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Autore: Aurore    16/07/2014    0 recensioni
Sequel di Midnight star.
Dopo gli eventi e le rivelazioni che hanno scosso il suo piccolo mondo, la vita di Renesmee è tornata alla normalità: è sempre più felice con Alex e insieme a Jacob ha ritrovato l'affetto e la complicità del loro legame. Ma all'orizzonte si addensano nuove nubi: quando spaventosi incubi iniziano a tormentare le sue notti, Renesmee si trova costretta a scegliere tra perdere ciò che ama di più e tentare di salvarlo, e ad affrontare eventi imprevedibili che potrebbero cambiare ogni cosa.
Tutto finisce, nulla resta uguale, e a volte il destino impone scelte e cambiamenti dai quali non si torna indietro.
Tratto dal capitolo 7:
Il suo sguardo era stata la prima cosa che mi aveva colpita, di lui, nel giorno lontano in cui ci eravamo conosciuti. [...] Lo stesso sguardo che mi aveva osservata con tanta attenzione per catturare quello che c'era in me di più profondo mentre mi disegnava. Nessuno mi aveva mai guardata così. In quel disegno c'era qualcosa di bellissimo, potente e tremendo al tempo stesso. Qualcosa di ineluttabile, che ormai non poteva essere fermato.
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jacob Black, Nuovo personaggio, Renesmee Cullen, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Midnight star'
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C 13
Capitolo 13
Love illumination

Sweet love illumination
Sweet, sweet love elevation
Outside, fresh other side
But inside love
You will be alright
Sweet love illumination
Sweet, sweet love celebration
Got covered, reason term
But it'll bring you up
You'll be alright.
Love illumination, Franz Ferdinand¹



Di rado va come ci aspettiamo che vada. Per la precisione, mai.

Le bugie hanno le gambe corte, Charles Bukowski




Bloccai le dita per un istante, sospese sui tasti bianchi e neri, e interruppi a metà il Notturno di Chopin che stavo suonando. Qualcuno mi stava chiamando. Sollevai lo sguardo dal pianoforte e incrociai quello di zio Emmett fisso su di me.
«Renesmee?».
«Uhm?», bofonchiai per tutta risposta.
Non avevo idea da quanto tempo fossi seduta lì, nel salotto di casa, a suonare. Ero stata così concentrata sulle note e sul filo dei miei pensieri da perdere il senso del tempo, e ora mi sembrava di aver appena aperto gli occhi dopo un lungo sonno. Sentivo la mente annebbiata e distante anni luce dal salotto silenzioso e ordinato di nonna Esme.
«Piccola, capisco la fine del primo amore, la perdita delle illusioni giovanili, il tormento dei ricordi e compagnia bella, ma non trovi che questa roba sia un po' troppo strappalacrime?», disse lo zio, osservandomi con le sopracciglia inarcate e la fronte contratta. Era seduto sul divano di fronte al pianoforte con un giornale di auto e motociclette tra le mani. Accanto a lui, zia Rose sfogliava una rivista di moda.
«Questa roba sarebbe il Notturno² di Chopin che stavo suonando?», domandai invece di rispondere, gelida.
Lui rimase impassibile. «Precisamente».
Lo guardai in silenzio per un attimo, cercando di decidere tra me e me quale risposta sarebbe stata più acida e antipatica. «Tappati le orecchie», dissi infine.
Posai di nuovo le dita sui tasti e ripresi a suonare da dove mi ero fermata, senza degnarlo di altra considerazione. Non mi chiesi neanche per un istante se avesse ragione oppure no. Ovvio che non ce l'ha, pensai con rabbia silenziosa.
«Tesoro, se posso essere sincera», cominciò zia Rosalie poco dopo, mentre io continuavo, imperterrita, «anche io penso che sarebbe meglio suonare qualcosa...». Esitò e quello che era sul punto di dire rimase sospeso sulle sue labbra dischiuse. «Qualcosa di più allegro», aggiunse dopo una brevissima pausa, facendo finta di nulla.
Interruppi bruscamente
l'esecuzione per la seconda volta, causando un inciampo di note le une sulle altre, e  misi le mani in grembo con un sospiro scocciato, forte e breve. Stavo suonando così male che fu un sollievo anche per le mie orecchie. Avevo capito benissimo ciò che la zia era stata sul punto di dire, che non avrei dovuto suonare qualcosa che mi ricordava tanto Alex; perchè quella musica mi faceva pensare a lui, e al giorno in cui avevamo parlato di Chopin e Beethoven e del jazz, chiusi nella sua macchina in una fredda mattina di inizio primavera. Alex si sarebbe fatto una bella risata se avesse saputo che lo ricordavo proprio in quel modo.
«Non è che non mi piaccia Chopin. È tutta la musica classica che non mi fa impazzire».
Queste erano state le sue parole. Sì, lui non amava quel genere di musica nè tantomeno amava Chopin. Ma in quei giorni qualunque cosa era in grado di farmi pensare ad Alex. Da quando lo avevo lasciato mi sembrava di ritrovarlo ovunque, nel rumore delle onde che si infrangevano sulla spiaggia della riserva come il giorno del nostro primo bacio, nell'odore della pioggia, nel sapore del mio rossetto che lui si toglieva dalle labbra, ridendo, dopo ogni bacio. Come se non volesse lasciarmi, o come se io non volessi lasciarlo andare.
«D'accordo», mormorai tranquillamente, gli occhi bassi e le mani abbandonate sulle ginocchia. Rimasi ferma per un minuto, poi feci un respiro profondo e posai di nuovo le dita sui tasti, pronte per gli accordi iniziali dell'Adagio in E Maggiore di Schubert³, qualcosa di completamente diverso. E soprattutto privo di qualsiasi legame con Alex. Avevo appena iniziato, quando Emmett fece di nuovo sentire la sua voce.
«Eh, no, questo è ancora peggio!», esclamò, la voce per metà indignata e per metà divertita.
