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Autore: Aurore    31/07/2014    0 recensioni
Sequel di Midnight star.
Dopo gli eventi e le rivelazioni che hanno scosso il suo piccolo mondo, la vita di Renesmee è tornata alla normalità: è sempre più felice con Alex e insieme a Jacob ha ritrovato l'affetto e la complicità del loro legame. Ma all'orizzonte si addensano nuove nubi: quando spaventosi incubi iniziano a tormentare le sue notti, Renesmee si trova costretta a scegliere tra perdere ciò che ama di più e tentare di salvarlo, e ad affrontare eventi imprevedibili che potrebbero cambiare ogni cosa.
Tutto finisce, nulla resta uguale, e a volte il destino impone scelte e cambiamenti dai quali non si torna indietro.
Tratto dal capitolo 7:
Il suo sguardo era stata la prima cosa che mi aveva colpita, di lui, nel giorno lontano in cui ci eravamo conosciuti. [...] Lo stesso sguardo che mi aveva osservata con tanta attenzione per catturare quello che c'era in me di più profondo mentre mi disegnava. Nessuno mi aveva mai guardata così. In quel disegno c'era qualcosa di bellissimo, potente e tremendo al tempo stesso. Qualcosa di ineluttabile, che ormai non poteva essere fermato.
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jacob Black, Nuovo personaggio, Renesmee Cullen, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Midnight star'
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C 14
Capitolo 14
Glitter in the air



It's only half past the point of no return
The tip of the ice burg
The sun before the burn
The thunder before lightning
The breathe before the freeze
Have you ever felt this way?
[...]
It's only half past the point of oblivion
The hourglass on the table
The walk before the run
The breathe before the kiss
And the fear before the flames
Have you ever felt this way?
Glitter in the air, Pink¹



Non bisogna adirarsi contro i fatti. Le nostre collere non li toccano.
Plutarco



Charlie si lasciò andare contro lo schienale della sedia con un sospiro di soddisfazione e lanciò uno sguardo adorante verso sua moglie.
«Il miglior roast-beef che abbia mai mangiato, tesoro».
Sue, seduta dall'altro lato del tavolo, sorrise. «Lo sospettavo, visto che ne hai spazzolato la metà praticamente da solo... Forse sarebbe il caso di mettersi un po' a dieta, che ne pensi, tesoro?».
«Dieta... Tsè», borbottò il nonno per tutta risposta. Lanciò a Sue uno sguardo di soppiatto, incontrò la sua espressione di divertito rimprovero e subito abbassò gli occhi. «Be', sì, forse stasera ho esagerato un po', ma non è colpa mia se il tuo roast-beef batte di gran lunga qualunque altro abbia mai assaggiato. E comunque non voglio sentir parlare di diete fino a quando non sarò chiuso in una bara».
«A quel punto potrebbe essere un po' tardi per iniziarne una», ribattè lei con tono ironico, ed io non riuscii a trattenere una risatina.
Charlie scrollò le spalle. «Meglio così», rispose. Istintivamente guardai sua moglie e la sua aria di disapprovazione era così comica da strapparmi un altro piccolo scoppio di risate.
Era venerdì sera e come ogni settimana stavo cenando con Charlie e Sue. Questa volta, però, ero da sola: i miei genitori erano partiti il giorno prima per trascorrere il week-end a Jacksonville, in Florida, da Renee e Phil. Dopo mesi di discussioni, ripensamenti e contrattazioni con la nonna, Bella aveva finalmente acconsentito ad una visita, seppure breve, mentre io ero stata lasciata a Forks, in consegna al resto della famiglia. Sapevo che tenermi alla larga da Renee, dal suo intuito e dalla sua curiosità era la cosa migliore per tutti, compresa me, ma essere lasciata a casa come una bambina che non è abbastanza grande per seguire i suoi genitori non mi faceva piacere. Neanche un po'.
«E allora, stavi dicendo di aver parlato con i tuoi stamattina?», riprese Charlie dopo un minuto di silenzio durante il quale aveva osservato i resti dell'ottima cena di Sue con aria assente e una mano sullo stomaco, forse impegnato a meditare sugli orrori di dover seguire una dieta.
«Sì, la mamma ha chiamato prima che andassi a scuola. Sono atterrati ieri sera, ma non hanno telefonato perchè avevano paura di svegliarmi».
Il nonno assentì. «Cosa ti ha raccontato? Se la stanno spassando tra sole e mare?». Mentre parlava fece inconsciamente una smorfia. L'idea di un viaggio in Florida non lo attraeva minimamente, anzi, il caldo opprimente e la luce troppo forte lo inquietavano quasi quanto un enorme negozio di abbigliamento inquietava la mamma. «Sembra che in Florida la gente faccia il bagno anche a Natale».
«Probabilmente sì, ma la mamma ha detto che piove e il cielo è coperto. A quanto sembra hanno scelto l'unico week-end piovoso dell'anno», scherzai.
Ovviamente Edward e Bella avevano prenotato il volo soltanto dopo uno scrupoloso esame del bollettino metereologico e la consulenza di zia Alice; potevano arrischiarsi ad andare in giro per Jacksonville solo se c'era brutto tempo.
«Ah, davvero? Peccato», commentò Charlie, rilassato e beatamente ignaro della verità.
«Renee sarà stata molto felice di rivedere Bella», intervenne Sue.
«Lo spero proprio», rispose il nonno al posto mio. «Negli ultimi mesi non faceva che chiamarmi alla centrale per parlare di lei».
«E tu, Renesmee?», aggiunse subito Sue, ansiosa di allontanare la conversazione da argomenti scomodi. «Non ti andava di vedere la Florida?».
Serrai le labbra per un istante, pensierosa. «Be', sì, ehm... Ma... non potevo proprio partire... con la scuola e tutto il resto... Il terzo anno delle superiori è piuttosto impegnativo», accennai un mezzo sorriso.
Il nonno sollevò un attimo lo sguardo dal piatto vuoto per lanciarmi un'occhiata veloce, la fronte corrugata, come riflettendo su qualcosa, poi lo riabbassò.
«Peccato, tesoro. Non vedi Renee da tantissimo tempo ed è pur sempre tua nonna».
Ahi. Altro argomento spinoso. «Lo so. Magari la prossima volta», risposi con tono tranquillo.
