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Autore: Vella    18/07/2014    4 recensioni
Una famiglia. Una contea. Una residenza.
Jenkins. Buckinghamshire. Winslow Hall. Anno 1896.
Tre storie apparentemente scollegate fra loro. Tre mondi. Tre amori. Tre, il numero perfetto.
Daniel Shaw è un poeta profondamente enigmatico, strano, seducente, romantico. Cerca la sua musa ispiratrice, trovandola d'improvviso in Wendy, una ragazza benestante e solare, con un segreto. Così nasce un amore sconfinato, senza vie, dal sapore della proibizione e dello sbagliato. Un amore fatto di sguardi e di intensi contatti umani.
Viktor Mitchell, uomo di ventotto anni, rude, agognato, senza alcuna forma di desiderio. Veterano di guerra. Ed ora divenuto professore per l'istruzione di famiglie d'alto rango. Un uomo davvero, forse troppo, sbagliato e pieno di peccati. S'innamora perdutamente di Katherine, una ragazza di diciassette anni, giovane, ribelle, forte, eppure la sua unica alunna.
E infine Gerard Collins, ventiduenne, senza tetto, soldi o famiglia. Un gigolò in cerca di amore tra persone che non lo completano. Per questo quando incontra Henry il tumulto di sentimenti che si forma nel suo cuore, lo confonde.
Henry, Wendy e Katherine sono fratelli. Sono la famiglia Jenkins. Sono sbagliati perché non seguono le convenzionali etichette ma lo struggente filo conduttore dell'amore più remoto.
Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago, L'Ottocento
Capitoli:
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Il frutto della passione.

E quel rosso, quel rosso che sprigiona l'anima,
la mia, la tua, la nostra.
Il candore delle gote si insinua nei miei brividi
e la paura di possedere un briciolo di una falsa identità,
stringendo, amando, illudendo.
Sento il bivio che arriva,
e la fine prostrarsi tra il giusto e lo sbagliato,
tra la scelta e la perdizione.
Se solo potessi,
se solo facessi,
almeno amerei.

E l'amore, quello falso, quello che non si insinua, quello che potrebbe ma non farebbe mai, si fece aprir le porte ed entrò nella maestosa sala escandescente. Tutti si girarono ad osservarlo ma nessuno veramente si accorse della sua entrata; le maschere di orrori, di un carnevale ormai vecchio, ricolmavano i vuoti visi di emozioni spente.
Riccioli infuocati scendevano candidamente sulla schiena nuda di Wendy, dove l'abito si apriva in uno scroscio di sensualità e la scollatura accentuava la castità che attirava tanto i giovanotti. I capelli erano stati fermati sulla nuca con variopinti fermagli e i boccoli resi ancora più vivi dalla lacca la coprivano fin sulle scapole.
Il vestito era un abbondante strascico di veli oro e argento, l'abito di seta che indossava sotto faceva da merletti al vero vestito, ed era di un forte giallino che le risaltava le curvature del seno e dava nudità alla schiena. Aveva tra le mani una lira ed un plettro, sui capelli era stata poggiata una corona di uva e rose rosse. I suoi occhi invece erano contornati da un sottilissimo strato di eyeliner e le gote erano risaltate da una cipria spruzzata appena da rosa. La pelle diafana risultava un piccolo gioiello voluminoso sotto alle luci della maestosa e sovraffollata sala.
―Orsù, mia dolce damigella, è ora di indossar la maschera e di ballar per tutta la notte.― Henry posò la mano sulla spalla della sorella e Wendy, arrossendo impercettibilmente, si portò all'altezza del viso la sua maschera sconosciuta, ordinata direttamente a Venezia in onore di tale evento. Poggiato l'elastico invisibile tra i capelli e guardandosi allo specchio riposto in un lato della sala, si aggiustò le piume della maschera inerenti al vestito.
Henry si morse il labbro superiore e salutò la ragazza con un buffetto sulla schiena, corse irrimediabilmente ai piani superiori e quando giunse davanti alla stanza di Katherine, si trattenne dal ridere. Bussò un paio di volte, poi spalancò la porta e la sua seconda sorella lo guardò disarmata, completamente nuda e con un'aria afflitta.
―Cosa succede? Vestiti, per l'amor del cielo!―
―Di cos'hai paura, fratellino?― Henry scosse il capo con aria divertita e chiuse dietro di sé la porta, avvicinandosi al letto e schioccando un bacio sulla fronte della giovane. Sul letto, appunto, c'era un enorme vestito pesca, pieno di fronzoli e quella roba che mai avrebbe compreso. Il vestito era accollato e di fianco al corsetto e alle scarpe con un leggero tacco, la sorella aveva riposto degli stracci bianchi.
―Come hai ordinato tu, fratello caro.―
―Te ne sono grato.―
―Cosa vuoi fare, Henry?― sospirò Katherine lasciandosi cadere sulla poltrona.
―Non sono affari tuoi ed ora su, vai ad indossare i calzoni e la camicia bianca.―
―Cosa rappresento? Una cavallerizza?―
―Visto? Non sei così stupida come pensavo.―
―Spero ardentemente che tu mi stia prendendo per i fondelli, perché altrimenti...―
―Altrimenti?―
Katherine sospirò ancora e divertita cominciò ad indossare il travestimento, iniziando dai mutandoni da uomo.
