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Autore: Fiamma Erin Gaunt    24/07/2014    4 recensioni
[Storia a OC]
Una nuova profezia incombe sul Campo Mezzosangue, nuovi Semidei e nuove avventure attendono i nostri eroi. Sarai tu l’Eroe della profezia?
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuova generazione di Semidei, Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Cap 1

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

- Allora, Hellen, sei dei nostri? –

- Come sapevate dove mi trovavo e cosa ero in grado di fare? – indagò. Se proprio doveva andare con quella donna voleva avere delle risposte.

- Non sapevamo cosa fossi in grado di fare, i doni variano da persona a persona, ma conoscevo tua madre e non ti ho mai perso di vista nel corso degli anni. –

Quella donna aveva conosciuto sua madre? Eppure non le sembrava di averla mai sentita nominare, non in sua presenza per lo meno.

- Conosceva anche mio padre? –

L’espressione di Manto si fece improvvisamente cupa. Non c’era più neanche un briciolo dell’entusiasmo che aveva manifestato fino a quel momento.

- Sì, conoscevo anche tuo padre, ma non sono mai stata esattamente una sua fan. – ammise, sorridendole con aria di scuse.

Hellen apprezzò la sincerità. Chiunque altro al suo posto avrebbe cercato di nascondere la scarsa simpatia che provava nei confronti dell’uomo, se non altro per un atto di mera cortesia, ma Manto non sia era fatta problemi a essere sincera con lei.

- Penso che mi fiderò di lei, non mi dia motivo di pentirmene. – decretò, fissandola con decisione nelle iridi perlacee.

La donna annuì, tornando all’espressione serena e gioviale di poco prima.

- Verrai con me? – le chiese gentilmente.

Doveva accettare? Lo desiderava così tanto che le sembrava quasi di fare violenza a se stessa rimanendo lì, seduta in silenzio. Doveva esistere un posto per persone come lei, dove gli altri non li vedessero come matti o fenomeni da baraccone scappati dal circo più vicino. E poi c’era la possibilità di imparare a controllare il suo dono. Fino a quel momento  le anime si presentavano davanti a lei senza il minimo preavviso, spesso non si rendeva neanche conto di trovarsi davanti un defunto finchè le persone che le erano vicine non annunciavano di non vedere nulla. C’era un modo per controllare tutto questo? Non lo sapeva, ma se esisteva doveva di sicuro trovarsi in quel posto.

- Verrò. –

Gli occhi color perla di Manto s’illuminarono: - Ne sono davvero felice. Ti aspetterò qui, vai a prendere le tue cose. –

Le strinse delicatamente le mani, cercando di metterci dentro tutta la sua solidarietà e la promessa di esserle accanto, poi lasciò che l’infermiera la riportasse nella sua stanza e la seguì con lo sguardo. Doveva ammettere che in lei c’era molto più di Margareth di quanto si fosse aspettata, anche se il carattere schivo e l’impassibilità dei suoi occhi ricordava molto quella paterna. Sbarrò il nome dal foglietto di carta che teneva in tasca.
E così anche l’ultimo semidio era stato trovato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

 

Passarono il resto del viaggio in silenzio, poi il taxi abbandonò la strada principale e sbucò su una stradina di campagna. Proseguirono per una decina di miglia finchè non giunsero in un piazzale. Hellen sgranò gli occhi. Finalmente capiva cosa intendeva Manto quando aveva parlato di qualcosa di simile all’aeroporto.

- Abbiamo a disposizione un elicottero?! –

- Abbiamo un elicottero. – confermò, sorridendo davanti allo stupore della sua nuova allieva.

Il tassista si offrì di caricare i loro bagagli e, dopo aver intascato una mancia assurdamente generosa che sicuramente aveva lo scopo di invogliarlo a dimenticare di aver lasciato due giovani donne nel bel mezzo della campagna in compagnia di un elicottero e un pilota, tornò alla macchina e riprese la strada da cui era venuto.

Dalla cabina di pilotaggio si affacciò un ragazzo che doveva avere la stessa età di Hellen. Aveva i capelli rossi, gli occhi azzurri e il volto dai tratti affilati che ricordava quello di un folletto. Rivolse un rispettoso inchino all’indirizzo di Manto e scoccò un’occhiata incuriosita all’indirizzo della ragazza.

