bene e era ansioso di rendersi utile e benaccetto, ma continuavo a chiedermi quanto fosse reale quella recita e quanto fosse frutto del suo desiderio di farci abbassare la guardia.

Non mi concedevo il lusso della fiducia, non gli permettevo di avvicinarsi a me: era stato al soldo di Loghain, era stato un'arma nelle mani di una delle due persone che odiavo di più al mondo e non aveva importanza che adesso l'avesse tradito, non aveva importanza che per lui quel falso eroe fosse nulla più di un nome su un contratto, per me odorava ancora del sangue di decine di coraggiosi guerrieri mandati al massacro, di centinaia di innocenti fagocitati da un incubo a cui io, senza averne i mezzi o le abilità, venivo costretta a cercare un rimedio.

Come potevo volerlo con noi?

Eppure, battaglia dopo battaglia, ammiravo sempre di più la sua abilità e mi scoprivo propensa ad affidarmi ad essa, tanto da non poter negare, alla fine, come fosse stato proprio lui, in alcune circostanze, a salvarmi la vita e a cambiare le sorti dello scontro.

Era agile, dannatamente veloce e impossibilmente aggraziato nel mulinare i pugnali, quasi fossero estensioni del suo braccio; combatteva come fosse impegnato in un'intricata danza di corte e non in un duello con creature puzzolenti e selvagge e, quando tutto era finito, si voltava verso di me con un sorriso che, per molti giorni, avevo giudicato fin troppo compiaciuto per non nascondere una minaccia.

Ero cieca, a quel tempo, e spaventata: da ciò che avevo intorno, dal peso della responsabilità affidatami, dai ricordi che non volevano saperne di darmi pace, da me stessa. Tanto terrorizzata da non riconoscere la malinconia celata in quel breve stiracchiarsi di labbra. Tanto chiusa in una prudenza sospettosa da non vedere al di là della maschera che io stessa lo stavo costringendo ad indossare.

Fu Vento a infrangere questa spirale di crudeli pregiudizi.

Era il mio turno di guardia e stentavo a tenere gli occhi aperti, per essermi stupidamente costretta a non riposare da troppo tempo. Alistair, con molte proteste, si era addormentato, cullato dal mio calore e dal mio profumo, e Sten, concluso il suo compito, non aveva impiegato più di cinque secondi a abbandonarsi al sonno; nel campo si udiva solo il russare sommesso di Oghren e il lieve fruscio delle pagine del libro di preghiere di Leliana.

“Lasciati aiutare” la voce di Zevran mi sembrò tanto vicina che la mia mano strinse la spada prima ancora di riflettere. “Sei sfinita ed è colpa mia, ma non sarà utile per nessuno se ti addormenti in battaglia o non ti accorgi di qualche genlock deciso a farci visita stanotte.”

Non risposi e lo osservai sedersi vicino al fuoco con me. Sembrava stanco, oppure triste, ma in quel momento non credevo che un simile sentimento gli si addicesse: era sempre troppo scanzonato, ironico e giocoso, come se fosse in grado di affrontare la vita con un perpetuo sorriso.

In realtà ero io ad essere troppo stupida e crudele per giudicarlo secondo giustizia.

L'avevo risparmiato perché era un essere umano, ma non mi ero ancora permessa di considerarlo come tale.

“Ti fidi davvero così poco di me?” cercò di farla sembrare una provocazione, una burla, ma le sue parole tremarono impercettibilmente sulle sue labbra contratte dal timore di quanto avrei potuto rispondere. “Ancora non ti ho conquistato col mio indiscusso fascino?”

Mi scoccò il solito sorriso da seduttore e mi accorsi di sbuffare per gioco e non per sincero disprezzo o fastidio, alzando gli occhi al cielo in uno scherzo che ben rispondeva alla sua recita.

Però non risposi, non ancora.

Cosa avrei potuto dirgli? Non sapevo più neppure io quale fosse la verità e quale la menzogna dietro cui mi nascondevo.

Il silenzio rischiò di soffocarmi e avrei dato qualsiasi cosa per vedere ancora la sua espressione strafottente prendermi in giro. Ma non c'erano sorrisi sul suo volto, né luce nei suoi occhi, vera o presunta che fosse. Non c'era ironia nella posa amara delle sue spalle, né imperturbabilità nell'artiglio esangue che era diventata la sua mano.

Fu allora che Vento si allontanò dal mio fianco e si sedette di fronte a lui, scrutandolo con quella calma rassegnazione che solo i cani possono avere di fronte alla stupidità dei loro padroni e distendendo la rigidità della sua mano con un'unica, poderosa leccata.

