Fanfic su attori > Coppia Downey.Jr/Law
Segui la storia  |       
Autore: Walking_Disaster    17/07/2014    3 recensioni
Robert Downey Jr è un newyorkese che arriva a Monpazier, nell'entroterra francese, con cravatta, Blackberry e BMW 650i. Sa che Monpazier è un paese minuscolo, con poco più di 500 abitanti, e sa di essere lì perché deve trovare nuovi sapori per l'azienda cioccolatiera per cui lavora in America. Sembra che l'attenzione del suo capo sia stata attirata da una bottega di cioccolateria caratteristica del luogo, dove due uomini portano avanti la tradizione del lavoro del cioccolataio. Sa che, intossicato com'è dalla sua vita fatta di frenesia e stress, non riuscirà a stare in quel paese per troppo tempo.
Jude, invece, è il proprietario di una cioccolateria tipica a Monpazier. Sa di portare avanti con fierezza la tradizione di sua nonna, aiutato dal proprio compagno, Ewan. Sa riconoscere tutti i tipi di cioccolata solo sentendone l'odore. E' un maître chocolatier, ma preferisce qualcosa di più tipico, di suo. E per questo possiede un piccolo negozio, tutto suo: "Le goût du péché."
Ciò che non sanno, però, è che si innamoreranno. E per complice proprio ciò che hanno in comune: il cioccolato.
Disclaimer: Questa FF non vuole dare reale rappresentazione dei caratteri e della sessualità dei personaggi citati.
Genere: Fluff, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 2 -
E la prima galeotta fu la lavanda e chi l'annusò.



«Cioccolato alla salvia?»
Lo sguardo scettico che Ewan mi rivolse fu più che eloquente, il sopracciglio tanto sollevato da sfiorargli quasi l'attaccatura dei capelli.
Io mi umettai le labbra prima di mordermi quello inferiore, puntando gli occhi sulla densa crema che stavo lavorando con le fruste.
«E' quello che ho detto.» Gli confermai, senza sollevare lo sguardo dal mio lavoro.
Lui non capiva come potessi voler continuamente ricercare sapori nuovi per il negozio. Erano anni che andava avanti questa storia, ormai, con le mie proposte che venivano bocciate sempre e comunque. A sentir lui, saremmo dovuti rimanere ancorati alle ricette dei miei nonni, senza osare. Perché
"è un piccolo paese, Jude, chi vuoi che assaggi quella roba?"
"Quella roba", di cui lui sapeva solamente ciò che io gli avevo insegnato nei nostri quindici anni di relazione, era la mia passione, ciò di cui io ero riuscito a fare il mio lavoro: ero un ma
ître chocolatier e, modestia a parte, ero anche piuttosto abile.
Mentre io ero colui che creava, Ewan era quello che portava avanti gli affari del negozio. Monpazier non mancava di turismo, e da quando il film Chocolat – esatto, quello con Johnny Depp – aveva avuto un gran successo, la mia cioccolateria era diventata una meta curiosa e d'obbligo per chi aveva voglia di portarsi via un pezzo della Francia dolce. In realtà, con il mio titolo di maestro del cioccolato, avrei anche potuto aprire negozi più grandi ed importanti a Parigi, ma Ewan sosteneva che sarebbe stato un investimento troppo rischioso per noi, con una base così piccola su cui poter fare affidamento come "Le Goût". Essendo lui il burocratico della situazione, accantonavo l'idea.
«Troppo strano. Se fossimo in Provenza, forse, ma qui...»
Ed infatti, che vi avevo detto? Era vero che la storia si ripeteva. Erano anni che si ripeteva.
Io sospirai e scossi il capo, arricciando il naso e dandogli poi le spalle.
«Sì, Ew, al solito...» Tagliai corto, posando la ciotola che stavo usando come contenitore per quel cioccolato al latte per spostarmi al bancone e prendere una manciata di nocciole.
Vidi la mano del mio compagno entrare nel mio campo visivo per prendermi uno di quei piccoli frutti secchi, facendoselo subito sparire tra le labbra.
«Dai, Jude, non prendertela...»