―Se ci scoprono cosa succederà?―
―Rideremo, rideremo fino allo sfinimento e prima della fine della serata balleremo un valzer insieme, è una promessa mia giovane sorella!―
―Risparmiati queste promesse, io decisamente non ci tengo.― lo rimbrottò Katherine e si alzò i pantaloni marroni, poi la camicia larga bianca; abbottonò i gemelli sul polso e si infilò i formidabili stivali di cuoio, infine i capelli vennero raccolti in un chignon e nascosti da una coppola marrone un po' vecchiotta. Il viso era seminascosto da un leggerissimo trucco, che le faceva risaltare gli zigomi rendendola più mascolina.
―Facciamo veder a nostro padre chi è che comanda.― Rise il ragazzo.
―Lui comanda, Henry. Lui.― Lo salutò aggrappandosi al collo e gli sorrise con riconoscenza,
―Felice Ballo Nevoso, Mr Jenkins.― Ed Henry rise. Anche lei non trattenne una leggera risata e poi, guardando l'orologio a pendolo, si accorse che la festa era appena iniziata, il buffet aperto e le maschere indossate. Quella sera avrebbe dovuto fare la sua entrata con uno sfarzoso vestito ed invece si ritrovava mezzo uomo. Ciò che la mente stava elaborando era oscura anche a lei, non sapendo ancora che i propositi vengono sempre interrotti dal fato.
La sala adibita alla festa era un tutt'uno di colori invernali, dove piccoli fiocchi di neve finta penzolavano dal soffitto e i lampadari erano rigorosamente aggiustati e perfezionati con le candele, dando una luce soffusa e alquanto romantica alla festa. Gli uomini mantenevano i loro calici di brandy e whisky. Le giovane donzelle erano nascoste da un velo di trucco e dalle maschere tanto agognate, ognuno era vestito e si comportava rispecchiando a pieno la classe sociale da cui venivano. Il ticchettio degli stivali di cuoio riecheggiò appena sulle scale e Katherine si nascondeva dietro i pilastri adornati con mille strascichi e i tappeti bianchi e blu che si disperdevano in tutta la sala. Lo spettacolo era magnificente. Solo a guardar tante leccornie, tanta lussuria e ricchezza, faceva battere il cuore, e proprio per questo il malsano tentativo di sabotare il Ballo Nevoso era nato e si era concretizzato nei cuori dei figli di Mr Jenkins. Ma ancora una volta si sbagliavano. Non stavano sabotando qualcosa, ma stavano per essere sabotati dalle loro stesse carte, dalle loro mosse poco astute rispetto a quelle del destino.
―MIKE!― L'urlo provenne dal basso delle scale e Katherine si girò di soprassalto, scossa dai suoi pensieri e... colta in flagrante da Sheila, la cara governante.
―Mike, cosa ci fai lì? Brutto furbacchione, ti sei intrufolato? Scendi, ora!― Katherine non sapeva che Sheila vedesse male. L'aveva veramente confusa con lo stalliere? Oh, per l'amor del cielo, solo lo stalliere si chiamava Mike! E Katherine lo sapeva...
Si schiarì la voce tossendo e scrollò le spalle, cercando di apparire rozza e di mimetizzarsi del tutto in quella che probabilmente era una persona appunto rozza.
―Io... io...―
―Prima che ti prenda a sberle, scendi da quelle scale!― la voce di Sheila era diventata stridula e Katherine fu costretta ad arrivarle vicino, ma non si aspettava affatto che l'avrebbe presa per l'orecchio tanto forte e strattonata come solo una buona matrona sapeva fare. 'Ahia!' Avrebbe voluto dire, ma non le sembrava il caso e quindi, non sapendo bene come, mugolò e si rimbrottò da sola.
―Esci e ritorna nei fienili! Non farti vedere qui per niente al mondo, mascalzone! Se ti becco un'altra volta ti sculaccio fino a che non potrai sederti per una settimana intera!―
La stava minacciando? Katherine si sentì offesa. Fu strattonata e scortata fino alla porta sul retro dove Sheila con una spintarella la buttò letteralmente fuori di casa. Sentì il cuore rimbombarle nelle orecchie e gli stivali stridere sulla breccia mentre delle carrozze si fermavano sull'uscio della villa e la famiglia Griffiths scendeva dagli scompartimenti in tutto il suo splendore. Quella mattina si erano recati in città ed ora eccoli arrivare con lussuosi abiti, pronti a cimentarsi nel ballo della neve. La figlia più piccola, quella di dieci anni, e mica tanto bella, indicò il vestito malconcio di Katherine ed urlò a squarciagola:
―Ci saranno servetti come quelli lì?― Mr Griffiths non guardò dalla sua parte e spinse la figlia verso l'entrata mentre l'altro figlio, quello maggiore, aiutava la madre a scendere dallo scompartimento e nel frattempo si prodigò ad osservare la camicia di Katherine abbastanza larga da nasconderle i prosperosi seni (o almeno lo sperava). La giovane si abbassò la coppola sul viso e ritenne che rimanere ancora lì poteva essere pericolo. Si era vestita in quel modo per un motivo esatto: doveva aspettare Henry. Quindi, con calma, si rifugiò tra i cespugli, sul retro della casa, seduta sulle radici di un albero nodoso, districando le gambe affusolate e dando uno sguardo al tramontare del sole che lasciava posto alla notte burlona.