- E così sei tu la nuova arrivata. Sai, per un attimo ho temuto che fossi una specie di emo o una dark o qualcosa del genere, invece sei decisamente poco lugubre. –

Manto gli rivolse un’occhiata di rimprovero che ebbe il potere di farlo zittire e fargli abbassare lo sguardo. Non sembrava affatto pentito però, considerò la ragazza, visto che sul volto era comparso un sorriso malandrino.

- E tu cosa saresti, una specie di folletto troppo cresciuto? – lo punzecchiò a sua volta. Non aveva la minima intenzione di lasciarsi mettere a disagio da uno sconosciuto.

La donna sorrise divertita, lasciandoli alla loro piccola schermaglia. Forse una volta tanto qualcuno sarebbe riuscito a rimettere al suo posto Zephyr.

- Uhm, tagliente come un rasoio. Io sono Zephyr, figlio del Dio Amon, e momentaneamente retrocesso a vostro pilota personale. –

- Hellen. –

- Hell… appropriato, decisamente appropriato. –

L’aveva appena chiamata Inferno?! Insomma, che problemi aveva quel ragazzo?

- Hellen. – scandì lentamente.

- Sicuro, Hell, l’avevo capito. –

Oh, insomma, questa poi: ci faceva o c’era?

- Hellen… non Hell, Lene, Helly o qualsiasi altro nome ti passi per la testa! –

Il ragazzo la guardò come se le avesse dato di volta il cervello e non riuscisse proprio a capire cosa ci fosse che non andava.

- D’accordo, datti una calmata o ti salteranno le coronarie. Volevo solo essere gentile e darti un soprannome. – bofonchiò contrariato, tornando in cabina e chiudendosi dietro la porta.

Hellen raggiunse Manto e le sedette accanto. Notò che la donna faticava nel trattenersi dallo scoppiare a ridere.

- Fa sempre così quello? – esordì scontrosa, allacciandosi  la cintura e alzando la voce per contrastare il rumore delle eliche che venivano messe in moto.

- Ogni tanto, Zephyr è un tipo piuttosto esuberante, ma nessuno sa volare come lui. –

Quindi non aveva detto tanto per dire, avrebbe davvero viaggiato su un elicottero facendosi trasportare da un ragazzo che aveva la sua stessa età.

Manto sembrò leggerle nel pensiero e le strinse la mano con aria rassicurante: - Non preoccuparti, sa quello che fa. –

Annuì, deglutendo nervosamente. Lo sperava sul serio e, cosa ancora più importante, si augurava che il suo mal d’aria non le facesse vomitare sul sedile tutta la colazione.

- Sua infernalità sta gradendo il volo? – intervenne Zephyr, sbucando dalla cabina e sedendosi davanti alle due donne. Hellen guardò fuori dal finestrino, decisa a non lasciarsi  coinvolgere dall’ennesimo strano battibecco. Lo sguardo le cadde verso il basso; era normale che si avvicinassero alla superficie del mare a una velocità così elevata?

- Zephyr, l’elicottero! – esclamò, nell’istante esatto in cui si rese conto che stavano precipitando.

Il figlio di Amon si battè la mano sulla fronte e annunciò: - Ho dimenticato d’inserire il pilota automatico. -  Sfrecciò verso la cabina e una manciata di secondi più tardi l’elicottero cominciò a scendere dolcemente verso la pista d’atterraggio dell’isola sotto di loro.

- Se mi tornasse in mente l’idea di salire su un elicottero pilotato da te ricordami di non farlo. – borbottò Hellen, mettendo finalmente piede sulla terra.

- Quanto sei esagerata, non ci siamo nemmeno schiantati e stiamo tutti bene; sai come si dice, bisogna spaccarsi le ali un paio di volte prima d’ imparare a volare. –

- Dalle mie parti invece si dice: rifallo un’altra volta e ti spacco quella faccia da folletto che ti ritrovi. –

- Brrrr. Dimmi, è una cosa di famiglia essere così violenti e melodrammatici? –

Non capiva a cosa si stesse riferendo, ma qualcosa le diceva che con quel ragazzo sarebbe sempre stato così.

