La porta è già dischiusa. Basta una leggera spinta e se lo ritrova davanti.
Gambe divaricate, braccia strette al petto, espressione perennemente corrucciata.
Zoro è seduto sul divano. La guarda sgusciare furtiva nella stanza e addossarsi alla parete, come se si fosse appena accorta di aver bisogno del suo permesso per entrare.
Poi un lampo illumina la notte e gli occhi di Robin, quello sguardo sfrontato che, al contrario, sembra pretendere tutto. Glielo concede, alzandosi.
Lei intanto finge indifferenza, studiando i pesi fissati all’altezza dei fianchi e il contrasto tra quelle mani sottili posate con grazia sui manubri abituati a ben altro trattamento provoca in lui un violento brivido d’eccitazione che lo spinge a dimezzare in fretta le distanze.
Robin si ritrova in un istante il respiro mozzato dalle braccia che la inchiodano contro il muro con una forza tale che fatica a rimanere concentrata sulle assi del pavimento.
Ma l’imbarazzo non c’entra e lo stupore – di vedere maturata nello spadaccino una sorta di autocontrollo che lo trattenga dal spogliarla subito – neppure. Sono le parole.
Zoro intuisce che debba dire qualcosa dal modo in cui scherza con labbra: le raccoglie tra denti, le lascia, le accarezza appena con la punta della lingua, brava come sempre nel condurlo alla follia.
“Due anni sono lunghi…” sussurra e lui non riesce a capire se la sua voglia essere una confessione o una domanda, riesce solo a sentire il peso di quel distacco schizzargli improvvisamente nelle vene quando gli occhi di Robin trafiggono il suo.
Fuori imperversano i fulmini, ma è l’atmosfera elettrica nata da quel gioco di sguardi a scatenare la vera tempesta.
“ Mai ”.
È l’istinto a guidare la sua voce fuori dalla bocca prima che questa si abbatta sul collo dell’archeologa senza ascoltare altro.
Ti sono mancata tanto da non cadere mai in tentazione…
Sarebbe facile stuzzicarlo con una frase tagliente, ma, a questo punto, ha già ottenuto la risposta che cercava, perciò affonda le dita nei suoi capelli e lo invita a continuare abbassandogli il volto tra i seni.
Un ghigno, un gemito. La consapevolezza che, in fondo, quei due anni sono stati lunghi per entrambi.
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