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Autore: The queen of darkness    20/07/2014    1 recensioni
Non sempre nella vita prendere i pezzi di quello che è stato e metterli insieme per formare quello che sarà è semplice.
Tuttavia, delle volte ci si riesce.
E se si fallisce, si è pronti a cadere. Ma con la consapevolezza di averci provato, e di essere stati vicini al risultato.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Quando Jane tornò alla Casa era già calata la sera; non era affatto strano che tornasse quando fuori era buio, ma in quella particolare occasione sentiva che avrebbe fatto meglio a sbrigarsi, a tornare il prima possibile.
Al cimitero si era trattenuta più tempo del previsto, per qualche strana ragione, e aveva promesso a sé stessa che si sarebbe tenuta lontana da quel luogo malinconico per un bel po' di tempo, d'ora in avanti. Era come se la ragazza che era entrata da quel cancello in ferro battuto fosse diversa da quella che ne era uscita un paio di ore dopo.
Aveva parlato con i suoi genitori, aveva comprato dei fiori nuovi in un negozietto lì vicino, e aveva stabilito di doversi prendere una pausa, di farsi condizionare meno dal passato per salvaguardare la sua stessa salute mentale. Era passato troppo tempo, ormai, da quel fatidico giorno, e sentiva che era finalmente arrivato il momento di andare avanti, di trovare una nuova strada che valesse la pena di intraprendere ora che non era più sola.
Il suo cellulare prese a ronzare con insistenza, ma non si degnò nemmeno di tirarlo fuori dalla borsa; ormai si trovava all'angolo della strada che l'avrebbe portata alla Casa.
Tuttavia, non appena intravide il vialetto davanti alla cancellata le venne subito voglia di fare marcia indietro, fiutando una sorta di sentore di pericolo: un paio di SUV scuri e lucidi erano parcheggiati di sbieco sulla strada di fronte, mentre diverse persone brulicavano sul prato davanti all'enorme struttura. Non si vedevano adolescenti e dalle finestre proveniva un prepotente bagliore di luci accese: era raro che ogni singola stanza fosse illuminata in un modo tanto sfacciato.
Si acquattò dietro ad un albero, troppo timorosa e confusa per proseguire e, con il cuore in gola, trasse finalmente il cellulare dalla tracolla e guardò il display: tre chiamate senza risposta di Flinn e un messaggio.
"Jane, torna urgentemente. Sta succedendo un casino". Guardò l'ora: era di tre ore prima.
Imprecando, compose il numero e non dovette attendere molto prima che il ragazzo rispondesse.
- Jane? - la sua voce, metallizzata dall'apparecchio, le arrivava distante.
- Sono io - annunciò, senza troppi preamboli. - Che succede?
In sottofondo si sentiva un concitato brusio di voci.
- È successo un disastro, io...non sono sicuro di potertelo dire per telefono - Pausa. - Dove sei?
- Mi sono messa dietro all'angolo qui di fronte per chiamarti, riesco a vedere la Casa anche da qui.
- Per fortuna! Sbrigati, allora, se non torni subito tutto sarà ancora peggio! C'è qualcun altro lì con te?
La ragazza deglutì, improvvisamente spaventata. - No...no, perché?
Le parve di sentirlo scuotere la testa. - Nulla, è solo che all'appello ne mancano altri; ti aspetto qui in entrata, fuori dal cancello.
Chiuse la comunicazione bruscamente e lei si ritrovò a premersi il telefono contro l'orecchio, ascoltando il regolare suono sordo che annunciava la fine della chiamata.
Non aveva idea di che cosa potesse essere successo ma, dalla voce di Flinn, si rendeva conto che era sicuramente qualcosa di grave e non privo di ripercussioni sul suo futuro. Raramente il ragazzo si scomponeva o si agitava se non era il caso. E questa volta sembrava decisamente fuori di sé.
Ebbe un tremito, ma si decise ad essere forte. Doveva onorare la promessa fatta poco prima ai suoi genitori: la prima prova da superare le si stava ponendo davanti agli occhi.