Manto la prese sottobraccio e la indirizzò gentilmente verso il sentiero in candida ghiaia che portava alla costruzione più vicina. Si trattava di un edificio di un bel blu che aveva tutta l’aria di essere usato molto poco.

- Questa è la zona degli uffici del personale; non dovresti trovarti qui, a meno che tu non abbia combinato qualche guaio. Lì in fondo c’è la cucina, e la mensa è divisa su quattro livelli: il giardino pensile, la terrazza sull’oceano, i tavoli sul tetto e la sala interna. Di solito ogni Casa ha il suo spazio per mangiare con i proprio compagni, ma nessuno ti vieta di cambiare posto se lo desideri. Dall’altra parte del campus trovi i dormitori e le stalle, infine, gli edifici che vedi a Est sono rispettivamente lo spazio adibito alle aule e all’Arena. –

- Perché non scegli una camera? Sono sicura che nella Prima Casa troverai Peter, è lui che si occupa dell’organizzazione del vostro dormitorio. – la invitò poi, indicandole l’edificio più a Nord di tutti.

Si trattava di una costruzione composta da due piani;era la più imponente tra quelle che la circondavano e le pareti erano dipinte di un bel rosso. Impressa su una delle facciate c’era uno stendardo gigantesco raffigurante un cobra.

Raggiunse l’ingresso, bussando un paio di volte. Stava giusto per arrendersi e provare a cercare altrove, quando la porta venne aperta con un vigore tale che fu solo grazie alla sua prontezza di riflessi che non la prese dritta in faccia.

- Peter, cabrón, ¿qué diablos es lo que quieres ahora? –

Sulla soglia stava una ragazza più alta di lei di una decina di centimetri, con lunghe onde corvine e la carnagione olivastra che tradiva la chiara impronta messicana.

Già, peccato solo che lei non capisse una parola di spagnolo. Anzi, l’unica cosa che aveva capito da quella frase era che: punto primo, il Peter che cercava lei non era nella Casa e che, punto secondo, la ragazza non doveva andarci molto d’accordo.

- Tu non sei Peter. – disse d’un tratto, puntando gli occhi scuri nei suoi violacei e scrutandola dalla testa ai piedi. – Ora che ti guardo meglio, devi essere nuova, perché non ti ho mai vista in giro. –

- Già. Sono appena arrivata e sono stata mandata qui a cercare Peter per una sistemazione. –

- Bè, Peter non c’è. Lo trovi all’Arena. –

L’aveva vista passando, ma non era certa di riuscire a ritrovarla. Il suo senso dell’orientamento non era granchè e a ciò si aggiungeva il fatto che era la prima volta che si trovava in quel posto.

- Ti dispiacerebbe portarmici? –

La ragazza alzò gli occhi al cielo, borbottando qualcosa in spagnolo, ma annuì e s’incamminò prima ancora di darle il tempo di registrare il suo assenso.

L’Arena distava un centinaio di metri da dove si trovavano. Si trattava di una vera e propria riproduzione in scala ridotta del Colosseo romano. Hellen lo sapeva perché i suoi genitori l’avevano portata a visitare la città eterna quando aveva solo otto anni e il senso di soggezione che le aveva suscitato quella costruzione imponente e magnifica riviveva ancora chiaramente nei suoi ricordi. Al centro della costruzione, ricoperto da un sottile strato di sabbia, c’era la zona in cui si stavano sfidando due ragazzi. Uno di loro, dal fisico imponente e i capelli di un castano dorato che ricordavano i raggi del Sole, schivava ripetutamente i colpi di spada del suo avversario, un tipo dai capelli neri come il carbone e l’espressione divertita dipinta sul volto. Riusciva chiaramente a vedere i denti bianchissimi che scintillavano quando rivolgeva allo sfidante quella sua versione a metà tra un ghigno e un ringhio. Si muoveva con un’energia rabbiosa e menava fendenti che facevano fischiare l’aria.