Sue si alzò in piedi, troncando la discussione. «Allora, siete pronti per il dolce?».
Servì una delle sue specialità, crostata di lamponi con panna montata, e quando Charlie ebbe la sua fetta nel piatto dimenticò Renee, Bella e i nostri misteri nel giro di un minuto. Quando terminammo anche il dolce, lanciai uno sguardo all'orologio.
«Meglio che vada», dissi, posando la forchetta. «Scusate se scappo via, ma è già tardi e ho... ehm... un po' da fare, stasera», spiegai a mezza voce.
Sue mi rivolse un'occhiata curiosa, ma non fece domande, discreta come sempre, neppure quando mi alzai per aiutarla con i piatti sporchi.
«Senti, Ness», cominciò Charlie al nostro ritorno al tavolo, «perchè non ti fermi a dormire qui? Sarai troppo stanca per guidare fino a casa. La tua camera è sempre pronta, lo sai». La mia camera? Ah, sì. Dalla scorsa primavera la vecchia stanza della mamma era diventata la mia stanza. «Ad Esme e Carlisle non dispiacerà, in fondo hai passato la notte scorsa a casa loro».
«Sei gentile, ma non voglio darvi fastidio».
«Fastidio?». Il nonno mi fissò sbalordito. «Sciocchezze! È sempre un piacere averti con noi, vero, Sue?».
Lei annuì con un sorriso. «Ma certo, puoi fermarti quando vuoi, cara».
E adesso? Mi morsi un labbro, indecisa. Accidenti, possibile che non fossi capace di mantenere un briciolo di privacy neanche con papà dall'altra parte del paese?
«Lo so, è solo che... non dormo a casa, stasera».
«Ah, davvero? Ti ospita Jas?», chiese con blando interesse, probabilmente troppo sicuro della risposta che avrebbe ricevuto per preoccuparsi.
Da quando io ed Alex ci eravamo lasciati niente di ciò che facevo era più in grado di destare la sua ansia, come se credesse che tutti i possibili pericoli che avrei potuto incontrare fossero spariti insieme al mio ragazzo. Sembrava ben più interessato al resto della crostata, che stava adocchiando con aria ghiotta già da cinque minuti.
Sospirai. «No. Dormo da Jacob».
Charlie dimenticò di colpo la crostata e mi fissò con gli occhi sgranati, allarmato.
«Che significa che dormi da Jacob?», domandò dopo un attimo di silenzio di tomba.
«Significa che dormo da Jacob», mormorai, sconcertata. Non avrei saputo in quale altro modo rispondere tanto la domanda mi sembrava assurda. «Quello che ho già fatto altre mille volte in passato, hai presente?».
«Sì», balbettò il nonno. Stava diventando rosso, chissà per quale motivo. «Sì, ma non lo fai da tanto tempo. Da quando eri bambina».
Sue gli stava lanciando una delle sue occhiate ammonitrici, ma lui non sembrava in condizioni di accorgersene.
«Be', che importanza ha?», dissi mentre mi alzavo da tavola. «È una nostra vecchia tradizione, ultimamente ci siamo visti poco e così... abbiamo pensato di rispolverarla».
«Quando eri piccola adoravi i vostri pigiama-party», osservò Sue con un sorriso nostalgico. «Penso che sia un'ottima idea».
«Io no. Per niente», ribattè il nonno, e si alzò per seguirmi nell'ingresso dove avevo lasciato borsa e giubbotto. Aveva un'aria così allarmata che era quasi divertente e faticai a trattenere una risata.
Sue smise di armeggiare con la lavastoviglie e si affacciò alla porta asciugandosi le mani con uno strofinaccio, pronta ad arginare una crisi.  
Raccolsi la giacca, la infilai e automaticamente raccolsi con le mani i capelli che erano rimasti tra il golf e il collo del giubbotto, ma all'improvviso mi bloccai. Di colpo mi erano tornate alla mente tutte le volte, splendide, infinite volte in cui Alex aveva compiuto quello stesso gesto al mio posto, liberandomi delicatamente i boccoli ramati dalla trappola di giacche e cappotti e lasciandoli ricadere sulle mie spalle, le dita che indugiavano
per un istante, leggere, accarezzandomi le ciocche di capelli come se fossero un tessuto prezioso, sfiorando la pelle sulla nuca, per poi scivolare via.
Respirai profondamente, cercando di arginare la fitta di dolore che avvertivo nel petto e sperando di apparire normale agli occhi di Charlie. Succedeva all'improvviso, cogliendomi ogni volta alla sprovvista. Bastava un gesto, un gesto qualunque, un'immagine, una canzone, un colore, un sapore, ed ecco che mi piombava addosso un ricordo, un dolce, straziante ricordo di lui. E ogni volta contrastare il senso di perdita e il desiderio di riaverlo con me era come una battaglia. Una battaglia persa in partenza.
«È tardi», balbettò il nonno, del tutto ignaro di ciò che si agitava nell'animo della sua nipotina, «sarai stanca, non puoi guidare fino a La Push».
Scrollai la testa con un gesto energico e tornai alla realtà, al piccolo ingresso lustro e ordinato e allo sguardo spaventato di Charlie che sembrava implorarmi di restare dov'ero.
«Non ci metterò neanche dieci minuti. Ho una Mercedes, non una bicicletta», risposi, un sorriso un po' indisponente sul volto.
Sue scoppiò a ridere e si allontanò nuovamente con passo sicuro, forse pensando che sarei stata in grado di cavarmela da sola.
«
È tardi comunque. Hai visto che ore sono?».
Lanciai un'occhiata esasperata al vecchio orologio anni Sessanta appeso alla parete. «Le nove e mezza. Non sarebbe tardi neanche se avessi sette anni, nonno».
Lui continuava a fissarmi con aria disperata e a me scappava sempre più da ridere. Per metà ero divertira e per metà assolutamente perplessa. Tutta quell'agitazione era troppo anche per gli standard della mia famiglia di pazzi. Cosa c'era sotto?
«Adesso basta». Sue tornò a grandi passi nell'ingresso e squadrò il nonno con sguardo deciso. «Vai, tesoro, o comincerà davvero a farsi tardi. Non preoccuparti e passa una bella serata. E tu», aggiunse all'indirizzo di Charlie, che sussultò come se avesse sentito uno schiocco di frusta, «sta' tranquillo, Renesmee sa cavarsela benissimo. Sarà a La Push in pochi minuti».