Attraversò la strada fiocamente illuminata di corsa, con il cuore in gola. Alcuni addobbi natalizi erano stati appesi in anticipo sui lampioni e le luci colorate cercavano di dare un tono festoso alla strada. Distratta, si chiese chi potesse averle messe: oltre alla Casa, quello non era un quartiere residenziale. Che si fosse trattato di un ennesimo progetto degli assistenti sociali a cui non aveva partecipato?
Camminando a passo svelto sul marciapiede le parve di scorgere meglio l'attività che si stava svolgendo nel giardino. Quei due grossi veicoli sembravano essere delle auto ufficiali; nell'oscurità le sembrò che avessero uno stemma familiare impresso sulle fiancate.
Davanti al basso steccato scorse una pallida figura in controluce con una zazzera di capelli disordinati in testa: aguzzò la vista. Era Flinn. Gli corse incontro e lo chiamò per nome.
Il ragazzo si girò, ma non le sorrise né rispose al saluto. Al contrario si passò una mano sul viso, ora pallido ed emaciato, e cominciò a rosicchiarsi un'unghia.
- Cosa sta succedendo? - chiese subito.
- Ci sono i federali - disse l'altro, nervosamente, - stamattina Jeff ha staccato il turno e, quando ha salito le scale per assicurarsi che fosse tutto a posto, ha trovato Pat stesa di traverso con la gola squarciata. Morta stecchita.
Jane si portò una mano alla bocca, inorridita: si ricordava della ragazza, era una tipa giovane e sveglia che se stava per conto suo e, a quanto si diceva, era stata in riformatorio per aver picchiato a sangue una ragazzina più giovane fino ad averla mandata in ospedale.
La cosa che la sconvolse maggiormente, però, fu l'idea di cosa tutto ciò realmente significava: se un sorvegliante era stato negligente al punto di non accorgersi che una ragazza veniva sgozzata a pochi metri da lui, allora significava che era arrivata l'ora di un controllo nella struttura. E questo avrebbe significato che i guai erano appena iniziati.
Nello sforzo di pensare con lucidità si premette le dita contro le tempie, ma ottenne solo un mal di testa incipiente. La confusione stava dilagando nella sua mente, le congetture le tempestavano il cervello a pieno regime. Fece la prima domanda che le venne spontanea.
- Hanno trovato il colpevole?
Flinn annuì sbrigativamente. - Ryan del settore maschile. Aveva perso la testa per lei, ma a Pat di lui non gliene fregava niente. A quanto pare si è vendicato.
Jane si coprì il viso con le mani: un assassino giunto dall'ala opposta senza attirare sospetti aveva agito indisturbato per poi andarsene senza essere visto. La situazione non faceva che peggiorare.
- Lui si è subito costituito - chiarì Flinn, - ha spiegato tutto e ha indicato il coltello usato e i vestiti sporchi di sangue. Ovviamente questo non lo ha salvato, né ha reso la nostra situazione migliore. I federali si chiedono come sia possibile che in una struttura di recupero, come la chiamano loro, ragazzi e ragazze si mischino senza sorveglianza, che ci sia un continuo via vai e che le attività formative vengano bellamente ignorate. E hanno ragione a chiederselo. Cazzo, se hanno ragione!
Jane si strinse nel proprio cappotto. Soffriva per Pat, nonostante ci avesse scambiato sì e no qualche parola da quando era lì, e si sentiva inorridita e spaventata dalla situazione. Nella sua testa vide distintamente il corpo gracile della ragazza gettato sulle scale, il sangue sulle pareti, il coltello insanguinato. Scosse energicamente la testa: doveva concentrarsi su altri pensieri.
- Odio doverlo dire - disse, - ma adesso cosa ne sarà di noi?
