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Autore: Donixmadness    20/07/2014    2 recensioni
La vita ci mette, alle volta, dinnanzi a scelte tanto difficili quanto importanti.
Non è ammesso lasciare il foglio in bianco e questo ci mette in sotto pressione, perchè è ovvio che si voglia beccare la risposta giusta.
Quattro adolescenti di IE Go dovranno superare la prova in assoluto più difficile: vivere al meglio.
"Quando varcai per la prima volta la soglia del Sun Garden, mi imposi di non fidarmi mai di nessuno, per quanto gentile si mostrasse. E invece ora?
Sono stato adottato da due tizi che –ne sono certo– non hanno tutte le rotelle apposto, frequento la Raimon e ho perfino dei compagni di squadra, dei quali mi fido.
O almeno credo. Tenma dice che siamo “amici”.
Sì, forse. Ma credo che sarà il tempo a stabilire se sia davvero così. Alla fine io il vizio non l’ho perso, ma come si dice … sto smettendo, no?"
Coppie: Shin x Nuovo; Ran x Masa, (Mina x Kura accenni).
Buona lettura!
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Kariya Masaki, Kirino Ranmaru, Shindou Takuto, Sorpresa, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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*Capitolo 3*




Una leggera brezza scuote le fronde della grande quercia. Il sole sta calando lentamente in un bellissimo tramonto, infatti i raggi colpiscono i tetti delle case e le strade realizzando un panorama suggestivo.
La luce riflette anche nelle iridi ambrate di quell’uomo che Masaki sta fissando da più di un minuto: in effetti, per lui è un po’ come guardarsi allo specchio.
-Non è possibile … - mormora, mentre un altro alito di vento fa ondeggiare le sue punte azzurre.
Il quarantenne abbassa un attimo il capo, interrompendo il contatto visivo, come se fosse dispiaciuto o non avesse voluto incontrarlo. Capelli di un celeste argenteo, occhi dorati dal taglio particolarmente felino, incarnato appena olivastro: è questo il suo aspetto e dio solo sa quante volte Kariya ha desiderato poterlo incontrare.
-Ciao, Masaki. È passato del tempo, eh?- lo saluta in maniera impacciata e il tredicenne si riprende da quell’attimo di stupore.
-Papà! Che … Che ci fai qui?!- domanda, abbastanza allarmato.
Ma dov’è finito il Masaki Kariya che tutti conoscono? Quello sprezzante, dispettoso, chiuso e saccente? Ovunque egli sia, adesso c’è solo un ragazzino fragile e sensibile, che sta cercando in tutti i modi di ricacciare indietro le lacrime ed evitare di abbracciare suo padre. Vorrebbe, ma il sapore amaro e terribile di quella delusione è dura da mandar via.
-Insomma … Non eri …
-In prigione?- continua l’uomo la domanda del figlio -C’è stata una sorta di rivalutazione nel processo. Nuove informazioni circa la bancarotta dell’impresa, così sono stato momentaneamente prosciolto … Ma non sono libero, al momento sono in libertà vigilata. Posso uscire solo un’ora al giorno e c’è sempre una pattuglia a controllarmi.
Il kohai serra le labbra improvvisamente secche e guarda l’erba ai suoi piedi.
-A te, come vanno le cose?- chiede piano, Kariya senior.
A quel punto, l’azzurro non ci vede più e i suoi nervi scattano come una molla:
-Solo ora ti degni di chiedermelo?!! In quasi due anni che non ci siamo visti più, non ti sei fatto sentire nemmeno una volta!! Che c’è?! In prigione non si possono fare più le telefonate?!!- urla furente, gli occhi pizzicano.
Quello non ribatte, si limita a chinare il capo, non sapendo che dire. Masaki, invece, ha il fiatone: nemmeno lui si aspettava la sua stessa reazione o che dalla sua bocca uscissero tali parole.
