Cap
1
-
Allora, Hellen, sei dei nostri? –
-
Come sapevate dove mi trovavo e cosa ero in grado
di fare? – indagò. Se proprio doveva andare con
quella donna voleva avere delle
risposte.
-
Non sapevamo cosa fossi in grado di fare, i doni
variano da persona a persona, ma conoscevo tua madre e non ti ho mai
perso di
vista nel corso degli anni. –
Quella
donna aveva conosciuto sua madre? Eppure non
le sembrava di averla mai sentita nominare, non in sua presenza per lo
meno.
-
Conosceva anche mio padre? –
L’espressione
di Manto si fece improvvisamente cupa.
Non c’era più neanche un briciolo
dell’entusiasmo che aveva manifestato fino a
quel momento.
-
Sì, conoscevo anche tuo padre, ma non sono mai
stata esattamente una sua fan. – ammise, sorridendole con
aria di scuse.
Hellen
apprezzò la sincerità. Chiunque altro al suo
posto avrebbe cercato di nascondere la scarsa simpatia che provava nei
confronti dell’uomo, se non altro per un atto di mera
cortesia, ma Manto non
sia era fatta problemi a essere sincera con lei.
-
Penso che mi fiderò di lei, non mi dia motivo di
pentirmene. – decretò, fissandola con decisione
nelle iridi perlacee.
La
donna annuì, tornando all’espressione serena e
gioviale di poco prima.
-
Verrai con me? – le chiese gentilmente.
Doveva
accettare? Lo desiderava così tanto che le
sembrava quasi di fare violenza a se stessa rimanendo lì,
seduta in silenzio.
Doveva esistere un posto per persone come lei, dove gli altri non li
vedessero
come matti o fenomeni da baraccone scappati dal circo più
vicino. E poi c’era
la possibilità di imparare a controllare il suo dono. Fino a
quel momento le
anime si presentavano davanti a lei senza
il minimo preavviso, spesso non si rendeva neanche conto di trovarsi
davanti un
defunto finchè le persone che le erano vicine non
annunciavano di non vedere
nulla. C’era un modo per controllare tutto questo? Non lo
sapeva, ma se
esisteva doveva di sicuro trovarsi in quel posto.
-
Verrò. –
Gli
occhi color perla di Manto s’illuminarono: - Ne
sono davvero felice. Ti aspetterò qui, vai a prendere le tue
cose. –
Le
strinse delicatamente le mani, cercando di
metterci dentro tutta la sua solidarietà e la promessa di
esserle accanto, poi
lasciò che l’infermiera la riportasse nella sua
stanza e la seguì con lo
sguardo. Doveva ammettere che in lei c’era molto
più di Margareth di quanto si
fosse aspettata, anche se il carattere schivo e
l’impassibilità dei suoi occhi
ricordava molto quella paterna. Sbarrò il nome dal foglietto
di carta che
teneva in tasca.
E così anche
l’ultimo semidio era stato trovato.
*
Passarono
il resto del viaggio in silenzio, poi il
taxi abbandonò la strada principale e sbucò su
una stradina di campagna.
Proseguirono per una decina di miglia finchè non giunsero in
un piazzale.
Hellen sgranò gli occhi. Finalmente capiva cosa intendeva
Manto quando aveva
parlato di qualcosa di simile all’aeroporto.
-
Abbiamo a disposizione un elicottero?! –
-
Abbiamo un elicottero. – confermò, sorridendo
davanti allo stupore della sua nuova allieva.
Il
tassista si offrì di caricare i loro bagagli e,
dopo aver intascato una mancia assurdamente generosa che sicuramente
aveva lo
scopo di invogliarlo a dimenticare di aver lasciato due giovani donne
nel bel
mezzo della campagna in compagnia di un elicottero e un pilota,
tornò alla
macchina e riprese la strada da cui era venuto.
Dalla
cabina di pilotaggio si affacciò un ragazzo
che doveva avere la stessa età di Hellen. Aveva i capelli
rossi, gli occhi
azzurri e il volto dai tratti affilati che ricordava quello di un
folletto.
Rivolse un rispettoso inchino all’indirizzo di Manto e
scoccò un’occhiata
incuriosita all’indirizzo della ragazza.