Il ragazzo alzò le spalle magre. - Non lo so proprio. Da quel che ho capito hanno parlato di chiudere tutto e denunciare il personale. Anche i cuochi, gli inservienti. Tutti; probabilmente finiremo in un centro super sorvegliato, o perlomeno gestito come si deve, e allora addio libertà. Se qualcuno ha ricevuto richieste d'adozione, però, è probabile che venga affidato subito.
Il giovane parlava a raffica mangiandosi le parole. Era agitato come lo era lei, se non di più; nonostante la Casa non fosse il posto migliore in cui vivere aveva i propri vantaggi, uno dei quali era proprio la mancanza quasi totale di una sorveglianza invadente. Ora però Jane si rendeva conto che le regole ferree e la partecipazione obbligatoria a determinati corsi erano solamente le basi di un'organizzazione sociale per ragazzi senza famiglia, e non solo un oneroso obbligo che si poteva ignorare.
Con un groppo alla gola ripensò a tutte le volte che aveva fatto tardi, ai pranzi in refettorio che aveva saltato,  agli incontri settimanali in cui aveva mentito spudoratamente. Non era stata un ospite modello, era vero, ma nemmeno una delle peggiori: aveva semplicemente vissuto senza arrecare danni al suo prossimo e seguenti l'esempio che tutti erano portati a dare, ovvero sfruttando l'autonomia offerta. Che avesse rinunciato a del tempo comunitario per questioni di lavoro era irrilevante: sicuramente sarebbe andata incontro a difficili interrogatori.
- Ma perché ci sono i federali? - chiese, nervosa. Non le piacevano quelle macchine scure. Dai finestrini neri non si poteva scorgere nulla, la vernice lucida rifletteva, imperturbabile, i bagliori della notte senza rimanerne scalfita.
- Sono stati i primi ad arrivare. Adesso sono tutti nella sala comune per interrogare i presenti; ormai l'omicidio è risolto, è diventato secondario. Adesso dicono di doversi occupare di noi.
Jane, sconvolta e terrorizzata, aveva mille domande confuse ed ingarbugliate che le ronzavano in testa, ma non riuscì ad articolarne nemmeno una.
- Che fine ha fatto Ryan? Dove l'hanno portato? E dove pensano di mandarci? E...e Pat? Hanno portato via anche lei?
Flinn rispose al suo tono angosciato con un sospiro greve. I connotati in parte nascosti dall'ombra della notte lo rendevano simile ad un adulto, ad un vecchio. Poco contavano gli orecchini, i piercing e i capelli tinti: quello era un viso che aveva sopportato troppe cose per essere quello di un adolescente. Davvero era quella l'espressione che veniva dopo un determinato numero di anni passato alla Casa? Anche lei aveva una faccia così scura, così disillusa?
- Non so niente. Non so niente.
La ragazza chiuse gli occhi. Questo è un incubo, pensò. Questo è solo un brutto sogno, quando mi sveglierò tutto sarà passato. Pat mi incontrerà sul pianerottolo, ci saluteremo e tutto tornerà uguale a com'era prima.
Aveva bisogno della voce di Malcolm, della sua vicinanza. E anche della lucida freddezza del professore, della sua calma razionalità. Quel pranzo così piacevole sembrava lontano secoli da quel terrificante momento.
- Faresti meglio ad andare dentro - le disse con voce tremante. - Non procedono in ordine alfabetico e può darsi che non abbiano notato la tua assenza.
Jane sperava con tutto il cuore che fosse vero, non voleva dover sopportare altre domande. Tuttavia, soprattutto visto l'interesse dell'FBI nei suoi confronti, dubitava che sarebbe riuscita a passarla liscia.
Di slancio, senza rifletterci troppo, abbracciò Flinn; era da tanto che non si premeva contro il corpo magro di colui che aveva sempre visto come un fratello.
Lui, inizialmente, rimase sorpreso da quel contatto inaspettato, ma subito dopo si rese conto di aver avuto bisogno di un po' di calore umano. La strinse di rimando per un breve momento, poi si sciolsero dalla presa leggermente più rincuorati.