Mi fece un sorriso a mezza bocca che io non ricambiai, limitandomi a sollevare un sopracciglio, e poi mi alzò il viso prendendomi il mento tra le dita e lasciandomi così un bacio a fior di labbra che io ricambiai solo parzialmente, prima di decidermi a stamparmi in faccia un nuovo sorriso e riprendere la mia attività, cominciando a pestare le nocciole che avevo disposto a casaccio sul mio piano di lavoro.
«Che ore sono?» Domandai distrattamente, allungando la mano verso il contenitore dei pistacchi per lanciarmene uno alla bocca semiaperta. Feci centro, e non potei impedirmi di sorridere tra me per quella piccola soddisfazione, mentre masticavo e sentivo lo sguardo di Ewan tornare sul mio viso. Mi rispose a mezza bocca, il suo sguardo puntatomi addosso: «Mezzogiorno meno un quarto.»
«Mh, allora vai a fare la spesa: il frigo chiede pietà e Gaspard oggi chiude alle tredici.»
Lo sentii sbuffare così forte che mi stupii non veder volare via metà negozio al suo respiro pesante. Prese a mugugnare contrariato, cercando di corrompermi posandomi il mento sulla spalla, osservandomi dal basso con quell'espressione che lui chiamava "occhi da cucciolo". Io gli lanciai uno sguardo di traverso, tirando un sorriso a metà: «No, Ew, devi andare, se vogliamo cenare questa sera. E poi oggi dovrebbe arrivare anche quel tipo dall'America, non so se sarebbe il caso di invitarlo a casa a mangiare, stasera, tanto per ingraziarcelo un po'...» Meditai ad alta voce, raccogliendo le nocciole pestate e mettendole poi nel cioccolato fuso che prima stavo lavorando con le fruste. Ripresi a mescolare, mentre il mio compagno ciondolava verso la porta d'ingresso con aria svogliata e raccattava un pezzo di cioccolato bianco mentre passava da un cestino in vimini dentro al quale tenevo assaggi per i clienti. Si portò l'assaggio alla bocca, cominciando a masticarlo piano, senza neanche voltarsi nel rispondermi: «Facciamo che compro dei pomodori, così se lo invitiamo li facciamo ripieni, altrimenti li mangiamo come contorno. E poi... del vitello?» Propose, ed io annuii in assenso, afferrando una spatola di legno ed infilandola nel cioccolato che ancora stavo lavorando per poi portarmela alla bocca, assaggiando. Ottimo.
Sorrisi tra me, rispondendo con un "mh" al saluto di Ewan che mi diceva che avrebbe pranzato fuori, al locale dove lavorava come barista. Aveva blaterato di una riunione del personale, o qualcos'altro di cui sinceramente non mi preoccupai, perché finalmente era arrivato il momento più bello della mia giornata: lo stare da solo con il mio cioccolato, in bottega.
No, niente manie da stakanovista o roba simile... non disdegnavo lo stare chiuso in casa sul divano con una tazza di tè in mano – da buon inglese quale sono – ma essere un ma
ître come me, implicava una certa dedizione in ciò che veniva fatto. Una certa voglia di assaporare, annusare, osservare. Come diceva sempre il mio maestro: "il cioccolato rapisce tutti e cinque i sensi". Con gli anni avevo imparato che mai frase pronunciata fu più vera di quella.
Versai il composto di cioccolato e nocciole in una serie di stampini che usavo per dare forma ai cioccolatini, correggendo le sbavature e togliendo il cioccolato in eccesso con la spatola. No, ehy, non quella che avevo leccato! La spatola per temperare! Non mi sarei m-- oh, temperare è il procedimento che si fa su di un ripiano di marmo e serve a portare il cioccolato alla giusta temperatura, appunto.
Ma comunque dicevo che non mi sarei mai permesso di mancare di rispetto a quella maniera al mio cioccolato ed ai miei clienti, e così mi occupai dei miei cioccolatini con attenzione, sollevandomi la serie di stampi davanti agli occhi per controllare che non ci fossero bolle d'aria tra il silicone ed il cioccolato, trovandoli... perfetti. Senza esagerare.