Mrs Griffiths indossava un sontuoso vestito smeraldo con una fascia marrone scuro sotto i seni a stringerle ancor di più il busto appiattito. I suoi occhi volavano da una parte all'altra della stanza, le labbra rosse fuoco venivano intraviste dalla mezza maschera che nascondeva gli occhi indagatori. Vide il marito salire le scale verso i piani superiori e già biasimava la povera sgualdrinella che avrebbe dovuto sopportarne i mugolii. A tal pensiero le venne da ridere e per nascondere quel vago sorriso, si affrettò a trangugiar del vino bianco da un calice poggiato sui sontuosi e lunghi tavoli da buffet. La figlia era scomparsa dietro a qualche cameriera e suo figlio, invece, sedeva in disparte, con le gambe accavallate e un leggero sguardo incuriosito verso la folla, in cerca della giovane Katherine. Giusto, ecco, pensava, dove si era cacciata quella piccola ragazzetta? Mrs Griffiths si ravvivò i capelli biondi e quando il suo sguardo si posò su un uomo dagli occhi inquietanti, il suo carisma perse d'importanza e tutta ad un tratto si sentì nuda e vulnerabile.
Mr Mitchell indossava un gessato blu, stretto, il panciotto ben aderente al suo busto atletico e i capelli lasciati arruffati. La stava osservando.
Charlotte si godeva lo spettacolo in un remoto angolo dell'immensa stanza, seminascosta da una tenda, con un lungo vestito rosso che assomigliava tanto ad una veste da notte: copriva tutto e niente. Si inumidì le labbra con la lingua quando vide Viktor avvicinarsi alla donna dei Griffiths e notò che Mr Jenkins, intento a parlare con qualche stupido omaccione dello Stato, si accorse di questo scambio. Stupido uomo, pensava lei, si accorge di tutto e non di me.
―Siete incantevole, Miss.― Viktor sorprese Annabelle da dietro e la signora Griffiths trasalì.
―Oh, io non sono una miss... mio prode cavaliere.― Sussurrò lei, volgendogli appena il capo.
―Eppure il vostro corpo sprizza gioventù da tutti i pori.― La mano grande ed esperta di Viktor le sfiorò il braccio.
―Mio marito si delizia nei piani alti. Farebbe bene a non starmi così vicino qualora decidesse di scendere.― Viktor represse un sorriso e roteò gli occhi al cielo, questo modo ostinato non era altro che una seccatura, non si stava difendendo, stava civettando cosicché lui potesse trovarne rifugio senza pietà.
―Non potete negarmi un ballo, però. Non potrei sopportarne il dolore.― Con fare professionista abbassò di nuovo gli occhi sul pavimento e subito ne seguì la risata limpida della giovane donna.
―Come potrei solo vagamente rifiutare?― Rispose quindi prontamente. Viktor le strinse la mano in modo del tutto aggraziato e quando il violoncello attaccò con la sua più totale devozione, Le scarpette alte della donna si mossero verso il centro della sala e Viktor la seguì, lasciando libero il suo animo da ballerino. Volteggiare, congiungersi, separarsi, sinistra, destra, avanti e indietro. Sorrisi non concessi, sguardi sottintesi, soddisfazione. Il violoncello scandì le ultime note più dolenti, quelle più alte e allo stesso tempo più stridenti. I piedi smisero di muoversi e il seno della signora Griffiths minacciava di esplodere dall'interno del corpetto.
―Come vi muovete bene, Mr Mitchell―.
―Conoscete...― Viktor deglutì, ―il mio nome, milady?―
―E chi non lo conosce, Vik?― Sì, esatto, chi non lo conosceva Vik?
―Volete concedermi un altro ballo, signora?― Sorrise allora il precettore e Annabelle gli strinse il braccio, accennando degli occhi dolci e a malapena guardinghi verso le persone che li circondavano.
―Preferirei chiacchierare con voi, se ciò non vi disturba ovviamente. Preferirei... assaggiare meglio i vostri presunti ideali, chissà... forse seduti all'ombra di un albero, con la luna che...―
Viktor rise forte.
―Non impegnate i vostri pensieri in simili congetture, sarà un piacere semplicemente passeggiare nel maestoso giardino di questa tenuta.―
E l'uomo tese il braccio, e la donna posò la mano su di esso sorridendo mellifluamente, proprio come il sorriso che increspava le labbra di Charlotte. Quest'ultima si alzò di scatto dalla sua postazione e con una maschera tutte piume a ricoprirle il viso fin troppo marcato dal trucco, si diresse al centro della sala, verso le scale, e poi ai piani alti. Era nervosa quella sera, il biglietto che aveva ricevuto era stato capace di smuovere i mari e di riscaldare gli oceani, si sentiva una bambola di pezza ancora una volta usata a modo suo, Quell'uomo, quell'uomo andava distrutto. Annientato. Represso come un animale al macello. E non c'era nulla che potesse contrastare l'ardente fuoco dell'ira che scorreva nelle sue vene da immemori anni.


Daniel indossava un panciotto grigio, e i pantaloni e la giacca erano di un marrone scuro, i capelli neri e lunghi erano stati legati in un codino all'indietro e resi gelatinosi. I suoi occhi guardavano fisso lo specchio dinanzi a sé e le scartoffie posate sul tavolo a fianco. Si morse la lingua mentre parole sconnesse fluivano lentamente nell'alveo della sua mente e drizzò le spalle quando indossò una maschera color del panciotto che copriva i suoi occhi brillanti, traboccanti di ispirazioni e desiderosi di un amore carnale, lasciando a qualcun altro quella tortura platonica.
Uscì dalla sua stanza con molta calma e si diresse sulle scale, scendendole. La sala che aveva davanti era maestosamente splendida, ogni cosa brillava, ogni cosa era meticolosamente posizionata nella giusta parte. Si sentì riscuotere da tanta meraviglia, soprattutto perché la chioma rossa fuoco intrappolata in un alta crocchia scosse il suo animo e lo fece sussultare. Era una dea? Una dea tra gli uomini? Era Erato? La dea che provoca desiderio? Esattamente, lei era la sua Erato, uno sprizzo di felicità, di esaltante sicurezza. Il cuore di Daniel perse un battito, perché quando Wendy si girò, si accorse vivamente della sua maschera. Lei si era vestita da Erato.