- Vedrai - disse, mettendogli una mano sulla spalla, - ce la faremo.
Lui le fece l'ombra di un sorriso e la incoraggiò ad entrare.
Jane si voltò verso la struttura illuminata a giorno, scorgendo il nastro giallo perimetrante avvolto intorno all'ingresso secondario.
Non sarebbe stato facile.

//

La Casa era una solida struttura ricavata da un'antica villa vittoriana. Alcuni tratti della facciata principale conservavano ancora l'estetica di un tempo, ma l'intero edificio era stato reso spoglio e funzionale. La quarantina di ragazzi ospitati al suo interno erano divisi per sesso in due settori, separati da una fetta di giardino. Visto il numero esiguo di abitanti, ai piani superiori vi erano delle camere piuttosto grandi, doppie, con un bagno in comune, e anche alcune singole con dei sanitari privati.
La stanza più grande collegava i due edifici e veniva di solito usata per delle riunioni oppure delle occasioni speciali: i ragazzi venivano riuniti nella sala, sufficientemente spaziosa per ospitarli comodamente. Il lampadario in cristallo era stato sostituito con un proiettore di ultima generazione e, spesso, venivano disposte delle sedie, delle panche e dei tavoli per organizzare degli incontri con i familiari.
Da quella grossa arteria si diramavano le altre stanze, ovvero la cucina e la mensa annessa, alcune aule per svolgere diverse attività, un cucinino privato per il personale e una serie di camere per gli inservienti che dormivano nel palazzo. Sopra vi erano i dormitori femminili, separati dal resto della casa da una porta blindata posta ai piedi delle scale. Sull'altro lato, invece, si percorrevano un paio di metri e ci si trovava nell'altro settore, che era una riproduzione praticamente speculare dell'ala a fianco, per ospitare gli alloggi maschili, un bagno comune e alle stanze dai molteplici usi.
Ora sembrava che la sala comune stesse per scoppiare; il grande parco all'esterno, da come si intravedeva da un'imponente vetrata, era altrettanto affollato. La porta sbarrata che portava alla camera delle ragazze era sigillata dai nastri ufficiali.
Jane percorse la breve entrata con il cuore in gola, stringendo al petto la propria borsa. Si guardò intorno e riconobbe gradualmente tutti coloro che la circondavano, e si rese conto di averli sempre visti ogni giorno da quasi tutta la vita.
Prima non vi aveva mai fatto caso, ma ora pareva che ogni dettaglio che ricordasse la normalità fosse diventato fondamentale. 
Fissò con sincera angoscia la zona dove si nascondeva la scena del crimine, ma passò subito oltre. Le sembrava tutto terribilmente irreale. 
Fra la folla di adolescenti si aggiravano, efficienti, degli uomini in completo scuro, con visi seri e professionali. Le ricordavano Noah, il collega di Sophie. L'aveva visto una volta sola ma le sembrava che la sua immagine si specchiasse in quella di ogni singolo agente lì dentro.
Mentre all'inizio quella confusione le era sembrata un'accozzaglia vera e propria, si accorse che ogni fila rispettava un ordine. Ragazzini spauriti addossati alla parete aspettavano di essere interrogati; altri, seduti sulle panche, avevano ricevuto una tazza di caffè caldo e si guardavano intorno con sguardo vuoto. Altri ancora, imbaccuccati in cappotti e giacche a vento, stavano ordinatamente aspettando il proprio turno davanti ad un paio di adulti in giacca e cravatta che, dietro ad una scrivania improvvisata, ne stavano prendendo le generalità.
Di Jeff nemmeno l'ombra, così come della signorina Miles. La donna delle pulizie, il cuoco, gli psicologi e gli assistenti sembravano semplicemente spariti. Queste assenze si facevano sentire, e sembravano incredibilmente fuori posto; Jane ne ebbe un brivido. Non vedeva l'ora che quella spiacevole faccenda fosse conclusa.