Le sorrisi, sollevata. Tutto sommato sarei riuscita a gestire il nonno anche da sola, ma la presenza di Sue aveva sempre un effetto calmante su di lui quando si trattava di affrontare qualcosa di strano, come i nostri segreti o una notte a casa di Jacob... Evidentemente per Charlie fare i conti con le mie stranezze e accettare il modo in cui avrei passato la serata erano più o meno sullo stesso piano.
«Bene! Allora vado», esclamai, afferrando al volo la borsa. «Buona serata anche a voi. E grazie per la cena. Ciao!».
Corsi verso Charlie, che sembrava pietrificato, gli stampai in tutta fretta un bacio sulla guancia, mi precipitai fuori prima che potesse dire altro e saltai in macchina. Mentre guidavo cercai di riflettere sul suo comportamento, ma ero distratta, altri pensieri reclamavano con prepotenza la mia attenzione e nel giro di un minuto mi ero lasciata catturare.
In passato ero stata abituata a trascorrere più tempo con Jacob che con i miei genitori, ma le cose erano cambiate. Nelle ultime settimane ci eravamo visti molto meno del solito e la colpa era mia. Lo evitavo.
Sembrava che tutto intorno a me fosse in costante cambiamento: Alex, Jas, Seth, perfino la mia famiglia, che non riusciva a capire interamente le mie scelte, come se quel filo di intesa e comprensione reciproca che ci aveva sempre unito iniziasse a lacerarsi e a diventare più sottile. Questa volta li avevo chiusi fuori dalla mia vita e avevo preso da sola le mie decisioni, senza ascoltare il parere di nessuno, fidandomi soltanto di me stessa e delle mie sensazioni. Forse era un modo per rivendicare autonomia e libertà di scelta dopo anni e anni trascorsi a seguire inconsapevolmente la strada che loro avevano tracciato per me. A poco a poco, però, mi stavo rendendo conto che prendere le mie decisioni senza condizionamenti
non significava necessariamente escluderli. Avrei dovuto sforzarmi di trovare un equilibrio.
E poi Jacob. Anche lui mi sembrava cambiato. Quando gli avevo raccontato della rottura con Alex era stato dolce e comprensivo come sempre. Mi aveva ascoltato in silenzio, fino all'ultima parola prima che il pianto mi chiudesse la gola, poi mi aveva abbracciata stringendomi forte, ma per la prima volta, da quel che potevo ricordare, un abbraccio del mio Jacob non era riuscito a scacciare le nuvole e a far tornare il sereno.
Era stato silenzioso, grave, pensieroso, come se il mio racconto gli avesse dato qualche seria preoccupazione. Davanti a me aveva cercato di mostrarsi tranquillo, ma avevo avvertito qualcosa di stonato nella sua voce e il suo sorriso mi era sembrato smorzato. E quella strana alternanza di ostentata serenità e cupe meditazioni era continuata nei giorni successivi. In alcuni momenti appariva distante, freddo e pensieroso, come se qualcosa lo frenasse e bloccasse il suo modo naturale di comportarsi. In altri momenti, invece, avevo la sensazione di sentirlo troppo vicino: il modo in cui mi guardava quando credeva che non me ne accorgessi, la tenerezza con cui mi accarezzava il polso quando mi teneva la mano, scatenavano una piccola tempesta di confusione e imbarazzo dentro di me. E quando i nostri sguardi si incontravano per un istante, esitanti e un po' spaventati, mi sembrava di leggere lo stesso miscuglio di sentimenti nei suoi occhi. Una parte di me avrebbe desiderato capire cosa ci stava succedendo. L'altra sospettava di averlo già capito ed era per questo che avevo iniziato ad evitare Jacob. Avevamo preso l'abitudine di parlare al telefono, un modo di comunicare molto più sicuro per entrambi, e per lo più chiacchieravamo di cose poco importanti, la scuola, il suo lavoro, la mia famiglia.
Forse il pigiama party in nome dei vecchi tempi non era stata una grande idea, ma Jacob ed io eravamo finiti a parlarne per caso qualche giorno prima: chiacchierando al telefono ci eravamo lasciati prendere dalla nostalgia e prima che potessimo rendercene conto davvero già avevamo organizzato la serata.
Tutta presa a rimuginare, mi accorsi di essere giunta a destinazione solo quando il piede calò automaticamente sul freno. Parcheggiai con una certa cautela, ancora un po' incerta quando si trattava di fare manovre, e vidi una sagoma sbucare da sotto il portico della piccola casa di mattoni immersa nell'oscurità. Jacob mi venne incontro e prima ancora che mettessi piede fuori dall'auto mi aveva tolto di mano la borsa con tutte le mie cose per la notte.
«Jake!». D'istinto lo abbracciai con un piccolo sospiro di felicità. Nonostante tutto, ogni volta che sentivo la sua voce o incrociavo i suoi occhi il mio cuore faceva un balzo nel petto ed ero semplicemente felice di averlo accanto a me. «Mi sei mancato», sussurrai.
Era così alto che per raggiungerlo dovevo sollevarmi sulle punte dei piedi, come una bambina. Lui mi circondò la schiena con un braccio e lo sentii affondare il viso nei miei capelli sciolti sulle spalle.
«Anche tu, piccola». Quando ci allontanammo, per un attimo mi osservò in silenzio con un'espressione seria che quasi subito si distese in un sorriso. «Come va? La cena è andata bene? È successo qualcosa?».
«Perchè me lo chiedi?», domandai, stupita.
«Charlie ha chiamato qui poco fa, voleva parlare con Billy. Non credo che fosse importante, hanno fatto solo due chiacchiere, ma mi è sembrato un po'... strano».
Abbassò la voce quando aprì la porta di casa e si spostò di lato per lasciarmi passare.
«Davvero?». Lanciai un'occhiata alla porta della stanza di Billy, in fondo al breve e stretto corridoio che portava alle camere da letto. Era chiusa. «Sta dormendo?».
Jacob annuì, senza parlare. Nella sua camera lasciò cadere la borsa sul letto, poi accese il lume sulla piccola scrivania. Come sempre quando passavo la notte lì, io avrei dormito nella sua stanza e lui sul divano del salotto.
«È appena andato di là. Allora, secondo te perchè Charlie ha chiamato proprio adesso?».