-
E così sei tu la nuova arrivata. Sai, per un
attimo ho temuto che fossi una specie di emo o una dark o qualcosa del
genere,
invece sei decisamente poco lugubre. –
Manto
gli rivolse un’occhiata di rimprovero che ebbe
il potere di farlo zittire e fargli abbassare lo sguardo. Non sembrava
affatto
pentito però, considerò la ragazza, visto che sul
volto era comparso un sorriso
malandrino.
-
E tu cosa saresti, una specie di folletto troppo
cresciuto? – lo punzecchiò a sua volta. Non aveva
la minima intenzione di
lasciarsi mettere a disagio da uno sconosciuto.
La
donna sorrise divertita, lasciandoli alla loro
piccola schermaglia. Forse una volta tanto qualcuno sarebbe riuscito a
rimettere al suo posto Zephyr.
-
Uhm, tagliente come un rasoio. Io sono Zephyr,
figlio del Dio Amon, e momentaneamente retrocesso a vostro pilota
personale. –
-
Hellen. –
-
Hell… appropriato, decisamente appropriato. –
L’aveva
appena chiamata Inferno?! Insomma, che
problemi aveva quel ragazzo?
-
Hellen. – scandì lentamente.
-
Sicuro, Hell, l’avevo capito. –
Oh,
insomma, questa poi: ci faceva o c’era?
-
Hellen… non Hell, Lene, Helly o qualsiasi altro
nome ti passi per la testa! –
Il
ragazzo la guardò come se le avesse dato di volta
il cervello e non riuscisse proprio a capire cosa ci fosse che non
andava.
-
D’accordo, datti una calmata o ti salteranno le
coronarie. Volevo solo essere gentile e darti un soprannome.
– bofonchiò
contrariato, tornando in cabina e chiudendosi dietro la porta.
Hellen
raggiunse Manto e le sedette accanto. Notò
che la donna faticava nel trattenersi dallo scoppiare a ridere.
-
Fa sempre così quello? – esordì
scontrosa,
allacciandosi la
cintura e alzando la
voce per contrastare il rumore delle eliche che venivano messe in moto.
-
Ogni tanto, Zephyr è un tipo piuttosto esuberante,
ma nessuno sa volare come lui. –
Quindi
non aveva detto tanto per dire, avrebbe
davvero viaggiato su un elicottero facendosi trasportare da un ragazzo
che
aveva la sua stessa età.
Manto
sembrò leggerle nel pensiero e le strinse la
mano con aria rassicurante: - Non preoccuparti, sa quello che fa.
–
Annuì,
deglutendo nervosamente. Lo sperava sul serio
e, cosa ancora più importante, si augurava che il suo mal
d’aria non le facesse
vomitare sul sedile tutta la colazione.
-
Sua infernalità sta gradendo il volo? – intervenne
Zephyr, sbucando dalla cabina e sedendosi davanti alle due donne.
Hellen guardò
fuori dal finestrino, decisa a non lasciarsi
coinvolgere dall’ennesimo strano battibecco. Lo
sguardo le cadde verso
il basso; era normale che si avvicinassero alla superficie del mare a
una
velocità così elevata?
-
Zephyr, l’elicottero! – esclamò,
nell’istante
esatto in cui si rese conto che stavano precipitando.
Il
figlio di Amon si battè la mano sulla fronte e
annunciò: - Ho dimenticato d’inserire il pilota
automatico. - Sfrecciò
verso la cabina e una manciata di
secondi più tardi l’elicottero cominciò
a scendere dolcemente verso la pista
d’atterraggio dell’isola sotto di loro.
-
Se mi tornasse in mente l’idea di salire su un
elicottero pilotato da te ricordami di non farlo. –
borbottò Hellen, mettendo
finalmente piede sulla terra.
-
Quanto sei esagerata, non ci siamo nemmeno
schiantati e stiamo tutti bene; sai come si dice, bisogna spaccarsi le
ali un
paio di volte prima d’ imparare a volare. –
-
Dalle mie parti invece si dice: rifallo un’altra
volta e ti spacco quella faccia da folletto che ti ritrovi. –
-
Brrrr. Dimmi, è una cosa di famiglia essere così
violenti e melodrammatici? –
Non
capiva a cosa si stesse riferendo, ma qualcosa
le diceva che con quel ragazzo sarebbe sempre stato così.
Manto
la prese sottobraccio e la indirizzò
gentilmente verso il sentiero in candida ghiaia che portava alla
costruzione
più vicina. Si trattava di un edificio di un bel blu che
aveva tutta l’aria di
essere usato molto poco.