In realtà il mio lavoro era sempre stata la mia passione, come ormai avrete capito, ed a dirla tutta, da anni era diventato anche se non tutto, buona parte del mio mondo. Mi dedicavo anima e corpo a ciò che facevo, e probabilmente era anche per questa mia maniacale attenzione alla mia attività se le cose con Ewan erano andate via via affievolendosi in un lento declino. Per certi versi eravamo cresciuti insieme: io avevo ventidue anni quando lo conobbi e lui--
Lanciai uno sguardo fuori dalla vetrina, la mia attenzione che venne catturata da quell'uomo che stava avvicinandosi alla porta con la testa piegata di lato. Non riuscivo a vedere i suoi occhi, perché erano coperti da un paio di occhiali da sole neri. In compenso, però, vedevo il resto: giacca e cravatta, barbetta curata e simmetrica, tutto d'un pezzo. E... che cosa stava facendo? Aveva portato il viso vicino alla porta, al pezzo di muro tra vetrina e cardini.
Ma guarda tu questo...
Sorrisi tra me, chinando il capo di lato e posando gli stampi dei cioccolatini sul bancone, lasciando il mio lavoro per avvicinarmi all'ingresso. Lui non sembrava avermi notato, nonostante avessimo solamente un vetro a separarci, ed io ne approfittai per uscire sulla soglia e incrociare le braccia al petto, prendendomi qualche istante per osservarlo: stava annusando la lavanda con un cipiglio ben marcato tra le sopracciglia.
«E' lavanda. La conosce?» Attirai così la sua attenzione, un lieve sorriso ad incresparmi le labbra, mentre lui si voltava all'istante verso di me e mi squadrava da dietro le lenti scure.
«Mia moglie usa un bagnoschiuma con questo profumo, se non sbaglio.» Mi rispose mentre modificava la sua espressione in un sorriso di circostanza, era evidente. Classiche buone maniere. Poi si tirò gli occhiali sulla testa, permettendomi così di trovarmi di fronte a due occhi grandi e neri, non contagiati dal sorriso che invece ostentava. Poi mi porse la mano che io non afferrai subito, intanto che proseguiva con la sua presentazione, anche se non avevo troppi dubbi su chi potesse essere, vestito a quella maniera e catturato com'era dalla lavanda che avevo appeso un paio di giorni prima per farla essiccare.
«Io sono Robert Downey – continuò, mentre io mi pulivo la mano destra sul grembiule per evitare di sporcarlo di cioccolato -, sono quello che dovrebbe scrivere su questa bottega, cercare i sapori e tutto il resto... lei è il proprietario?»
Io finalmente gli concessi la stretta che mi stava tacitamente chiedendo, mentre annuivo con velocità e pensavo che sembrava piuttosto disinteressato a quello che doveva essere il suo lavoro.
Mi sistemai gli occhiali sul naso, rispondendo alla sua ultima domanda: «Uno dei due, esatto. Sono Jude Law e... be', sì: sono il cioccolataio.» Anche se in realtà il proprietario ero solamente io, fino a prova contraria, ma per il momento avrei evitato di essere troppo fiscale.
Lo vidi annuire, mentre il suo sguardo si faceva più attento e sembrava scrutare all'interno del mio negozio. In effetti, da qualche parte avremmo dovuto cominciare, e da lì derivò la mia proposta: «Che ne dice di entrare? Così possiamo metterci comodi e cominciare a parlare un po'.» Abbozzai un sorriso di circostanza, mentre mi scostavo dalla soglia per permettergli l'entrata. Robert si passò una mano tra i capelli castani – dovevano essere morbidi, notai – e poi accolse il mio invito precedendomi all'interno. Io gli ero già dietro, e subito lo vidi dilatare le narici, guardandosi intorno con le sopracciglia aggrottate. Io stavolta sorrisi tra me: era la prima reazione che tutti quanti avevano. Non era la vista ciò che il cioccolato catturava per primo, ma l'olfatto. Vedevo i clienti chiudere gli occhi e inspirare neanche fosse una fragranza particolarmente pregiata. Era solo cioccolato, fresco e appena lavorato o addirittura in fase di lavorazione, alcune volte. Eppure catturava tutti all'istante. Io, purtroppo, con gli anni ero diventato immune al fascino di quell'odore.
«Le piace il profumo, eh? In effetti nelle industrie non dev'essere così forte...» Meditai, non riuscendo a trattenere una smorfia poco convinta: il lavoro manuale era la strada da seguire per essere un vero ma
ître.