Lo fissai, riflettendo. All'improvviso mi era passata per la mente un'idea folle: forse il nonno aveva voluto controllare che Billy fosse in casa e magari avvisarlo di qualcosa... del mio arrivo, forse. Ma Billy senz'altro sapeva che quella notte avrei dormito a casa sua. 
Perchè mai Charlie avrebbe dovuto fare una cosa del genere? Non aveva senso. Ripensai alla nostra conversazione poco prima che uscissi, alle mie parole, alle sue, al rossore che aveva dipinto le sue guance rugose.
«... dormo da Jacob. Quello che ho già fatto altre mille volte in passato, hai presente?».
«Sì, ma non lo fai da tanto tempo. Da quando eri bambina».

Jacob aspettava una risposta, in piedi di fronte a me, un sopracciglio appena inarcato. Scossi la testa, cercando di scacciare quell'idea assurda.
«Uhm... Non saprei, Jake. Probabilmente hai ragione tu, voleva solo fare due chiacchiere», risposi a mezza voce, passandomi una mano sulla fronte come per schiarirmi le idee.
Lui non disse nulla e rimase fermo, in silenzio, nella penombra, a guardarmi. Mi avvicinai alla borsa e aprii la cerniera. Poi, accorgendomi che Jacob non si muoveva, sollevai lo sguardo su di lui.
«Vorrei cambiarmi», mormorai, quasi in tono interrogativo.
«Certo, fai pure. Ti aspetto di là».
Mi sorrise e lasciò la camera, chiudendosi accuratamente la porta alle spalle. Indossai i pantaloni morbidi e il top leggero del pigiama, lavai i denti, spazzolai i capelli, continuando a rimuginare sul comportamento di Charlie, ma quando tornai in salotto ero decisa a non parlarne più. Mi sembrava soltanto una colossale sciocchezza.
Jacob era  sul divano, appoggiato a un cuscino, una t-shirt a maniche corte e dei pantaloni neri da ginnastica; non aveva bisogno di coperte nè di abiti pesanti, sebbene fossimo ormai alle soglie dell'inverno. Mi accolse con un cenno del capo.
«Ehi», disse.
Sedetti sul divano con le ginocchia piegate davanti a me, dal lato opposto rispetto al suo, anche se lui era così ingombrante che eravamo comunque appiccicati l'uno all'altra.
«Ehi», risposi con un sorrisino. Mi accorsi che ero sinceramente felice di trovarmi lì con lui e che dubbi e paure sembrano lontanissimi. Era sempre così, con Jake. Era sempre stato così e questo non sarebbe cambiato mai. Eppure, quanto avrei desiderato poter tornare indietro nel tempo, a quando tutto era meravigliosamente semplice.
«Sembri stanca», osservò dopo un minuto di silenzio.
Scrollai le spalle. «Un po', ma è presto per andare a letto».
«Vuoi guardare la tv?».
Ci pensai su un secondo. «Uhm... No, non mi va. Veramente vorrei parlare un po', se va anche a te. È tanto che non lo facciamo».
Capì al volo cosa intendevo. Annuì appena mentre si sistemava più comodamente contro il bracciolo del divano.
«Hai ragione. Allora, come vanno le cose? La scuola?».
«Piuttosto bene. I professori si agitano un sacco perchè quest'anno c'è il test di ammissione all'università, ma in genere cerco di ascoltarli il meno possibile».
«Ben detto», rispose con un sorrisino. «E le ragazze?».
Naturalmente si riferiva alle mie amiche. «Tutto ok... Sabato sera Danielle uscirà con un ragazzo, sai? Si chiama Nick, frequenta il nostro corso di informatica e le viene dietro dall'inizio dell'anno. A lei piace, ma si è decisa a parlargli solo qualche giorno fa», raccontai, un'espressione intenerita sul volto. Danielle era sempre stata la più timida di tutte noi con l'altro sesso, ma sospettavamo che stesse iniziando a sciogliersi un po'. Era stato incredibilmente dolce assistere alla nascita di quella nuova intesa. Mi aveva fatto tornare indietro nel tempo, ai primi giorni con Alex, quando ci stavamo ancora conoscendo: l'imbarazzo, le paure, l'insicurezza, l'indecisione, ma anche l'entusiasmo, l'emozione e il batticuore. Mi scappò un sospiro lieve e Jake aggrottò le sopracciglia, mentre mi fissava, forse stupito dalla direzione un po' malinconica che aveva preso il mio umore. Mi affrettai a cercare qualcos'altro da dire per evitare domande scomode, ancora fermamente decisa a non parlare di Alex con lui. «Oh, lunedì prossimo, dopo la scuola, probabilmente andremo tutte insieme a Port Angeles per fare shopping. Jas ha detto che vuole fare spese pazze. Ha visto in una vetrina un vestito di 300 dollari e sostiene che deve averlo assolutamente», scossi il capo, divertita. «Io e le altre cercheremo di fermarla, naturalmente, altrimenti suo padre le toglierà la carta di credito, ma sai com'è fatta Jas... Non ascolta mai se non vuole ascoltare. Sarà una bella lotta cercare di farle cambiare idea».
«Be', mi sembra complicato», commentò Jacob, ridendo. «Cosa potreste fare, legarla, imbavagliarla e portarla via?». Scoppiai a ridere anch'io. «E comunque, cosa ci fa con un vestito da 300 dollari? Non sapevo che a Forks organizzassero serate di gala».
«Ha detto che ha bisogno di consolarsi e distrarsi», risposi con un'occhiata eloquente. «In questo è troppo simile a sua madre, che dà fondo alle carte di credito del marito ogni volta che si annoia. Il suo prossimo passo sarà ritirarsi per una settimana in qualche costosissimo centro benessere, proprio come la signora Williams».
«Consolarsi e distrarsi?», ripetè Jacob. «Come mai?».
Esitai per un attimo. Avrei preferito evitare che finissimo a parlare proprio di quello: non serviva a nulla e ogni volta rischiavamo di litigare.