Okay, forse la mia precedente risposta era stata fin troppo gentile. Smisi di botto di suonare per la terza volta ed ero sul punto di mandarlo a quel paese, ma la mamma scelse il momento perfetto per intervenire.
«Renesmee, che ne diresti di uscire un po'? Io e papà pensavamo di andare a caccia, dopo la partita», esclamò in tono tranquillo e controllato, come se fosse ben decisa a impedire che scoppiasse una rissa. Lei ed Edward sedevano a un tavolino, impegnati in una partita a scacchi.
Le lanciai un'occhiata fugace per poi tornare a fissare lo spartito sul leggìo. «No, non mi va», risposi a bassa voce. Era vero, non ne avevo voglia; mi sentivo stranamente stanca e spenta, come se qualcosa mi avesse risucchiato tutte le energie. Affrontare mezz'ora di caccia mi sembrava troppo impegnativo anche solo a pensarci.
«Ah», commentò la mamma. Tacque per alcuni secondi e pensai che ci fosse rimasta male. Ma presto tornò all'attacco. «Perchè non chiami Jacob e non vi incontrate? Che cosa fa, oggi?».
«Non ne ho idea», risposi in tono piatto. Quasi senza accorgermene, avevo iniziato a premere più volte il dito su un tasto, producendo suoni brevi, identici e rapidi. Tutti mi fissarono come se avessi appena detto un'assurdità ed io ricambiai i loro sguardi, confusa. Emmett non si decideva ad abbassare quel sopracciglio e Rose sembrava impassibile, ma la sua espressione riusciva a mettermi a disagio comunque. «Be', che c'è?», sbottai, seccata. «Non sono l'agenda vivente degli impegni quotidiani di Jacob».
«Ah, no?», chiese zio Emmett, ironico, l'ombra di un sorriso sghembo sul volto.
«Sai cosa farei in questo preciso istante se avessi un'accetta e una scatola di fiammiferi?», rilanciai, sempre più infastidita, fissandolo con gli occhi ridotti a fessure.
«E Jas?», intervenne di nuovo la mamma, sventando un'altra crisi nel giro di una manciata di minuti.
«Jas cosa?», domandai, riluttante a distogliere l'attenzione da Emmett che mi sorrideva indulgente e dalle piacevoli riflessioni su come sarebbe stato interessante far sparire quel sorrisino. Nessuna minaccia uscita dalle mie labbra avrebbe mai avuto il minimo effetto su di lui o su un qualunque altro vampiro, ovviamente.
«Lei che cosa fa questo pomeriggio?».
Alzai appena le spalle. «Non lo so. Credo che sia a casa. Sua madre andava alla SPA e in genere Jas ne approfitta per... rilassare la mente».
La mamma annuì con aria comprensiva. La pensavamo allo stesso modo sulla signora Williams e la sua stramba concenzione del ruolo materno.
«Be', potresti chiamarla», disse papà, guardandomi con espressione affettuosa. «Fate qualcosa insieme».
Ci pensai su un momento, senza smettere di premere sul tasto del pianoforte, anche se un po' più leggermente rispetto a prima. «Veramente... dovrei fare i compiti. Grammatica francese», mormorai con scarso entusiasmo.
«Credevo che li avessi finiti», obiettò Bella.
«I compiti non finiscono mai al terzo anno delle superiori, soprattutto quelli di francese», risposi con un'occhiata eloquente nella sua direzione. «La professoressa Holland pensa che la sua materia sia la più imporante per superare il SAT
. Come tutti i professori, del resto».
Papà rise sommessamente. Seduta davanti a lui, la mamma spostava alternativamente lo sguardo da uno dei suoi pedoni alla regina con espressione seria, mordendosi un labbro, forse cercando di decidere la sua prossima mossa; ma io ero certa che ascoltasse con attenzione e che non si perdesse neanche una parola.
«A maggior ragione sarebbe meglio che ti distraessi un po'. Non ti fa bene preoccuparti tanto».
«Non sono preoccupata per il SAT», risposi senza pensarci, e poi tacqui di colpo; non avevo voglia di continuare e confessare a voce alta a cosa stessi pensando davvero.
I miei genitori non avevano mai condiviso la decisione di lasciare Alex. Sembravano sinceramente convinti che le mie paure fossero immotivate, sebbene ritenessero che alcune delle motivazioni che mi avevano spinta a tanto non fossero del tutto insensate, come il fatto che prima o poi avrei dovuto lasciarlo comunque o rivelargli la verità sulla mia natura e trascinarlo nel mio mondo complicato. Sostenevano che niente di tutto ciò rendesse del tutto impossibile la continuazione della mia storia con Alex e che avrei almeno potuto vivere il nostro rapporto con spensieratezza ancora per un po', ma avevano deciso di non interferire. Se questa era la decisione che reputavo migliore per entrambi, per me e per Alex, allora dovevo prenderla.
E per quanto non fossi affatto convinta di aver preso la decisione giusta, per quanto trascorressi minuti su minuti e ore su ore a ripensare al problema, vagliandone ogni aspetto e ogni possibile soluzione, senza mai giungere ad una conclusione diversa da quella che mi aveva indotto a lasciare Alex, apprezzavo la loro discrezione. Sembrava proprio che avessero deciso di smettere di trattarmi come una bambina, che volessero lasciarmi spazio e piena facoltà di decidere per me stessa, e non potevo che apprezzare il cambiamento.
Mi alzai di scatto dallo sgabello del pianoforte, così repentinamente che se nella stanza fosse stato presente un umano mi avrebbe senz'altro lanciato un'occhiata confusa.
«Credo che proverò a chiamare Jas. Magari le va di fare un po' di shopping», dissi.
La mamma si illuminò mentre mi guardava e fece un gran sorriso. «Ottima idea», esclamò con voce frizzante. «Salutala da parte mia».
«Ti presto la mia carta di credito», aggiunse Rosalie, sfoggiando un sorriso che poteva rivaleggiare con quello della mamma. «È un po' che non ti faccio un regalo».
«Ottima idea», ripetè Bella, sempre più entusiasta.