Al contrario di tanti miei colleghi, non mi infastidivano troppo le grandi marche di cioccolato, che alla fine dell'arte cioccolatiera non avevano niente se non alcuni ingredienti, perché capivo che bene o male ognuno doveva fare qualcosa per vivere, anche se questo implicava una violenza vera e propria alla pasticceria ed ai suoi rami. Mi consolava il fatto che quando un qualcuno avrebbe assaggiato una delle mie piccole opere d'arte, non si sarebbero più tolti il mio negozio dalla testa. E quando avrebbero successivamente comprato una tavoletta di cioccolato Lindt al supermercato, avrebbero rimpianto me.
Ci pensò Robert a riscuotermi dai miei pensieri, rispondendomi con un sorriso storto: «Non sono un gran frequentatore delle aree dedicate alla vera e propria produzione. Io mi occupo più della parte non commestibile, per intendersi.»
Mi ritrovai ad emettere una risata divertita, mentre annuivo con fare complice e comprensivo e gli indicavo la porta dietro al bancone da lavoro.
«Dietro quella porta c'è il laboratorio. Se vuole accomodarsi lì, possiamo parlare.»
Lui, come fatto in precedenza, mi precedette verso il bancone, ma senza smettere di guardarsi intorno con aria incuriosita. A quanto pare non si sforzò troppo di trattenersi, ed infatti allungò una mano per catturare una pralina ricoperta di polvere di cacao amaro, guardandomi di sfuggita.
Io gli sorrisi, stavolta apertamente, prima di alzare un sopracciglio: «Ma prego, non faccia complimenti!»
Lo esortai, mentre lui faceva sparire in bocca il cioccolatino e lo masticava con attenzione. Passò qualche istante in cui non staccai un attimo lo sguardo sul suo viso, desideroso di sapere cosa ne pensava. Lui annuì tra sé, regalandomi solo un'occhiata fugace, prima di parlare: «Non faccio complimenti, ok, ma prometto che non le svaligerò il negozio.»
Oh, be', buono a sapersi. Ma poi proseguì verso la porta dietro al bancone semi accostata e sparì alla vista, senza degnarmi di farmi sapere cosa diavolo pensava del mio cioccolatino. Restai ad osservare qualche istante la porta dietro cui era sparito, e poi mi decisi a raggiungerlo con la coda tra le gambe, arreso al fatto che quell'uomo non si sarebbe sbilanciato.
Oltrepassai la soglia e mi ritrovai al laboratorio, dove l'ambiente diventava una vera e propria cucina, per certi versi, con fornelli, teglie, fruste e tutto ciò che serviva. Lì dentro probabilmente non avrei avuto problemi a cucinare anche un arrosto o un piatto di pasta, attrezzato com'era.
Lo trovai già seduto su uno sgabello, ed io mi appoggiai con nonchalance al ripiano in marmo di uno dei banconi, incrociando le caviglie.
Stavolta fu lui il primo a prendere la parola: «Innanzitutto, direi che converrebbe darci del tu, se sei d'accordo.» Esordì, rivolgendomi un mezzo sorriso. Avevo l'impressione che fosse un buon oratore, sempre affabile in apparenza, ma che non riusciva a nascondere quella punta di sarcasmo che mi aveva già mostrato con un paio di risposte precedenti. Per cui era un tipo sarcastico, a quanto pareva. Me lo appuntai mentalmente.
Io comunque annuii subito, sistemandomi gli occhiali sul naso.
«Non è assolutamente un problema, Robert.» Lo rassicurai, incrociando le braccia al petto, per poi aggiungere: «Approfitto già ora a chiederti scusa se quando ci incontreremo non sarò molto pulito, ma sai...» Lasciai in sospeso, sapendo che non c'era bisogno di proseguire oltre per fargli capire che si trattava del mio lavoro.
Ewan mi rimproverava spesso sul fatto che avevo sempre le mani sporche ed il grembiule in vita, ma vedermi pulito, per quanto facessi attenzione a non inzaccherarmi troppo, era come pretendere da un rugbista di non puzzare di sudore mentre si trovava in campo.
