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Autore: Helena Kanbara    18/07/2014    3 recensioni
Dal Prologo:
‘‘Ero nata e cresciuta ad Austin, ma non volevo più starci. Il Texas ormai mi andava stretto. Avevo sedici anni e tanta voglia di indipendenza. Se fossi stata fortunata, quella che stava per arrivare sarebbe stata la mia ultima estate laggiù.
Quello stesso inverno mi ero segnata volontaria per un corso di intercultura in California. Se solo qualche famiglia avesse deciso di adottarmi, sarei andata a stare lì per ben nove mesi. E mi sarei liberata almeno per un po’ di tempo della mia terra natale. Avrei frequentato il mio penultimo anno di liceo a Beacon Hills, una cittadina piccola e tranquilla.
[...]
A quel punto non potei far altro che chinarmi a raccogliere la lettera, aprendola in fretta e furia e leggendola con la curiosità che mi divorava. Fantastico. Una famiglia californiana aveva acconsentito ad ‘‘adottarmi’’ per nove mesi.
Gli Stilinski.’’
Genere: Avventura, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Sceriffo Stilinsky, Stiles Stilinski, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'People like us'
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parachute
 
 
 
 
18.  Carpe diem.
 
 
Quella notte io e Stiles dormimmo insieme. Non fu affatto una cosa programmata: semplicemente continuai a piangere senza riuscire a fermarmi per ancora moltissimo tempo e lui non mi abbandonò – il pensiero di farlo neppure gli passò per la testa – nemmeno quando mi stesi a letto, stremata. Aveva detto che mi sarebbe stato accanto e l’aveva fatto: mi aveva raggiunta e pur senza dire una parola, era riuscito a farmi star meglio. Avevo preso sonno tra le sue braccia, con le guance ancora umide e le sue dita intrecciate ai miei capelli. Non ho idea di cosa pensò Stiles di quel momento così intimo: so solo che lo avvertii perfettamente entrare a far parte del mio cuore ogni secondo che passava un po’ di più.
Il mattino dopo fu Stephen a svegliarci, seppur indirettamente. Uscendo di casa per il turno mattutino alla centrale di polizia urtò inavvertitamente un oggetto non ben identificato che sicuramente io e Stiles avevamo lasciato in corridoio, dimentichi di rimetterlo a posto o semplicemente troppo disordinati per farlo. Stephen rischiò di cadere e farsi male, ma i suoi riflessi pronti lo aiutarono e se la cavò con un paio d’imprecazioni che – seppur fossi ancora mezza addormentata – mi strapparono un sorriso.
Non ricordo quanto imbarazzante fu ritrovare Stiles accanto a me, nel mio letto, vicinissimo dato che occupavamo in due un materasso a una piazza, ma non ho dubbi quando dico che non me ne curai. Sì, insomma, decisi per il mio bene di godermi solo il meglio della cosa e – seppur scioccamente – assaporai fino all’ultimo tutta la felicità di quel momento. Tuttavia, il benessere durò poco. Un mal di testa lancinante mi riportò immediatamente indietro alla sera prima e potei avvertire gli strascichi del precedente malessere ancora ben presenti dentro di me.
Lasciai perdere, ancora una volta, simulai benessere e mi alzai. Semplicemente continuai a vivere. Perché era quello che la vita mi chiedeva. Dovevo andare avanti, di certo non era successo nulla di grave o irreparabile. Certo, aver conosciuto l’altra metà del mio albero genealogico aveva portato alla mia mente spiacevoli pensieri riguardo a mio padre – ferita aperta – ma potevo ricacciarli indietro come avevo sempre fatto e dimostrarmi forte. O comunque imparare a diventarlo.
Fu proprio per ciò che decisi sarei tornata subito dai Carter. Da mio nonno o dai miei zii ancora non l’avevo deciso ma Stiles, come al solito, mi aiutò. Non appena fu sveglio quel giovedì mattina gli parlai dei miei piani e lui acconsentì subito ad accompagnarmi da «quelli che meno ti spaventano», parole sue. Alla fine scelsi di andare da Thomas, non perché fosse tra i Carter quello che temevo di meno ma perché lo consideravo il più qualificato per allenarmi.
Andò tutto così bene che il giorno dopo mi ritrovai di nuovo lì, pronta a scollarmi di dosso gli ultimi dubbi ancora presenti nella mia mente e soprattutto mossa dalla smania di conoscere alla perfezione ciò che da sempre era dentro di me senza che io me ne rendessi conto. Volevo riuscire ad imparare ad utilizzare al meglio qualunque sorta di poteri Madre Natura mi avesse donato e se l’unico modo per farlo fosse stato quello di esporsi agli stremanti allenamenti di Thomas, allora l’avrei fatto. Avrei sopportato i mal di testa lancinanti e i sogni notturni triplicati se ciò fosse servito a farmi diventare più forte.
A pochi minuti dal mezzogiorno del sabato successivo mi ritrovai lì lì per uscire nuovamente di casa, diretta – tanto per cambiare – alla magione Carter. Stiles quella volta non sarebbe stato con me: era dovuto correre da Scott per non avevo capito quale importantissima questione di vita o di morte ed io ero rimasta di conseguenza da sola. Per fortuna, la cosa non mi dispiaceva né mi spaventava. Non più. Avevo smesso di aver paura.
Controllai ancora una volta che fosse tutto a posto: che avessi chiuso e spento tutto e di aver sistemato qua e là per evitare di lasciare la casa in condizioni penose. Poi infilai il cappotto e mi misi una borsetta con giusto il minimo occorrente dentro in spalla e mi avviai alla porta, pronta ad uscire. Quel giorno Thomas mi avrebbe permesso – finalmente – di leggere i diari di suo padre ed ero davvero eccitata all’idea di cimentarmi nell’impresa che mi aveva aiutata a ritrovare la mia famiglia. Tuttavia, capii ben presto che il Destino non fosse d’accordo coi miei programmi e ne avesse per me di ben diversi.
Nel momento esatto in cui aprii la porta, infatti, Allison Argent premette con forza le dita sul campanello ed io non potei far altro che sobbalzare sotto i suoi occhi scuri sgranati. Trattenni a malapena un urlo spaventato, portandomi una mano sul cuore intento a battere furiosamente mentre indietreggiavo, convinta di sbagliarmi. Potevo benissimo aver avuto un abbaglio, no? Magari lo stress degli allenamenti con mio nonno cominciava a farsi sentire e il cervello ad andare in pappa.
Ma non mi sbagliavo affatto, no. Allison era sul serio di fronte a me, sulla soglia di casa Stilinski con un’espressione sconvolta a deturparle il bellissimo viso. Io, ancora con le mani strette sulla maniglia in ottone della porta d’ingresso, inizialmente non riuscii a far altro che ricambiare il suo sguardo lievemente sospettoso. Avrei voluto dire qualcosa ma non ne fui in grado: per parlare servì che radunassi ogni goccia di coraggio ancora disponibile.
«Ciao», fu però il massimo che riuscii a fare, e mi diedi immediatamente della stupida. «V-Vuoi entrare?».
Già meglio, Harriet. Adesso aspetti una sua risposta e poi continui così. Mi schiarii la gola, nervosa proprio come aveva dimostrato bene il mio balbettio. Poi riportai gli occhi in quelli di Allison, così simili ai miei da farmi stare quasi male. Mi era mancata moltissimo: me ne resi conto sul serio solo in quel momento. Il suo porre un taglio netto alla nostra amicizia senza un apparente motivo logico mi aveva ferita.
«Posso parlarti?».
Una parte di me, quella senz’altro più stupida, ebbe bisogno di tempo per pensarci. Non di certo perché avessi dubbi sul permettere o meno ad Allison di parlarmi – non ero ancora messa così male, andiamo – ma più che altro perché sul serio una parte di me si ritrovò, combattuta, a chiedersi: Allison o me? Dovevo mettere la mia amica al primo posto, trascurando me stessa per il suo bene? Trovai la risposta nei suoi occhi umidi.
«Certo», dissi, spostandomi dall’ingresso quel tanto che bastava a farla entrare.
Allison non se lo fece ripetere due volte, ed io mi accorsi immediatamente di aver fatto la scelta giusta. I miei poteri, Thomas, i diari di Charles… poteva tutto aspettare. Tutto tranne Allison ad un passo dal crollo. 
 