Ero incredula. Lei detestava lo shopping e la mia passione per l'abbigliamento alla moda era causa di parecchie discussioni tra noi due, soprattutto se spendevo troppo o se la mia stanza minacciava di esplodere per la quantità di abiti e scarpe che conteneva. Alice e Rosalie mi avevano influenzata irrimediabilmente e alla mamma era toccato rassegnarsi all'inevitabile con qualche sfuriata occasionale. E adesso addirittura mi incoraggiava a fare spese con una delle carte di credito senza fondo delle zie, purchè uscissi di casa e la piantassi di rimuginare pensieri tristi strimpellando musiche deprimenti al pianoforte.
«Non ne potevate proprio più di ascoltare Chopin, eh», commentai a mezza voce, un sorrisino colpevole sulle labbra, mentre lasciavo la stanza. Sapevo che agivano e parlavano sempre e solo per il mio bene e sperai con tutte le mie forze di superare il più in fretta possibile quel momento di tristezza. Prima o poi i dubbi e la paura sarebbero svaniti. Prima o poi sarei stata certa di aver fatto la cosa giusta per Alex. E se lui stava bene, me la sarei cavata anch'io.
Entrata nella vecchia stanza di papà, che ormai utilizzavo come camera personale quando ero a casa dei nonni, afferrai il telefono, mi lasciai cadere sul letto a gambe incrociate e composi il numero di Jas. Il telefono squillò a lungo mentre fissavo gli alberi frondosi fuori dalle finestre; le loro chiome erano così rigogliose che sembravano piegarsi verso gli ampi vetri fin quasi a toccarli. Poi, finalmente, qualcuno sollevò la cornetta dall'altra parte.
«Renesmee?».
Era Jas e sembrava sconcertata. Oltre che un tantino seccata. Doveva aver letto il numero sul display del cordless.
«Ciao», mormorai, esitante. «Ehm... Che hai? Tutto bene?».
«Sì, tutto bene», esclamò, sbrigativa. Fece una lunga pausa. «Cercavi me?».
Aggrottai la fronte. «Be', sì. Di certo non ho chiamato per parlare con Gatto».
«Oh, capisco», rispose in fretta, senza cogliere la battuta. Rimase di nuovo in silenzio e dopo qualche secondo intervenni.
«Jas, sicura che sia tutto okay? Se hai da fare posso richiamare più tardi».
Prima che riuscissi a terminare la frase stava già parlando.
«Hai proprio ragione, sono molto... occupata... in questo momento. Sarebbe meglio se ci sentissimo stasera, magari».
«D'accordo», risposi, lentamente. «Allora...».
In quell'istante udii una voca dall'altra parte. Qualcuno parlava con Jas e riconobbi immediatamente Louise, la domestica dei Williams.
«Signorina Jas, il suo ospite sta arrivando. Ha una Ford, giusto?».
«Sì, grazie, Louise!», saltò su la mia amica, a voce così alta da farmi sussultare. Si rivolse nuovamente a me, molto più allarmata di prima. «Renesmee, scusa, devo proprio andare...».
«Ferma lì!», sbottai, colpita da un pensiero improvviso. «Chi sta arrivando a casa tua?».
«
Nessuno! Non sta arrivando nessuno, Louise si è sbagliata...».
Fu interrotta dal suono del campanello; qualcuno bussava alla porta di casa.
«Come nessuno? E nessuno ha appena bussato alla porta?».
«Ma come diavolo hai fatto a sentirlo? Hai una specie di super udito?».
«Non cambiare argomento! È Seth, non è vero? Nessun altro ha una Ford tra quelli che conosciamo», esclamai, balzando in piedi di scatto come una molla.
«Non posso parlarne adesso, devo andare», fece lei per tutta risposta. Qualcuno suonò ancora il campanello. «Poi ti chiamo e ti racconto tutto, giuro. Baci!».
«Che cosa? No, Jas, aspetta! Jas!».
Troppo tardi, aveva già riagganciato. Mi parve di vederla davanti agli occhi mentre correva al piano di sotto di casa sua, si controllava i capelli nello specchio dell'ingresso, spalancava la porta con un sorriso accattivante sul volto truccato. E poi... Accidenti!
Lanciai il telefono sul letto e mi precipitai giù per le scale con un tale fracasso che sentii appena la voce di Emmett dal salotto. «Ehi, che succede? Una mandria di bufali sta invadendo la casa?».
«Seth è andato da Jas!», esclamai, piombando senza fiato nella stanza.
Emmett, Rose e Bella mi fissarono con aria sconcertata, fermi nelle stesse posizioni in cui li avevo lasciati cinque minuti prima. Solo papà si alzò in piedi come per fronteggiarmi. Lui sapeva già, naturalmente.
«E... e allora?», chiese la mamma, piano, con cautela. Aveva gli occhi sgranati come se avesse davanti una bomba a orologeria invece di sua figlia.
«Seth è a casa di Jas! In questo preciso istante! Sono lì insieme, da soli!».
Silenzio. Zia Rose e la mamma si scambiarono uno sguardo perplesso.
«E allora?», ripetè Bella.
«E allora? Come sarebbe a dire e allora? Ti rendi conto che quello che potrebbe succedere?», sbottai, alzando la voce. Sentivo un nodo di ansia all'altezza dello stomaco che si faceva sempre più stretto, come un cappio. Provai a respirare profondamente, con calma.
«Che cosa potrebbe succedere?», domandò papà, tranquillo. Sulle labbra aveva un sorriso leggero e nel suo sguardo leggevo una certa dose di esasperazione.
«Ah! Di tutto!».
La mamma fece un sospiro pesante e abbassò di nuovo gli occhi sulla scacchiera, scuotendo il capo. «Renesmee, stai esagerando. Si conoscono appena, Jas ha un ragazzo che adora... E sai come è fatto Seth, dubito che abbia intenzione di saltarle addosso».
«Non è questo il problema principale», intervenni in tono brusco e alzai una mano per interromperla. «Potrebbe dirle qualcosa!».