-Hai ragione. Perdonami … Il fatto è che credevo che non mi volessi più parlare, visto quel che è successo.- gli spiega, non poco amareggiato. Incontrare suo figlio, dopo tutto quel tempo, non rientrava nei suoi piani. Quando ha saputo dove abita con la sua nuova famiglia adottiva, il suo cuore l’ha spinto davanti a quella casa, tuttavia solo per guardarlo da lontano. Voleva sapere come stava, ma non desiderava farsi notare dal ragazzino, come è successo qualche sera fa. Ricorda ancora come sia sfuggito al suo sguardo, per non farsi riconoscere e di come abbia pianto in silenzio, pensando a quanto fosse cresciuto suo figlio.
Masaki rimane zitto, con la fastidiosa consapevolezza che se fosse stato al suo posto avrebbe fatto lo stesso: sarebbe scappato, impaurito dalle difficoltà.
-Comunque non ti costava niente fare un saluto.- borbotta a mezza voce, troppo orgoglioso per ammettere che quella confessione l’ha spiazzato.
Sul volto maturo dell’altro si distende un pallido sorriso: il suo piccolo diavoletto non è cambiato affatto; fa sempre così quando è in imbarazzo.
-La mamma come sta? L’hai sentita?- gli chiede poi, con una fitta al cuore.
Anche il tredicenne si rabbuia prima di rispondere:
-Ultimamente poco, comunque stanno bene tutte e due. Il fatto è che non sempre prende il cellulare da quelle zone … E poi quando chiamo la clinica, mi dicono quasi sempre che non può rispondere al telefono.
-Capisco.- asserisce l’uomo. Posa lo sguardo sul figlio, ma questo svia subito il suo. Di nuovo silenzio cala tra di loro, interrotto solo dal cigolio dell’altalena.
In seguito, quella pesantezza viene scacciata da un intervento di Kariya senior, che si sofferma a guardare la divisa del più piccolo:
-Quella è l’uniforme della Raimon, vero?
Il kohai alza improvvisamente il capo a quella domanda inaspettata.
-Beh … ecco … sì. - gli risponde incerto e l’uomo fa un abbozza un sorriso.
-Ti ho visto giocare in tv. Sei davvero bravo.- dice sincero e Masaki avvampa di colpo. La frangetta azzurrina ricade sugli occhi, in un vano tentativo di nascondere l’imbarazzo, ma, soprattutto, la sua felicità nel sentire tali parole pronunciate dal padre. Effettivamente il gioco del calcio lo ha sempre affascinato, tuttavia è merito dell’uomo, un  grande appassionato che non se la cavava male con il pallone.
I ricordi più belli che ha sono quelli in cui gioca a calcio insieme a lui.
-G-Grazie … - mormora infine, tenendo i pugni stoicamente stretti alla tracolla.
-Adesso devo andare … -annuncia il padre, un po’ melanconico in realtà. Scambiare due parole con suo figlio per lui è un sogno diventato realtà, tuttavia non vuole riempirgli la testa con inutili scuse su quello che ha fatto. Si sente ancora tremendamente in colpa: non è stato in grado di proteggere la sua famiglia dallo sgretolamento.
-Anche io … Si è fatto tardi.- risponde l’altro, un po’ goffo, grattandosi il capo. Ma a Kariya senior va benissimo così, in fondo non credeva che si sarebbe addolcito dopo la sfuriata di poco fa.
-Allora io vado … Ciao Masaki.
-Ciao … Papà …
E con le mani nelle tasche della giacca si incammina verso l’uscita del parco, oltrepassando la figura del figlio.
-Papà! Aspetta!!- contro ogni logica, si gira di scatto e il quarantenne si blocca sul posto. Si volta nella sua direzione.
Il tredicenne esita di fronte allo sguardo di lui, ma alla fine riesce, sebbene non lo guardi direttamente in volto, a fargli una semplice raccomandazione:
-Fatti sentire … okay? Stavolta non sparire … fatti vivo ogni tanto …
L’uomo sgrana gli occhi stupito, però ugualmente commosso da quel ragazzino che, nonostante tutto, gli ha lasciato un piccolo spiraglio aperto. Non l’ha cacciato, non l’ha trattato male o rinnegato … anzi, gli ha donato un raggio di speranza.
“Figlio mio … tu sei sempre troppo buono …” pensa.
-Se a te non dà fastidio, lo farò. - e dopo quest’ultima frase, Kariya-san va via dal luogo di quell’inatteso incontro.
Intanto, Masaki rimane lì, fermo a fissare l’ingresso del parco, ormai vuoto.
 