Ehi: everybody loses it, everybody wants to throw it all away sometimes. 
And ehi: yeah, I know what you’re going through. Don’t let it get the best of you,

you’ll make it out alive. People like us, we’ve gotta stick together:
keep your head up, nothing lasts forever 

«Andiamo, Allison. Si può sapere cos’hai?».
Evitai di alzare lo sguardo su Lydia, limitandomi al contrario a tenere gli occhi incollati sul pavimento e sulla spaventosa scala mobile a pochi centimetri da me. Avevo come l’impressione che i tacchi a spillo delle mie decolletè in camoscio nero non sarebbero andati affatto d’accordo con quel mezzo di tortura.
«È tutto a posto. Ho solo… molte cose per la testa».
Mi morsi il labbro inferiore prima di seguire Allison sulla scala mobile, posizionando un piede alla volta nel posto giusto affinché il tacco delle scarpe non restasse incastrato nel mezzo e potessi arrivare al primo piano sana e salva. Forse quella di andare da Macy’s per comprare un abito in vista del Ballo d’inverno era stata un’ottima idea – grazie, Lydia – ma indossare tacchi per fare shopping nient’affatto. Mea culpa.
«Già, come tutti. Potresti almeno sorridere, però. Mai sentito dire: “Non fare il muso, qualcuno si innamorerà del tuo sorriso?”».
Piegai le labbra all’insù, vagamente divertita dalla tenera ingenuità che Lydia decideva di mostrare di tanto in tanto. La adoravo quando era così pacifica e inoffensiva: quando era se stessa. Proprio per quel motivo avevo accettato senza nemmeno pensarci su di accompagnare sia lei che Allison al centro commerciale. Non solo perché serviva anche a me fare acquisti né per stare vicina alla Argent dato tutto quello che stava passando in famiglia ma anche per poter conoscere meglio Lydia. Basta essere infantili.
«Ti sembrerà strano, ma sono d’accordo con lei, Als», mormorai, solo quando fui stabile su quell’odiosa scala mobile.
Allison sorrise voltandosi appena a guardarmi e Lydia fece altrettanto, stupendomi con un batti cinque amichevole. Allora cadde il silenzio, ma non durò a lungo. In prossimità del primo piano Lydia si voltò nuovamente a guardare di fronte a sé, facendo ondeggiare la borsetta in pelle che portava sulla spalla destra ed Allison sospirò pesantemente, chiaro segno del fatto che fosse sul punto di dire qualcosa di poco bello.
«Andrò al Ballo d’inverno con Jackson», annunciò infatti, con gli occhi puntati sul pavimento mentre la mascella di Lydia arrivava ad un passo dal toccare terra.
Tra le due fui io quella che ebbe una reazione migliore: non perché Allison mi avesse già parlato della cosa ma soprattutto perché quella era stata inizialmente idea di Scott. Dal momento che per lui il ballo era off-limits aveva chiesto a Jackson di tenere d’occhio Allison accompagnandola, e lui alla fine aveva acconsentito.
Quando fummo finalmente nel negozio d’abiti, Lydia deglutì sonoramente prima di dire: «Divertitevi», e poi fece per allontanarsi da me ed Allison, diretta chissà dove. Fortuna però che la Argent la fermò.
«Devo chiederti una cosa», le disse poi, cogliendomi stranamente di sorpresa mentre ancora le stringeva il braccio in una morsa nient’affatto violenta. Lydia si limitò a scoccarle un’occhiata ed Allison continuò subito a parlare. «Voglio che tu annulli l’appuntamento con chiunque sia l’idiota palestrato a cui hai detto sì e vada al ballo con qualcun altro».
Aggrottai immediatamente le sopracciglia e se non fosse stato per l’irritazione che sentivo crescere dentro me ogni minuto che passava un po’ di più, la mia espressione sarebbe stata lo specchio perfetto di quella di Lydia Martin. Mentre proprio lei chiedeva: «E con chi dovrei andare?» le riservai un’occhiata, stringendo tra le dita la spallina della mia borsa.
«Con lui», furono le uniche parole che Allison pronunciò allora, e quando prese a voltare il capo verso sinistra sentii distintamente paura e rabbia crescere dentro me e mescolarsi in un perfetto mix esplosivo.
Sia io che Lydia seguimmo lo sguardo della nostra amica a rallentatore, e quando mi ritrovai niente di meno che Stiles di fronte, sentii quasi il mondo crollarmi addosso. Cosa diavolo aveva in mente, quella volta? Perché stava facendo una cosa del genere a me, che avevo sempre cercato di aiutarla? Lo sapeva, diamine. Allison lo sapeva quanto Stiles mi fosse tutt’altro che indifferente. E lo stava sul serio spingendo tra le braccia di Lydia?
«Oh. Non fate il muso, qualcuno si innamorerà del vostro sorriso», mormorò dopo qualche attimo, guadagnandosi un’occhiataccia innocua da parte di Lydia e diverse maledizioni silenziose da parte mia.
Mi limitai a riservare ad Allison uno sguardo truce, poi distolsi gli occhi dal suo viso e cercai nuovamente la figura di Stiles. Lui non ci pensò su due volte: sorrise come solo lui sapeva fare e alzò una mano in segno di saluto mentre dentro mi sentivo perfettamente morire. Se anche avesse avuto intenzione di invitare me al Ballo d’inverno, una volta che Lydia gliel’avrebbe chiesto quell’idea sarebbe svanita proprio com’era apparsa e il mio sogno sarebbe stato infranto. Tutto perché io non reggevo il confronto. Non ero la prima scelta. Mai.
Grazie, Allison. 
 