Lei scosse di nuovo la testa con decisione. «Non lo farebbe mai senza prima averne parlato con te. Sa benissimo che è una situazione delicata, che Jas è la tua migliore amica e che vuoi proteggerla. Devi fidarti di Seth, come hai sempre fatto».
«Ma questa non è una circostanza normale! C'è di mezzo...».
Mi interruppi di botto, incapace di terminare la frase. Non potevo pronunciare quella parola. Non veniva prounciata
tra noi a voce alta da mesi, da quando ero tornata a casa dopo il periodo trascorso da Charlie. Non in mia presenza, almeno. Ma questa volta la mamma ruppe il patto che avevamo silenziosamente stipulato al mio ritorno a casa.
«L'imprinting?», esclamò guardandomi dritto negli occhi. «Sì, e allora? Anche tra te e Jacob c'è di mezzo l'imprinting. Insomma, non capisco quale sia il problema. Perchè Seth e Jas non possono avere quello che avete voi due?».
Ricambiai il suo sguardo in silenzio, le labbra serrate per non lasciar sfuggire i pensieri che mi assillavano da settimane e settimane e che mai sarei riuscita a confessare a voce alta, non davanti a lei e al resto della famiglia. Era così atrocemente imbarazzante. Quello che avevamo io e Jacob? Compresa la gelosia, l'attrazione fisica e l'incapacità di gestire una sola conversazione senza metterci in imbarazzo a vicenda? Raccontargli la fine della mia storia con Alex, il giorno in cui loro due avevano quasi fatto a botte nella riserva, era stato così strano e difficile che lo stesso Jake aveva cambiato argomento il prima possibile. Incrociai lo sguardo di papà: appariva preoccupato.
«Io vado lì», sussurrai, e marciai fuori dalla stanza prima che qualcuno potesse dire altro.
Nella mia stanza afferrai il cellulare, la giacca e le chiavi della macchina e tornai di sotto. Edward e Bella mi aspettavano nell'ingresso e mentre scendevo le scale di corsa intravidi con la coda dell'occhio Rosalie ed Emmett fermi sulla porta del salotto; mi seguirono con gli occhi, immobili come statue di cera, senza dire una parola. I miei genitori, invece, avevano intenzioni ben diverse.
«Renesmee», proruppe la mamma in tono severo non appena fui apparsa in cima alle scale, «cosa vuoi fare esattamente?».
«Devo tenerli d'occhio!», sbottai, esasperata almeno quanto lei. Forse pensava che io non capissi, ma dal mio punto di vista era mia madre che non capiva. Nessuno poteva capire, me ne resi conto all'improvviso e fu come uno schiaffo secco sul volto. Nessuno che non avesse provato l'imprinting sulla propria pelle avrebbe potuto capire cosa significava quella corda di acciaio che incantenava il tuo cuore a quello dell'altro; un laccio che rischiava di rovinare la vita di Jas.
«Tesoro, per favore, pensaci bene», intervenne papà, la voce bassa e melodiosa; sapevo che stava cercando di calmarmi, ma questa volta non gliel'avrei permesso. «So che adesso ti senti confusa e spaventata, ma non è detto che... Non tutti provano le stesse cose...».
Arrossii furiosamente. «Io non sono confusa», saltai su, piccata, e vidi la sua espressione cambiare di colpo, come se fosse pentito di aver sfiorato un argomento proibito. «Per niente. So benissimo quello che faccio. Lo so benissimo».
«Non puoi immischiarti in questo modo nella vita di Jas! Non farlo, Renesmee, o potresti perderla», ribattè la mamma con forza, afferrandomi per un braccio delicatamente ma senza traccia di esitazione.
Scossi il capo, senza fiato, gli occhi bassi per non incontrare i suoi colmi di ansia e di rimprovero. «La sto già perdendo, mamma. La sto già perdendo. E quando scoprirà cosa sono davvero, quando scoprirà che le ho sempre mentito sulla mia vita, la perderò definitivamente, per sempre», sussurrai con voce rotta. Era un pensiero così spaventoso da non riuscire neanche ad immaginare che accadesse realmente. Dovevo fare qualcosa, qualunque cosa, per impedirlo. Dovevo tentare.
In silenzio, lottando per ingoiare le lacrime che minacciavano di sgorgare, sottrassi piano il braccio alle dita forti e fredde della mamma e uscii velocemente chiudendomi la porta alle spalle.


****


Arrivai a casa Williams nel giro di una manciata di minuti, infrangendo un bel po' di regole del codice stradale. Se Charlie mi avesse vista, gli sarebbe venuto un colpo. Davanti al cancello era parcheggiata la vecchia Ford blu scuro che Seth divideva con sua sorella Leah. Con un tuffo al cuore, parcheggiai lì accanto e mi fiondai alla porta, determinata e perfettamente convinta di essere nel giusto.

Dopo la nostra ultima discussione a proposito di Seth avevo chiesto scusa a Jas per il mio comportamento, sinceramente dispiaciuta di essere costretta ad intromettermi nella sua vita privata, e avevo cercato di spiegarle che ero soltanto preoccupata e desiderosa che facesse la scelta giusta. Jas aveva fatto la sostenuta per un po', ma ben presto aveva ceduto e mi aveva abbracciata senza dire nulla, ponendo fine in quel modo al litigio. Ero stata molto sollevata nello scoprire che tutto sommato non se l'era presa, e adesso mi chiedevo, non senza una certa ansia, come avrebbe presto questa irruzione.

In un'altra situazione non mi sarei mai sognata di precipitarmi in quel modo a casa di una mia amica, senza essere stata invitata e con il preciso scopo di metterle i bastoni tra le ruote con un ragazzo, ma si trattava di proteggere l'esistenza di Jas dal mondo soprannaturale. E se Seth avesse deciso, in qualche folle impulso dettato dall'imprinting, di raccontarle tutto? Tremavo solo a pensarci.