-
Questa è la zona degli uffici del personale; non
dovresti trovarti qui, a meno che tu non abbia combinato qualche guaio.
Lì in
fondo c’è la cucina, e la mensa è
divisa su quattro livelli: il giardino
pensile, la terrazza sull’oceano, i tavoli sul tetto e la
sala interna. Di
solito ogni Casa ha il suo spazio per mangiare con i proprio compagni,
ma
nessuno ti vieta di cambiare posto se lo desideri. Dall’altra
parte del campus
trovi i dormitori e le stalle, infine, gli edifici che vedi a Est sono
rispettivamente lo spazio adibito alle aule e all’Arena.
–
-
Perché non scegli una camera? Sono sicura che
nella Prima Casa troverai Peter, è lui che si occupa
dell’organizzazione del
vostro dormitorio. – la invitò poi, indicandole
l’edificio più a Nord di tutti.
Si
trattava di una costruzione composta da due
piani;era la più imponente tra quelle che la circondavano e
le pareti erano
dipinte di un bel rosso. Impressa su una delle facciate c’era
uno stendardo
gigantesco raffigurante un cobra.
Raggiunse
l’ingresso, bussando un paio di volte.
Stava giusto per arrendersi e provare a cercare altrove, quando la
porta venne
aperta con un vigore tale che fu solo grazie alla sua prontezza di
riflessi che
non la prese dritta in faccia.
-
Peter, cabrón,
¿qué diablos es lo que quieres ahora? –
Sulla
soglia stava una ragazza più alta di lei di una decina di
centimetri, con
lunghe onde corvine e la carnagione olivastra che tradiva la chiara
impronta
messicana.
Già,
peccato solo che lei non capisse una parola di spagnolo. Anzi,
l’unica cosa che
aveva capito da quella frase era che: punto primo, il Peter che cercava
lei non
era nella Casa e che, punto secondo, la ragazza non doveva andarci
molto d’accordo.
-
Tu non sei Peter. – disse d’un tratto, puntando
gli occhi scuri nei suoi violacei e scrutandola dalla testa ai piedi.
– Ora che
ti guardo meglio, devi essere nuova, perché non ti ho mai
vista in giro. –
-
Già. Sono appena arrivata e sono stata mandata qui
a cercare Peter per una sistemazione. –
-
Bè, Peter non c’è. Lo trovi
all’Arena. –
L’aveva
vista passando, ma non era certa di riuscire
a ritrovarla. Il suo senso dell’orientamento non era
granchè e a ciò si
aggiungeva il fatto che era la prima volta che si trovava in quel posto.
-
Ti dispiacerebbe portarmici? –
La
ragazza alzò gli occhi al cielo, borbottando
qualcosa in spagnolo, ma annuì e
s’incamminò prima ancora di darle il tempo di
registrare il suo assenso.
L’Arena
distava un centinaio di metri da dove si
trovavano. Si trattava di una vera e propria riproduzione in scala
ridotta del
Colosseo romano. Hellen lo sapeva perché i suoi genitori
l’avevano portata a
visitare la città eterna quando aveva solo otto anni e il
senso di soggezione
che le aveva suscitato quella costruzione imponente e magnifica
riviveva ancora
chiaramente nei suoi ricordi. Al centro della costruzione, ricoperto da
un
sottile strato di sabbia, c’era la zona in cui si stavano
sfidando due ragazzi.
Uno di loro, dal fisico imponente e i capelli di un castano dorato che
ricordavano i raggi del Sole, schivava ripetutamente i colpi di spada
del suo
avversario, un tipo dai capelli neri come il carbone e
l’espressione divertita
dipinta sul volto. Riusciva chiaramente a vedere i denti bianchissimi
che scintillavano
quando rivolgeva allo sfidante quella sua versione a metà
tra un ghigno e un
ringhio. Si muoveva con un’energia rabbiosa e menava fendenti
che facevano
fischiare l’aria.
-
Quelli sono Jack e Peter. Non sono i tipi di
ragazzi per i quali ti consiglierei di prenderti una cotta. –
Hellen
arrossì lievemente. Non aveva pensato neanche
per un istante all’idea di … Sì,
insomma, ora che li guardava bene si rendeva
conto di quanto fossero affascinanti. Peter aveva gli zigomi alti e la
mascella
decisa, gli occhi erano di uno strano grigio liquido e i capelli
corvini gli
ricadevano sugli occhi dandogli un’aria di distratta
eleganza; Jack invece
aveva quel meraviglioso colorito dorato che era tipico delle persone
che
passavano molto tempo all’aperto e aveva gli occhi
più incredibili che avesse
mai visto, un turchese dai riflessi elettrici. E poi c’era
quell’alone di pericolo
che sembrava avvolgerli. Non era mai stata una di quelle ragazze che
perdevano
la testa per un ragazzo la prima volta che lo vedevano, figurarsi per
due, ma
quei ragazzi l’affascinavano più di quanto
riuscisse a comprendere.