Sussultò.
Gli occhi celeste profondo inchiodarono quelli di Daniel e tutto si basò su un gioco di luci e di gente che li divideva. Wendy gli sorrise. Un sorriso dolce, eppur c'era una punta di malizia in tutto ciò. Gli girò le spalle e Daniel poté scorgere la schiena nuda, piena di lentiggini, bagnata totalmente dai baci umidi del sole. Il giovane poeta allentò la presa del papillion e si immerse nella mischia.
Voleva raggiungerla.
Wendy però volteggiava lontano da lui, muovendo le sue sottogonne, zampillando di felicità e ridendo.
Dall'altra parte della stanza, il Conte Ermakje parlava con un ometto tarchiato ed inetto.
Wendy volteggiò attorno tutta la sala e Daniel si ritrovò quasi senza fiato quando la vide salire le scale. Di nuovo!, pensò.
La seguì quindi. Erano al primo piano e Wendy ora non volteggiava più, correva. La cristallina risata fu da sensore per Daniel che la seguì come un segugio, il cuore che gli batteva a mille e le parole che strusciavano in tutto il suo corpo, il desiderio di lasciarla scappare, e quello di intrappolarla nella sua anima, di renderla finalmente parte di se stesso.
Nel buio opprimente di quel piano che aveva sempre evitato, visto che alloggiava al secondo, si sentì per un attimo spaesato, ma presto la risata ritornò a colorare la sua caccia a tesoro e il rosso vivo che si chiudeva una porta sulla sinistra lo rianimò.
Quando aprì la porta ed entrò nella stanza rimase sbalordito da ciò che trovò. Non era uno studio, neanche una delle biblioteche usate dalla famiglia. Era stretta e lunga, sui pavimenti giacevano tappeti di ogni tipo e alle pareti c'erano quadri su quadri. Tutti rappresentavano la capigliatura dei suoi sogni, la sua musa ispiratrice. Si chiede se non stesse sognando, ma quella risata non poteva infilarsi nei suoi sogni con tanta nitidezza.
La musica di una lira lo scosse dai suoi pensieri e lasciandosi trasportare da quelle note, attraversò la stanza, fino a che la chioma rossa, nascosta in un angolo, non si fece largo nella sua mente.
―Oh, mi avete trovata...― smise di suonare. Daniel trattenne il fiato.
―Erato...― sussurrò lui, ma con un tono così basso da essere appena udito dalla giovane.
―Bello e persino intelligente.― Rise Wendy, lasciando cadere la lira e lasciando il suo posticino sicuro. Si avvicinò al giovane poeta, le vesti strusciarono vicino ai suoi fianchi, la ragazza gli diede nuovamente le spalle ma non scappò questa volta.
―Vi piace?― gli domandò caustica, inarcando le spalle verso l'esterno. Daniel non aveva più parole, poggiò le sue lunghe dita sulla schiena nuda e tracciò i lineamenti di quel gioco di stelle.
Wendy gemette; sentiva il suo corpo fremere al tocco, un calore improvviso irradiarsi per l'intera schiena ed ogni nuovo lembo di pelle che scopriva era come un bruciore improvviso, inguaribile, una scottatura afrodisiaca, che le recava piacere e allo stesso tempo dolore.
Cosa era mai tutto ciò? Che cosa le stava facendo? Il corpo di Daniel non rispondeva più ai suoi comandi, la sua razionalità era nulla in confronto alla passione che traboccava da ogni poro della sua anima.
―Sapevo che foste bravo con le mani ma non immaginavo mica che... oh...― L'aveva stretta per i fianchi con ambedue le braccia e la sua bocca si era insinuata, non sapeva bene come, sulla scapola della donna. I baci languidi che gli stava lasciando erano una tortura non indifferente, la scia di dolore sulla sua schiena mischiata alla voglia di volere di più, sempre di più. Sentì un po' della barba ispida recarle qualche graffio superficiale sul basso della schiena. Wendy non aveva più fiato, non aveva più niente, si sentì spoglia, e altamente indifesa.
―Cosa state facendo, mio cavaliere? Non potete...― Rise. Daniel dovette staccarsi, imperturbabile, in balia di sensazioni, sentimenti contrastanti. In balia di un cuore che minacciava di esplodere. Sentiva già il rimbombo dell'esplosione farsi ego nelle orecchie.
Wendy si girò, di scatto, e gli sorrise. Tolse la maschera che le copriva il viso e Daniel poté ammirare tanta bellezza in così poco spazio.
―Siete una scarica di adrenalina, mio cavaliere. Lo sapevate?― Si avvicinò lentamente e Daniel non indietreggiò, anzi, le venne incontro.
―Ho la schiena a pezzi per colpa vostra.― Sussurrò lei. E lo stesso sguardo languido di prima si poggiò sulle sue labbra. Il bruciore della schiena era pari al bruciore del suo cuore, al bruciore delle dita di Daniel che l'avevano toccata, era qualcosa che nasceva da dentro e li distruggeva ad ogni nuovo tocco.
―Sono la musa del desiderio, signor mio. Mi desiderate?― Ridacchiò lei, alzando gli occhi verso quelli di Daniel e lasciando che i visi si avvicinassero sempre di più, in modo possessivo, come due calamite divise per troppo tempo.
