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Autore: Moony16    17/07/2014    1 recensioni
«allora … hai trovato quello che cercavi in America?» gli chiese. Voleva sapere almeno se tutta quella sofferenza fosse servita a qualcosa.
***
«allora io vado, … ci vediamo»lei sbuffò
«si fra, dieci anni» lui sorrise
«in realtà, fra appena due giorni. Ci sarò anche io alla cena di famiglia di Domenica. Albus mi ha invitato» lei parve scioccata, così lui, godendosi quella piccola vittoria, uscì dalla stanza. Dopotutto, lui voleva ancora farla impazzire.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus, Severus, Potter, Alice, Paciock, Jr, Louis, Weasley, Rose, Weasley, Scorpius, Malfoy | Coppie: Rose/Scorpius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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È strano come il destino a volte tiri brutti scherzi: il giorno prima credi che nulla potrà mai piegarti, quello dopo il mondo ti crolla addosso.
Questo pensava Alice, mentre chiudeva le ultime scatole con gli oggetti che aveva deciso di conservare. La maggior parte dei ricordi suoi e di Albus era andata a finire nei cassonetti: aveva buttato via tutto come se la sua storia con lui non valesse niente, mentre il suo cuore continuava a sanguinare copiosamente. C’erano anche tante cose, cianfrusaglie per lo più, che erano state in dei mercati dell’usato, perché lo spazio nel garage dei suoi genitori non era sufficiente. Le camere erano completamente vuote e spoglie, le pareti erano ingiallite, più chiare nei posti in cui prima c’erano appese mensole o foto o quadri. Le finestre non avevano più quelle tende che avevano scelto insieme e nel soffitto le lampadine pendevano scheletriche, ondeggiando, prive dei lampadari, emanando una luce che non riusciva a illuminare bene tutti gli ambienti. Non sembrava neanche la casa che aveva abitato per sei lunghi anni.
Solo il salotto, la stanza più grande, era piena di scatoli e mobili. Alice si alzò con la schiena dolorante e si guardò intorno, mentre la coglieva la malinconia. Quella casa era stata testimone di così tante cose, belle o brutte, che lasciandola avrebbe abbandonato lì una parte del suo cuore. Girò per le stanze come un fantasma, controllando di non aver dimenticato nulla. Si soffermò sulla stanza da letto.
Da quando lui se n’era andato, aveva dormito sul divano, perché stare in quel letto da sola, l’avrebbe soprafatta. Guardò la stanza vuota, poi un conato di vomito la spinse a raggiungere il bagno, nonostante non toccasse cibo dalla sera prima.
La solitudine era così opprimente da fare male a livello fisico. Non ne poteva più.
Lei però non si sarebbe arresa, avrebbe combattuto. No, Albus ormai era un capitolo chiuso: adesso contava solo il bambino che aveva dentro, nonostante la sua mancanza le stava scavando una voragine nel cuore.
Si sciacquò il viso e legò i capelli in una coda alta, poi ritornò in salotto e guardò l’ora: alle undici in punto tutti gli scatoli e i mobili si sarebbero smaterializzati nel garage dei suoi, come una specie di passaporta fatta da molti oggetti. Si era registrata al ministero la settimana prima e adesso era giunto il momento di quel maledetto trasloco. Prese un grande respiro quando scoccò l’ora e tutta la stanza s’illuminò della tipica luce delle passaporte. Tutto fu risucchiato dalla magia e anche quella camera restò vuota. Si guardò intorno, per verificare che tutto fosse andato bene, poi girò tre volte su se stessa e sparì con un pof. Supererò anche questa. Si disse, mentre la sensazione claustrofobica della smaterializzazione la coglieva.
***
Dicembre aveva portato con sé un’onda di gelo, tanto intenso che Rose al mattino faticava ad alzarsi dal letto per raggiungere il suo nuovo ufficio. Il tepore delle coperte la attirava come una calamita e lei, così freddolosa da dormire con due paia di calzettoni, faceva una fatica immane ad abbandonarlo.
Il suo nuovo lavoro si stava dimostrando estenuante già dopo appena una settimana. Tutto il giorno le passava dietro la scrivania a leggere informazioni su quella dannata malattia e a prendere appunti. Sembrava di essere tornata a scuola.