Non aveva mai temuto per il proprio destino alla Casa, ed era sicura che, in fondo, quel posto non le sarebbe mancato. Nonostante alcuni tratti positivi, si trattava semplicemente di un complesso abitativo comune dove tutti fingevano di trovarsi in una famiglia. Tuttavia ora, dinnanzi all'incertezza del suo destino, sentiva un vago senso di inquietudine farsi strada dentro di lei: l'ignoto la spaventava. La spaventava la possibilità di perdere Malcolm, di essere trasferita lontana dai luoghi che aveva imparato a conoscere.
Si fece forza. Alzandosi sulle punte dei piedi, vicino al muro d'ingresso, le parve di riuscire a vedere più chiaramente chi si trovava all'interno. La calca era così fitta che faticava a respirare, ma deglutendo sonoramente le parve di riuscire a rimettere in ordine le proprie sensazioni.
Avrebbe voluto avere di nuovo Flinn al proprio fianco, ne sentiva acutamente la mancanza. Avevano da poco riscoperto il proprio legame, aveva l'impressione che sarebbero usciti più forti da quella tragedia.
Come in un sogno, però, si sentì afferrare per un gomito da una presa decisa. Sobbalzò ma non oppose resistenza, né si voltò per scoprire chi la stesse trascinando via. Durò un attimo, ma si ritrovò in disparte nel corridoio.
Sollevò lo sguardo e, sbigottita, si trovò a fissare Sophie Kinney negli occhi.
L'agente le sorrise. - Scusami se sono stata brusca ma, come vedi, lì fuori è un po' troppo affollato.
La ragazza annuì velocemente. - Non importa. 
La donna non si perse in convenevoli. - Sono disposta ad ignorare la tua assenza, per il momento, ma abbiamo bisogno di parlare con tutti e tu non fai eccezione. 
- Lo so.
- Bene. Si tratta di una cosa di rito, non sarà una cosa né lunga, né difficile. Ma dovrai essere il più sincera possibile.
- Non si preoccupi, lo sarò - disse, pensando che fosse una cosa scontata e che non avrebbe mentito ugualmente anche se non l'avesse avvisata.
- Spero non ti dispiaccia se sarò io a parlare con te.
La federale sapeva perfettamente che, anche volendo, Jane non si sarebbe potuta sottrarre ma la ragazza si sentì sollevata da questa possibilità perché Sophie conosceva già le sue vicende personali e la familiarità che aveva ormai con la sua figura l'avrebbe aiutata a sentirsi a suo agio.
- Ti serve un momento per riprenderti, oppure...?
- No, mi piacerebbe se potessimo farlo il prima possibile.
Sophie dovette cogliere la sua paura e il suo nervosismo, perché sorrise con fare materno e, posandole una mano sulla spalla, le fece voltare la schiena alla scena del crimine e la condusse in una piccola aula con un tavolo e due sedie. Jane si accomodò per prima, Kinney si pose davanti a lei. Trasse dalla tasca il suo taccuino rilegato, lo stesso dell'altra volta, e aspettò che la ragazza si levasse il soprabito.
- Jane - esordì, - ti hanno già informata di quello che è successo?
- Per sommi capi, sì.
L'altra rimase interdetta, ma sembrò capire che ciò le facilitava a il lavoro. Continuò, imperturbabile.
- Conoscevi Patricia Try?
- Sì.
- Eravate amiche?
- Non proprio; ma abitavamo su dei pianerottoli vicini e capitava ci incontrassimo in corridoio.
- Ti aveva mai fatto delle confidenze circa la sua vita privata?
- No.
E via di questo passo; no, non conosceva Ryan Mercy se non di vista e non gli aveva mai parlato. Sì, non era raro vederlo bazzicare nel settore femminile, come facevano anche altri. No, lei non aveva mai introdotto nessuno dell'altro sesso nell'ala dove c'erano le ragazze né aveva mai visto nessuno farlo.