- Quelli sono Jack e Peter. Non sono i tipi di ragazzi per i quali ti consiglierei di prenderti una cotta. –

Hellen arrossì lievemente. Non aveva pensato neanche per un istante all’idea di … Sì, insomma, ora che li guardava bene si rendeva conto di quanto fossero affascinanti. Peter aveva gli zigomi alti e la mascella decisa, gli occhi erano di uno strano grigio liquido e i capelli corvini gli ricadevano sugli occhi dandogli un’aria di distratta eleganza; Jack invece aveva quel meraviglioso colorito dorato che era tipico delle persone che passavano molto tempo all’aperto e aveva gli occhi più incredibili che avesse mai visto, un turchese dai riflessi elettrici. E poi c’era quell’alone di pericolo che sembrava avvolgerli. Non era mai stata una di quelle ragazze che perdevano la testa per un ragazzo la prima volta che lo vedevano, figurarsi per due, ma quei ragazzi l’affascinavano più di quanto riuscisse a comprendere.

Furono proprio quelle incredibili iridi turchesi a posarsi su loro.

- Abbiamo visite. – annunciò, sorprendendola con il suo lieve accento. Sicuramente qualcosa del Nord Europa, probabilmente norvegese.

- Ria, perché non vieni a presentarci la tua nuova amica? – la esortò, tirandosi indietro giusto in tempo per schivare l’affondo del compagno. – Ehy, non vale, ero distratto. –

Il moro gli rivolse un’occhiata sarcastica: - Oh, le mie scuse. -, poi lo aggredì nuovamente e questa volta gli procurò uno strappo all’altezza della spalla.

- Pensa a combattere, Jack, avrai tutto il tempo di provarci con la novellina. –

Jack storse il naso in una comica espressione di disappunto e replicò colpo su colpo agli assalti dell’amico. Un preciso colpo di taglio di Peter gli fece sfuggire l’ascia di mano, che s’impennò nel cielo e ricadde a un paio di metri di distanza; la spada del ragazzo guizzò verso la sua gola, fermandosi a un paio di centimetri dalla carotide.

- Morto. – decretò. Il ghigno feroce si trasformò in uno di assoluto compiacimento. Anche questa volta aveva vinto, era lui il migliore.

Con uno sbuffo rassegnato Jack stese la mano in direzione dell’ascia e questa volò dritta da lui; la ripose nel fodero che portava alla cinta, poi si diresse verso le ragazze che nel frattempo si erano sedute sui gradoni in marmo. Hellen, che fino a quel momento era stata completamente presa dall’incontro, sobbalzò leggermente quando si trovò davanti quegli occhi così particolari.

- Scusami, non volevo spaventarti. – le sorrise, porgendole la mano e flettendo il braccio per mettere in risalto il guizzare dei muscoli possenti. Aveva i muscoli più sviluppati che avesse mai visto su un adolescente. – Sono Jack, figlio di Thor. –

- Hellen, figlia di Osiride. –

Ricambiò la stretta, sforzandosi di non apparire turbata per la forza che sentiva irradiare; era una specie di scarica elettrica, come se quel ragazzo fosse letteralmente fatto di fulmini.

- E così questa dovrebbe essere la figlia di Osiride? Come si sono ridotti i potenti. –

Ria aveva ragione, quel ragazzo andava evitato, ma non per le ragioni che le aveva elencato. No, il motivo per cui era meglio non averci niente a che fare lo aveva capito in quell’istante: Peter era uno stronzo. Era abbastanza certa che fosse anche più di quello, addirittura uno con la S maiuscola.

- Sì, sono sua figlia. La cosa ti crea forse qualche problema? –

Aveva imparato a tenere testa ai tipi come lui; non era facendo l’agnellino che l’avrebbe rimesso al suo posto quindi tanto valeva tirare fuori l’artiglieria pesante e fargli capire subito che lei non era una ragazzina spaurita. Era nuova in quell’ambiente, certo, ma questo non lo autorizzava a deriderla.

Il ghigno che le rivolse le fece perdere un po’ della sua tempra. Era maledettamente inquietante e lui sembrava esserne perfettamente a conoscenza.

- Uh, la novellina tira fuori gli artigli. Coraggio, vediamo cosa sai fare. –

Le porse una delle spade che teneva incrociate sulla schiena con aria di sfida. Inarcò solo impercettibilmente un sopracciglio quando lei si alzò per afferrarne l’elsa.

- Non credo sia una buona idea. – le sussurrò all’orecchio Ria.

Certo che non era una buona idea … era pessima, tremenda e probabilmente avrebbe finito con il farsi male sul serio, ma non aveva alcuna intenzione di tirarsi indietro.