La cosa peggiore era che non aveva idea di come comunicare la notizia del suo nuovo incarico a Robert che di sicuro, com’era comprensibile, non avrebbe preso per niente bene la cosa. Eppure non aveva potuto fare a meno di assumere quel ruolo: sentiva che era giusto così.
Quel giorno la aspettava un’altra visita con il suo paziente, la terza per la precisione, poiché gli appuntamenti erano stabiliti due volte a settimana.
Quella mattina Rose si alzò trascinandosi dietro una coperta e sbadigliando sonoramente. Se la prese comoda, fece una doccia lunga mezz’ora e si gustò la sua cioccolata sorso per sorso.
Arrivò in ritardo, cosa alquanto rara e si sedette sbuffando dietro la scrivania. Non aveva nulla da fare fino alle dieci e trenta, ora in cui sarebbe arrivato “il paziente”. Era buffo chiamare Scorpius così, anche se tremendamente appropriato.
Borbottando fra se e se sistemò la scrivania, facendo attenzione nel mettere le foto sue e di Robert in bella vista. Era nervosa e si odiava per questo. Lo aspettava con ansia, tutte le volte, preoccupata da quello che avrebbe potuto trovare e anche un po’ impaziente di rivederlo. Detestava ammetterlo, ma era così. Vederlo ancora abbastanza sano da fare battute e sapere che non aveva nessun attacco in quel  momento, gli dava una sensazione di sollievo temporaneo.
Lui arrivò puntuale quella mattina. Era pallido, più del solito, e aveva gli occhi cerchiati, come se non dormisse la notte. Si sedette alla scrivania con un mezzo sorriso, mentre lei lo guardava preoccupata. Indossava un mantello pesante jeans scuro con un maglione largo blu.
«ho un aspetto orribile, vero? Tranquilla, non c’entra nulla la malattia» disse ammiccando, mentre appendeva il mantello. Era allegro nonostante il viso palesemente stanco.
«si, hai la faccia di uno che ha passato la notte in bianco.  Se però non c’entra la malattia, non credo di volerlo sapere» gli rispose lei, scrutandolo meglio.
«e perché no? Il mio migliore amico è un tantino depresso, non ho nessuno con cui parlare di certe cose. Sai, ogni tanto viene “per farmi compagnia” e finisce che sono io a fare da balia a lui. Ridicolo vero? Senti a me, tuo cugino è un testone, ho parlato con Ali e …»
«ok, ok, fermo. Da quando sei così logorroico?» lui le sorrise
«da quando passo la notte con una russa mozzafiato. Dovevi vedere che gambe …»
«Malfoy! Non m’interessa con chi te la fai!» disse lei rossa in volta, mentre uno strano fastidio si insinuava in lei. Gelosia? Si chiese. Ma no, è fastidio per essere stata interrotta.
Lui mise su uno sguardo innocente.
«ah no? E se per caso questo interferisce con gli esami? Sei il mio medico, certe cose devi saperle» disse ghignando. Lei lo ignorò.
«devo farti vedere una cosa, puoi fare la persona seria per cinque minuti?»
«ti sembro una persona seria? Non puoi chiedermi di essere qualcosa che non sono» disse sbadigliando.
«inoltre, ho sonno. Non voglio starti a sentire mentre mi dici che devo mangiare il pesce che, fra parentesi, a me fa schifo»
 Lei borbottò qualcosa per risposta, alzandosi e dirigendosi verso la libreria. Doveva mostrargli i suoi esami precedenti ma non riusciva a trovarli. Stava rovistando in mezzo ad un libro, quando lui gemette.
Lei si girò di scatto, mentre Scorpius si alzava tremando e si dirigeva verso il lettino. Si stese respirando a fatica, rosso in viso. Rose lo guardò, inizialmente senza capire che una nuova crisi stava arrivando, poi però vide il suo sguardo: paura, panico e vergogna si affollavano nelle sue iridi grigie, rendendo chiaro a lei quello che stava per accadere.
Lasciò andare tutto e lo raggiunse, gli tolse il maglione e le scarpe, mentre cercava di confortarlo. Lui strinse il lettino chiudendo gli occhi. Respirava sempre più a fatica, mentre lei prendeva una bacinella d’acqua e gli passava una salvietta bagnata sul viso e nelle braccia nude. Sembrava che a lui desse un po’ di sollievo, seppur per poco: era bollente. Poi cominciò a urlare, mentre lacrime scendevano dai suoi occhi chiusi.