Poi le domande cominciarono a spostarsi sull'ambito della Casa Famiglia e della sua struttura, facendosi meno specifiche e non inerenti al caso. A causa dello sconvolgimento che ancora la invadeva, Jane faceva fatica a concentrarsi sui dettagli che componevano la sua vita di tutti i giorni, ma sforzando la propria memoria riuscì a fare un resoconto abbastanza preciso delle sue abitudini e di tutta un'altra serie di dettagli tecnici.
Ammise sinceramente di non capire l'utilità delle attività organizzate dalla Casa, ma di parteciparvi la maggior parte delle volte. Disse di andare ad ogni incontro con la psicologa e di non essersi mai rivolta a lei spontaneamente. No, non aveva mai pensato che l'organizzazione fosse carente e sì, spesso si era trovata a dover avvertire di un ritardo.
- Lavoro come baby-sitter per una famiglia nelle vicinanze, la famiglia Hall; ho trovato l'impiego grazie ad un progetto proprio della Casa.
Diede qualche dettaglio circa quest'ultima informazione, esponendo tutto ciò che sapeva. Quand'ebbero finito, quasi mezz'ora dopo, lei si sentiva sfinita e sfibrata. Aveva voglia di rintanarsi in camera propria e di non mettere il naso fuori dalla porta per giorni e giorni.
Fece una smorfia quando si rese conto che non era possibile.
Sophie smise per un attimo di prendere appunti e la fissò per un lungo momento.
- Jane - disse, sospirando, - purtroppo devo chiederti dove sei stata; sai, in circostanze normali saresti già dovuta essere qui.
La ragazza si schiarì la voce. - Sono stata a pranzo del mio ex-professore di arte - arrossì, rendendosi conto che la questione, lasciata detta così, poteva essere fraintendibile - ...per parlare di alcune lezioni che mi piacerebbe riprendere. Poi sono andata al cimitero e ci sono rimasta per un paio d'ore.
- C'era qualcuno con te?
- No, ero sola.
L'agente sospirò. Le chiese il nome del professore, e ne prese nota.
- In linea teorica abbiamo finito; non ho altre domande da farti, sei stata brava.
Lei chinò leggermente il capo. - E adesso?
Sophie Kinney la guardò interrogativamente. - Cosa intendi dire?
- Non credo che io possa tornare alla mia stanza, né rimanere qui ancora a lungo. Non so davvero dove andare.
Era stata forse troppo sincera, tanto che l'agente parve capire perfettamente cosa stesse pensando.
- In effetti questo rimane un problema molto, molto grande - disse, stancamente. - Se non hai nessuno che possa ospitarti stiamo organizzando delle squadre che portano in centrale...non è il massimo, ma per una notte penso sia la soluzione migliore.
Jane inorridì al solo pensiero. Non aveva la minima intenzione di dormire in un contesto austero e ufficiale. Legata com'era alla percezione che le davano i film degli ambienti federali, era decisamente orripilata dall'idea di doversi trattenere in un posto del genere.
All'improvviso ebbe un'idea, che formulò timidamente. Si rendeva perfettamente conto che fosse una follia bella e buona, ma d'altra parte le era insostenibile accettare quell'invito per anime sole e disperate. Ne andava della propria dignità.
Sarah non era disponibile perché, come sempre nel periodo natalizio, si recava in Australia da alcuni suoi parenti e sarebbe tornata solo nel week-end. Le rimaneva solo una possibilità.
Aveva un disperato bisogno di sentirlo. Anche solo per un secondo.
- Posso fare una telefonata? - chiese.
L'altra donna annuì. - Ma certo. Ti aspetto qui fuori.
Senza che l'adolescente dovesse dire qualcosa, Sophie si alzò e si richiuse la porta alle spalle. Beh, meglio così, pensò.
Prese il cellulare e digitò frettolosamente il numero che aveva memorizzato in un millisecondo. Lui le rispose al secondo squillo.
- Hey, ciao.
La sua voce fu un balsamo lenitivo che la fece istantaneamente sentire meglio. Aveva un'intonazione così profonda e virile che la fece tremare dolcemente fin nell'angolo più recondito del suo animo.