 
Arriva a casa alle sette di sera, ma non gli importa più di tanto dei rimproveri di Midorikawa-san. Ha altro per la testa, mentre tanta inquietudine nel cuore. Nel tragitto non ha fatto altro che pensare a suo padre e al loro incontro improvviso.
La sua mente si è focalizzata sulle parole dell’uomo: la sua condizione di libertà vigilata vuole forse presagire la scagione?
Non dovrebbe importagli più di tanto, in fondo, eppure non riesce a pensare ad altro e lui stesso non sa bene il perché.
-Oh! Sei arrivato! Stavo quasi per chiamarti.- Ryuuji si affaccia all’ingresso, mentre il kohai si siede sul gradino per togliersi le scarpe.
-Sì. Oggi … l’allenamento è durato più del previsto.- gli risponde dandogli ancora le spalle: non ha intenzione di dire nulla a nessuno dei due. Prova una strana angoscia a tenersi tutto dentro, ma non vuole sentire altre proibizioni, visto che loro non sono i suoi veri genitori.
-Mmh … capisco. Comunque la cena è quasi pronta.- informa. Sta per ritornare in cucina, però la risposta del figlioccio lo fa capitolare.
-Grazie, ma stasera non ho fame. - risponde con un insolito tono monocorde. Il verde inarca un sopracciglio, leggermente perplesso: -Come mai?
-Niente! Sono stanco e non ho fame! Punto!- sbotta all’improvviso, cambiando umore. Tuttavia questo non scuote minimamente il tutore, sebbene sia un po’ confuso dalla sua reazione. Piuttosto si insospettisce:
-E’ successo qualcosa??- chiede, giustamente. Non si è mai comportato così con loro, o meglio, con lui. Almeno rispetto alla poca confidenza che hanno.
-Niente! Niente! Non ho appetito e me ne vado in camera. Tutto qui!- risponde di nuovo a tono e sale velocemente le scale, per poi sbattere la porta della sua stanza.
Midorikawa rimane leggermente spiazzato, tuttavia preferisce non intromettersi, non ora perlomeno. Non sa di preciso cosa gli prende, ma se adesso insistesse sarebbe comunque tutto inutile: non risponderebbe.
Si perde un momento ad osservare le scale di parquet, salite di fretta dal giovane koahi, purtroppo non gli viene in mente nessun modo per ammansirlo un po’. In un certo senso è timoroso nel confronto con lui, perché ha paura di compiere un passo falso e di spezzare il già labile legame che li unisce.
Così, con un sospiro, ritorna in cucina a finire di preparare la cena. Butta un occhio all’orologio: Hiroto dovrebbe essere di ritorno a momenti. Si è trattenuto un attimo in ufficio per sistemare delle pratiche e Ryuuji avrebbe volentieri dato una mano, se non avesse insistito tanto a farlo tornare a casa. Che testone!!
Spegne la fiamma e, di conseguenza, scema lo sfrigolio dell’olio: ha preparato onighiri assieme a dei gustosi condimenti. Le verdure fritte piacciono molto a Masaki, anche se di solito non esplicita il suo apprezzamento.
Sospira ancora, sentendosi un vero codardo a non salire in camera a non provare a parlare con lui. In fondo, anche questo è il compito di un tutore!
Invece, sta vigliaccamente aspettando il ritorno di Hiroto, il quale sicuramente è più bravo ad approcciarsi con il ragazzino.
Seccato dal suo esitare, lascia la padella e si dirige a grandi passi verso le scale, tuttavia, proprio mentre sta per salire, la serratura dell’ingresso scatta.
Hiroto arriva nel momento meno opportuno, o forse il più opportuno, il verde non lo sa.
-Ciao!- saluta vedendolo davanti a sé.
-Ciao … - ricambia con meno enfasi, l’altro.
-Che succede?- domanda perplesso -Masaki è tornato?
Ryuuji si mette una mano su un fianco: -Sì, è tornato. E se l’è filata subito in camera.
-Mmh … Come mai?- infatti, è piuttosto strano per il rosso.
-Non lo so … Ha detto che non ha fame. - fa spallucce -Ed era di pessimo umore a giudicare dal tono.
-E’ successo qualcosa.- sentenzia il capo della Kira Company -Gli hai parlato?
-Veramente stavo per salire, ma sei arrivato tu.- ammette, non poco a disagio.
-Credo che se salissimo adesso, visto quello che mi hai detto, lo faremmo soltanto infuriare … Forse è meglio lasciarlo in pace, anzi sono sicuro che quando avrà fame scenderà a mangiare.- cerca di rassicurarlo.
-Tu dici?- Midorikawa è un po’ scettico al riguardo.
Hiroto gli sorride e si sfila la giacca per poi appenderla al muro:
-Non è il caso di stargli con il fiato sul collo, ha tredici anni ed è in un’età difficile. Anche noi ci siamo passati, no?
Gli occhi cinerei del ragazzo lo scrutano poco convinti, ma infine si arrende non sapendo cosa pensare:
-Spero sia come dici tu.- asserisce in un sospiro.
-Dai su, andiamo a mangiare che ho una fame da lupi!- esclama con l’acquolina e Mido-chan si indispettisce.
-Comoda come scusa quella di sbrigare le pratiche, per mandarmi a casa a cucinare!- lo rimbecca e Hiroto si trova con le mani nel sacco. Gratta la chioma rossa imbarazzato. Ryuuji lo fissa truce, tanto quello sguardo da cucciolo bastonato con lui non attacca.
-Beh! Ormai è fatta! Ma non salterai più un turno, la prossima volta ti tocca per due volte, altrimenti preparerò per conto mio e tu rimarrai a bocca asciutta.
-Sì, signore!- asserisce con un saluto militare e al verde non può non scappare una risata.
 