Daniel sentì il suo respiro caldo sulla faccia mentre si impadroniva, finalmente, delle morbide labbra. Questa volta non ci fu nessuna scottatura o bruciore. Questo nuovo tocco fu come il fuoco più ardente. Avvamparono come fiamme e le lingue danzarono come piccoli rametti di legno che si crogiolano su carboni ardenti. Fu il bacio più bello che Wendy ebbe mai ricevuto. Fu un turbinio di vita e morte. Fu mancanza di aria, mancanza di verità. Morirono quel giorno, e risorsero come fenici dalle loro ceneri e dal loro amore più remoto.
―Oh, George...― gemette Wendy sulle labbra di Daniel.
Lì l'incantesimo si spezzò. Il poeta si allontanò e corrugò la fronte.
―Cosa c'è?― domandò lei, cercò di afferrargli il braccio ma lui indietreggiò sempre più. Ora spaventato. Ora sconvolto.
―Oh, mio conte, hai ancora voglia di giocare?― Gli sorrise.
Fu troppo, il castello di vetro del poeta si frantumò e questa volta dovette lui scappar via da quella stanza.
―George! George dove stai andando? GEORGE!―
Il nome del conte era una spada affilata dopo aver raggiunto l'apice della felicità.



Quando Henry bussò alla camera numero 3, non riusciva a trattenere un ghigno di divertimento. Il lungo abito color cremisi gli cadeva a pennello, gli stracci erano stati riposti dove lì doveva sorgere tecnicamente un seno prosperoso, e la parrucca di un biondo scambiato gli penzolava dalla testa minacciando di cadere da un momento all'altro. I tacchetti che calzava ai piedi erano davvero un incubo, sentiva già le vesciche che si formavano sul tallone. Perché stava facendo tutto ciò? Burla, burla e solo burla! Amava le burle, amava prendere in giro la gente, ma sapeva anche che presentarsi davanti la tana del lupo non era consigliabile. Amava pure il pericolo, quindi.
Gerard rimase sbigottito quando aprì la porta della sua stanza, non si aspettava che le donne del ballo decidessero di rischiare in presenza dei mariti.
―Posso entrare?― Apparentemente la voce di Henry era poco femminile, più stridula.
―Prego...― sussurrò Gerard lasciandolo passare.
―Cosa ci fate qui? E... conciato in quel modo!― aggiunse dopo aver chiuso la porta. Henry rise ed alzò le braccia al cielo.
―Pensavo che presentarmi davanti alla porta di uno gigolò nelle mie vesti abituali potesse destare curiosità a persone poco... gradevoli, ecco. E poi non volevo essere preso a pugni. Non puoi prendermi a pugni, santi numi! Io sono una giovane donna attraente finché...― rise più forte, ―Non mi alzi la gonna.― Gerard si morse la guancia interna allibito e scuotendo il capo andò a versarsi un bicchiere di gin.
―Favorite?― Lui era irremovibile sulle formalità. Non gli andava giù quell'Henry.
―Assolutamente no.― D'altro canto il signorino Jenkins iniziò a soffiarsi con un ventaglio poggiato lì sopra e si buttò letteralmente sul letto di piume, alzando le vesti e coprendosi poi il viso in modo civettuolo.
―Devo chiedervi di andarvene, allora. Se non ve ne siete ancora reso conto, io sto lavorando.―
―Sì, dicono tutti così, o più o meno. Ebbene, com'è portare a letto una miriade di signore e sentirle mugolare come delle gattine indifese? Dev'essere bello... oppure è solamente una scocciatura?― Henry sorrise, Gerard corrugò la fronte.
È il mio lavoro, ora andatevene.― Henry schioccò le dita e guardò il ragazzo davanti a lui: era bello, bello per via del suo lavoro, bello perché non c'era malinconia nei suoi occhi ma solo rassegnazione. Lo incuriosiva.
―Mi era parso di capire che devo dimenticarvi, mi è parso di capire di esservi totalmente estraneo..., o sbaglio?― continuò.
―Ho chiesto del Gigolò e mi è stata indicata questa camera, sai? Dovresti essermi grato.― disse Henry senza dar peso alle parole dell'altro.
―Cosa volete?―
―Recarti piacere, mio caro.―
Gerard rise.
―Come, prego?―
―Davvero passare l'intera notte in balìa di quelle donnette ti... ti attrae?―
―È il mio lavoro, sir. Ed ora uscite da qui. IMMEDIATAMENTE.― il tono di Gerard si fece più perentorio.
―Facciamoci una partitina a poker, se vinci tu me ne andrò, se vinco io...―
―Una partitina a carte? Oh, voi avete perso il senno.―
―Accetti?― Tagliò corto Henry mentre si sedeva su una poltrona di fianco ad un tavolino in velluto rosso.
―No.―
―Bene. Allora mi prendo con la forza ciò che voglio.― E rise ancora.
―E cos'è che volete, sir?― un tono canzonatorio che non piacque ad Henry.
―Non prenderti beffa di me.―
―Ora spiegatemi come non potrei...― questa volta fu Gerard a ridere.
―Il foglietto... che fine ha fatto?―
―È questo che vi interessava? Che fine avesse fatto il foglietto?―
―Oh, non solo...― lo sguardo di Henry percorse il corpo di Gerard che avvampò.
―USCITE.DI.QUI.ORA!― A passo falcato assalì Henry, arrabbiato, deriso, ferito nell'orgoglio.
Ma quest'ultimo era più forte, lo prese per le braccia, lo bloccò, si alzò dalla poltrona e fece sedere il suo assalitore, tutto questo con una gonna svolazzante e il rossetto sulle labbra.
―Le donne non si toccano, non lo sapevi?― sussurrò Henry. Avvicinò il suo viso a quello di Gerard e i loro occhi si incontrarono in modo possessivo.