- Ciao, Malcolm...
- Che succede? - le chiese subito, allarmato.
A lei venne quasi da sorridere, poiché le era bastato solo sentire il suo tono sfinito e abbattuto per capire che c'era qualcosa che non andava. Questo la convinse ulteriormente che le loro anime dovevano muoversi sulla stessa lunghezza d'onda.
Jane non aveva voglia di nascondersi dietro le proprie parole, così gli espose brevemente la faccenda cercando di minimizzare il tutto per quanto le era possibile. Il solo pensare alla morte improvvisa e insensata di una ragazza così normale la fece sentire nel peggiore dei modi, e sentì un groppo formarlesi in gola.
- Mio Dio... - sussurrò lui, incredulo.
Ci fu un istante di silenzio, ma dopo intervenne di nuovo con rinnovata energia. - Jane, vieni da me. Anzi, ti vengo a prendere. Non è possibile che tu possa rimanere un solo minuto di più in una tale situazione.
Lei, frastornata, si affrettò a ridurre quell'improvviso spirito di iniziativa.
- M..Malcolm, ma cosa dici? Volevo solo sentirti... - arrossì - ...prima di domani. O di quando sarebbe stata la prossima occasione. Sarà una notte lunga e avevo bisogno della tua voce, ma sto bene, te lo assicuro. Ora sono molto più tranquilla.
Dall'altro lato il ragazzo rise.
- Cosa c'è di tanto divertente? - chiese, piccata.
- Tu non me la fai - rispose con voce calda, dolce, - sei terrorizzata ed è comprensibile. Mi sento impazzire io che non c'entro nemmeno di striscio, non oso immaginare come debba sentirti tu. Hai bisogno di tranquillità e di un posto in cui stare al sicuro per un paio di giorni, fino a quando la situazione non si stabilizzerà; e poi sai che a casa mia l'unica cosa che non manca è lo spazio. I miei ti adorano, non daranno problemi. Lasciami prendere la macchina e ci vediamo fra dieci minuti. Aspettami là, arrivo.
Prima che lei potesse solo azzardarsi a dire altro il ragazzo la salutò e agganciò.
Jane rimase a fissare lo schermo che andava spegnendosi, interdetta e confusa. In quello stesso istante, a intorbidire ancora di più le acque, tornò Sophie, reggendo due tazze di caffè fumanti.
- Allora? - le chiese, sollevando un sopracciglio.
- A quanto pare... - disse, titubante, - ...ho trovato un alloggio per stanotte.
- Splendido! - esclamò l'altra, sollevata - Non preoccuparti, comunque, che presto troveremo un'altra struttura idonea.
Sembrava improvvisamente a disagio. Jane decise di toglierla da quell'immotivato imbarazzo alzandosi in piedi e stringendole la mano.
- Mi scusi, ma adesso devo proprio andare, mi passano a prendere. Io...mi dispiace per il caffè, è stato gentile da parte sua. Arrivederci.
La donna la salutò di rimando e la guardò andare via.
Jane, dal canto suo, si sentiva come se la vita stesse per assumere una piega sconcertante, destinata a cambiarla per sempre.
E aveva ragione.





ANGOLO AUTRICE:
Buonasera a tutti/e!
Voi direte "con che coraggio ti ripresenti dopo tutto questo tempo?". E avete maledettamente ragione.
Confesso che non ho avuto la benché minima ispirazione per continuare questa particolare storia per tantissimo tempo, e ancora adesso non mi sento soddisfatta di questo capitolo.
Vi prego di perdonarmi per questo ritardo; sono comunque imperdonabile, lo so. Ma vi voglio bene e questo non è cambiato.
Non so precisamente quanti capitoli ci saranno ancora, ma anche "Stunning" si avvia ormai alla fine.
Grazie per la vostra pazienza e scusatemi ancora,
Dark Kisses.
The Queen.
  
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