“Ehi!” Zevran protestò, ritraendosi, con un sorriso sul volto che era molto meno ampio di quello ostentato di solito, ma molto più sincero. “Se anche vuoi uccidermi, preferirei non mi dessi in pasto al cane.”

Vento abbaiò piano, scodinzolando e richiedendo una carezza che vedevo bene come quel feroce assassino avesse voglia di concedergli anche se non credeva di averne diritto.

“Non ti morderà se gli dai ciò che vuole” decisi di andargli in aiuto. “Chi l'accarezza non potrà diventare cibo.”

“Mi dai la tua parola?” stette al gioco, scrutandomi con finta diffidenza. “Non è una fine tecnica per staccarmi un braccio?”

“Diciamo che è una prova di coraggio.”

“Non sia mai che Zevran l'assassino venga accusato di non essere imprudente!” e si impegnò in un tripudio di coccole che lasciarono Vento senza fiato e lui senza un centimetro di pelle asciutto.

“L'imprudenza non è coraggio” osservai dopo un po', quando l'entusiasmo iniziale aveva lasciato spazio a più quiete carezze.

Nessuna risposta.

“Tu sei coraggioso” e lo dissi ben certa di essere sincera.

“No, non lo sono.”

“Ti ho visto combattere, non ti tiri mai indietro.”

“Quella è sventatezza, mancanza di un qualsiasi motivo per interessarmi al risultato dello scontro: se vinco, sopravvivo, se perdo, spero almeno di portare all'inferno con me quanti più nemici possibili.”

Non gli chiesi come potesse non importargli nulla della sua vita, perché conoscevo bene la risposta, anche se non avevo mai pensato che anche lui fosse vittima della stessa malattia alla quale avevo da poco rischiato di soccombere.

Che ne sapevo della sua vita, in fondo? Solo il nome della sua professione. Come avevo potuto essere tanto arrogante da non fargli domande, da non cercare di capire chi fosse e perché?

Per la prima volta mi concessi il lusso di abbassare le mie difese e guardare quel compagno che avevo accolto per un contorto senso di giustizia e che avevo abbandonato alla solitudine e al disprezzo per un vigliacco senso dell'onore.

Era un assassino, è vero, ma non avevo mai avvertito crudeltà in lui, non più che in me stessa, almeno.

Aveva ucciso per denaro, corrotto per dovere e tradito per professione, ma se tutto questo male non aveva potuto intaccarlo veramente, quanto di buono doveva esserci stato in lui, prima che il mondo lo trovasse e lo torturasse fin quasi a sconfiggerlo?

Una parte di me continuava a gridarmi di essere prudente, ma ero stufa di riflettere e stufa di farlo soffrire, perché finalmente vedevo ciò che nascondevano i suoi occhi: un dolore nato dalla consapevolezza sbagliata di non poter abbandonare il proprio passato, di non poter trovare redenzione neppure avendola a portata di mano e abbracciandola fino a sacrificare se stesso.

“Senti, visto che tanto sei deciso a non riposare, approfitterò del mio ruolo di capo di questa sconclusionata compagnia e mi solleverò da questo incarico: il mio turno di guardia lo farai tu e io andrò a dormire”mi stiracchiai platealmente, sbadigliando senza neppure coprirmi la bocca. “A meno che non arrivi un'orda di prole oscura non voglio essere svegliata fino a domattina.”

Lo osservai di sottecchi e riuscii a notare la sorpresa dipinta sul suo volto, subito nascosta da una maschera di insofferenza adatta alla sua battuta di commiato.

“Per questa volta cederò al peso del tuo grado, ma la prossima sporgerò formale reclamo se tutti non adempieremo ugualmente ai nostri compiti.”

Lo mandai gioiosamente al diavolo, tornando nella tenda, senza neanche voltarmi a guardarlo, ma coi sensi sviluppati nei duri mesi trascorsi a combattere lo sentii mormorare un “grazie” che da quella volta in poi mi sono trovata a ricambiare in ogni attimo che il Creatore mi ha concesso di trascorrere al suo fianco.

 

 

Altro racconto del passato... non lo faccio per sadismo, giuro! Tempo fa, però, qualcuno mi aveva chiesto come e quando Eilin fosse passata dall'amare Alistair all'amare Zevran e da allora ho sempre pensato che, in effetti, la faccenda non fosse ben chiara: un po' perché non è per niente limpida neanche nell'animo della protagonista (piuttosto sconvolta dall'amare due uomini contemporaneamente), un po' forse perché la ff prende il via a situazione sentimentale già avanzata. Per questo motivo ho pensato di provare a rimediare e, per farlo, dovevo iniziare dal primo momento in cui Eilin si è fidata di Zev. Vediamo se riuscirò nel mio intento!! ;-p

  
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