Furono
proprio quelle incredibili iridi turchesi a
posarsi su loro.
-
Abbiamo visite. – annunciò, sorprendendola con il
suo lieve accento. Sicuramente qualcosa del Nord Europa, probabilmente
norvegese.
-
Ria, perché non vieni a presentarci la tua nuova
amica? – la esortò, tirandosi indietro giusto in
tempo per schivare l’affondo
del compagno. – Ehy, non vale, ero distratto. –
Il
moro gli rivolse un’occhiata sarcastica: - Oh, le
mie scuse. -, poi lo aggredì nuovamente e questa volta gli
procurò uno strappo
all’altezza della spalla.
-
Pensa a combattere, Jack, avrai tutto il tempo di
provarci con la novellina. –
Jack
storse il naso in una comica espressione di
disappunto e replicò colpo su colpo agli assalti
dell’amico. Un preciso colpo
di taglio di Peter gli fece sfuggire l’ascia di mano, che
s’impennò nel cielo e
ricadde a un paio di metri di distanza; la spada del ragazzo
guizzò verso la
sua gola, fermandosi a un paio di centimetri dalla carotide.
-
Morto. – decretò. Il ghigno feroce si
trasformò in
uno di assoluto compiacimento. Anche questa volta aveva vinto, era lui
il
migliore.
Con
uno sbuffo rassegnato Jack stese la mano in
direzione dell’ascia e questa volò dritta da lui;
la ripose nel fodero che
portava alla cinta, poi si diresse verso le ragazze che nel frattempo
si erano
sedute sui gradoni in marmo. Hellen, che fino a quel momento era stata
completamente presa dall’incontro, sobbalzò
leggermente quando si trovò davanti
quegli occhi così particolari.
-
Scusami, non volevo spaventarti. – le sorrise,
porgendole la mano e flettendo il braccio per mettere in risalto il
guizzare
dei muscoli possenti. Aveva i muscoli più sviluppati che
avesse mai visto su un
adolescente. – Sono Jack, figlio di Thor. –
-
Hellen, figlia di Osiride. –
Ricambiò
la stretta, sforzandosi di non apparire
turbata per la forza che sentiva irradiare; era una specie di scarica
elettrica, come se quel ragazzo fosse letteralmente fatto di fulmini.
-
E così questa dovrebbe essere la figlia di Osiride?
Come si sono ridotti i potenti. –
Ria
aveva ragione, quel ragazzo andava evitato, ma
non per le ragioni che le aveva elencato. No, il motivo per cui era
meglio non
averci niente a che fare lo aveva capito in quell’istante:
Peter era uno
stronzo. Era abbastanza certa che fosse anche più di quello,
addirittura uno
con la S maiuscola.
-
Sì, sono sua figlia. La cosa ti crea forse qualche
problema? –
Aveva
imparato a tenere testa ai tipi come lui; non
era facendo l’agnellino che l’avrebbe rimesso al
suo posto quindi tanto valeva
tirare fuori l’artiglieria pesante e fargli capire subito che
lei non era una
ragazzina spaurita. Era nuova in quell’ambiente, certo, ma
questo non lo
autorizzava a deriderla.
Il
ghigno che le rivolse le fece perdere un po’
della sua tempra. Era maledettamente inquietante e lui sembrava esserne
perfettamente a conoscenza.
-
Uh, la novellina tira fuori gli artigli. Coraggio,
vediamo cosa sai fare. –
Le
porse una delle spade che teneva incrociate sulla
schiena con aria di sfida. Inarcò solo impercettibilmente un
sopracciglio
quando lei si alzò per afferrarne l’elsa.
-
Non credo sia una buona idea. – le sussurrò
all’orecchio
Ria.
Certo
che non era una buona idea … era pessima,
tremenda e probabilmente avrebbe finito con il farsi male sul serio, ma
non
aveva alcuna intenzione di tirarsi indietro.