Lui infatti sventolò una mano in aria con noncuranza, scuotendo il capo: «Penso sia una cosa normale. In ogni caso, cominciando a parlare del perché sono qui, sai già cosa sono venuto a fare, giusto?» Mi domandò, mentre accavallava una gamba sull'altra ed i suoi occhi, anche se faceva finta di niente, correvano ad una ciotola di cioccolato fondente a pezzi che era di fianco a me.
Io presi il recipiente e glielo porsi, senza badare allo sguardo indecifrabile che mi lanciò.
Altro appunto mentale: goloso, era evidente.
«Kilmer mi ha spedito un'e-mail per informarmi che recensirai il mio negozio... ma anche che starai qui un mese almeno, per cui immagino che sarà un qualcosa di un po' più lungo di un paragrafo scritto.»
Gli risposi, mentre lui masticava compostamente uno dei pezzi di cioccolato pescati dal contenitore.
«Già... - borbottò, leccandosi il labbro superiore, appena sporco – e se vado avanti così in un mese prenderò almeno cinque kili, con tutta questa cioccolata.» Scherzò, restituendomi la ciotola senza evitarsi di trafugare prima ancora un paio di pezzetti. Io gli sorrisi, infilandomi a mia volta in bocca uno dei quadretti.
Proseguì dopo pochi istanti, gesticolando ampiamente durante il suo discorso: «In realtà i cinque kili li prenderò comunque, perché temo che sarò costretto ad assaggiare buona parte dei tuoi sapori. Dovrò scattare qualche foto, parlare anche con il tuo socio... McGregor, giusto? Vedere come lavorate, chiedere a qualche cliente cosa ne pensa de "le Goût du péché", e poi far sapere tutto al mio capo in America. Mi avrete tra i piedi per un po'.»
Concluse alla fine, lanciandosi teatralmente in bocca l'ultimo pezzo di cioccolato rimastogli.
Non ci metteva molto a prendere confidenza, a quanto sembrava.
«Non sarà un problema... Ewan è il mio compagno, oltre che... be', sì, chiamiamolo socio, e non è molto propenso a osare un po'. Ma immagino che non sarà male portare un pezzo di "le Goût" in America.»
Mi ero pienamente reso conto del lampo che gli passò negli occhi non appena resi noto il fatto che io ed Ewan avevamo una relazione, e quindi che ero un omosessuale, ma a quanto pareva, dal sorriso che mi rivolse appena finito il mio discorso, non doveva essere un problema. Non che me ne sarebbe importato qualcosa, in ogni caso, chiaramente, ma l'omofobia spesso e volentieri creava problemi noiosi ed inutili e faceva perdere tempo.
«Io penso che le botteghe come questa dovrebbero avere più visibilità, invece. Ed è questo che le grandi aziende fanno: dare possibilità di conoscere attività che altrimenti verrebbero ignorate.»
Io mi umettai le labbra per evitare di ridere in maniera ben poco educata, e lui distolse lo sguardo dopo quell'ultima frase.
Io non ci credevo, e la sua probabilmente era una frase di rito che alle sue orecchie aveva perfino perso di significato.
Ad ogni modo, sollevò il polso e diede un rapido sguardo all'orologio da polso che portava, alzandosi dallo sgabello.
«Ti lascio il mio numero, va bene?» Mi domandò, mentre intrufolava una mano all'interno della giacca che portava, e frugava per un po' all'altezza del suo pettorale destro. Alla fine trovò quel che cercava e mi porse un cartoncino rettangolare con scritto nome, cognome, e-mail e numero di telefono.
«Ti faccio uno squillo, così salvi il mio numero in rubrica. - lo informai, lasciandomi scivolare nella tasca del grembiule il suo biglietto da visita. Lo fermai mentre annuiva e faceva per andarsene – Non è che vuoi cenare con me ed Ewan, stasera? Immagino che Monpazier ed i suoi alberghetti non possa offrire ciò che è abituato un cittadino di New York, ma giuro che so cucinare anche altre cose oltre al cioccolato.»
Gli rivolsi un mezzo sorriso, intanto che lui prendeva la ventiquattr'ore che aveva posato a terra, scuotendo il capo con un pallido sorriso.
«Ti ringrazio, Jude, ma devo scrivere al mio capo, chiamare i miei figli e sbrigare un altro paio di faccende... ed a dirla tutta sono anche piuttosto stanco dal viaggio. Magari un'altra sera.» Declinò gentilmente, evitando il fare pungente che invece aveva mostrato fino a poco tempo prima, quel fare che mi faceva sorridere.