“Cosa diavolo ci faccio ancora qui?” era diventata ufficialmente la domanda del giorno. Continuavo a sussurrarmela ancora e ancora, senza trovare una risposta. Ma d’altronde, sul serio, cosa ci facevo ancora da Macy’s? Perché continuavo a torturarmi con la vista di tutti quegli abiti meravigliosi che avrei anche potuto acquistare ma mai indossare? Insomma, se anche avevo avuto una mezza possibilità di presentarmi al Ballo d’inverno con un accompagnatore l’avevo vista sgretolarsi di fronte ai miei occhi nel giro di cinque minuti scarsi.
Non c’era possibilità che andassi a quello stupidissimo ballo da sola: era come calpestare il mio immenso orgoglio e dimostrarmi come la ragazzina sola e sfortunata che ero. Dunque, mi ripetei, cosa diavolo ci facevo ancora lì? Sarei dovuta andare a casa senza nemmeno salutare Allison, passare la serata ad affogare i dispiaceri nel gelato ed imparare a lasciarmi scivolare tutto addosso ancora una volta.
«Ma non ce la faccio, merda», sputai a quel punto, finalmente giunta alla mia agognata risposta.
Spinsi a posto con fin troppa forza il vestito blu elettrico che mi ero permessa di spostare dall’appendiabiti per potermi far del male ancora un po’ e quando fui finalmente in grado di rimetterlo proprio dov’era in precedenza, un vago gemito di dolore mi fece sobbalzare per lo spavento. Credetti di averlo solo immaginato e provai a tranquillizzarmi, ma quando la lamentela continuò imperterrita non potei far altro che preoccuparmi sul serio.
Avevo colpito qualcuno? Ma chi? Non mi era parso di vedere gente dall’altra parte dell’appendiabiti: di certo non gente alta quanto me… realizzai forse con un po’ di ritardo. Ansimai terrorizzata, portandomi una mano alle labbra mentre correvo verso la fonte dei lamenti per assicurarmi di non aver fatto più male del previsto alla povera bambina da me colpita. Ma…
«SCOTT!», urlai, quando ebbi aggirato l’appendiabiti con passi pesanti e rumorosi a causa dei tacchi.
McCall era accasciato sul pavimento, nascosto malamente da una pila di vestitini colorati mentre si reggeva il naso dolorante. Mi inginocchiai subito alla sua altezza mentre improvvisamente la presenza di Stiles al centro commerciale appariva chiara ai miei occhi e Scott finiva di lamentarsi per riservarmi un’occhiata truce.
«Alzati, Harry! Via, via! Non mi guardare!», trillò come se fosse impazzito, guardandomi con occhi spiritati che mi spinsero a fare subito come diceva lui. «Sono qui in missione!».
Quelle sue ultime parole mi resero tutto subito chiaro e, fingendo indifferenza, presi ad osservare fintamente annoiata una pila di vestiti nelle vicinanze.
«Stai tenendo d’occhio Allison come al solito?», bisbigliai, solo quando si fu nascosto di nuovo dietro l’appendiabiti dove l’avevo trovato. Lo raggiunsi lì, sempre fingendo tranquillità. «Ci siamo io e Lydia con lei, non ce n’è bisogno».
«Peter è qui, ce n’è bisogno eccome».
Sgranai immediatamente gli occhi, stringendo le dita su una gruccia in plastica. Peter lì? Peter Hale? L’alpha, Peter Hale? Merda.
«Dov’è?», sussurrai, agitata. «Cosa fa?».
«Oh Dio», furono le uniche parole di Scott, ed io aspettai in ansia che aggiungesse qualcos’altro. «Sta parlando con Allison. Devo fare qualcosa, devo fare qualcosa!».
«Cosa?», strillai, esasperata.
Il panico più totale aveva preso assoluto controllo di me e chiedermi di mantenere la più completa discrezione sarebbe stato sul serio assurdo. Ecco perché urlai, fregandomene altamente di tutto e tutti. La vita della mia amica era in serio pericolo, proprio come lo era stata quella di Stiles durante il primo incontro che lui stesso aveva avuto con Peter. Ero stanca di trovarmi in situazioni del genere.
«A tutti i signori clienti, una Mazda blu targata 5NI768 sta per essere rimossa».
M’immobilizzai, incapace di fare altro. Possibile che…
«Pericolo scampato».
Sì. Era stato Scott.
«Pretendo che tu mi spieghi come diavolo hai fatto», mormorai quando fui tornata in me, aggirando l’appendiabiti senza più pormi problemi.
Allison era andata via e Scott non aveva più motivo di nascondersi. Non appena l’ebbi di fronte osservai immediatamente la sua espressione rammaricata.
«Che succede?», domandai, preoccupata dal suo improvviso silenzio.
«È Peter. Lascia stare», mi tranquillizzò lui semplicemente, prendendo poi a tastarsi il naso arrossato.
Ahia.
«Ti ho fatto male? Scusami».
Scott si limitò a fare spallucce.
«Colpa mia. Avrei dovuto trovarmi un nascondiglio più sicuro».
Cadde il silenzio mentre provavo a concentrarmi ancora sui vestiti intorno a me, senza nessun motivo in particolare. Scott mi seguì per gli immensi corridoi colmi d’abiti di ogni tipo, mantenendo il silenzio finché non vide Stiles cercare inutilmente di tenere il passo dietro a Lydia. Facevano shopping proprio come una bella coppietta.
«Scott, mi accompagneresti a casa?», mormorai allora, distogliendo lo sguardo da quella visione mentre avvertivo chiaramente un groppo formarsi nella mia gola.
Scott fece per dire qualcosa riguardo Stiles e Lydia ma non appena mi sentì parlare decise di desistere, e quando incontrò i miei occhi non poté fare a meno di aggrottare le sopracciglia. Non so esattamente cosa lesse nelle mie iridi, ma mi sentii non poco a disagio sotto il suo sguardo indagatore.
«Non hai trovato nulla che ti piace?», domandò poco dopo, alludendo ai vestiti mentre io facevo spallucce e mettevo su un debole sorriso.
«Non credo andrò al ballo».
«Okay, time out!», fu la prima cosa che Scott esclamò, prendendo a guardarmi con occhi sgranati. «Cosa succede? Sei arrabbiata?».
«Dispiaciuta», rettificai, con un tono di voce a malapena udibile. «Allison ha spinto Lydia tra le braccia di Stiles ed io ho perso ufficialmente la mia unica chance di presentarmi con un accompagnatore. Andare da sola al Ballo d’inverno non occupa esattamente il primo posto della mia To-do list»
«Chi ha detto che devi andarci da sola? Stiles non è l’unico ragazzo in tutta Beacon Hills che sarebbe disposto ad accompagnarti».
Sbuffai, fintamente divertita mentre distoglievo lo sguardo dal viso di Scott per posarlo ancora sugli abiti alla mia sinistra. Erano tutti bellissimi, e colorati. Ce n’erano di ogni modello, tessuto o lunghezza. Mentre passeggiavo lentamente presi ad accarezzarne i profili, nell’attesa di trovare qualcosa di adatto da dire a Scott.
«Conosci qualcun altro di così carino?», gli domandai dunque dopo qualche tempo, cercando di nascondere alla bell’e meglio un broncio piuttosto infantile.
Quando dopo diversi minuti non ricevetti risposta fu inevitabile per me voltarmi a cercare la figura di Scott, e ciò che mi ritrovai di fronte fu qualcosa di davvero incredibile. McCall mi fissava con uno dei suoi soliti sorrisini sghembi e i pollici puntati contro il petto. Significava davvero ciò che credevo?
«No, non dirmi che sono carino. M’imbarazzo», sussurrò quando vide un velo di consapevolezza oscurare il mio viso, dando la conferma a tutti i miei pensieri.
A quel punto trattenni una risata, prendendo a passeggiare annoiata per il negozio di vestiti.
«Bel tentativo, Scott», gli feci presente, voltandomi a guardarlo solo di sfuggita. «Ma non puoi venire al ballo».
«E chi l’ha deciso?».
Non potei fare a meno di richiamarlo, con gli occhi sgranati e il tono di voce squillante tipico di quand’ero incredula. Non riuscivo a capire come si potesse essere così pazzi – in senso buono. Davvero non ci arrivavo.
«Non hai il permesso per venire al ballo né un auto o un invito. Licantropi e cacciatori non vedono l’ora di farti la pelle almeno tanto quanto Finstock – semmai dovesse vederti a scuola. Sei davvero così masochista?», dissi allora, cercando inutilmente di far ragionare Scott.
Il suo era davvero un buon tentativo e si stava dimostrando una persona dolce e preoccupata per me, ma non c’era modo di far funzionare la cosa. Purtroppo.
«E tu? Vuoi sul serio perderti il Ballo d’inverno solo perché credi di essere sola?», lo sentii domandarmi, mentre mi spiava con le sopracciglia abbassate nell’attesa di una mia risposta. «Perché non lo sei, Harry. Io non lo permetterei mai».
«Stiamo davvero per compiere una pazzia del genere?», sospirai, sconfitta.
Sapevo benissimo che mai avrebbe cambiato idea. Scott McCall avrebbe sempre – in ogni caso – fatto qualunque cosa fosse in suo potere per aiutare le persone alle quali teneva. Ed io, fortunatamente, ero parte di queste.
«Ehi, ci andiamo da amici», mi redarguì dopo qualche tempo, strappandomi una sonora risata. «Non ci sto provando con te».
«Non ti offendere, ma non ci speravo minimamente».
Scott rise insieme a me e io scossi la testa. L’avrei messo nei guai, quello era certo, ma ero sicura del fatto che li avremo affrontati insieme. Come sempre.
«Allora ci stai?», mi chiese, porgendomi una mano che strinsi subito dopo, quasi senza nemmeno pensarci su.  
«Mettiamo su ufficialmente il club degli sfigati, uhm?».
Scott annuì, con una esagerata aria solenne che mi fece ridere ancor di più. Era una fortuna averlo accanto in quel momento di “rabbia cieca”.
«Io e te presidenti indiscussi. Per me è perfetto!».
 