La porta si aprì e apparve Louise, un sorriso ampio e sereno sul volto. Era una signora minuta sulla quarantina, di aspetto gradevole, con lunghi capelli scuri sempre legati in cima alla testa e l'uniforma bianca e nera impeccabile. Sfoggiava il solito atteggiamento pacato e serafico che, ormai lo sapevo bene, era la sua tecnica di sopravvivenza in casa Williams. Sembrava che niente avesse il potere di turbarla, nè le scenate della signora Williams, nè l'assenza quasi costante del signor Williams, nè i capricci della loro figlia.
«Signorina Renesmee, che sorpresa. Non la aspettavamo», disse, facendosi da parte con un gesto di invito.
Entrai e lei chiuse la porta alle mie spalle. «Eh, già», bofonchiai.
Jas spuntò da una porta sulla sinistra che conduceva alla cucina, l'aria perplessa e Seth alle calcagna. Quando mi vide, al di là di Louise, spalancò gli occhi azzurro chiaro.
«Sorpresa!», esclamai con un sorrisone.
«Che ci fai tu qui?», boccheggiò la mia amica. Mi guardava come se fossi un mostro orrendo piombato dritto in casa sua dallo spazio profondo.
«Sono venuta a trovarti. Sei contenta?», risposi, non senza un tocco di acidità nella voce.
«No, per niente», sbottò, secca. Come al solito, Jas non aveva peli sulla lingua.
«Ci credo», borbottai. Lei sembrò indignata, ma non ebbe tempo per dire altro. «Ho interrotto qualcosa?», aggiunsi. Lanciai un rapido sguardo a Seth, sorridente al fianco di Jas; quando lo guardai dritto negli occhi, il suo sorriso luminoso e caldo si spense immediatamente.
«No, tranquilla. Mi fa piacere vederti», rispose lui a mezza voce.
«Ah, bene! Allora credo che mi fermerò un po'».
Mi sfilai la giacca e la porsi a Louise che aspettava con la mano tesa.
«Stavo per servire uno spuntino, spero che abbia fame», disse.
«Tantissima fame», esclamai, evitando accuratamente lo sguardo assassino di Jas.
«Su, andiamo», fece lei, scocciata. «Louise, aspettiamo il the in salotto».
«Subito, signorina Jas».
Alzando gli occhi al cielo, la mia amica varcò una grande porta sulla destra e Seth la seguì dopo avermi lanciato un'occhiata esitante. Io e Louise restammo da sole. Lei continuava a sorridere, io valutavo rapidamente la situazione.
«Dimmi, Louise, come ti ha corotto la signorina Jas perchè tu non riferissi a sua madre che oggi sarebbe venuto a casa un ragazzo a lei completamente sconosciuto?», domandai, retorica.
In realtà la signora Williams non si curava quasi per niente delle frequentazioni di sua figlia, purchè fossero "del suo stesso ceto sociale", come diceva lei. Però teneva moltissimo alle apparenze e alle convenienze e di tanto in tanto faceva una predica di dieci minuti a Jas sul comportamento da assumere con i ragazzi, per poi dimenticare completamente l'argomento.
Louise non si scompose affatto. «Non capisco, signorina. Non so di cosa stia parlando».
La guardai male
per un minuto, le braccia incrociate e il mento sollevato. Annusai l'aria. «È Chanel quello che sento?».
«Si accomodi in salotto, prego. Il the arriva subito».
Sbuffai e marciai nella stanza accanto. Aggiungere altro sarebbe stato inutile, ormai. Il salotto era una stanza enorme riccamente arredata con pezzi di antiquariato e opere d'arte contemporanea che si mescolavano armonicamente. Ogni oggetto, dai divani rivestiti di tessuti preziosi alle delicate sculture di cristallo che si ergevano sul pavimento di marmo, dai quadri ricoperti da schizzi di pittura appesi alle pareti color crema ai grandi lampadari importati dall'Italia, sembrava appena uscito da una cassa da imballaggio. Quando ero a casa di Jas avevo sempre la sensazione di trovarmi in un museo ed esitavo perfino a sedermi su una sedia. Probabilmente Seth, abituato ai divani sgangherati e al minuscolo salotto di casa sua, si sarebbe sentito come un pesce fuor d'acqua. E invece era seduto accanto a Jas su uno degli ampi divani, impegnato a chiacchierare e del tutto indifferente a ciò che lo circondava. Grandioso.
«Tieniti lontana da Gatto, Renesmee», disse Jas mentre sedevo di fronte a loro sull'altro divano.
«Come mai?».
«
È di cattivo umore».
«E quando non è di cattivo umore?».
«Sì, ma oggi è particolarmente nervoso. Quando è arrivato Seth ha cominciato a soffiargli contro, a tirare fuori gli artigli e a miagolare come un pazzo», spiegò con un'aria seria che era quasi comica. «Ho dovuto chiuderlo in lavanderia prima che gli saltasse addosso. Proprio non capisco che cos'abbia. In genere reagisce così soltanto quando incontra il barboncino dei vicini».
Mi trattenni a fatica dallo scoppiare a ridere. «Be', si sa che i gatti non amano i cani e viceversa», mormorai, mordendomi il labbro inferiore per frenare un sorriso.
Jas mi fulminò con lo sguardo. «E questo che c'entra?» chiese a denti stretti.
«Hai una casa incredibile, Jas», intervenne subito Seth, deciso. «
È fantastica, davvero».
Lei gli rivolse un sorriso radioso. «Grazie!». Poi mi guardò con aria malevola. «Prima che tu arrivassi stavo per fargli fare un giro».
«Davvero? E perchè mai?
Mi sembra così noioso», esclamai con una scrollata di spalle. «A che ti serve conoscere tutte le stanze della casa, Seth? A meno che tu non pensi di trascorrere molto tempo qui, e questo mi sembra abbastanza improbabile... È improbabile, vero?». Lo fissai con un sopracciglio inarcato e un amabile sorriso, augurandomi che recepisse il messaggio. Lui sembrava sul punto di dire qualcosa, ma poi esitò e abbassò gli occhi sul tappeto.
«Si può sapere che cos'hai, Renesmee?», sbottò Jas. «Ti comporti in modo così strano».