―Cosa c'era scritto nel foglietto? Tu lo sai.― Gerard alzò le sopracciglia e si dimenò senza risultati. Henry non avrebbe permesso che gli fosse di nuovo fatto del male da quel bamboccio.
―Cosa c'è?― Rise Henry stringendo di più la presa sui polsi, ―fremi al mio tocco, bambolina?―
Quando Gerard gli sputò in faccia sembrò tanto una scena a rallentatore. Disgustoso, si pensava, eppure non fu così.
―Vattene― sibilò il gigolò tra i denti.
Henry lo lasciò andare e si ricompose.
―Vediamoci tra due giorni al Caffè che si trova fuori la strada de “Le Dommage”. A Londra. Toccherà a te presentarti da donna.―
―Certo, puoi contarci. Ci sarò senz'altro.― lo schernì Gerard.
―Sì, esatto, ci sarai.― Henry invece era serio.
Si riempì un bicchierino di gin e si diresse alla porta. Quando l'aprì per uscire, si volse a guardare il ragazzetto e gli disse freddamente:
―Perché non te ne fai una ragione? La cavità di una donna non fa al caso tuo, mio giovane amico. ―


Katherine, nascosta tra i cespugli con i suoi abiti maschili, la coppola ben calcata sulla testa, si sentiva in uno stato fortuito. Era un maschiaccio esasperante, lì, tra il verde, che guardava la casa e si teneva ben al riparo dietro gli alberi.
D'un tratto però, mentre i mille pensieri le vorticavano in testa, sentì i passi di qualcuno che scricchiolavano sul letto di rametti e foglie.
Incuriosita si spostò dalla sua postazione e con una certa calma si avvicinò alla villa, nel retro, dove il buio era appena sconfitto dalla luce delle candele all'interno. Era proprio sul punto di fare un passo falso, quando scorse davanti a lei un tronco di albero che sbarrava la strada in modo artistico, deviò per un poco, seguendo con meticolosità quei passi e quei rumori indistinti. Non vedeva bene, non riusciva a scorgere le sagome, eppure era curiosa... e non sapeva dirsi perché.
Infine, sempre più vicina e sempre più guardinga, udì ansimare e degli schiocchi che la lasciavano indugiare.
Appoggiati alla parete esterna sul retro della casa, la signora Griffiths si dava da fare avvinghiata ad un uomo. Katherine scorse i familiari capelli biondi ma non riuscì a capire chi fosse la testa di quell'ometto del tutto presa nel baciare i seni scoperti della donna. Katherine capì che non era il marito, non poteva essere il marito. Sarebbe stato abbastanza monotono se fosse stato davvero il marito, e quindi, volendo capire chi fosse l'altro, si avvicinò incautamente ai due amanti.
Ciò che la tradì fu la luce fioca delle candele che la illuminarono in parte ed anche dal rumore dell'erba alta calpestata dai suoi stivali di gomma. Annabelle fu la prima a vederla e sul volto di Katherine si dipinse stupore e pudore.
―Per l'amor del cielo, oh, oh... OHHH!― la donna non gemeva più per le fusa dell'uomo e lui se ne accorse, staccandosi immediatamente, ―PRENDILO VIKTOR! PRENDILO!― Urlava ora lei. Il precettore della ragazza si girò verso dove lo stava indirizzando la donna e non vide altro che un ragazzetto pulito e sotto shock. Stava per dire qualcosa ma Katherine si riprese quasi sul momento e dopo un paio di secondi di puro stupore, esso si trasformò in ira e il ragazzo/donna voltò le spalle ai due amanti e cominciò a correre come un cerbiatto nella radura.
―Acciuffalo, mascalzone!― urlò ancora Annabelle strattonando il virile uomo.
E Viktor, ripresosi anche lui, iniziò a correre dietro a quel farabutto di un ragazzo curioso. Gli avrebbe dato lui qualche lezione di anatomia: a sculacciate!
Il giardino di casa Jenkins era immenso, e dietro la villa e il boschetto, c'era una grande raduna divisa dalla proprietà con un'alta staccionata. Katherine corse più veloce del vento verso di essa, balzando elasticamente. Non seppe neanche lei come riuscì a superare la staccionata e continuare la sua ardua corsa, ma sapeva che Viktor, dio era proprio lui quello che palpava la vecchiaccia!, la stava seguendo e che per superare quell'ostacolo ci avrebbe messo un po' con la gamba che si ritrovava.
Corse, corse ancora, sentiva l'aria pungente trafilare dalla camicia, sentì i piedi dolerle fino a farla cadere, sentì le gambe che correvano ancora per conto suo, e sentì il petto che si imbatteva sul terriccio, come la testa, e il cappello volava via. E le mani toccarono acqua sporca. Alzò lo sguardo per vedere dov'era finita e scorse lo stagno a pochi centimetri di distanza dove da piccola veniva con Henry a schizzarsi di fango. Sorrise, lasciando che i muscoli si rilassassero.
E poi venne strattonata, non represse un urlo di spavento quando Viktor la rimise in piedi e la trascinò nello stagno salmastro.
―LASCIAMI! LASCIAMI! BRUTTO BASTARDO!― Urlava Katherine mentre il suo precettore le infilava la testa nell'acqua.
―La buona educazione, Kath. Sono pagato per questo.― Traspariva ira dalle sue parole e Katherine si dimenava, stanca per via della corsa, vogliosa di prenderlo a calci e pugni nell'inguine.
―Lasciami! Sei solo un porco!― E di nuovo sott'acqua.
La ragazza non si lasciò intimorire, lo afferrò per la gamba e lo strattonò a sua volta cercando di farlo cadere, ma era troppo muscoloso, troppo forte, troppo virile per essere soggiogato da una mocciosetta.