Is this a dream or is it now? Is this a vision or normality I see before my eyes? 
I wonder why, I wonder how that it seems that the power’s getting stronger every day. 
I feel a strength, an inner fire,

but I’m scared I won’t be able to control it anymore 
 
L’indice tremolò in direzione del campanello della magione Carter e quando lo raggiunse, vi esercitò una leggera pressione seguita dal suono tipico di quando un ospite intende annunciare la sua presenza. Osservai tutta la scena dall’esterno, proprio come se non fossi io la ragazza che aveva appena suonato al campanello del nonno in cerca di aiuto. Per l’ennesima volta mi ritrovavo a dover visitare quella casa, per l’ennesima volta sentivo il nervosismo aumentare dentro me sempre di più. Fortuna che non fossi sola. Scott e Stiles erano con me, quel giovedì pomeriggio, e quando Thomas in persona venne ad aprire lo osservai scoccare un’occhiata confusa nella loro direzione.
«Ehi, nipotina», mi salutò poi con un sorriso che ricambiai a malapena, troppo tesa perché potessi agire in maniera naturale. «Vedo che stai coinvolgendo sempre più persone in questa cosa».
Thomas si spostò dall’ingresso quel tanto che bastava a permetterci di entrare ed io misi piede nella casa velocemente, evitando di alzare gli occhi al cielo, vagamente infastidita. Se voleva che mantenessi il segreto sui miei poteri aveva proprio sbagliato persona. Scott e Stiles erano miei amici e non avevo bisogno di nascondere loro nulla. Questo non significava però che mancassi completamente di discrezione.
«È tutto a posto: Scott è un amico», rassicurai, avanzando nel salotto affollato.
Mia nonna Sarah – moglie di Thomas, madre di Philip – e mio cugino Niall – fratello di Oriesta – occupavano lo stesso divano, quello di fronte all’enorme televisore al plasma sintonizzato su un canale di sport. Li salutai entrambi con un semplice cenno della mano. Poi continuai a parlare a Thomas.
«È a conoscenza del mio segreto proprio come lo sono io del suo».
«Scott, eh?», domandò ancora mio nonno, avvicinandosi a McCall con una mano tesa. «Io sono Thomas Carter».
«Scott McCall, signore. È un piacere conoscerla».
Bastò semplicemente che Scott ricambiasse la stretta di mio nonno perché un’intensa consapevolezza si accendesse nel fondo dei suoi occhi chiari. Lo osservai andare quasi in trance per un attimo e poi ritirare indietro la mano, come se si fosse scottato.
«Un licantropo», esalò infine, con un tono di voce che non compresi. «È per questo che sei qui?».
Non capii quella sua domanda, proprio come Scott, che si limitò a fissare Thomas con gli occhi sgranati. Scossi la testa, cercando di scacciare via dalla mente qualsiasi interrogativo estraneo alla missione. Non dovevo distrarmi, per nulla al mondo. Poteva esserci una vita in gioco.
«Noi…», cominciai dunque a dire, trovando subito obbligatoria una pausa per prendere coraggio. «stiamo cercando un amico. Vorrei rendermi utile».
«Un licantropo anche lui?».
«Sì».
«Non sapete dove si trova?». Mi limitai semplicemente a scuotere la testa. «E vuoi che ti aiuti a visualizzarlo?».
«Posso farlo, no?».
Già, perché il punto era proprio quello. Ne sarei stata in grado? Sarei stata in grado di trovare Derek e salvarlo? Valeva la pena provarci? I miei allenamenti sarebbero serviti a qualcosa? Ero piena di domande, paura, nervosismo e confusione. Sentivo che qualcosa dentro me stava cambiando: i miei poteri diventavano più forti ogni giorno che passava e mi sentivo piena di una forza del tutto nuova. Ma allo stesso tempo mi chiedevo se sarebbe bastata.
«Certo che puoi. Ma ne sei sicura?», fu l’unica domanda che mi pose Thomas, avvicinandosi a me con aria grave.
Credetti fosse perché temeva che non sarei riuscita a controllarlo e in fondo, sapevo che prima o poi le cose sarebbero sul serio potute andare così. Ma me ne fregai, per allora l’unica cosa importante davvero era trovare Derek: avrei potuto benissimo sopportare l’emicrania e qualsiasi altro effetto collaterale.
«Devo provarci», mormorai, col tono di voce più deciso che riuscii a metter su.
Allora non ci fu bisogno di aggiungere nient’altro. Thomas si limitò ad annuire convinto e poi mi fece cenno di seguirlo fino al tavolo che di solito occupavamo per i nostri allenamenti. Presi posto subito, trattenendo il respiro mentre Stiles e Scott si posizionavano alle mie spalle e Thomas mi si sedeva al fianco. Fino a quel momento c’eravamo allenati su cose stupide tipo: «Dimmi cosa sta facendo Walt in cucina» o «Come sarà il tempo domani?» ma quella volta c’era molto di più in ballo, e mi chiesi nuovamente se fossi pronta. .
«D’accordo, bambina», mormorò mio nonno, stringendomi una mano tra le sue. «Ormai hai capito come funziona. Chiudi gli occhi, respiri a fondo e ti concentri sulla persona che intendi visualizzare. Svuota la mente da qualsiasi tipo di pensiero, dedicati solo a…».
«Derek», sussurrai, con gli occhi serrati come da ordine e la mente più sgombra possibile.
Cercai di non distrarmi ma il rumore della sedia accanto a me che strisciava sul pavimento fece sì che aprissi gli occhi incuriosita, interrompendo la “trance”. Stiles prese posto di fianco a me e strinse tra le sue la mano che mio nonno aveva lasciato libera. Poi mi sorrise, mentre io lo ricambiavo e Thomas lo ammoniva con uno sguardo infastidito.
«Puoi farcela», furono le uniche parole che mi rivolse Stiles, e in quel momento sentii qualsiasi dubbio abbandonarmi.
Potevo farcela. Certo. Non ci fu bisogno che mio nonno aggiungesse nient’altro: mi limitai a chiudere gli occhi e focalizzare nuovamente tutta la mia attenzione solo ed esclusivamente su Derek. Ero pronta a visitare di nuovo quella specie di mondo onirico – potevo definirlo ancora così? – col quale stavo iniziando a prendere confidenza. E improvvisamente non fui più all’interno di casa Carter.
La prima cosa che sentii furono gli stralci di una conversazione telefonica, poi freddo. Nell’angusto corridoio in cui mi ritrovavo catapultata gocce d’acqua sporca colavano dal soffitto e s’infrangevano sul pavimento producendo un rumore spaventoso. Mi strinsi le braccia al petto mentre provavo ad avanzare nel buio, strizzando gli occhi inutilmente. Non so dire per quanto tempo camminai prima di raggiungere una porta, so solo che dopo un po’ mi ritrovai di fronte una grande maniglia di ferro arrugginito e capii subito che Derek fosse lì. La trascinai per aprirla, poi mi catapultai velocemente all’interno.
«Ehi…», fu infatti la prima cosa che dissi quando scoprii di avere ragione e Derek fu di fronte a me.
Non so dire esattamente cosa provai nel rivederlo, so solo che mi resi conto forse con un po’ di ritardo della situazione. Era a petto nudo – ma dai, che novità – con i polsi legati sulla testa e una sorta di apparecchio spaventoso collegato ai suoi addominali. La stanza nella quale l’avevo trovato era impregnata da un cattivo odore ma era anche stranamente vuota. Avrei potuto chiedergli di tutto ma evitai.
«Harry? Come…», provò a dire Derek, rendendo ancor più evidente la sua sofferenza. «Stai usando i tuoi poteri?».
Annuii, riprendendomi dal momentaneo smarrimento mentre avanzavo velocemente nella sua direzione.
«Credevi non ti avremmo cercato?», domandai, cercando di capire cosa gli stessero facendo mentre esaminavo con attenzione i fili collegati al suo corpo.
«Potrebbe essere pericoloso!».
Tipico.
«Smettila di borbottare sempre», sbuffai, alzando gli occhi al cielo mentre esaminavo l’unica macchina collegata a Derek, senza capire. «Sei molto più carino quando parli solo per dire cose utili. E a questo proposito: cosa ti stanno facendo?».
«È Kate».
Oh. Mi morsi il labbro, avanzando nuovamente nella sua direzione con le braccia incrociate al petto. Non avevo molto tempo da trascorrere lì: iniziavo già a sentirmi stanca e le forze mi stavano abbandonando, ma dovevo cercare di capire quante più cose possibili.
«Cosa vuole da te?».
«Trovare Scott, e l’alpha».
«Non le hai detto nulla, vero?», chiesi subito, preoccupata. Derek scosse la testa. «Dove ti trovi? Non riesco a vedere il posto. Devi dirmelo, Derek. Verrò con Scott e Stiles e ti tireremo fuori di qui. Ma devi parlarmi».
Compii un altro passo nella sua direzione, catturandone lo sguardo chiaro nel momento in cui Derek provò a deviare il mio. Gli sollevai il viso con due dita e lo costrinsi a guardarmi: solo allora mi resi conto dell’espressione sofferente che avesse messo su. E sussultai, sorpresa. Non l’avevo mai visto così… distrutto.
«Io non lo so. Non mi ricordo nulla».
Ma certo. Ecco perché non riuscivo a visualizzare il posto, per quanto mi sforzassi. Stavo provando ad appigliarmi ai ricordi di Derek, ma lui non ne aveva alcuno. Mi allontanai di poco dal suo corpo, annuendo mentre cercavo di mantenere la calma.
«D’accordo. D’accordo, troverò un altro modo. Ti porteremo a casa», stabilii, provando – inutilmente – a rassicurarlo, mentre iniziavo a sentirmi sempre più debole.
«Non dovete venire. Non dovete venire!».
«Cosa diavolo dici? Lo sai che…».
«Harry, no! Kate ha capito! Sa che è Scott il beta a cui dare la caccia. È una trappola».
Inorridii immediatamente, senza potermelo impedire. Derek le aveva detto tutto? Non ebbi tempo di chiederglielo, né riuscii a domandargli perché mi avesse mentito. Semplicemente il contatto s’interruppe bruscamente come al solito e ritornai alla realtà con un sussulto. Immediatamente gli occhi di mio nonno e Stiles mi furono addosso. Ma nessuno mi chiese niente, semplicemente le loro strette sulle mie mani si rafforzarono un po’ di più. Fui io a parlare non appena vidi Scott.  
«Kate ha Derek. Se vai a liberarlo catturerà anche te».