Era infastidita e non riuscii a non provare un po' di dispiacere per lei. Fortunatamente Louise scelse proprio quel momento per entrare in salone portando un vassoio con the al limone, fumante e profumato, e tramezzini di vari gusti. Con un sorriso professionale sistemò il vassoio sul tavolino tra i due divani e se ne andò senza smettere di sorridere, incurante delle mie occhiate truci. Ci fu qualche attimo di silenzio mentre Jas versava il tè nelle tazze, divertendosi un mondo nel suo ruolo di padrona di casa.
«Spero che ti piaccia, Seth», disse, la voce bassa e stranamente dolce. Di solito parlava in quel mondo soltanto al vecchio professor Redmont nella speranza di stordirlo e convincerlo ad alzare i suoi voti in geografia.
«Veramente non bevo spesso il the, ma mi piace». Seth abbassò lo sguardo su di lei, mentre parlava, e sorrise. Un sorriso tenero, carico di affetto. Per me fu un colpo allo stomaco e quasi mi strozzai con un sorso di the.
«Ah, sì? Non ne avevo idea», osservai, stizzita. Jas mi lanciò un'occhiata furiosa e disorientata al tempo stesso, ma io finsi di non accorgermene. «
È una passione recente o sbaglio? Non ricordo di averti mai visto con una tazza di the in mano».
Seth mi fissava tranquillo, senza ombra di disagio o senso di colpa sul volto. Nei suoi occhi scuri, grandi e gentili, leggevo comprensione, un po' di dispiacere e un pizzico di preoccupazione. Preoccupazione per me, non per se stesso, ne ero sicura. Come se vedesse qualcosa di triste che a me sfuggiva. Stava per rispondere, ma la mia amica intervenne.
«Louise ha dimenticato lo zucchero», annunciò, guardandomi dritto negli occhi. «Puoi andare a prenderlo, per favore?».
Conoscevo quel tono perentorio. Era il tono che usava quando non era intenzionata ad ammettere repliche. Ma ero riluttante a lasciarli soli, seppure per un minuto. Esitai.
«
È proprio necessario?».
I suoi occhi si strinsero mentre mi fissava e in quel momento pensai che se avesse potuto mi sarebbe saltata al collo per strangolarmi.
«Lo sai che non bevo il the senza latte e due cucchiaini di zucchero», rispose con voce soave. Qualcun altro avrebbe potuto trovarla tranquillizzante, ma io sapevo che l'estrema dolcezza era l'ultimo stadio prima di una furia omicida che non avrebbe lasciato scampo a nessuno. «Per favore», aggiunse, sorridendo.
Alzai gli occhi al cielo. «D'accordo. Vado».
Attraversai la stanza con passo pesante e uscii. Lì per lì pensai di nascondermi dietro la porta del salone per origliare, ma decisi immediatamente che non era il caso. Mi sembrava troppo scorretto nei confronti di Jas. In cucina, Louise stava riordinando il frigorifero e intanto canticchiava tra sè. Quando entrai, naturalmente mi sorrise.
«Tutto bene, signorina Renesmee?».
Le risposi con un sospiro mentre prendevo la zuccheriera di porcellana dal tavolo. «Spero almeno che Jas le abbia regalato il flacone più grande, così ne sarà valsa la pena.».
Stavo attraversando il corridoio per tornare in salotto quando qualcuno suonò il campanello. Senza riflettere, andai ad aprire e mi trovai davanti Tom. Stringeva tra le mani un piccolo mazzo di delicati fiorellini gialli e aveva un'aria soddisfatta.
«Ciao, Renesmee», mi salutò. Era evidentemente un po' sorpreso di trovarmi lì, ma non tanto. «Non sapevo che fossi qui. Tutto okay?».
Non risposi. Lo fissavo a bocca spalancata, incredula. Era veramente Tom? Sbattei più volte le palpebre, ma senza successo. Non era un'illusione: lui era ancora lì. Lui era lì e Seth e Jas erano in salotto a bere il the. Lentamente iniziò a montare il panico. Tom, stupito dal mio silenzio di tomba e forse dalla mia espressione sconvolta, si schiarì la voce, a disagio.
«Ho pensato di fare un salto a trovare Jas.
È in casa, vero?».
«Ehm...».
Prima che potessi farfugliare una risposta, sebbene non avessi la minima idea di cosa farfugliare, Jas arrivò dal salone a passo svelto.
«Allora, questo zucchero...».
Vide Tom sulla porta e si bloccò con un sussulto. Sul suo volto si dipinse rapidamente un'espressione di autentico orrore. Lui, invece, si illuminò come se non la vedesse da settimane; e invece si erano incontrati quella mattina a scuola, come ogni giorno.
«Ciao!», esclamò, allegro, avanzando nell'ingresso. Io mi feci da parte, gli occhi bassi sul pavimento, pregando in silenzio che un miracolo giungesse a salvarci. «Sorpresa!». Tom sollevò il mazzolino di fiori con aria raggiante.
Mi chiesi se a Jas non sembrasse sgradevolmente ironico ascoltare quella stessa parola ripetuta per due volte di seguito, nello spazio di dieci minuti, da due persone che in quel momento, poco ma sicuro, non avrebbe mai desiderato vedere. Se ne stava lì impalata a fissarlo, come se non avesse idea di cosa fare, e a poco a poco Tom iniziò a capire che qualcosa non andava, lo sguardo confuso che andava da me a Jas.
«Ragazze, tutto bene?».
«S-sì», balbettò lei. «
È solo che... Non ti aspettavo... Io... Ma non dovevi fare una ricerca di storia? Mi hai detto che avresti studiato tutto il pomeriggio», disse, una punta di disperazione nella voce.
Tom sorrise di nuovo. «Ho finito presto. Così possiamo stare un po' insieme». Sicuramente non era quella la reazione che si aspettava. Davanti alla faccia sconvolta di Jas il suo entusiasmo finalmente si sgonfiò come un soufflè venuto male. «Che c'è che non va?».
«Niente. Mi hai presa alla sprovvista, tutto qui», rispose Jas. Scosse appena la testa, cercando di ricomporsi. Mi sembrava quasi di sentire il rumore degli ingranaggi del suo cervello che lavoravano per risolvere la situazione.