―Sei... stata... indiscreta...― continuava lui tirandola per i capelli.
Infine Katherine ci rinunciò, le gambe ora lanciavano fitte e aveva trangugiato troppa acqua stagnante.
Premette il suo corpo a quello di Viktor e si afflosciò come un fiore appassito. L'uomo la strinse a sé e la rimise in piedi, tenendo ben salde le sue mani sui fianchi stretti della ragazza. La camicia che aveva indosso era tutta bagnata ed i capezzoli erano ben visibili. Viktor lasciò che lo sguardo vagasse su quei piccoli e pieni seni e poi la strinse a sé con fare possessivo.
―Perché sei vestita da maschio, eh? Volevi far colpo su di me?― Katherine non rispondeva, aveva gli occhi bassi, cercava di trovare una via di fuga. Un appiglio per sparire da quelle braccia virili, un appiglio per non lasciare che le lacrime sgorgassero dai limpidi occhi celesti. Allora lui la strinse più forte al suo petto e le alzò il mento con un dito.
―Lasciami andare...― gemette lei.
―In queste condizioni?― Le domandò gentilmente lui.
―Ritorna dalla tua bella puttanella!― digrignò tra i denti Katherine e l'uomo scorse un lampo di ira nelle limpidi iridi.
―In questo momento vorrei solo continuare a sentire la pressione del tuo corpo sul mio, credimi.― Sussurrò e per la prima volta Viktor non aveva premeditato quella frase. Era uscita di getto, con troppa velocità.
―Dovrei emozionarmi ora?― Che carina, pensò.
―Allora smettila di fremere ogni qualvolta che ti tocco...― da quand'è che erano passati al tu? Katherine aveva il viso arrossato, i capelli appiccicati in testa dopo il bagno, così come i calzoni.
E Viktor la trovava stupenda.
―Lasciatemi andare, Mr Mitchell. Non rendiamo le cose ancor più imbarazzanti.― E subito al voi. Cercò di svincolarsi ma l'uomo le prese il viso con entrambe le mani e se lo avvicinò irrimediabilmente al suo.
―Perché tremate?― Katherine strinse le labbra.
―Perché mi fate schifo, ecco perché.―
―Smettetela di essere gelosa, non mi piacciono le donne gelose...― Katherine si sentì avvampare. Voleva solo uscire da quell'acqua sporca e ritornare a correre. Lontana da lui.
―Io non sono gelosa!― riuscì solo a dire, infine.
―Ah no?― E il viso di Viktor si avvicinava impercettibilmente mentre Katherine si ritrovava sempre più incastrata, con sempre meno vie di fuga.
―Lasciatemi, lasciatemi, lasciatemi! Brutto porco, non toccatemi con queste manacce!―
A quelle parole l'uomo indietreggiò di qualche millimetro ed alzò un sopracciglio, apparentemente irritato.
―Cosa vi prende Kath? Davvero vi ha dato fastidio che io abbia toccato un'altra donna? Volevate essere lei al suo posto?―
A tali parole Katherine non ne potette più, piantò gli anfibi nella melma con decisione e si menò sul suo precettore con una violenza non concessa alle signorine di buon rango.
―Le vostre insinuazioni mi fanno così ribrezzo da non meritar risposta alcuna, credetemi voi adesso.― Lo picchiò. Picchiò forte. Gli diede pugni e calci sul petto muscoloso, cercò di trovare i suoi punti deboli e alla fine, purtroppo, si ritrovò ancora più bloccata dalle sue gambe e dalle sue braccia.
Viktor, dopo che si ebbe presumibilmente calmata, le fece lo sgambetto e con un urlo Katherine cadde totalmente nello stagno. L'uomo allora, con un ghigno beffardo, la raggiunse ed entrambi finirono testa sott'acqua. Katherine cercava di liberarsi i polsi, di non bere ma ogni suo tentativo sembrava vano di fronte alla forza disumana dell'uomo. In quell'acqua verde si sentiva anch'essa una pianta, da piccola non aveva mai fatto caso a quanto fosse profondo in verità lo stagno e la sua mente ora bramava semplicemente di uscirne.
Il suo precettore, se così poteva essere ancora chiamato, l'attirò ancora una volta a sé, cingendole i fianchi con un braccio e con l'altro premette la testa della ragazza contro la sua.
Le loro labbra si toccarono irrimediabilmente, come le ali di una farfalla che si riuniscono la sera dopo tanti battiti in aria. Viktor allora si decise a riportarla a galla e la lasciò libera.
Eppure lei non se ne accorse. Il suo cervello di odio si era spento appena aveva sentito quel contatto umido. Appena ebbe compreso di aver realizzato il sogno del suo subconscio.
Avvinghiata con le gambe attorno alla stretta vita di lui, Katherine ora toccava quell'ala vellutata. La passione traboccò come mai aveva fatto, sentì il suo corpo stringersi sempre più all'altro e la sua bocca ormai assaggiava il dolce languore di quel bacio, il sapore di stagno, di vino, la morbidezza e la pienezza di quelle labbra, di quei due lembi che tanto la facevano dannare ma contemporaneamente riempivano un vuoto nella sua vita che mai avrebbe pensato di riuscire a colmare. Poi assaggiò qualcos'altro. Qualcosa di sgradevole. Qualcosa che riportava drasticamente alla realtà, come un balzo improvviso e di cattivo gusto. Il rossetto di un'altra. Quando giunse a tale conclusione, l'ala si affievolì e la donna riprese pieno possesso delle sue azioni.