- Fammi strada. –

Seguì Peter e Jack nell’Arena, soppesando nervosamente la spada che aveva tra le mani. Non aveva la minima idea di cosa dovesse fare. Cioè, aveva visto degli incontri di scherma in tv, ma questo era ben diverso da qualsiasi altra cosa. La lama  luccicava sotto i raggi del Sole pomeridiano e si tingeva di un sinistro color sangue dato dal tramonto che incombeva nel cielo. Non potè fare a meno di notare il sibilo dell’aria che veniva sferzata mentre accennava qualche timido fendente di prova. In che guaio si era andata a cacciare? Avrebbe finito con il farsi affettare come un salame … che razza d’idiota!

- Il trucco è rimanere concentrati. Pensa solo a schivare per il momento, attendi un attimo di distrazione e colpisci con forza. Vedrai, andrà bene. –

Apprezzò il debole tentativo di Jack, ma era poco credibile che Peter dimenticasse per magia la sua esperienza di spadaccino per permetterle di metterlo fuori gioco.

- Sì. Bè, cerca solo d’intervenire prima che mi uccida, ok? –

Annuì con aria seria e si dispose tra loro due. Si era offerto come arbitro per quella sfida e nessuno aveva trovato un valido motivo per opporsi alla sua auto candidatura.

- Saluto. –

Avanzarono l’uno verso l’altra, l’andatura circospetta di chi attende la mossa dell’avversario e cerca di non farsi cogliere impreparato. Hellen chinò leggermente il capo e Peter imitò il suo gesto in modo impercettibile, sembrava quasi che la sua  testa fosse scattata in avanti contro la sua volontà.

- Siete pronti? – domandò Jack, scrutando prima uno e poi l’altra.

- Sono nato pronto. Piuttosto, novellina, sei sicura di non volerti tirare indietro? È la tua ultima occasione. –

Gli rivolse uno sguardo gelido e per tutta risposta rinsaldò la presa sull’elsa.

- Sono pronta anche io. –

Jack emise un sospiro rassegnato. Sembrava che non fosse molto contento di come sarebbero andate le cose di li a poco.

- A voi! –

Peter attaccò all’istante, menando un fendente con tutta la forza che aveva e facendo fischiare l’aria. Fu solo grazie ai suoi riflessi che Hellen riuscì ad abbassarsi abbastanza in fretta da evitare il colpo. Per la prima parte dell’incontro non fece altro che arretrare e cercare di evitare le stoccate sempre più insidiose del suo avversario, riuscendo a limitare i danni a un solo graffio all’altezza dell’avambraccio.

- Paura? –

Santi numi, quanto avrebbe voluto cancellargli quel ghigno dalla faccia a suon di pugni.

- Ti piacerebbe. –

- Non hai la minima idea di cosa mi piacerebbe. – replicò bruscamente. Gli occhi grigi scintillarono di rabbia per una frazione di secondo.

- No, hai ragione, e sono certa di non volerlo neanche sapere. –

La stoccata che la raggiunse la colpì al fianco e le mozzò il respiro. Ecco fatto, ora sì che l’avrebbe uccisa. Si portò una mano alla ferita e sussultò leggermente; l’avvicinò al viso come se non credesse a quello che stava vedendo. Tutto quel sangue era suo?!?

- Tempo! –

La voce di Jack le giunse ovattata. Fantastico, stava per svenire. Proprio nel momento in cui le gambe le cedettero, avvertì un paio di braccia muscolose che la cingevano delicatamente e le impedivano di cadere.

 Quando riaprì gli occhi si ritrovò sdraiata su un letto in quella che aveva tutta l’aria di essere l’infermeria del campo. Fece per mettersi a sedere, ma venne respinta sul materasso con decisione.

- Non muoverti, la ferita non si è ancora richiusa. –

A parlare era stata una donna più vicina ai settanta che ai sessanta, i capelli perfettamente bianchi erano raccolti in una crocchia severa e gli occhi di un gelido azzurro la fissavano con aria contrariata.