-
Fammi strada. –
Seguì
Peter e Jack nell’Arena, soppesando
nervosamente la spada che aveva tra le mani. Non aveva la minima idea
di cosa
dovesse fare. Cioè, aveva visto degli incontri di scherma in
tv, ma questo era
ben diverso da qualsiasi altra cosa. La lama
luccicava sotto i raggi del Sole pomeridiano e si tingeva
di un sinistro
color sangue dato dal tramonto che incombeva nel cielo. Non
potè fare a meno di
notare il sibilo dell’aria che veniva sferzata mentre
accennava qualche timido
fendente di prova. In che guaio si era andata a cacciare? Avrebbe
finito con il
farsi affettare come un salame … che razza
d’idiota!
-
Il trucco è rimanere concentrati. Pensa solo a
schivare per il momento, attendi un attimo di distrazione e colpisci
con forza.
Vedrai, andrà bene. –
Apprezzò
il debole tentativo di Jack, ma era poco
credibile che Peter dimenticasse per magia la sua esperienza di
spadaccino per
permetterle di metterlo fuori gioco.
-
Sì. Bè, cerca solo d’intervenire prima
che mi
uccida, ok? –
Annuì
con aria seria e si dispose tra loro due. Si
era offerto come arbitro per quella sfida e nessuno aveva trovato un
valido
motivo per opporsi alla sua auto candidatura.
-
Saluto. –
Avanzarono
l’uno verso l’altra, l’andatura
circospetta di chi attende la mossa dell’avversario e cerca
di non farsi
cogliere impreparato. Hellen chinò leggermente il capo e
Peter imitò il suo
gesto in modo impercettibile, sembrava quasi che la sua
testa fosse scattata in avanti contro la sua
volontà.
-
Siete pronti? – domandò Jack, scrutando prima uno
e poi l’altra.
-
Sono nato pronto. Piuttosto, novellina, sei sicura
di non volerti tirare indietro? È la tua ultima occasione.
–
Gli
rivolse uno sguardo gelido e per tutta risposta
rinsaldò la presa sull’elsa.
-
Sono pronta anche io. –
Jack
emise un sospiro rassegnato. Sembrava che non
fosse molto contento di come sarebbero andate le cose di li a poco.
-
A voi! –
Peter
attaccò all’istante, menando un fendente con
tutta la forza che aveva e facendo fischiare l’aria. Fu solo
grazie ai suoi riflessi
che Hellen riuscì ad abbassarsi abbastanza in fretta da
evitare il colpo. Per
la prima parte dell’incontro non fece altro che arretrare e
cercare di evitare
le stoccate sempre più insidiose del suo avversario,
riuscendo a limitare i
danni a un solo graffio all’altezza
dell’avambraccio.
-
Paura? –
Santi
numi, quanto avrebbe voluto cancellargli quel
ghigno dalla faccia a suon di pugni.
-
Ti piacerebbe. –
-
Non hai la minima idea di cosa mi piacerebbe. –
replicò bruscamente. Gli occhi grigi scintillarono di rabbia
per una frazione
di secondo.
-
No, hai ragione, e sono certa di non volerlo
neanche sapere. –
La
stoccata che la raggiunse la colpì al fianco e le
mozzò il respiro. Ecco fatto, ora sì che
l’avrebbe uccisa. Si portò una mano
alla ferita e sussultò leggermente;
l’avvicinò al viso come se non credesse a
quello che stava vedendo. Tutto quel sangue era suo?!?
-
Tempo! –
La
voce di Jack le giunse ovattata. Fantastico,
stava per svenire. Proprio nel momento in cui le gambe le cedettero,
avvertì un
paio di braccia muscolose che la cingevano delicatamente e le
impedivano di
cadere.
Quando riaprì
gli occhi si ritrovò sdraiata su un letto in quella che
aveva tutta l’aria di
essere l’infermeria del campo. Fece per mettersi a sedere, ma
venne respinta
sul materasso con decisione.
-
Non muoverti, la ferita non si è ancora richiusa.
–
A
parlare era stata una donna più vicina ai settanta
che ai sessanta, i capelli perfettamente bianchi erano raccolti in una
crocchia
severa e gli occhi di un gelido azzurro la fissavano con aria
contrariata.
-
Razza di scavezzacollo, mettersi a combattere
contro un figlio di Ra senza aver mai preso in mano una spada. Ci tieni
davvero
così poco alla tua vita, ragazza? –
Continuò
a borbottare qualcosa a proposito di quanto
fosse stata sconsiderata e della lavata di capo che sicuramente avrebbe
subito Peter.