«Be'... Le cose non le vanno molto bene in questo periodo. Lei e Tom non fanno che discutere da... lo sai da quando», borbottai, lanciandogli un'occhiata di traverso. Ovviamente lui sapeva tutto del tè pomeridiano finito in tragedia circa una settimana prima. La consapevolezza balenò sul suo viso e annuì con aria seria. «Non penso che resisteranno ancora per molto», aggiunsi a mezza voce dopo qualche attimo di silenzio. Avevo gli occhi bassi e la malinconia che impregnava la mia voce mi stupì. «Jas è molto determinata se qualcosa le interessa davvero, ma a volte... a volte guarda Tom come se fosse un estraneo. Come se dentro di sè si chiedesse che cavolo ci fa insieme a lui, capisci? E Tom... Lui non è una persona molto combattiva, invece». Sospirai. «Spero quasi che anche loro si rendano contro prima possibile che è finita. So che sembra brutto da dire, so che mi sono impegnata al massimo per evitare che accadesse questo, ma vedo che non sono più felici insieme. Stanno male ed io non voglio che stiano male. Forse devo semplicemente lasciare... che vada come vada, tra loro. E magari riuscirò comunque a proteggere Jas».
Le mie ultime parole sfumarono in un borbottio appena percettibile, ma Jacob aveva udito e compreso benissimo. Mi guardò in silenzio per un po' con una strana espressione.
«Proteggerla da Seth?», domandò all'improvviso, il tono accuratamente neutro.
«Non da Seth», lo corressi, irrigidita. «Da un mondo molto pericoloso».
«Non mi sembra che Emily, Kim o Rachel rischino la vita quotidianamente, eppure sono tutte vittime dell'imprinting», continuò, e mi parve che calcasse un po' la voce sulle ultime tre parole.
Mi chiesi se avesse volutamente escluso me dall'elenco.
«Devo ricordarti cos'è successo ad Emily?».
Per un momento esitò, ma poi rispose con decisione. «Quello è stato un incidente. Sam si era trasformato da poco e non riusciva a controllarsi, ma Seth è perfettamente in grado di evitare una cosa del genere, ormai».
«Non è detto. Gli incidenti possono sempre capitare», ribattei, ostinata.
Jacob fece un sorriso esasperato. «Certo, e può capitare che domani mattina un meteorite precipiti sulla casa di Jas e la incenerisca».
«Ah-ah! Che ridere», commentai in tono acido, lanciandogli uno sguardo profondamente irritato.
«Dai, Renesmee! Gli incidenti capitano, hai ragione, e non soltanto alle persone che frequentano i licantropi. Stare lontano da Seth non la terrà al sicuro da tutte le cose brutte e pericolose che ci sono nel mondo. E non sto parlando del mondo soprannaturale, ma del mondo umano». Fece una pausa durante la quale ci guardammo in silenzio, lui tranquillo e sicuro, io preoccupata e infastidita. «Sai chi mi ricordi da quando hai iniziato ad agitarti in modo così irrazionale per questa storia? I tuoi genitori. E il modo in cui si sono comportati con te, continuando a trattarti come una bambina che doveva essere protetta anche quando non lo eri più da un bel pezzo».
Sussultai, colpita dal paragone, e sentii un'ondata di sorpresa mista a un pizzico di fastidio che mi invadeva di colpo. Presi fiato, pronta a urlargli contro, ma quel brevissimo istante di istante di riflessione mi suggerì che forse non aveva tutti i torti. Provai a pensarci, invece di prendermela e basta. Stavo commettendo il loro stesso errore?
«Anche tu mi hai mentito, Jacob», sbottai, senza riuscire a contenere del tutto la rabbia. E forse a suscitarla era proprio la consapevolezza che aveva ragione.
«Giusto», ammise, tranquillo, con un cenno della testa verso di me. «Ti ho mentito e ho sbagliato. Vuoi sbagliare anche tu? 
È normale voler proteggere le persone che si amano, ma a un certo bisogna lasciarle libere di scegliere anche  se sbaglieranno e soffriranno e noi soffriremo con loro. È questo l'amore. Le cose vanno come devono andare, Renesmee, l'hai appena detto tu stessa, e non sempre abbiamo il potere di cambiarle».
«Lo so», mormorai a labbra serrate. «Io non voglio decidere per lei. Ma Jas è come una sorella per me. Le voglio davvero bene e voglio che sia felice, è tanto sbagliato?».
«E pensi che se Seth entrerà nella sua vita non potrà più esserlo?».
«Non è per Seth!», ripetei, esasperata. «
È solo che...». Sbuffai nervosamente, incapace di trovare le parole giuste. Restai per un minuto zitta a fissare il buio. La verità era che sapevo benissimo quali fossero le parole giuste, ma non avevo il coraggio di usarle. Presi nuovamente un respiro lento e profondo, per controllarmi e allo stesso tempo per trovare la forza di tirare fuori quello che avevo sulla punta della lingua. Incrociai le braccia e guardai Jake con aria di sfida. «Non voglio che succeda a loro quello che succede a noi», aggiunsi con un filo di voce.
Lui rimase impassibile, ma mi sembrò che i suoi lineamenti, appena visibili nella penombra della stanza, la curva delle labbra e le rughe espressive intorno agli occhi, si curvassero appena verso il basso, e il suo viso si velasse di malinconia. O forse fu soltanto un gioco di ombre.
«Cosa succede tra noi?», domandò con tono tranquillo.
Avrei voluto maledirmi da sola per essere stata così stupida da parlare senza pensare alle conseguenze. Era sempre così con lui. Riusciva a tirarmi fuori tutto, perfino cose di cui ignoravo l'esistenza. A volte era bello, altre volte, come quella notte, era insopportabile. Ed eccoci lì, seduti uno di fronte all'altra, a parlare di argomenti che avevo giurato a me stessa di non nominare mai con lui. Come diavolo era potuto accadere? Come?
«Io... ho paura che... che Jas si senta in trappola», risposi a fatica, con voce rotta. Lasciavo vagare lo sguardo qua e là per la stanza, troppo inquieta per sostenere il suo in quel momento.
«Davvero?», chiese ancora, malinconico. Ebbi l'impressione che in realtà mi stesso chiedendo 
È così che ti senti tu? Avevo il terrore di rispondere a una domanda del genere e  aprii la bocca per dire qualcosa, qualsiasi cosa, e impedirgli di continuare, ma quando parlò non fu per pormi un'altra domanda. «Jas non è in trappola, Renesmee. Lei può scegliere, è libera di dimenticare che Seth sia mai esistito e se questo è ciò che vuole davvero, Seth la lascerà andare».
«E lui, invece? Passerà il resto della vita pensando a Jas ma senza poterla avere?».