 
It can’t be all coincidence, 
too many things are evident. 
You tell me you’re an unbeliever,  
but wouldn’t you like to know the truth? 
 
Strizzai gli occhi cercando di aguzzare la vista e mi specchiai al meglio che potevo nella superficie riflettente di fronte a me. Sistemai i capelli dietro le orecchie, analizzai il vestito in raso bluette alla ricerca di qualsiasi imperfezione e ruotai di novanta gradi a destra per potermi osservare di profilo. Ritornai dritta solo per poter sollevare i capelli sulla testa e avere un’anteprima di come sarei stata con l’acconciatura che avevo intenzione di fare. Non era niente di speciale, proprio come l’abito che indossavo: io e Scott l’avevamo scelto insieme e non avrei potuto esserne più soddisfatta.
Sorrisi al mio riflesso e poi lasciai ricadere i capelli sulle spalle, facendomi lontana dallo specchio alla ricerca delle scarpe – anch’esse piuttosto semplici: non c’era certo bisogno di strafare. Raggiunsi l’armadio in legno chiaro e feci per piegarmi sulle gambe: avevo posto la scatola con le nuove decolletè scelte insieme a Scott nell’ultimo cassetto, quello più in basso. Tuttavia, prima ancora che riuscissi a raggiungerlo, sentii dei passi affrettati farsi sempre più vicini e prima che me ne potessi rendere conto pienamente, Stiles si catapultò nella mia stanza.
«Harry?», chiamò velocemente, facendomi subito scattare in piedi.
Mi ritrovai di fronte a lui con un’espressione vagamente sorpresa in volto, ed entrambi ci prendemmo un po’ di tempo per osservarci a vicenda.
Poi: «Wow», mormorammo in contemporanea, poco prima di scoppiare a ridere.
«Wow davvero», aggiunsi solo quando fui riuscita a calmarmi.
Quella sera, Stiles era… indescrivibile. Era la prima volta che lo vedevo vestito in un determinato modo ed era perfetto. Non avrei mai potuto essere più invidiosa di Lydia di come lo fui in quel momento.
Stiles rise ancora, annuì e mi riservò l’ennesima profonda occhiata sotto la quale quasi mi sentii arrossire.
«Sei bellissima», disse poi, avvicinandomisi mentre io andavo letteralmente a fuoco.
«Grazie», pigolai, donando una veloce occhiata alla moquette sul pavimento pur di evitare lo sguardo di Stiles. «Nemmeno tu te la passi male, stasera».
Sbuffò vagamente divertito e fu solo allora che cercai il suo viso. Lo vidi scuotere la testa e poi tornare a fissarmi mentre sorrideva.  
«Di sicuro starei meglio se riuscissi a mettere la cravatta», mormorò, e solo in quel momento notai che ne stringesse una tra le dita. Me la porse, chiedendo: «Mi dai una mano?».
Ovviamente non ci pensai nemmeno un po’ su. Gliela sfilai dalle dita e la passai sotto il colletto della camicia di Stiles, sperando di ricordare come si facesse un nodo ordinato. Qualche volta avevo aiutato i miei amici ma quella di annodare cravatte non era certo la mia vocazione.
«Quindi…», esordì Stiles, mentre io me ne stavo concentrata e in religioso silenzio. «verrai al ballo da sola?».
«No», sorrisi, sollevando gli occhi verso i suoi. «Scott mi ha chiesto di accompagnarlo. Avrò un cavaliere. Impegnato a nascondersi da Finstock, ma ce l’avrò».
L’espressione di Stiles si fece improvvisamente buia e senza che nemmeno avesse parlato già sapevo cosa mi avrebbe detto. Di conseguenza, mi rabbuiai anch’io. Avrei preferito non affrontare l’argomento.
«Harry, mi dispiace. Volevo chiederlo a te», disse infatti, mentre sentivo perfettamente il cuore incrinarsi un po’.
«Scherzi? Da quanto ti piace Lydia? È la tua occasione», fu tutto ciò che dissi, sperando che sia il mio tono di voce che il sorriso finto che improvvisai potessero risultare almeno agli occhi di Stiles, sinceri.
Dentro mi sentivo morire ma lui non avrebbe dovuto saperlo: volevo che si godesse quella serata, perché se la meritava. Si meritava le attenzioni di Lydia e si meritava di essere felice. Prima di lasciargli un bacio veloce sulla guancia, gli sorrisi. Poi ritornai a lavoro sulla cravatta, come se niente fosse.
«Sì, ma…», provò ancora a dire lui, ma subito lo zittii.
Non potevo sopportare oltre.
«La smetti? Staremo comunque insieme».
«Quello sempre».
Sorrise ed io lo ricambiai solo quando ebbi finito di annodargli la cravatta. Non credevo sarei stata in grado di riuscirci ma quando mi resi conto di avercela fatta, mi sentii davvero fiera di me stessa.
«Okay, sono pronto. Alleluia. Grazie, Harry!», esclamò Stiles, sorridendo prima di scappare dopo un ultimo: «Non so che farei senza di te!».
Scoppiai a ridere veramente felice, poi ritornai alla ricerca delle mie decolletè nuove. Prima che però potessi infilarle, Stiles ritornò nella mia stanza.
«Ti serve un passaggio?».
Scossi la testa.
«Non preoccuparti. Scott sarà qui a momenti». Occhiata stranita da parte di Stiles. «Convincerà Melissa a lasciargli l’auto».
«Oh», boccheggiò, mentre anch’io ero finalmente pronta. «Perfetto, allora ci vediamo là?».
«Certo», sorrisi.
«D’accordo. Okay. Devo… devo andare a prendere Lydia. Sono in ritardo».
Trattenni l’ennesima risata divertita, limitandomi ad annuire. Era nervoso.
«Stiles?», lo richiamai prima che potesse sparire per l’ennesima volta.
«Sì?».
«Sta’ tranquillo. Andrà tutto bene». Speravo di riuscire a calmarlo almeno un po’. «Buona fortuna!».
Stiles mi sorrise sinceramente ed io lo ricambiai. Credetti che allora sarebbe andato via e invece mi stupì, facendo nuovamente retromarcia per tornare da me. Quando fu vicino abbastanza da poterlo fare, mi stampò un bacio veloce sulla fronte e poi mi sorrise ancora.  
«Sei un raggio di sole», trillò, guadagnandosi un’occhiata stranita da parte mia. «Non negarlo».
Non ne avevo intenzione.
 