- Razza di scavezzacollo, mettersi a combattere contro un figlio di Ra senza aver mai preso in mano una spada. Ci tieni davvero così poco alla tua vita, ragazza? –

Continuò a borbottare qualcosa a proposito di quanto fosse stata sconsiderata e della lavata di capo che sicuramente avrebbe subito Peter. Il suo sproloquio venne interrotto da un lieve bussare. Ria fece capolino e attirò l’attenzione dell’anziana donna. Dietro di lei faceva capolino Zephyr.

- Questa è un’infermeria o l’inferno? – borbottò, intravedendo il figlio di Amon.

- Vista la tua presenza potrebbe essere entrambe le cose. Comunque, pare proprio che Peter ti abbia affettata per bene. –

- Si sta riprendendo? – domandò la ragazza, rivolgendosi all’anziana infermiera.

- Molto rapidamente, per domani mattina sarà fuori di qui, ma cercate di non stancarla troppo. –

Dal modo in cui aveva parlato si capiva che le sue parole fossero riferite in particolar modo a Zephyr.

- È stata una ferita davvero brutta oppure ho fatto la figura dell’idiota svenendo per niente? –

Ci mancava soltanto che facesse la figura della perfetta incapace già il primo giorno che trascorreva al campo.

- Se fossi stata umana saresti morta, ma sei una semidea e non hai corso alcun rischio. Comunque Peter non avrebbe dovuto colpirti in quel modo, Manto lo ha convocato nel suo ufficio. –

- Il che è fantastico, si beccherà una strigliata con i contro fiocchi. – profetizzò Zephyr. Dal sorriso che gli solcava il volto sembrava che anche lui non nutrisse una simpatia particolare nei suoi confronti.

- Non è fantastico per niente, ci si aspetterebbe un po’ più di giudizio da lui. Insomma, è l’Ulfric del campo. –

- Piuttosto, perché la sei venuta a trovare? Tu non frequenti mai nessuno qui al campo. –

Zephyr assottigliò lo sguardo ed esaminò Ria dalla testa ai piedi, quasi volesse convincerla a confessare chissà quale misterioso segreto.

- È determinata e coraggiosa, due qualità che apprezzo. Ha sfidato Peter e nessuno lo fa mai. – replicò.

- Questo dimostra solo quanto sia impulsiva e masochista, nulla di nuovo insomma. – replicò, scrollando le spalle incurante.

- Allora sei la ragazza impulsiva e masochista più impressionante che abbia mai visto. Hai colpito tutti, anche Peter, e ti assicuro che non siamo affatto abituati a sorprenderci con poco. –

Non la stava prendendo in giro, era vero. La novellina che sfidava il campione del campo doveva suonare in modo maledettamente avvincente, un po’ come il nerd di turno che cerca di fare a pugni con il quarterback della sua scuola. Una disfatta assicurata, ma anche una bella prova di coraggio.

- Sei una tipa tosta, Hellen. È questo che mi piace di te. –

Cercò di contenere l’emozione nella voce. Era la prima volta, dalla morte dei suoi, che qualcuno si prendeva il disturbo di farle un complimento. Probabilmente era una cosa incredibilmente stupida, ma per la prima volta sentiva di essere apprezzata per ciò che era realmente. Lì non sarebbe più stata Hellen “il fenomeno da baraccone”, ma semplicemente Hellen. La cosa le piaceva, eccome se le piaceva.

- Io, bè … grazie, Ria. –

La ragazza scrollò le spalle, sembrando quasi vagamente imbarazzata. – Figurati. Ora è meglio se ti lasciamo riposare, ci si vede. –

Lei e Zephyr uscirono dalla stanza insieme.

Rimasta ormai sola, chiuse gli occhi e affondò la chioma corvina nei due grandi cuscini che le erano stati sistemati dietro il collo.

La stanchezza e gli avvenimenti della giornata le si riversarono addosso all’improvviso e prima ancora di rendersene conto scivolò nel mondo dei sogni.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio autrice:

Buonsalve, ragazzi e ragazze! In questo nuovo capitolo ho presentato solo alcuni dei vostri OC perché presentarli tutti e dodici era un po’ complicato in un unico capitolo, però con il prossimo verranno introdotti anche gli altri. Spero che questo primo vero e proprio capitolo vi sia piaciuto e che vogliate farmi sapere che ne pensate. Alla prossima.

Baci baci,

               Fiamma Erin Gaunt

 

 

 

 

 

 

 

  
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