Jake scuoteva piano la testa, un sorriso enigmatico sul volto. «Dal giorno in cui l'ha conosciuta, i desideri di Jas sono i suoi, lui sente quello che sente lei e vuole quello che lei vuole. Nessuna decisione che Jas prenderà per se stessa potrà mai renderlo infelice. Se lei starà bene, starà bene anche Seth».
«E credi che questo mi faccia sentire meglio?», sussurrai, la voce rotta. Sentivo un dolore al cuore che si inerpicava su per la gola e strozzava le parole. «Credi che non mi importi di Seth, che non gli voglia bene come se fosse un fratello? Credi che sia questo ciò che avrei voluto per lui, una vita vissuta soltanto a metà? È in trappola anche lui, come Jas».
«Renesmee...», mi chiamò, meravigliato.
«No, basta!», esclamai di getto, alzando la voce ben più di quanto volessi. Balzai in piedi. «Non avrei mai dovuto parlare di queste cose, ho sbagliato io. Buonanotte».
Uscii dal salotto camminando a grandi passi, entrai nella stanza di Jacob, ma quando feci per spegnere il piccolo lume che rischiarava un angolo dell'ambiente, scorsi un'ombra sul muro e mi voltai. Mi aveva seguita.
«Pensi di poter troncare una discussione così?», sbottò. Era palesemente irritato, per quanto si sforzasse di tenere bassa la voce, al contrario di me.
«Sì! Ne ho abbastanza! Vai via, per favore».
«No», rispose con forza, senza muoversi di un centimetro.
Mi fissava dritto negli occhi, ma io non riuscivo a ricambiare; sostenere il suo sguardo intenso e determinato non era mai stato tanto difficile. Ero imbarazzata per essermi aperta in quel modo su argomenti tanto delicati, arrabbiata con lui, con me stessa e con l'imprinting per la situazione in cui ci trovavamo. Ed ero spaventata, tremendamente spaventata. Avevo perso Alex e sembravo destinata a perdere anche Jas, il prossimo sarebbe stato Jacob?
«Quello che hai detto non è vero!».
«Non è vero?», ripetei, incredula e stizzita in ugual misura. Davvero pensava che fossi così stupida, o immatura, o cieca, o tutte e tre le cose. «Jacob, tu hai rinunciato alla tua vita!». Mentre pronunciavo quella frase mi parve di esplodere. Fu come se qualcosa che trattenevo da tempo si riversasse di colpo al di fuori di me, come se avessi infranto una diga o una barriera. Era da un pezzo, ormai, che non stavamo più parlando di Seth e Jas, ma di noi due, ed ero sicura che lui lo avesse già capito da un bel po'. «Credi che non me ne sia accorta? Credi che non ci abbia pensato in questi mesi, da quando... da quando ho saputo come stanno le cose? Non sei andato al college, lavori a La Push, non ti allontani mai, vivi fianco a fianco con un mucchio di succhiasangue che dovresti odiare e uccidere e invece passi insieme a loro il tuo tempo libero, settimane fa stavi per fare a botte con un adolescente fuori di testa... E tutto questo è colpa mia! Hai paralizzato la tua esistenza per me. 
È vero, io mi sono sentita in trappola quando ho saputo dell'imprinting, ma sei tu quello che è stato incastrato ed io ne sono responsabile!».
Ero rimasta senza fiato e dovetti interrompere quella tirata. Lui, che fino ad allora mi aveva fissata a bocca aperta, colse al volo l'occasione per parlare.
«Eri una bambina, Renesmee, non l'hai voluto tu!».
«Non ha importanza, è comunque colpa mia! Sono stata io che... l'ho fatto scattare», conclusi dopo un attimo di incertezza nel cercare le parole giuste.
«Sì, l'hai fatto scattare», ripetè Jacob, impassibile. «Ed è la cosa migliore che mi sia mai capitata. Credi che ora io sia infelice perchè non vado al college? Stronzate», sentenziò, tranquillo e sicuro di sè. «Quella è una mia scelta e mi sta bene. Sono felice, Renesmee. Non voglio negare di esserlo stato anche prima di te, a volte. Ma questo è diverso, completamente diverso. L'imprinting non ha bloccato la mia vita, l'ha cambiata. Ero un ragazzino distrutto dal dolore, convinto che la sua delusione d'amore lo avesse segnato per sempre. Poi sei arrivata tu ed è bastato uno sguardo: io ero una persona nuova, la persona che sono oggi, e non lo sarei senza di te. Io sono felice», ripetè, più lentamente, come per assicurarsi che afferrassi il concetto. Lo guardavo in silenzio, le braccia abbandonate lungo i fianchi, catturata. «Non hai paralizzato niente, hai dato un senso ad una vita che in quel momento non ne aveva più. Forse ne sarei uscito anche da solo, dopo molto tempo... Allora come adesso, io avevo una famiglia, degli amici, e chissà quante altre persone ancora avrei incontrato, e tutti loro avrebbero potuto darmi amore, amicizia, comprensione o qualunque altro sentimento che un essere umano è in grado di provare, ma tu... tu mi hai dato molto di più: la possibilità di avere accanto una persona nella quale rispecchiarmi, e che io potessi rispecchiare; che mi faccia sentire completo, e che io riesco a completare; che mi capisca sempre e comunque, anche quando nemmeno io riesco a capire me stesso, e che io riesco a comprendere sempre... anche quando lei non sa capire se stessa
», aggiunse in un sussurro leggero, a volte talmente bassa che quasi dubitai di aver sentito bene. Arrossii e fui felice che la luce non fosse sufficiente a mostrare il mio stupido, inutile imbarazzo. «Questo non è qualcosa che può essere spiegato facilmente. Chiamala amicizia, se vuoi... ma non so se le regole e le definizioni di questo mondo possano davvero racchiudere quello che sento per te. E vorresti scusarti per questo? No, Renesmee...». Sorrise, scuotendo piano la testa, come se avesse appena detto qualche assurdità. «Non posso lasciartelo fare».
Scese un silenzio vibrante e carico di significanti che lasciai durare a lungo, ancora presa dalle sue parole dolci, delicate, ma intense, pronunciate con voce sommessa, sicura, che mi sembrava di ascoltare e riascoltare all'infinito nella mia mente. Le accolsi lentamente e sentii nel profondo quanto fossero autentiche e sincere. Mi sentii invadere da una strana, piacevole, sensazione di quiete, e al tempo stesso da un'incredibile stanchezza; all'improvviso ero esausta. Mi lasciai cadere sul letto con un sospiro lento, portai le mani sul viso, chiusi gli occhi per un attimo, li riaprii.