―Sporco approfittatore! Maniaco!― Urlò in preda a degli spasmi. Il signor Mitchell rise forte ed alzò le mani in alto. Quel sorrisetto! Come le sarebbe piaciuto farlo sparire...
―Oh, mia cara, guarda che non sono stato io ad assalirti...― e allora Katherine si accorse di essere stata lei l'artefice di tale passione. Una passione che se n'era andata. Una passione falsa. Lei lo odiava. Lei non riusciva a tollerare la sua presenza. Lei non riusciva a non pensare al suo viso affondato nei seni di quella brutta e sporca donnetta. Immediatamente si staccò e con due sani schiocchi lo schiaffeggiò ancora una volta.
―Per l'amor di Dio, non sono il tuo capro espiatorio!― Sbuffò Viktor mentre la ragazza indignata usciva dall'acqua a grandi falcate.
―Siete un approfittatore! Dirò a mio padre di cacciarvi. Non ho la benché minima intenzione di avere come insegnante un pervertito!―
In tutto il suo splendore Viktor la seguì e quando le fu ad un metro di distanza e sentì l'erba bassa solleticargli al di sotto del pantalone zuppo, si premunì di risponderla:
―Cosa le direte esattamente, milady? Che eravate vestita da uomo? Che avevate intenzione di sabotare il ballo? Che mi avete visto nelle braccia di un'altra e per questo la gelosia vi ha accecata a tal punto da schiaffeggiarmi e poi da baciarmi in modo... oh, oltraggioso! Tutta quella passione dov'era nascosta, milady?–– rise, ––Siete ridicola.―
Katherine alzò la testa verso quella dell'uomo e con un nasino impertinente sibilò:
―Non osate più toccarmi.―
Seppur quelle furono le sue ultime parole, nell'aria c'era un senso di incompletezza.
La ragazza amareggiata si rifugiò sul retro della villa e quando scorse la figura di Henry, cercò di apparire al massimo della sua compostezza.
―Ma cosa hai combinato?― Le domandò il fratello.
―S-Sheila mi ha cacciato fuori, mi dispiace.―
Il cipiglio di Henry la sapeva lunga. Si era cambiato, lui. Era andato tutto liscio, a lui. Si sentiva stupida, lei. Si sentiva tremendamente a disagio con il sapore amaro di Viktor sulle sue labbra screpolate.
―Su... ti porto in camera.―
Il calore di un fratello però non riuscì a compensare il freddo di un tradimento dell'anima.


Se Katherine era stata oltraggiata sin nell'orgoglio, Wendy era totalmente scossa. A piccoli passi si muoveva nella mischia della sala e cercò di non bere ulteriore alcolici finché non avesse ripreso il filo logico delle cose.
Era ferma in tutta la sua bellezza, ardente come il fuoco e fredda come il ghiaccio, in disparte nella stanza. Teneva le mani tremanti tra il velluto oro del vestito luccicante e i suoi occhi vagavano alla ricerca di qualcosa che potesse iniziare vagamente a darle una risposta a ciò che appena aveva vissuto. Si sentiva flaccida. Le sue energie erano state risucchiate via e i lembi di pelle bruciavano ancora tanto da accelerarle il battito cardiaco.
Era proprio sul punto di lasciar perdere quello stupido ballo e cercare un nascondiglio isolato quando qualcuno le strinse i fianchi. Wendy arrossì e non provò a girare la testa, per paura che il presunto George potesse scappare di nuovo.
Le labbra dell'uomo si posarono sulla schiena, proprio come un'oretta prima.
Le labbra dell'uomo lasciarono una scia umida di baci proprio come un'oretta prima.
Le labbra dell'uomo non bruciarono la pelle diafana di Wendy, diversamente da un'oretta prima.
―Ti ho trovata...― la voce greve del conte le procurò piccoli brividi per tutto il corpo.
―Oh, conte, perché siete scappato?― sussurrò Wendy.
―Scappato? E smettila di darmi del voi.― Un risolino.
Wendy si girò verso George Ermakje e gli sorrise mellifluamente.
―Ti ho cercato per l'intera serata. Dove ti eri cacciata, eh?―
Il sorriso scomparve.
―Vi piace il mio costume?― Tentò allora Wendy facendo una lieve giravolta.
Fu il conte a sorriderle e annuì appena.
―Delizioso.―
Non aggiunse altro. Non disse altro. Il cuore della giovane donna cominciò a dolerle e captò l'irrimediabile bisogno di allontanarsi dal suo promesso sposo.
Lei era Erato, eppur per il suo cavaliere non era altro che deliziosa.


Spazio scrittrice: No gente. NON FIATATE. Cos'è che avevo detto l'ultima volta? "A TRA UNA SETTIMANA"? Bene, siete liberi di bastonarmi. Ma so, so per certa, che dopo questo capitolo SUPERMEGALUNGHISSIMISSIMO voi non avete più il coraggio neanche di guardarmi in faccia é-è.
Gentaglia, io sono sconvolta. Ho passato gli ultimi tre giorni ad ultimare questo GRANDISSIMO CASINO e non ho più forze.
Volevo ringraziare Eiirin, Lotiel, ThanatoseHypnos e Viktoria Brennan per aver recensito e per avermi supportata.
L'estate è iniziata da un secolo ma solo ora mi sto pregustando il momento di scrivere questa storiella giornalmente. Quindi i prossimi capitoli saranno mooolto più veloci. Niente due settimane, niente mesi, al massimo una decina di giorni.
Basta. Ho parlato troppo. Viktor distrugge, Gerard ed Henry mi fanno morire e la poesia all'inizio del capitolo sono i versi dedicati a Wendy da Daniel. Katherine è il fuoco.
Piango. E addio.



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