Prologo
Hellen
era seduta sulla sua brandina, gli occhi
puntati sul soffitto coperto dalla spessa imbottitura che si trovava in
tutte
le stanze del centro d’igiene mentale per adolescenti Saint
Brutus. Udì il
rumore metallico dello spioncino che veniva fatto scorrere, ma rimase
immobile,
fingendo di essere addormentata. Lei era una di quelli che al centro
venivano
definiti “casi irrecuperabili”, i medici e gli
inservienti la controllavano più
o meno ogni ora, temevano che se lasciata troppo da sola potesse
sviluppare
idee suicide. Quello che non capivano era che lei non era pazza; no, di
questo
era assolutamente certa… lei vedeva davvero quelle cose.
-
Hellen. Tesoro, sei sveglia? –
La
voce della signora Warner, una delle infermiere
più anziane che con lei si era dimostrata sempre
incredibilmente gentile,
accompagnò il cigolio dei cardini della porta.
Voltò leggermente la testa verso
di lei e le puntò contro le iridi violacee che tanto
inquietavano il personale
e gli altri ragazzi.
-
C’è una visita per te, mia cara. –
Aggrottò
la fronte. Lei non riceveva visite. Mai.
-
Non ho nessuno che potrebbe venirmi a fare visita.
– replicò, la voce pacata che non tradiva alcuna
inflessione.
-
C’è una signora che vorrebbe parlare con te,
potresti sentire cosa ha da dirti. – insistette gentilmente.
Hellen
sapeva perfettamente che quella donna provava
un senso di compassione per lei. La povera orfanella con le rotelle
fuori
posto.
Si
alzò e la seguì docilmente. Non le interessava
chi fosse o di cosa volesse parlarle, ma era sicuramente meglio di
passare il
resto della giornata chiusa fra quattro mura. Le giornate al Saint
Brutus
seguivano uno schema rigoroso: sveglia, colazione, lezione e poi di
nuovo nelle
stanze dove venivano serviti i pasti; le interazioni tra i ragazzi
venivano
limitate all’orario scolastico e anche in quel modo non si
era mai sicuri di
riuscire a limitare i danni. La cosa non dava fastidio a Hellen; le
piaceva il
silenzio e non le pesava la solitudine. Ovviamente c’era da
considerare anche
il fatto che il resto degli ospiti dell’istituto la evitava
come la peste,
mentre un piccolo gruppetto le aveva affibbiato il soprannome
“Cole”, come il
bambino del “Sesto Senso”, e si divertiva a
prenderla in giro.
Sì,
perché la sua peculiarità era quella di vedere i
defunti. Era cominciato tutto tredici anni prima, quando il nonno era
morto e
lei aveva affermato di continuare a vederlo in giardino; inizialmente i
suoi
genitori avevano imputato la cosa a una suggestione infantile dovuta
dal
desiderio di rivedere il caro defunto, ma poi la cosa era degenerata.
Ora, a
diciotto anni appena compiuti, Hellen non solo era in grado di vedere
le anime
che vagavano sulla Terra, ma riusciva persino a capire se una persona
era in
punto di morte o aveva ancora anni da vivere. La morte dei suoi
genitori non
era stata una sorpresa, l’aveva prevista mesi prima e la sua
unica replica
all’agente che era stato incaricato d’ informarla
del decesso era stata: “Lo
sapevo”. L’errore fatale era stato quello di
confessare allo strizzacervelli da
cui l’aveva spedita la sua famiglia adottiva ciò
che riusciva a fare. E ora
eccola lì, rinchiusa in una stanza dalle pareti imbottite e
tenuta sotto
sorveglianza anche quando andava in bagno.
Entrò
nell’ampio salone adibito a sala ricreativa e
luogo d’incontro. Era una stanza dipinta con un
bell’ azzurro cielo e ricordava
l’aula di un asilo nido: oggetti esclusivamente in gomma e
plastica, niente
bordi taglienti né qualsiasi cosa che potesse nuocere alla
salute di coloro che
si trovavano nel centro, ospiti o visitatori che fossero. La signora
Warner le
indicò il tavolo nell’angolo, quello dove si
sedeva durante la sua ora di
libertà. Amava quel posto, era riservato e tranquillo e
dalla finestra in plexiglass
si godeva una vista meravigliosa.