Rose si sentiva totalmente inutile. Non sapeva che fare, l’acqua faceva poco e lui continuava ad urlare e tremare in un modo che le metteva paura. Continuava a bagnargli il viso e il corpo e a scostargli i capelli dagli occhi, senza neanche rendersi conto che singhiozzava anche lei. Quando finalmente si calmò un poco, Rose gli prese la testa fra le braccia, continuando a bagnarlo, con movimenti automatici.
La maglietta che aveva addosso era imbevuta di sudore, così come i capelli impicciati alla fronte. Il viso era arrossato e il suo respiro non riusciva a regolarizzarsi. Quando finalmente aprì gli occhi, cercò di accennarle un sorriso. Lei che singhiozzava disperata, quando vide i suoi occhi aperti lo strinse forte a sé come se ne valesse della loro vita. Lui si aggrappò a lei con ostinata disperazione, mentre Rose giurava a se stessa che lo avrebbe salvato, a qualunque costo.
Stettero così per un po’, fino a che non sentirono il rumore della porta aprirsi.
«Rose, perché non mi hai detto che …» nella stanza era entrato Robert, con un’espressione felice, che fu sostituita dalla rabbia quando vide Rose spalmata su Scorpius coricato nel lettino.
«e lui che ci fa qui?» disse osservando la scena schifato. La guardò mentre lei si rialzava e asciugava le lacrime.
«Robert, ti prego parliamone più tardi, adesso …»
«adesso cosa? Sei impegnata con lui?» disse indicando Scorpius, mentre lui, che aveva alzato solo un po’ la testa, ricadeva giù sbuffando. Sapeva che era troppo bello per durare più di cinque minuti.
«io sto lavorando Robert …» disse debolmente.
«sì, perché da adesso lavori stando in pratica sdraiata sul tuo ex?» disse pungente.
«lui è il mio paziente … Robert per favore parliamone dopo».
«perché? Noi parliamo adesso»
«Ma non vedi che è praticamente svenuto?» disse cominciando ad arrabbiarsi
«non m’importa! Io voglio …»
«esci. Ora»
«cosa?»
«Hai capito. A te non importa che lui stia male ma a me si. Esci, quando Scorpius starà meglio potremo parlare» disse puntando i piedi
«ma …»
«Robert, esci!» lui la guardò con astio, poi uscì sbattendo la porta» lei sospirò mettendosi le mani hai capelli.
Che aveva fatto? Aveva cacciato Via Robert … l’istinto era di correre fuori e scusarsi, ma poi posò di nuovo lo sguardo su Scorpius. La guardava dalle palpebre semichiuse, che apparivano violacee. Dimenticò subito di Robert e si fiondò su di lui.
«Scorpius, questa notte … hai avuto crisi?» gli chiese preoccupata, cominciando a sospettare che la storia della russa fosse solo una delle sue cavolate. Lui sospirò debolmente, poi rispose con voce fioca.
«quattro solo ieri notte» lei imprecò in modo che certo non sia, addiceva a un medico, poi fece un respiro profondo, cercando di calmarsi.
«devo ricoverarti, lo sai?» gli chiese con quanta più dolcezza riuscisse a usare. Lui gli aveva mentito sul suo stato di salute e se non fosse stato ridotto così male, lo avrebbe preso a schiaffi. Lui annuì debolmente, mentre lei lo guardava affranta. Non aveva idea di come fare per aiutarlo e questo non le era mai capitato. Era frustante, nella storia c’erano stati solo trenta casi di quella malattia curata e non si era mai capito come avessero fatto a guarire. Non le era mai capitato di non sapere come aiutare un paziente, aveva sempre avuto una risposta a tutto.
Si strinse nelle spalle, mentre scriveva al direttore del piano a proposito  del ricovero di Scorpius.
Di una cosa era però certa, nonostante tutta quella disperazione che aveva dentro: avrebbe fatto di tutto per salvarlo.
***
Louis quella sera era tornato a casa tardi. Dopo due ore di straordinari e il pranzo mancato era a pezzi, anche se felice di poter riabbracciare sua figlia.