«Oddio, Jake, mi dispiace. Scusami», sussurrai, scuotendo la testa. «Ti ho fatto una scenata... un'altra», aggiunsi in tono amaro. «Ma non è colpa tua. Niente di tutto questo è colpa tua. Scusami, ti prego».
Sollevai gli occhi per guardarlo e la sua espressione dolce mi rasserenò. Gli sorrisi istintivamente e gli porsi una mano. Jacob si avvicinò, la strinse con delicata fermezza. Restammo fermi per un po', uno accanto all'altra; io riflettevo sulla frequenza con la quale mi comportavo in modo infantile e stupido con lui e sulla sua pazienza, che sembrava infinita, ma ero così spossata che ben presto mi lasciai scivolare all'indietro e mi allungai sulla coperta con un sospiro.
«E comunque, per la cronaca... non ho rinunciato al college», riprese Jake dopo qualche minuto di silenzio profondo. Aprii gli occhi, sorpresa. A giudicare dal tono della sua voce, sembrava che sorridesse. Capii che qualunque cosa fosse sul punto di dire non avrei dovuto prenderla sul serio. «Quando andrai ad Harvard o in un'altra grande università, io ti seguirò, se vorrai».
«Harvard? Però... puntiamo in alto, eh», osservai, ironica.
«Be', è ad Harvard che vorresti andare da quando eri bambina, perchè tuo padre e Carlisle hanno studiato lì. E ci andrai».
Mentre parlava, si allungò sul letto, al mio fianco, e pensai che probabilmente doveva essere stanco quanto me.
«Ma non sono affatto sicura che ci riuscirò. E poi non credo che tu sia abbastanza bravo per Harvard», aggiunsi in tono scherzoso.
Jacob afferrò al volo. «Poco male. Mentre tu studi per diventare un genio, io posso sempre guidare un taxi o vendere gelati per le strade del campus».
Scoppiai a ridere d'istinto, sarebbe stato impossibile trattenersi. E lasciarsi andare a una risata liberatoria mi fece sentire improvvisamente molto più leggera, come se tutta la tensione si fosse sgonfiata.
«Billy ne sarà entusiasta! Avvertimi quando glielo dirai, voglio esserci».
«Contaci».
Scese di nuovo il silenzio. Mi stiracchiai piano e mi girai sul fianco, verso Jacob, sempre più rilassata. Il sonno si avvicinava inesorabilmente e dubitavo di riuscire a tenerlo a bada ancora per molto. Anzi, forse neanche per poco, pochissimo tempo. Soffocai un piccolo sbadiglio, iniziavo a sentire le palpebre pesanti.
«Senti davvero tutto quello che hai detto?», chiesi in un sussurro quasi inconsapevole. Ormai ero nel dormiveglia e quella strana domanda era sgorgata fuori da chissà dove, chissà per quale motivo, eppure mi parve che Jacob non fosse molto sorpreso.
«Tu lo sai. Non hai bisogno di chiedermelo», rispose in un sussurro.
Subito prima di assecondare l'impulso irresistibile che mi invitava a chiudere gli occhi, ebbi l'impressione che lui avesse girato la testa verso di me e mi guardasse con una tenerezza tale che scivolai nell'incoscienza con una incredibile sensazione di benessere e serenità. Sì, sarei stata al sicuro, con il mio licantropo.
«Sono felice anch'io, Jake».



****



Fui svegliata da un acciottolìo di tazze in cucina e un profumo intenso e familiare. Caffè. Aprii gli occhi lentamente. Era giorno, ma le imposte abbassate filtravano i raggi del sole lasciando la camera nella penombra. Voltai la testa e scoprii che Jacob non era più al mio fianco. Intuii dalle lenzuola e dalle coperte aggrovigliate che la sera prima doveva essersi addormentato lì. Probabilmente era lui che preparava il caffè.
Restai immobile per qualche istante, riflettendo, chiedendomi se il fatto che avessimo dormito insieme per una notte intera, nello stesso letto, dopo tutto l'imbarazzo, le incomprensioni e gli strani eventi che c'erano stati tra noi fosse un problema. Ma non riuscii a trovare alcun motivo perchè dovesse essere considerato tale. Eravamo soltanto due vecchi amici che avevano fatto le ore piccole ed erano crollati prima di rendersene conto. Lui ed io lo sapevamo benissimo e non era necessario che qualcun altro fosse informato di questo episodio. A parte papà, ma ormai ero rassegnata, con lui.
Mi stiracchiai con un respiro profondo. Mi sentivo incredibilmente bene, fresca e riposata, come se avessi dormito per una settimana intera. Da quanto tempo non mi svegliavo al mattino dopo un incubo tra urla e lenzuola gettate in aria, con le occhiaie, i capelli arruffati e il viso cadaverico?
Stavo per alzarmi, un sorriso soddisfatto che andava da orecchio a orecchio, quando sentii il cigolìo della sedia a rotelle di Billy che avanzava lungo il corridoio. La porta della stanza era accostata, quindi non poteva vedermi, e forse credette che stessi ancora dormendo. Proseguì ed entrò nella cucina.
«Buongiorno, figliolo», disse, con la sua solita voce tranquilla e profonda.
«Giorno», rispose Jacob, impegnato ad armeggiare con qualcosa.
«Come va?».
Ero sul punto di scendere dal letto, ma mi bloccai immediatamente. Conoscevo quel tono. Era il tono perfettamente normale che Billy usava quando stava covando qualcosa. Senza muovermi di un centimetro per non fare rumore, restai in ascolto.
Non sapevo se anche Jake avesse colto il sottinteso nella domanda del padre, perchè rispose come se non ci fosse nulla di strano. O forse fece finta di nulla. «Bene. Una tazza di caffè?».
«Sì, grazie».
Per un po' nessuno dei due disse una parola. Riuscivo ad immaginare senza difficoltà Billy seduto con la sua tazza in mano e gli occhi fissi sul figlio, ma Jacob? Che espressione aveva Jacob?
Poi Billy parlò di nuovo, sempre con quello stesso tono apparentemente sereno. «Ieri sera Renesmee è arrivata piuttosto tardi, vero?».