Dal momento che l’unico sport che alla Beacon Hills High School venisse praticato seriamente era il lacrosse, sport per il quale veniva utilizzato il campo d’allenamento all’esterno, la palestra all’interno dell’istituto era davvero molto ma molto piccola – e soprattutto, poco utilizzata. In quel primo novembre dell’anno, mi ritrovai addirittura a pensare che se non fosse stato per il Ballo d’inverno, non ci avrei mai messo piede.
Ad ogni modo, gli organizzatori avevano fatto un ottimo lavoro. La scuola non era mai stata così unita dal divertimento e la piacevole musica di una cover band poco conosciuta risuonava per tutta la palestra. Finstock e gli altri professori scelti dal preside come “guardie” perlustravano il perimetro e tenevano d’occhio tutti per evitare che l’innocuo divertimento potesse degenerare in qualcosa di peggio.
Sia io che Scott li tenevamo d’occhio, muovendoci nell’ombra – aiutati dalle luci stroboscopiche capaci di annebbiare la vista, dalla massa di corpi dondolanti a ritmo di musica e da posizioni riparate – senza farci notare. C’eravamo presentati al ballo con un ritardo ben pianificato, attenti a non dare nell’occhio. Nessuno sapeva fossimo lì: solo Stiles. Avevamo passato tutta la sera a nasconderci da Allison, Lydia e Jackson ma avevamo tenuto d’occhio tutti i loro movimenti dagli spalti più alti della palestra. Eravamo al sicuro: avrei dovuto sentirmi tranquilla e magari provare a divertirmi. Ma non ci riuscivo.
«Non dovremmo essere qui», mormorai ad un certo punto, interrompendo il silenzio nel quale c’eravamo chiusi io e Scott poco prima di distogliere lo sguardo da Danny, accerchiato da due o tre ragazzi dei quali non conoscevo i nomi.
Evitai di voltarmi a cercare gli occhi scuri di McCall: mi limitai a guardare dritto di fronte a me, nel mare di corpi abbarbicati sull’improvvisata pista da ballo. Inutile dire chi stessi cercando.
«Credi che siamo troppo esposti?», domandò subito Scott, voltandosi a guardarmi. «In effetti è vero, ma questo è l’unico posto da cui riesco ad avere una buona visuale su Allison e…».
«Intendo qui a scuola», lo interruppi. «Kate sa che sei tu il beta. L’avrà sicuramente detto anche a Chris. Un’intera famiglia di cacciatori ti vuole morto e noi… siamo qui, al Ballo d’inverno? Come normali teenagers?».
Davvero non riuscivo a capacitarmene. Nell’attesa di una risposta da parte di Scott, sospirai pesantemente e riportai gli occhi sulla folla di persone al centro della palestra. Solo in quel momento individuai Stiles e Lydia: occupavano lo stesso tavolo in fondo alla sala e poco distanti da loro, se ne stavano tutti i nostri professori.
«È ciò che siamo, Harry», sussurrò Scott sorridendo, seppur debolmente. «Nonostante tutto».
Scossi la testa, mordendomi nervosamente l’interno guancia. Non lo eravamo affatto, dei normali teenagers. Nemmeno “nonostante tutto”. Quell’etichetta valeva per Stiles, Lydia, Jackson e Allison… ma io e Scott? Ne eravamo esclusi senza ombra di dubbio.
«Non voglio perderti».
«Non accadrà». Scott si sporse verso il mio viso, costringendomi a guardarlo. «Non stasera. Ci meritiamo di essere a questo ballo e di godercelo. D’accordo?».
Mi pose le mani sulle spalle scoperte nel vago tentativo di rassicurarmi ed io annuii subito, provando ad improvvisare un sorriso. Poi sfuggii nuovamente allo sguardo di Scott, fingendomi impegnata a sistemare una ciocca di capelli ribelli dietro le orecchie.
«Da domani riprendiamo a preoccuparci, però», ordinai dopo un po’ di tempo, arrendevole.
«Certo che sì, Comandante Carter».
Il saluto da soldato di Scott mi fece ridere sinceramente e capii che dovevo sul serio godermi quella serata. Perché sì, me la meritavo – come tutti – e nessuno ce l’avrebbe portata via tanto facilmente. Mentre il silenzio ritornava a farla da padrone, portai di nuovo gli occhi sulla folla di studenti intenti a ballare mentre lo sguardo di Scott si faceva perso e riuscivo finalmente ad individuare Jackson ed Allison.
Li osservai attentamente, preoccupata dall’espressione truce di lui e dall’improvviso nervosismo di Scott. La Argent sorrideva ma Jackson non provava nemmeno a ricambiarla. Aggrottai le sopracciglia, confusa. Mi voltai a guardare McCall per chiedergli spiegazioni ma prima ancora che potessi riuscirci, lui disse: «Non vuole ballare» e a me fu tutto subito chiaro. 
«Oh», fu l’unica cosa che riuscii a mormorare, spiazzata. «Se vuoi vado a farle compagnia».
Ma proprio in quel momento Jackson pose un braccio nella direzione di Allison per invitarla a ballare e Scott mi bloccò, incitandomi a prendere nuovamente posto di fianco a lui mentre mi sorrideva. Voleva fingersi felice ma ci stava riuscendo con scarsi risultati: potevo vedere in quel sorriso tutta la tristezza che solo qualche secondo dopo, nel vedere Stiles e Lydia unirsi alle danze, fece capolino sul mio volto.
«Ehi…», esordì Scott allora, voltandosi a guardarmi così velocemente che non ebbi tempo di inventarmi un’espressione meno afflitta. Aggrottò le sopracciglia, improvvisamente preoccupato. «Cos’hai?».
«Nulla. Va tutto bene. Ti prometto che non andrò più in paranoia», dissimulai seppur con scarsi risultati, portandomi una mano sul cuore. «Dobbiamo divertirci, no?».
Scott assottigliò gli occhi, per nulla convinto dal mare di bugie che gli stavo riversando addosso. Non ero mai stata brava a mentire.
«Harry», mi redarguì, quasi sibilando. «So che non è perché sei preoccupata per la mia incolumità. Si tratta di…».
Ma non completò la sua frase, limitandosi a ruotare la testa in direzione di Stiles e Lydia. Seguii il suo sguardo curiosa, ritrovandoli abbracciati sulla pista da ballo. Scott li indicò con un cenno del capo, ancor più convinto della sua tesi quando mi vide nuovamente afflitta. Sentivo come se una mano invisibile mi stesse stringendo il cuore in una morsa e deglutii, oramai allo scoperto.
«Sono felice per Stiles».
«Come lo sono io per Allison».
«Non…», provai a giustificarmi ancora, fissando Scott con gli occhi sgranati. Ma rinunciai subito, sospirando. «È diverso. Più complicato».
Scott aggrottò le sopracciglia, pensieroso.
«Solo perché Stiles non sembra avere idea di ciò che provi per lui?», domandò dopo attimi di silenzio. Ovviamente non voleva una mia risposta. «Lo ammetto, non ce l’avevo neanch’io. Ho iniziato ad immaginarlo solo l’altro giorno, quand’eravamo al centro commerciale». 
Nonostante l’aver realizzato solo in quel momento quanto mi fossi esposta pur senza volerlo, non potei fare a meno di sbuffare divertita.
«Siete uomini», mormorai poi, scuotendo la testa mentre Scott mi dava ragione, sorridendo e annuendo. «Capite tutto troppo tardi». 
«Dovresti dirglielo», mi spiegò dopo che il silenzio fu calato su di noi ancora una volta, quasi sussurrando. «Provaci, no? In fondo Stiles ti vuole bene».
Sorrisi amaramente. Certo che mi voleva bene. Ed era proprio quello il problema. Mi voleva bene.
«È pazzo di Lydia dalle elementari».
«Non la aspetterà in eterno».
Improvvisamente boccheggiai, incapace di replicare in qualsiasi modo. Sentii quasi il respiro mancarmi e mentre un mix di emozioni contrastanti s’agitava dentro me, ci fu solo un ennesimo attimo di silenzio tra me e Scott prima che scoppiasse il finimondo. Dopo quasi un’intera serata di nascondigli e sotterfugi, infatti, capimmo che la pace fosse durata anche troppo.
«Oh mio Dio, Scott, corri!», esclamai, mettendomi velocemente in piedi nel momento in cui osservai Finstock prendere a muoversi nella nostra direzione.
Era totalmente impazzito: urlava frasi sconnesse e si muoveva a grandi falcate verso gli spalti sui quali eravamo seduti io e Scott – fortuna che l’immensa folla di studenti lo rallentasse e non poco. Scott seguì subito il mio consiglio e in men che non si dica lo osservai sparire mentre anch’io cercavo di rendermi utile, mettendomi all’inseguimento di Finstock per provare a distrarlo. Non fu facile farlo su un paio di tacco dodici ma perlomeno ci provai. Fallendo, ma ci provai.
«McCall! Si può sapere… si può sapere che fai?».
Di fronte alle urla del professore di educazione fisica ed economia, il canto della cover band s’interruppe improvvisamente e un silenzio innaturale riempì la palestra, mentre tutti gli studenti nel raggio di dieci metri si voltavano a fissare Bobby Finstock con sguardi stralunati. Io mi piegai sulle ginocchia solo una volta giunta accanto ad Allison, bellissima nel suo abito di raso grigio perla. Avevo il fiatone e i piedi dolevano per l’inutile corsa. Ero in ritardo.
«Sì, coach?», domandò Scott con estrema nonchalance, stringendosi a Danny un po’ di più mentre sia io che Allison trattenevamo a malapena una risata.
Inutile dire che l’imbarazzo dell’allenatore della squadra di lacrosse raggiunse immediatamente livelli stratosferici. Mentre Scott continuava con la sua recita, aiutato da un inconsapevole Danny, Finstock prese a balbettare cose senza senso e si lasciò andare a lunghissime risate nervose nella speranza di rimediare a quella che sembrava una gaffe in piena regola.
«Ballate, forza! È un ballo! È una festa!», sbottò infine scocciato, senza più provare a giustificarsi.
Poi si defilò, lasciando in pace Scott che promise a Danny di ripagarlo con un favore e si diresse poi nella direzione in cui eravamo io ed Allison. La musica riprese e così anche le danze: Scott sorrise ad Allison e lei, senza bisogno di parole, capì già cos’avesse in mente.
«Sì, mi piacerebbe ballare con te», mormorò, provando inutilmente a trattenere un sorriso felice.
Scott di tutta risposta le afferrò una mano, trascinandola al centro della pista da ballo mentre io li osservavo con un’espressione soddisfatta. Li invidiavo molto ma allo stesso tempo ero felice per loro. Quando McCall si voltò un’ultima volta a guardarmi gli sorrisi ampiamente, sollevando i pollici in alto in segno di approvazione. Lui si limitò a scuotere la testa divertito, poi mimò: «Va’ a ballare con Stiles» ed io ubbidii più che volentieri.
 