Io annuii comprensivo, passandomi una mano sulla fronte e precedendolo quindi all'uscita del laboratorio. Lui mi seguì a ruota.
Mi fermai dietro la cassa, mentre Robert mi porgeva ancora una volta la mano destra e stavolta io fui tempestivo a stringerla, sorridendo ampiamente intanto che lui faceva lo stesso.
«Tornerò domani verso le nove e mezzo. Troverò McGregor?»
Mi domandò, ed io non potei far altro che annuire per un'ennesima volta: «Glielo dirò stasera. Allora, a domani, Robert.»
Lui mi rivolse un occhiolino scherzoso e mi diede le spalle, camminando con una certa flemma verso l'uscita. Non potei trattenermi quando lo vidi passare davanti alle praline: «Ehy, non mi hai detto se la pralina ti è piaciuta, però!»
Il mio era un tono che voleva palesemente richiamare la sua attenzione, senza potermi impedire di far scivolare all'interno della frase una lieve nota di fastidio nella voce.
Lui non si voltò verso di me per rispondermi.
Si bloccò per un istante in mezzo al mio negozio e poi rubò un altro cioccolatino, un'altra pralina ricoperta di cacao amaro in polvere, infilandosela in bocca e calandosi gli occhiali da sole sul viso, prima di uscire definitivamente.
Io rimasi fermo il tempo di un sospiro, e poi mi ritrovai a sorridere. 








Walking_Disaster's corner:

Buonasera ed eccomi con il secondo capitolo :3
In realtà non era ancora pronto (sono stata impegnata con qualche one-shot random), ma dal momento che domani parto e sto via fino al 21, ho finito stasera il capitolo e l'ho pubblicato per evitare che passasse troppo tempo per l'aggiornamento.
Passiamo al capitolo: Ecco a voi il nostro Judsie cioccolataio ed ecco a voi Ewan! Come ho detto a
LelaAndHerLonelyShadows (ciao baby! \*^*) diverse volte, mi ero ripromessa che non avrei mai usato McGregor nelle mie FF. Soprattutto non l'avrei mai usato come fidanzato di Jude. Ed invece eccolo qui. Coerente, sìsì.
Ci tengo a precisare che il cioccolato alla salvia esiste veramente, anche se Ew rompe i così detti.
Qui troviamo un Jude osservatore, un curioso, che per certi versi è desideroso di andare avanti, di scoprire, ma che allo stesso tempo è un tipo molto tranquillo, dedito al suo lavoro in cui ci mette anima e corpo. Vediamo se con Rob tra i piedi riuscirà a lasciarsi un po' più andare, mh?
Una cosa: non so se in Francia esiste la Lindt, ma è la prima grande marca di cioccolato che mi è venuta in mente!
Il Gaspard citato è Gaspard Ulliel e la sua sexy cicatrice sulla guancia <3

Chiedo scusa e ringrazio di cuore
AlexisKami (la mia prima supporter ufficiale che proviene dalla mia prima storia ç_ç), Naky94 (Che mi recensisce tutto ed è carinissima <3 )e LelaAndHerLonelyShadows (che è Emanuela, e c'è bisogno di dire altro?) per non aver ancora risposto alle loro recensioni, ma in questo periodo sono in fase di scrittura compulsiva acuta e non ho davvero tempo per rispondere! O scrivo, o guardo film, o sono in giro per il mondo, quindi scusatemi di cuore se non vi ho ancora risposto: lo farò a breve, giuro.
Poi un ringraziamento va a chi ha messo la storia tra preferiti e seguite, che sono, escludendo le bellissime donne già citate:
Alexia_Sutcliffe che preferisce e Bynie, costyplace, Nanna12345 e Roby22 per aver seguito.
Ed infine ringrazio chi legge solamente. Vi adoro tute.
Concludo qui con un bacione,
Al prossimo capitolo,
WD

Ps: Recensite :3 *Musichetta Wind che parte quando il numero chiamato è occupato*

   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su attori > Coppia Downey.Jr/Law / Vai alla pagina dell'autore: Walking_Disaster