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Autore: Francesco Coterpa    19/07/2014    1 recensioni
Finché l'ultimo uomo non sarà salvo, la guerra rimarrà l'unica fonte di salvezza; l'ultimo spiraglio di luce nel mare di tenebre che offuscano la breve e vuota vita; l'unico desiderio al di sopra della propria sopravvivenza, che permette di sacrificare la propria anima perfetta per poter raggiungere una pace temporanea.
Genere: Guerra, Introspettivo, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità, Antichità greco/romana
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Come possono un ammasso di schiavi, liberti ed ex soldati, mettere in scacco uno degli imperi più grandi e potenti della storia nota all'uomo. I passi erano forti sul lastricato di marmo, l'armatura era già scintillante all'ombra. L'imperatore teneva l'elmo sotto il braccio destro e la lunga spada con un fine rivestimento d'oro nel fianco sinistro. Gli occhi inespressivi erano come dardi scagliati sul nulla dinnanzi a lui. Al suo seguito due ufficiali e due senatori. Mai nella storia accadde una cosa del genere. I ticchetti dei ciondoli delle pesanti e possenti armature e i fruscii dei mantelli lunghi che toccavano quasi in terra erano gli unici frastuoni che rompevano il silenzio che aleggiava nel palazzo e fuori. Non poteva allungarsi fino all'infinito il corridoio che portava all'uscita ricca di raggi dorati del sole di pomeriggio.

Ci vollero solamente poche ore per organizzare l'esercito intero e preparare una prima e valida strategia d'attacco e di marcia. Nessun gabbiano quest'oggi tagliava con le sue fresche e libere ali le bianche e poche nubi del cielo. Il mare era piatto, l'acqua era uno specchio limpido senza pieghe. Le imbarcazioni di tutti i tipi erano state fermate e armate per la partenza delle truppe. Le porte delle case erano state barricate e le vie, sempre piene di mercanti e curiosi, erano deserte. Sulle finestre croci rosse, un rosso vivo come il sangue.

I capelli erano fermi fino a quando non uscì dal vecchio e robusto portone che dava alla immensa piazza. La luce rifletteva la lucida armatura ancor più di prima, le barbe dei senatori erano bianchissime e gli ufficiali stavano ritti in silenzio. Nessuno parlava. Nessun rumore spezzava la monotonia del silenzio. Tutto taceva.

Gli sguardi di quasi centomila uomini erano fissi su un solo punto sopraelevato, lì sulle gradinate di marmo vi era l'unico uomo che teneva in mano le terre d'oriente. Tanto potere concentrato nella mente e l'ingegno di un unico uomo. Mentre si alzavano piccoli soffi di vento dal mare un senatore avanzò lentamente e porse, con un lieve inchino, una pergamena bianca senza più sigillo. La mano dell'imperatore la afferrò senza volgere né il capo né lo sguardo a chi gli stava porgendo il prezioso documento. Senza l'esitazione che lo aveva segnato poco tempo prima, srotolò la pergamena e la mostrò all'esercito. Il documento oscillava leggermente per via del vento caldo d'oriente, ma non vi era alcuna necessità di tenerla ferma per leggere. Anche soldati posti a buona distanza riuscirono a comprenderne il significato. In breve tempo partirono bisbiglii, sconcerto, anche qualche lacrima di incredulità. In pochi, forse i più forti anche in battaglia o i più anziani e più esperti, mantennero i nervi saldi e riuscirono a rimanere imperturbabili, immobili. Come era possibile. Come si era arrivato a tanto.

La potenza più grande dai tempi del fragile ricordo umano aveva sottovalutato a tal punto un nemico, fino ad arrivare a questo. Era inconcepibile, le ripercussioni sarebbero state tremende ed immediate. I confini sarebbero saltati in brevissimo tempo e avversari di ogni tipo sarebbero piombati nei territori dell'impero. I commerci sarebbero implosi fino a sparire, le casse dello stato sarebbero si sarebbero presto svuotate, il popolo si sarebbe ribellato e così sarebbe sorta anche la guerra civile che molto probabilmente avrebbe dato il colpo di grazia alla cadente struttura imperiale. Le soluzioni a tale tragedia potevano essere solamente due, la separazione dei territori, con salvezza di metà dell'impero o il disperato tentativo di recuperare metà dell'impero in un tempo tanto breve che non avrebbe permesso una fuga di notizie né rivolte o invasioni.

Per il momento solo le due città e poche altre sapevano cosa era successo, il resto del mondo ancora ignorava il tutto e tale situazione doveva durare almeno fino a quando non sarebbero andate meglio le cose, almeno fino a quando l'ago della bilancia non avesse iniziato a pendere dalla parte dell'impero. Questa era una delle poche armi a disposizione dell'imperatore. Se vi fosse stata una fuga di notizie sarebbe stato impossibile recuperare i territori perduti e la rottura tra le frazioni sarebbe stata inevitabile.