«Posso rubarti un attimo il cavaliere?».
Mi feci vicina a Lydia e Stiles nella più perfetta imitazione di fierezza che riuscii a metter su. Dentro provavo profondo imbarazzo e avrei voluto farmi piccola piccola sotto lo sguardo verdissimo di Lydia e la figura di Stiles, ma continuavo a ripetermi che dovevo dimostrarmi decisa. Perché anch’io meritavo di essere felice, quella sera, e la mia felicità era Stiles.
«Certo».
Lydia si limitò a sorridermi annuendo ed io rilassai la mia posizione tronfia composta da petto in fuori e mento all’insù. Ricambiai il suo sorriso mentre la vedevo allontanarsi da Stiles con un semplice cenno della testa, prima che sparisse diretta chissà dove. Avevo aspettato di poter ballare con Stiles per tutta la sera, eppure quando fummo rimasti finalmente soli, non seppi più che fare.
«Ehilà», mi richiamò proprio lui, cercando di attirare la mia attenzione – completamente persa chissà dove – mentre mi sorrideva prendendo le mie mani tra le sue.
«Ciao», replicai allora, improvvisamente più tranquilla mentre avanzavo nella sua direzione di un passo e mi stringevo a lui. «Ti stai divertendo?».
Stiles si limitò ad annuire contro i miei capelli, stringendomi le mani alla base dei fianchi mentre io passavo le mie attorno al suo collo. Poggiai il mento sulla sua spalla sinistra e semplicemente prendemmo a dondolare sul posto. Non ero mai stata una gran ballerina e il lento che la cover band stava improvvisando mi diede perfettamente occasione di dissimulare.
«Come non mai. Tu?».
Annuii, sorridendo.
«A dire il vero all’inizio ero troppo nervosa per riuscirci, ma per fortuna Scott mi ha fatto capire quanto sia importante cogliere l’attimo».
Qualcosa si fermò, lo avvertii subito e distintamente. Quasi trattenni il fiato, chiedendomi spaventata se non avessi detto o fatto qualcosa di male. Stiles mosse le dita sui miei fianchi, sul tessuto blu del mio abito, impercettibilmente, e solo dopo parlò, forte del fatto che non lo guardassi in viso.
«Non ti piace Scott, vero?», mi chiese, mentre provavo con tutte le mie forze a trattenere una risata.
Era gelosia, quella? Era davvero preoccupato che potesse interessarmi Scott? Il suo migliore amico? Mi feci lontana – vagamente controvoglia – dal nostro abbraccio, solo per riservare a Stiles uno sguardo stranito, completo di sopracciglia aggrottate.
«No. Come ti viene in mente?».
«Lascia stare», si limitò a commentare Stiles, facendo spallucce. «Chiedevo».
Mi morsi l’interno guancia, decidendo di lasciar perdere, evitando di infierire. Trattenni un risolino appagato e abbracciai Stiles nuovamente poco prima di riprendere a muovermi a tempo di musica, con un enorme sorriso soddisfatto a piegarmi le labbra.
Dopo qualche tempo, però, le parole di Scott mi tornarono alla mente. Provaci, no? In fondo Stiles è geloso di te. Aggrottai le sopracciglia. No, Scott non aveva sul serio detto così. Trattenni un sospiro nervoso, stringendomi maggiormente a Stiles. Perché mi stavo perdendo in quei pensieri inutili? Meglio agire, no?
«Stiles…», mormorai allora, piena di un coraggio che nemmeno sapevo di possedere. «c’è una cosa che vorrei dirti».
Nervosissima, strinsi maggiormente le dita sulla camicia di Stiles e aspettai che mi rispondesse. Speravo lo facesse perché mi serviva una sua “spinta” e sapevo che solo sentire il suono della sua voce sarebbe riuscito ad aiutarmi almeno un po’. Poi realizzai sul serio cosa stavo per fare. Stavo davvero per dichiararmi a qualcuno, per la prima volta in sedici anni di vita?
«Dimmi», disse Stiles, e quello fu un po’ come il mio via.
«Io… non so come spiegartelo», deglutii, cercando – con chissà quale coraggio – gli occhi di Stiles. Peccato che distolsi lo sguardo dopo due secondi netti e lo ancorai al pavimento, spaventata. «È complicato. Non voglio rovinare tutto e… i cambiamenti in genere mi spaventano. Ma…».
Non riuscii a proseguire. Fu come se mi venisse sferrato un pugno in pieno stomaco senza preavviso alcuno. Subito il fiato mi venne a mancare e indietreggiai mentre mi portavo una mano alla tempia: la mia emicrania, di colpo, era forte come non mai e non riuscivo più a distinguere il mondo di fronte ai miei occhi. A malapena vedevo Stiles avanzare nella mia direzione – preoccupato – e la mia mano stretta al suo braccio: avevo paura di poter cadere.
Poi non vidi più niente. La mia retina si riempì di nero e fu solo dopo diversi sforzi che capii. Stavo avendo una visione. Jackson Whittemore barcollava all’esterno della Beacon Hills High School con una bottiglia di whiskey vuota tra le dita: aveva i sensi annebbiati dall’alcool e a malapena distingueva i contorni delle figure sulle quali posava gli occhi. Era confuso almeno tanto quanto me ma una cosa la capimmo subito benissimo entrambi: riconoscemmo senza nemmeno doverci impegnare il paio di occhi rossi che si muovevano fulminei nell’ombra del bosco antistante la scuola.
Fu solo nel momento in cui Jackson prese ad avanzare in direzione del pericolo che la visione sparì com’era arrivata e mi ritrovai di nuovo di fronte a Stiles. Lui mi aveva parlato tutto il tempo, preoccupato senza poterlo mostrare al mondo intero. Bastò semplicemente che mi rendessi conto della sua figura intenta a reggermi perché mi tuffassi tra le sue braccia, ancora col respiro corto – scombussolata da quell’inaspettata quanto violenta visione.
«L’alpha è qui fuori, Jackson gli si sta avvicinando», soffiai semplicemente, dopo infiniti attimi passati a cullarmi tra le braccia di Stiles, con le sue mani che percorrevano la mia schiena e i flebili sussurri che proprio lui mi rivolgeva per tranquillizzarmi.
La pace era finita.
 