Tom sgranò gli occhi. «Alla sprovvista? Perchè, cosa stavate facendo?». Silenzio. Jas mi guardò come se si aspettasse che io inventassi chissà cosa, ma mi sembrava di avere la testa piena di ovatta. Non riuscivo a pensare. Ricambiai il suo sguardo allarmato e Tom, che pur non essendo particolarmente sveglio, non era un idiota, si insospettì. «Di chi è la Ford parcheggiata qui fuori?», aggiunse, sfoderando un cipiglio da interrogatorio della polizia. Charlie glielo avrebbe invidiato di sicuro. «Chi c'è con voi?».
I suoi occhi socchiusi guizzarono verso la porta del salotto, da dove giungeva un lieve acciottolio di tazze. Fece un passo in quella direzione ed io già mi auguravo che il nostro ospite fosse uscito dalla finestra, quando sulla porta comparve proprio lui, Seth. Tom non ebbe alcuna reazione immediata; si limitò a sbiancare leggermente e ad osservare Seth con espressione indecifrabile.
«Ciao, Tom», disse Seth, tranquillo, ma serio in volto. Accidenti a lui, perchè doveva comportarsi da uomo e affrontare il ragazzo di Jas invece di filarsela come avrebbe fatto chiunque altro? Lo guardai male, ma lui fece finta di nulla. «Come va?».
Per diversi secondi ci fu un silenzio così profondo che potei ascoltare perfettamente i battiti del cuore di tutti noi. Tre veloci e agitati, uno calmo e lento. Poi Tom scattò in avanti. «Che sta succedendo qui?», domandò.
«Non è come sembra!», strillò Jas.
«Sembra che stiate bevendo il the», osservò Tom, sbirciando oltre le spalle di Seth.
Lei annuì precipitosamente. «Sì, esatto! È solo un the!».
«Ma lui che c'entra? Da quando prende il the a casa tua?». 
Ero sul punto di intervenire e dire qualcosa, qualunque cosa, per salvare la mia amica, ma non ne ebbi il tempo. In quel preciso istante la porta della cucina si spalancò e apparve Louise con un cesto di panni puliti tra le braccia; quando ci vide, afferrò la situazione in un lampo, fece dietro front e sparì di nuovo nella cucina. Beata lei che poteva scappare, pensai, sconsolata.
«Da oggi!», rispose Jas, sempre più allarmata. «Stavamo solo facendo due chiacchiere, e non era mai venuto a casa mia prima d'ora!».
«Come no! Due chiacchiere di nascosto».
«Ma non è così! Non te l'ho detto perchè... perchè non è capitato... Non ne ho avuto l'occasione...».
«Tom, davvero, non c'è niente di cui...», iniziò Seth, ma non riuscì a dire nient'altro.
«Tu non parlare!», sbottò Tom, lanciandogli un'occhiata velenosa che avrebbe fatto indietreggiare di corsa anche me. Aveva il viso arrossato, agitava il mazzolino di fiori che aveva portato a Jas come se fosse stato un'arma e sembrava davvero furioso. «Come osi venire a casa della mia ragazza a provarci con lei...».
Seth e Jas aprirono bocca contemporaneamente per ribattere, ma questa volta riuscii a precederli. «No, ti stai sbagliando», esclamai, decisa, e questa era la pura, semplice verità; era Jas a provarci con lui, non il contrario. «Sono stata qui con loro per tutto il tempo, non è successo niente. Niente».
Mentre Tom mi fissava, scorsi un piccolo dubbio iniziare a farsi strada nei suoi occhi. Sentiva che ero sincera, ma era comunque troppo arrabbiato per accettarlo.
«Questo non ha importanza. Non ha importanza perchè lei non me l'ha detto», continuò, e si voltò verso Jas. «Perchè l'hai fatto se non c'era niente da nascondere? Perchè?».
A quel punto Jas esplose. «Oh, insomma!», strillò, alzando le voce e le braccia come per levare una protesta verso il cielo. Tom sobbalzò e mi parve di sentire chiaramente i delicati soprammobili di cristallo del salotto tremare nelle loro consolle. «Non sono tenuta a dirti tutto quello che faccio!».
Tom strabuzzò gli occhi. «Non sei tenuta a dirmi che ti vedi con un altro ragazzo? Uno che conosci appena e che ti viene dietro?».
«Io non mi vedo con un altro, abbiamo solo bevuto un the, maledizione!».
«Ma certo! Quindi non si siete guardati nè sfiorati, forse non avere nemmeno parlato, giusto? È ridicolo!».
«No, tu sei ridicolo! Piantala!».
Jas non potè aggiungere altro. Dalla cucina giunse un grido che la ammutolì.
«Signorina Jas! Signorina Jas, il gatto!».
Poi dalla porta della piccola lavanderia accanto alla cucina schizzò fuori qualcosa di simile a una grossa palla di pelo lanciata a tutta velocità. Era Gatto, che soffiando, miagolando e graffiando si gettò contro Seth. Jas cacciò un urlo di spavento e per i successivi due minuti ci fu solo una gran confusione. Jas strappò dalle mani di Tom il mazzolino di fiori e iniziò a colpire il gatto ripetutamente per fargli mollare la presa mentre Seth si divincolava per liberarsi, più stupito che spaventato dagli artigli che si agitavano a un centimetro dalla sua faccia. Di istinto mi lanciai verso la mia amica per cercare di fermarla e come unico risultato mi ritrovai a barcollare all'indietro, mezza accecata da un pugno di margherite ormai distrutte che avevano centrato quasi perfettamente la mia faccia.