Era orgoglioso di lei solo quanto può esserlo un padre della sua principessa. Non c’era niente che non avrebbe fatto per quella bimba con le treccine bionde, la amava oltre qualsiasi cosa.
Per questo dopo un giorno sfiancante come quello era felice di essere finalmente a casa. Non appena bussò alla porta, una furia bionda gli volò in braccio urlando e lui la fece volteggiare sopra la sua testa ridendo. Era uno spettacolino quotidiano quello, che Laurel stava osservando ogni giorno con gli occhi che brillavano. Quella sera però lei non era lì, al solito angolo della porta che dava sulla cucina, con le mani sporche del mangiare che cucinava e il suo grembiule a fiori. Quando mise giù la bambina, aggrottò le sopraciglia per il disappunto e le chiese pacatamente.
«Eli, dov’è la mamma?» lei lo guardò sorridendo, poi gli salì in braccio.
«in cucina, stasera credo abbia fatto i cavolini di Bruxelles con la carne in scatola e le patate» lui arricciò il naso. Cena peggiore non poteva esserci, visto che di tutto quello mangiava solo le patate. Si tolse il mantello, poi sollevò la bimba e si diresse in cucina, dove si aspettava di trovare Laurel affaccendata tanto da non poter andare a salutarlo. Di solito lei rientrava prima di lui, perché lavorava in un asilo babbano, quindi era abituato a essere accolto con il suo sorriso. Invece la trovò seduta con la tv davanti agli occhi e due piatti sul tavolo già pronti. Capì subito che qualcosa non andava.
«Helena vai di là a giocare, che ancora …» stava dicendo che non era pronto, ma fu interrotto da Laurel.
«no Eli, è già pronto. Vieni a mangiare» le disse con un sorriso
«ma papà?»
«a lui non piacciono queste cose, si preparerà qualcos’altro. Ora vieni a tavola, su» disse sorridendo. Louis restò spiazzato, anche se fece, come lei aveva detto: non voleva discutere davanti alla bambina e vedeva aria di tempesta in arrivo.
Mangiarono in un silenzio quasi religioso, dopo di lui raccontò una fiaba alla bambina: facevano una sera l’uno lui e Laurel, così Helena conosceva sia Cappuccetto Rosso che Baba Raba. Quando la piccola fu addormentata, Louis raggiunse Laurel nel salotto. Stava bevendo del tè e guardando la tv. Lui la spense premendo deciso il telecomando.
«cosa c’è?» disse con una nota d’irritazione e un tocco di paura. Paura che lei sapesse.
«niente, cosa deve mai esserci? Dammi il telecomando, stavo seguendo quel programma» disse evasiva
«davvero? E di che parlava?» le chiese con sarcasmo. Laurel sospirò
«avanti ,sai perché sono così incazzata. Sai perché l’unico motivo per cui sono qui stasera è Helena, altrimenti avrei già fatto i bagagli» lui non rispose subito, anzi se la prese comoda: posò il telecomando al suo posto e si sedette accanto a lei nel divano. Mise la testa fra le mani e poi finalmente parlò.
«come lo hai saputo?» chiese temendo la risposta.
«beh la prossima volta scegliti un’amante che non usi rossetto rosso» gli rispose faticando a controllare la voce.
«io … vorrei dire che mi dispiace»
«ma non sarebbe vero» finì lei con amarezza
«no, infatti … sarebbe una bugia. Non mi dispiace» lei lo guardò con gli occhi lucidi e annuì
«se l’unica cosa che ormai ci lega è nostra figlia potevi dirmelo … lo avrei preferito dall’essere tradita» la voce le tremava, si sforzava per non piangere. Lui scosse la testa
«io non volevo chiuderla con te …» disse. E lei esplose
«non sei un ragazzino indeciso, sei padre, hai delle responsabilità, verso me ed Helena! Se sei indeciso su di me, avresti dovuto parlarne non andare a letto con la prima che passava! E dimmi, ti è piaciuto? Vuoi raccontarmi i particolari?»
«non urlare …» disse debolmente. Lei sbuffò e lo mandò a quel paese, dirigendosi poi a passo spedito nella sua camera.  Lui rimase lì impalato, senza sapere cosa fare. Quando si decise ad andare nella sua stanza trovò la camera chiusa a chiave e le coperte con il cuscino fuori dalla porta. Da lì, si sentivano i singhiozzi.
 
  
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