Volse
lo sguardo sulla donna che le sedeva davanti.
Era più giovane di quanto avesse pensato, di sicuro non
doveva aver superato la
trentina, e sembrava avvolta da un’aura di saggezza. I
capelli castani le
arrivavano alle spalle e gli occhi erano color perla e creavano
l’illusione di
un volto abituato a portare gli occhiali, eppure non ce n’era
traccia.
Indossava un completo dello stesso grigio degli occhi e sembrava
stranamente
impacciata in giacca e pantaloni, come se non fosse affatto abituata a
portarli.
-
Piacere di conoscerti, Hellen, io sono Manto. –
esordì, sorridendole con aria amichevole e stando attenta a
mantenere il
contatto visivo.
-
Cos’è una nuova psichiatra, quell’idiota
benintenzionato del dottor Phillips si è già
arreso? –
Udì
lo sbuffo di rimprovero della Warner, ma non se
ne curò.
-
Sei schietta, è una dote che apprezzo. No, non
sono una psichiatra e per quanto mi riguarda non credo che tu ne abbia
bisogno.
Sono una professoressa e sono qui per offrirti la
possibilità di un’istruzione
superiore. Immagino che qui impariate solo lo stretto indispensabile.
–
aggiunse, esaminando con aria accigliata la stanza in cui si trovavano.
-
Non le hanno detto che non si perde tempo a
insegnare ai matti, professoressa? – replicò
beffarda, sforzandosi di
nascondere la frustrazione che era trapelata dalla sua voce.
Manto
sorrise, sembrava che avesse toccato il tasto
giusto.
-
La scuola in cui lavoro si occupa di giovani
talenti come te, Hellen, e mi piacerebbe moltissimo averti con noi.
–
-
Dunque stiamo parlando di una scuola per pazzi, ci
usate come cavie da laboratorio o cos’altro? –
Quella
ragazza era un osso più duro di quanto avesse
immaginato, forse avrebbe dovuto ascoltare Chirone e
lasciare che se la sbrigasse lui. Scosse la
testa. No, aveva detto che ce l’avrebbe fatta e
così sarebbe stato, doveva solo
ricordarsi di chi era figlia l’adolescente che aveva di
fronte.
-
Io trovo che sia meglio essere pazzi che noiosi;
dietro a ciò che per molti è follia spesso si
nasconde il vero genio, non sei
d’accordo? –
Hellen
si mordicchiò il labbro con aria assorta.
Dove voleva andare a parare?
-
Credo che abbia ragione, ma non mi ha ancora
spiegato cosa dovrei fare in questa scuola. –
Manto
le rivolse l’ennesimo sorriso, ottenendo in
risposta una scrollata di spalle. Il messaggio era chiaro: per ora
l’aveva
convinta, ma era ancora troppo presto per abbassare la guardia.
Spazio
autrice:
Ragazzi
e ragazze, eccoci qui con la mia prima long
su Percy Jackson. Oltre a ciò sarà anche una
storia interattiva, con un numero
limitato di personaggi OC che potrete introdurre nella storia. Parto
specificando che gli Dei di cui tratteremo saranno:
-
Egizi;
-
Norreni.
Questo
perché di semidei greci e romani ne abbiamo
decisamente a bizzeffe e li adoro tutti e troppo per metterli in
secondo piano.
Qui sotto troverete una lista di divinità dei vari pantheon
prenotabili da una sola persona
(inserendo la vostra
prenotazione nella recensione). La scheda pg andrà mandata
entro ventiquattro
ore dalla prenotazione (o il posto tornerà a essere libero)
tramite messaggio
privato.
Potete
scegliere tra le seguenti divinità:
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
La
scheda da compilare sarà la seguente:
Nome:
Cognome:
Sesso:
Età:
Luogo
di provenienza:
Descrizione
fisica e caratteriale:
Breve
storia personale:
Eventuali
amicizie/parentele:
Direi
che è tutto. Alla prossima.
Baci
baci,
Fiamma Erin Gaunt