Come era stato possibile perdere un esercito tanto grande nel giro di mesi. È stata una follia, non vi è alcuna spiegazione razionale. Si erano combattute guerre molto più difficili e svantaggiose, ma mai si era arrivato a tanto, mai la storia fu tanto vicina da cambiare in modo tanto drastico.

Le mura impenetrabili erano cadute. Le pietre mai scalfite erano state spezzate e ridotte in semplice calce al vento. Mai, mai l'impero subì una disfatta simile.

Vi era nervosismo e voglia di combattere nella piazza. I soldati continuavano a a bisbigliare tra loro. Le armi come se impossessate da una strana entità divina erano scosse contro il ferro delle armature. Gli scudi alti e robusti erano come colonne saldamente saldati al terreno. Gli elmi erano lucenti quasi più del sole e riflettevano e raggi rendendo difficile la visione chiara dell'intero esercito. Gli stendardi erano alti contro gli dei malvagi che avevano architettato il piano della caduta, e come una decisa sfida si agitavano tra i leggeri soffi della brezza marina che saliva.

Il mare era pronto ad accogliere i caduti e i vincitori, la terra era già scavata e i tumuli di pietra erano già creati da madre natura. Non vi erano mezzi termini per questa guerra. Non poteva esistere la pace. O si conquistava la vittoria o la sconfitta. La vittoria avrebbe permesso di ricostruire la sede del potere, la sconfitta avrebbe invece fatto decadere ogni speranza e avrebbe probabilmente messo in ginocchio anche l'oriente. Non si poteva mai scherzare in guerra, specie contro un nemico così imprevedibile e forte. Gli errori non erano concessi, anche un piccolo sbaglio avrebbe potuto rovinare l'intero progetto, l'intera guerra, portando dunque ad una sconfitta totale. L'occidente aveva già dato prova di come anche con una potenza in grado di sottomettere il mondo intero non vi era comunque la certezza di una vittoria. Senza strategia era stata la difesa, erano stati bestie che cercavano di spolpare una preda senza rendersi conto che la preda erano loro stessi. Continui errori di calcolo, strategie sbagliate, poca preparazione dell'esercito, arroganza, erano stati questi i fattori principali che avevano infine decretato la sconfitta.

A tutto aveva inoltre contribuito la buona preparazione dell'esercito avversario, un buon comando, ma soprattutto, la strategia, anzi le strategie. Ogni passo era stato calcolato con una precisione incredibile, stupefacente. Ogni fendente era stato previsto attentamente. Loro avevano certamente lo svantaggio numerico e territoriale, ma potevano ben vantare uno dei comandanti e uno degli strateghi più abili.

Dai primi scontri vinti, alle battaglia nei territori dei Galli, fino alla discesa dalle Alpi, tutto è stato incredibile. Poche perdite, abili manovre, arruolamento continuo di soldati, continui allenamenti e forte spirito avevano portato un gruppetto di semplici schiavi alla vittoria sulla maggiore potenza del mondo.

Il vento si placò del tutto e il rotolo di pergamena srotolato non si muoveva più. L'imperatore alzò la gamba destra, poi la sinistra, ed iniziò a scendere gli ampi gradini fino a giungere all'ultimo. L'esercito ripiombò nel silenzio. Egli si diresse tra le file tenendo in mano la pergamena in modo da mostrarla chiaramente a tutti. Passarono diversi minuti sanciti dal passo ferreo dell'imperatore tra i soldati. Poi, raggiunta la fine della piazza, si girò e tornò indietro, sicuro di aver fatto vedere a tutti il rotolo. Con calma e sguardo fisso e freddo tornò verso i gradini, con la mano destra tenente l'elmo e la sinistra, rigida in avanti, il documento. Risalì verso l'ingresso. Guardò i senatori e i comandanti, i primi con il capo piegato i secondi invece con lo stesso sguardo gelido dell'imperatore.

Si voltò verso l'esercito, l'asciò cadere a terra la pergamena aprendo lentamente la mano che poi fece scivolare verso il fianco sinistro. La mano destra fece cadere l'elmo troppo pesante per il caldo afoso. Il silenzio continuava a regnare sovrano nella piazza e nella città intera. La mano destra si diresse verso l'impugnatura della spada, la prese stretta, poi la sfilò lentamente mostrandola a uomini e dei. Il luccichio della lama era come un faro perso nel mare di notte che permette alle anime sparse di trovare la via del ritorno. Il vento si alzò ancora e la pergamena caduta ai piedi dell'imperatore si alzò in volo.

Il contenuto non c'era. I lati erano completamente bianchi, vuoti. L'inchiostro non aveva mai toccato quella superficie. Nessuna mano aveva mai provato a scriverci sopra. Roma era caduta. Mentre nel silenzio tutti fissavano un unico punto lucente sopra i gradini, il documento sparì tra i soffi del vento, confondendosi con le bianche nuvole.

--- Volevo scusarmi per l'attesa del capitolo. Ho avuto diversi problemi tra rete internet e salute però ora tutto bene quindi si riparte! --- Volevo inoltre ringraziare Alima per la sua puntualità e interesse e per le sue correzioni! grazie mille! :) ---

  
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