Forse per sfuggire a Jas e al suo mazzo di fiori, improvvisamente il gatto balzò di nuovo sul pavimento e si fiondò nel salone come una palla da baseball emettendo una serie di acuti e insopportabili miagolii. Era davvero fuori di testa. Jas, consapevole del fatto che l'animale aveva l'assoluto divieto di entrare in quella stanza, gli corse dietro urlando qualcosa di incomprensibile e Tom, almeno in apparenza dimenticando di essere arrabbiato con lei, la seguì a ruota. Un attimo dopo anche la porta della cucina si spalancò con un gran fracasso e ne uscì Louise con una scopa tra le mani, i capelli scarmigliati e l'aria determinata di un soldato che intraprende una missione di vita o di morte. Seth fece un salto all'indietro e si tolse dalla sua traiettoria appena un secondo prima che la donna si precipitasse nel salone come una furia.
Rimasti soli, ansimanti e sconvolti, ci guardammo per un attimo. Poi lo afferrai per un braccio e lo spinsi verso la porta d'ingresso, che era rimasta aperta. Mi augurai che almeno qualche vicino ficcanaso si fosse goduto lo spettacolo che avevamo offerto.
«Ehi, ma cosa...».
«Vattene subito, Seth! Sparisci!», sbraitai, trascinandolo con tutte le mie forze e riuscendo soltanto a farlo scivolare lentamente sul tappeto. Nella stanza accanto si udì un tonfo, il rumore di una tazza che si infrangeva sul pavimento, uno strillo di Jas e una sonora imprecazione di Tom. Seth guardò verso il salone con aria sinceramente preoccupata.
«Ma... sei sicura... Jas... il gatto...».
«Qui ci penso io, tu vattene!», sibilai, affannata, scostandomi una ciocca di capelli arruffati dalla fronte. «E comunque sappi che Gatto ha tutta la mia approvazione!».
Chiusi con forza la porta sulla sua faccia sconcertata.


****


Mezz'ora più tardi ero ancora a casa Williams, seduta sul divano del salotto ad osservare i resti della battaglia condotta per acciuffare Gatto e ascoltando Tom e Jas che litigavano furiosamente davanti a me. Louise era riuscita a bloccare il gatto lanciandosi sul felino con tutto il suo peso e a chiuderlo di nuovo in lavanderia, dalla quale si udivano ancora miagolii furibondi e un forte rumore di unghie contro la porta; risolta l'emergenza, avevo cercato di andarmene per tre volte, ma Tom e Jas me l'avevano impedito. Louise aveva pensato bene di dileguarsi in cucina, probabilmente perchè non voleva essere incolpata del disastro nel salotto all'arrivo della signora Williams, e a me era toccato ascoltarli. Non facevano che chiamarmi in causa nella discussione e sebbene mi rifiutassi di rispondere e di prendere le parti di uno dei due, non ero comunque riuscita ad allontanarmi. Fissavo in silenzio il pavimento ricoperto di schegge di vetro e porcellana, i cuscini lanciati in aria e una sedia rovesciata su un fianco (Tom ci era caduto sopra inseguendo il gatto), e ascoltavo, le braccia incrociate e l'aria assente.
«Come diavolo ti è venuto in mente di invitarlo a casa tua?».
«Se voglio invitare qualcuno a casa mia lo faccio e basta!».
«La senti, Renesmee? La senti? E poi dice che io sono paranoico! Ma se lo conosci a stento da cinque minuti!».
«Non è vero, lo conosco eccome!».
«Immagino che in che modo abbiate fatto conoscenza!».
«Non dire stupidaggini! Abbiamo parlato qualche volta, tutto qui!».
«Che cosa? Che cosa? Lo vedi che ho ragione? Quante volte vi siete incontrati alle mie spalle? Dove? Quando?».
«Per telefono, soltanto per telefono! Sono io che ho ragione, sei un paranoico e un ficcanaso, non è vero, Renesmee? Sei d'accordo con me, non è così?».
«Ma come ti è venuto in mente di chiamarlo?».
«Se mi va di chiamare una persona la chiamo!».
Sospirando, lasciai andare la testa dolorante all'indietro, contro la morbida spalliera del divano, rassegnata ad affrontare un lungo, lunghissimo pomeriggio. Chiusi gli occhi e mi dissi che se mai Seth si fosse ripresentato a casa di Jas, avrebbe dovuto fare i conti con Gatto e le sue crisi isteriche, e tutto sommato il pensiero era consolante: forse nella mia piccola battaglia personale avevo finalmente trovato un alleato.







Note.
1. Qui la canzone. Mi piace moltissimo e trovo che il testo sia un po' ironico se messo in relazione con il contenuto del capitolo... Spero che la troviate adatta.
2. Probabilmente non lo ricorderete, così ecco il link.
3. Terzo e ultimo link "musicale" per questo capitolo, giuro xd.
4. Il SAT è una sorta di test attitudinale che negli Stati Uniti viene richiesto per l'ammissione al college. Qui se siete curiosi di saperne di più.






Spazio autrice.
Salve a tutti! Sono contenta di essere riuscita a rispettare i tempi di aggiornamento senza nessun problema, per una volta... olè!
Allora, come vi avevo anticipato, finalmente un capitolo più leggero dopo un bel po' di capitoli incentrati sulla tragedia xd. Mi sono divertita scrivendo queste scene e spero di essere riuscita a strapparvi un sorriso; desideravo proprio alleggerire un po' l'atmosfera, anche se i problemi di Renesmee sono sempre lì e non sono affatto scomparsi, e mi auguro di essere riuscita nell'intento. In fondo, trovo che Jas sia un personaggio spontaneamente "comico" in quasi tutto ciò che fa, spesso quando scrivo le sue battute mi ritrovo a ridacchiare da sola, così ho pensato che anche il suo primo appuntamento con Seth (perchè in fondo di una specie di primo appuntamento si tratta) non poteva essere troppo serio.
Spero che non siate troppo arrabbiate con Renesmee dopo questa ennesima interferenza nella vita privata della sua migliore amica xd. Capisco che possa sembrare esagerata, ma spero di riuscire sempre ad esprimere cosa pensa e cosa prova nel modo più chiaro possibile. E soprattutto, più avanti Renesmee farà chiarezza dentro di sè e i suoi sentimenti nei confronti dell'imprinting di Seth diventeranno più comprensibili. Grazie e alla prossima!

   
 
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