Il suo sproloquio venne interrotto da un lieve bussare. Ria fece
capolino e
attirò l’attenzione dell’anziana donna.
Dietro di lei faceva capolino Zephyr.
-
Questa è un’infermeria o l’inferno?
– borbottò,
intravedendo il figlio di Amon.
-
Vista la tua presenza potrebbe essere entrambe le
cose. Comunque, pare proprio che Peter ti abbia affettata per bene.
–
-
Si sta riprendendo? – domandò la ragazza,
rivolgendosi all’anziana infermiera.
-
Molto rapidamente, per domani mattina sarà fuori
di qui, ma cercate di non stancarla troppo. –
Dal
modo in cui aveva parlato si capiva che le sue
parole fossero riferite in particolar modo a Zephyr.
-
È stata una ferita davvero brutta oppure ho fatto
la figura dell’idiota svenendo per niente? –
Ci
mancava soltanto che facesse la figura della
perfetta incapace già il primo giorno che trascorreva al
campo.
-
Se fossi stata umana saresti morta, ma sei una
semidea e non hai corso alcun rischio. Comunque Peter non avrebbe
dovuto
colpirti in quel modo, Manto lo ha convocato nel suo ufficio.
–
-
Il che è fantastico, si beccherà una strigliata
con i contro fiocchi. – profetizzò Zephyr. Dal
sorriso che gli solcava il volto
sembrava che anche lui non nutrisse una simpatia particolare nei suoi
confronti.
-
Non è fantastico
per niente, ci si aspetterebbe un po’ più di
giudizio da lui. Insomma, è l’Ulfric
del campo. –
-
Piuttosto, perché la sei venuta a trovare? Tu non
frequenti mai nessuno qui al campo. –
Zephyr
assottigliò lo sguardo ed esaminò Ria dalla
testa ai piedi, quasi volesse convincerla a confessare
chissà quale misterioso
segreto.
-
È determinata e coraggiosa, due qualità che
apprezzo. Ha sfidato Peter e nessuno lo fa mai. –
replicò.
-
Questo dimostra solo quanto sia impulsiva e
masochista, nulla di nuovo insomma. – replicò,
scrollando le spalle incurante.
-
Allora sei la ragazza impulsiva e masochista più
impressionante che abbia mai visto. Hai colpito tutti, anche Peter, e
ti
assicuro che non siamo affatto abituati a sorprenderci con poco.
–
Non
la stava prendendo in giro, era vero. La
novellina che sfidava il campione del campo doveva suonare in modo
maledettamente
avvincente, un po’ come il nerd di turno che cerca di fare a
pugni con il
quarterback della sua scuola. Una disfatta assicurata, ma anche una
bella prova
di coraggio.
-
Sei una tipa tosta, Hellen. È questo che mi piace
di te. –
Cercò
di contenere l’emozione nella voce. Era la
prima volta, dalla morte dei suoi, che qualcuno si prendeva il disturbo
di
farle un complimento. Probabilmente era una cosa incredibilmente
stupida, ma
per la prima volta sentiva di essere apprezzata per ciò che
era realmente. Lì
non sarebbe più stata Hellen “il fenomeno da
baraccone”, ma semplicemente
Hellen. La cosa le piaceva, eccome se le piaceva.
-
Io, bè … grazie, Ria. –
La
ragazza scrollò le spalle, sembrando quasi
vagamente imbarazzata. – Figurati. Ora è meglio se
ti lasciamo riposare, ci si
vede. –
Lei
e Zephyr uscirono dalla stanza insieme.
Rimasta
ormai sola, chiuse gli occhi e affondò la
chioma corvina nei due grandi cuscini che le erano stati sistemati
dietro il
collo.
La
stanchezza e gli avvenimenti della giornata le si
riversarono addosso all’improvviso e prima ancora di
rendersene conto scivolò
nel mondo dei sogni.
Spazio
autrice:
Buonsalve,
ragazzi e ragazze! In questo nuovo
capitolo ho presentato solo alcuni dei vostri OC perché
presentarli tutti e
dodici era un po’ complicato in un unico capitolo,
però con il prossimo
verranno introdotti anche gli altri. Spero che questo primo vero e
proprio
capitolo vi sia piaciuto e che vogliate farmi sapere che ne pensate.
Alla
prossima.
Baci
baci,
Fiamma Erin Gaunt