«Sì, ha cenato da Charlie».
«Lo so. Mi ha telefonato prima che andassi a letto, voleva... fare due chiacchiere. Mi ha detto che Renesmee stava arrivando, ma io già lo sapevo, naturalmente».
Jacob non disse nulla. Ero perplessa, confusa e vagamente agitata, sebbene non sapessi dire per quale motivo. Cosa aveva Billy? Parlava come se alludesse a qualcos'altro.
«Che avete fatto?».
«Il solito. Abbiamo parlato un po'».
«È stata una bella serata?».
«Sì, ma Renesmee era stanca, è andata a letto quasi subito».
Ci fu una pausa. Io aspettavo, ansiosa, sospesa, il cuore che batteva con forza, pregando che Jake non se ne accorgesse o facesse finta di non sentirlo.
«Dorme ancora?», aggiunse Billy.
«Sì».
La risposta del mio amico suonò secca come uno schiaffo. Ebbi la sensazione che qualcosa lo infastidisse e che fosse sulla difensiva. Ma cosa? Quanto avrei voluto poterli osservare senza essere vista a mia volta, senza dover essere presente.
«Jacob», continuò suo padre dopo un lungo silenzio.
«Che c'è?».
«Stamattina mi sono alzato presto, prima del solito. Vi ho visti».
Trattenni a stento un sussulto e un sospiro di meraviglia. Accidenti.
«E allora? Abbiamo dormito, tutto qui. Non è la prima volta che succede».
«Però le cose sono cambiate, adesso. Renesmee è una ragazza. Praticamente è un'adulta, ormai».
Non potevo credere a quello che sentivo. Pensai di pizzicarmi da sola per essere certa che non stessi sognando quell'assurda conversazione. Ma cosa credeva Billy? Che io e Jacob... Era impazzito, forse? Come poteva pensare una cosa del genere? Come?
«Davvero? Non l'avevo notato», fu l'ironico commento di Jacob.
Suo padre sembrò non farci caso. «Non è più una bambina, ma è ancora... molto giovane. E ingenua», continuò, la voce lenta e grave. «Se lei non si rende conto del significato che possono avere certe cose... non soltanto per voi due, ma anche agli occhi degli altri... se non è in grado di tracciare un confine... dovrai farlo tu».
Cadde di nuovo un lungo silenzio e Jake aspettò a lungo prima di romperlo.
«Sì, lo so», mormorò, a voce così bassa che riuscii ad udirlo a stento. «Ci sto provando. Ma... non so che cosa sia giusto fare».
Anche Billy riflettè per un po' prima di rispondere. Quando parlò, il suo tono era cambiato, improvvisamente più dolce e carico di affettuosa preoccupazione, e mi domandai con ansia cosa avesse letto, nella voce o nello sguardo di suo figlio, capace di generare quel cambiamento.
«Lo capisco, figliolo, credimi. Troverete la strada giusta, un giorno. E se tu hai questa sensazione, pensa cosa deve provare lei. Ma state attenti, d'accordo?».
Jacob non rispose e nella casa tornò il silenzio. Rimasi sdraiata a letto ancora per un bel po', gli occhi spalancati fissi sul soffitto, a riflettere.






Note.
1. Qui la canzone. La adoro, quando la ascolto mi commuovo sempre... vai a capire perchè xd.









Spazio autrice.
Salve, lettori e lettrici! Forse avrete notato che oggi è giovedì... infatti ho dovuto far slittare l'aggiornamento di un giorno perchè ieri avevo un esame all'università. Scusate, ma sembra che di tanto in tanto debba verificarsi un imprevisto del genere xd.
Ok, veniamo al capitolo. Trovo che qui, con la
chiacchierata tra Jacob e Renesmee a proposito dell'imprinting, i suoi significati e le sue conseguenze, si arrivi ad una svolta per la storia. Finalmente Renesmee inizia a riconciliarsi davvero con l'idea dell'imprinting, non si limita a tollerarlo e far finta che non ci sia, che esista soltanto la sua amicizia con Jacob, come alla fine di Midnight star, ma guardandolo attraverso gli occhi di Jacob si avvia ad accettarlo sul serio e a considerarlo non più un problema da gestire, o addirittura qualcosa che intrappola lei e il suo migliore amico, bensì ciò a cui deve il rapporto più importante della sua vita. Quindi, qualcosa di decisamente positivo. In secondo luogo, riusciamo a capire meglio i suoi sentimenti nei confronti della situazione di Seth e Jas: gran parte della rabbia e delle paure legate alla sua amica, infatti, sono dovute al fatto che Renesmee vede se stessa e la situazione un po' complicata che vive con Jacob riflesse in Jas e nel suo rapporto con Seth. Renesmee sente di essere prigioniera dell'imprinting insieme a Jacob, teme che le loro vite non abbiano un andamento "normale" a causa della forza che li tiene uniti, non sa come gestire l'attrazione che ha iniziato a provare per lui, ha paura di perderlo e di alterare la loro amicizia se non riuscirà a controllare queste nuove sensazioni, ed è il timore che un giorno la sua amica possa trovarsi a sua volta intrappolata in una situazione del genere, insieme ai rischi concreti derivanti da un coinvolgimento di Jas nel mondo sovrannaturale, che l'ha resa così ostile verso l'imprinting di Seth. Ma come sempre parlare con Jacob le chiarisce le idee e forse da questo momento in poi riuscirà a vedere la propria situazione e quella di Jas in modo diverso.
Spero che tutto quello che ho cercato di trasmettere e di spiegare sia emerso dal capitolo con sufficiente chiarezza e che ora il comportamento e i pensieri di Renesmee vi sembrino giustificati. Molte di voi hanno espresso dubbi in passato, ma naturalmente non potevo spiegare tutto questo senza spoilerare un intero tassello della storia; Renesmee doveva avere il tempo di arrivarci da sola, e voi insieme a lei. Comunque sia, per qualunque domanda o chiarimento chiedete pure.
Ok, è tutto. Appuntamento al 14 agosto con il prossimo capitolo, salvo imprevisti causati dalle vacanze xd. Nel caso fossi via e non riuscissi ad aggiornare il 14, come sempre l'aggiornamento è rimandato al mercoledì successivo, ma spero di non avere problemi. Buone vacanze!

   
 
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