 
Sbattuta la porta, Masaki si è tolto con uno scatto la cartella e si è buttato sul letto, stremato. L’ultima cosa che vuole è sentire le domande e le raccomandazioni del verde, il quale –a parer suo– gli sembra tutto fuorché un uomo.
Stringe la stoffa del cuscino: “Perché ci sto ancora pensando?” si chiede. Proprio adesso che si è abituato a vivere lontano dai suoi veri genitori, ecco che spunta suo padre in libertà vigilata.
Si gira su un fianco: quanto vorrebbe trovarsi altrove, in qualsiasi altra parte del mondo tranne che lì. A volte ha persino immaginato come sarebbe la sua vita in una famiglia normale, perché sia la precedente che l’attuale –soprattutto– non crede si possano definire normali.
Il vocio della televisione di sotto e il rumore delle posate gli comunicano che i suoi tutori stanno cenando. A quel pensiero il suo stomaco brontola, tuttavia non ha né la voglia, né la forza di mangiare. Considerando che per farlo deve scendere giù e incontrare quei due.
“Piuttosto la morte!” si dice e si raggomitola ancora di più. Non c’è l’ha con Hiroto o Ryuuji in particolare, ma è tutta quella situazione che gli fa davvero rabbia.
E’ stato abbandonato in tutti i sensi: suo padre con quella transazione illecita è finito in galera, mentre il giudice ha predisposto l’allontanamento da sua madre. Sì sentito uno scarto, un rifiuto, come una seconda scelta. Inoltre, è cinicamente convinto che anche il fatto di essere stato adottato faccia di lui un figlio di seconda scelta.
In fondo, non è così? Tutte quelle coppie che arrivavano al Sun Garden per adottare un bambino gli hanno sempre dato repulsione: è come se venissero a scegliersi il cucciolo di razza o, se sono particolarmente sensibili, un meticcio nel canile.
“E’ solo una farsa! Nessuna famiglia sarà mai accogliente e sicura come l’originale!” almeno nel suo caso la pensa così.
Così preso dai pensieri nefasti, non si accorge che si sta facendo tardi e che non ha ancora fatto i compiti: poco male, al massimo si beccherà un due oppure, se la sua mente diabolica lo assisterà, forse riuscirà a trovare una scusa convincente da dire alla prof.
 
 
Contro le aspettative di Hiroto, Masaki non è sceso a cenare ed entrambi hanno già terminato da un pezzo. I piatti e la padella gocciolano nel lavabo.
Ryuuji si siede accanto al suo compagno con un’aria affranta:
-Non è sceso per la cena. - constata osservando il piatto di onighiri che ha messo da parte. Hiroto incrocia le braccia pensieroso: è ancora più grave di quanto pensi.
Si alza gli occhiali sul naso, come a riflettere, ma poi si alza allungandosi a prendere il piatto sul tavolo.
-Che fai?- domanda Midorikawa.
-Vado a portargli la cena. Non può restare a stomaco vuoto.- spiega e allora il verde scatta in piedi e gli afferra il braccio.
-Aspetta! Ci vado io. - afferma deciso e il rosso acconsente.
-Ok. Come vuoi.
Quando Ryuuji giunge davanti alla porta del kohai gli sembra di avere il cuore in gola, ma poi scuote il capo e bussa. Nessuna risposta si ode dall’interno, così con discrezione apre l’uscio che cigola appena. La stanza è buia e solo la luce del corridoio illumina con un fascio. L’uniforme è giace sul pavimento, mentre sul letto una figura raggomitolata si è tirata le coperte fin sopra la testa.
-Masaki? Sei sveglio?- chiama Midorikawa, cauto, ma dal ragazzino nessuna risposta. Il verde fa qualche passo all’interno e raccoglie la divisa poggiandola sulla sedia girevole.
-Guarda che qui c’è la cena!- esclama con un po’ di enfasi, tuttavia dalla coltri non si ode nemmeno un mugugno. Il venticinquenne ne è certo: sta fingendo di dormire.
-Te la lascio qui, sulla scrivania.- continua e poggia il piatto avvolto dalla pellicola per alimenti. Dopo ciò, non avendo ottenuto risultati e non potendo costringerlo a parlare, esce fuori chiudendo la porta.
-Allora, buonanotte … - dice solo e il buio ritorna di nuovo in camera.
 
 
     
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Non ho tempo per scrivere note lunghissime, vista l’ora.
Ma spero che vi sia piaciuto!! ;)
 
  
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