I don’t tell anyone about the way you hold my hand, I don’t tell anyone about the things that we have
planned. I won’t tell anybody, won’t tell anybody. They want to push me down,
they want to see you fall down. Won’t tell anybody how you turn my world around,
I won’t tell anyone how your voice is my favourite sound










 
Ed eccomi qui ancora una volta, pronta a scocciarvi con l'ennesimo lunghissimo capitolo di questa storiella che tra l'altro (dopo quasi un anno) si avvia pure al termine. Ormai siamo vicinissimi alla chiusura del sipario e ovviamente, come credo capiti a tutti, sono attentata da emozioni contrastanti. Se una parte di me non vede l'ora di liberarsi di parachute e dedicarsi ad altro dopo tutto il tempo passato praticamente solo su un'unica storia, c'è anche una parte di me che si chiede come sto andando e soprattutto: riuscirò a darvi tutte le risposte che cercate nel giro di due capitoli? Sono spaventata, sì, nemmeno fosse l'inizio.
Parlando di "due capitoli", be'... questo doveva essere ancora più lungo di così (ci doveva come minimo essere una scena in più) ma mi sono resa conto subito di quanto sarebbe risultato noioso e ho deciso di tagliarlo. Non vi preoccupate, comunque, perché tutto ciò che avevo intenzione di far succedere qui lo ritroverete nel diciannovesimo. Quello tra l'altro dovrebbe essere quello conclusivo, conto di utilizzarne un altro solo come epilogo ma a dire il vero non si sa mai. Devo ancora plottare il tutto, quindi immagino che vi terrò informate su fb (aggiungetemi senza paura, lo ripeterò fino allo sfinimento).
Intanto, che ne pensate di questo capitolo? Allison finalmente mette da parte l'orgoglio e si precipita da Harry, subito dopo aver scoperto la verità sugli Argent e su ciò che fanno. Le ha raccontato tutto e Harriet avrebbe voluto fare altrettanto coi suoi poteri ma non l'ha fatto. Dunque Allison crede che sia una semplice teenager proprio come lei (più o meno). Dato che ho deciso di saltare il confronto Hallison, ci tenevo a specificare la cosa. Le canzoni citate nel capitolo sono, in ordine: People like us - Kelly Clarkson, The Clairvoyant - Iron Maiden, Infinite dreams - Iron Maiden e Parachute - Cheryl Cole. Poi: lo Scarriet si butta, Harry e Lydia cominciano ad andare più d'accordo, ci sarà una bella chiacchierata Derriet e per quanto riguarda Stiles ed Harriet... be', ormai siamo quasi al punto di non ritorno! Cioè, lei stava per dirgli tutto, vorrei farvi notare... non fosse stato per quella visione... Poi nel prossimo capitolo Harry farà anche una cosina che la "scoprirà", quindi...
Niente, non voglio spoilerare più di così e mi limito a svolazzare via. Spero che questo capitolo possa piacervi perché è stato un parto scriverlo e sarebbe davvero una bella soddisfazione. Grazie a tutte ancora una volta, per ogni minima cosa. Se non fosse per ognuna di voi, parachute non esisterebbe (o comunque non sarebbe arrivata fin qui). Grazie, grazie, grazie, grazie! Alla prossima,
hell
   
 
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