Cacciatori e Vittime.
La Profezia
Capitolo 1.
«Sono
passati anni ormai, Cassandra.» mormorò l’uomo, con la barba rossa e i capelli
colorati di verde, una cresta che ai tempi d’oro resisteva alla forza di
gravità ora era calata al lato della testa, come a dimostrare all’uomo che si
era abbandonato ai tepori della vita tranquilla, nonostante non mostrasse più
di trent’anni.
Ma lei,
la donna con cui parlava, di anni ne mostrava molti di più. I suoi occhi
parlavano più della sua pelle. E i suoi capelli erano bianchi come le stelle, e
la sua età era molto più giovane dell’uomo con cui stava animatamente
discutendo di fronte a un focolare. Ma il mondo scorreva lento per lei, perché quella
donna era destinata a non vedere la ventina. Eppure lì, a scontare la sua pena
in terra.
A
piangere su quella speranza di quella specie data grazie al prezzo di una vita.
La vita
di lei.
“Elisa...”
nei suoi occhi vi era ancora stampato – come a marchio indelebile – il suo
sorriso, i suoi occhi, i suoi capelli ricci, così belli...
«Lo so
Giacomo, e tu meriti una donna migliore di me. Ho fatto un voto io, alla Dea.»
rispose la donna, guardandolo sommessamente. Provava tenerezza per quell’uomo,
così docile, così amorevolmente attaccato a lei, e diceva che l’amava, che
voleva sposarla, avere figli...
«La Dea
si è portata via la mia migliore amica, non mi porterà via la donna di cui mi
sono innamorata.» gli occhi erano lucidi, ricordava ancora i suoi pianti
sommessi nella notte, a chiamare il nome di una donna che non sarebbe venuta a
salvarli.
Li
aveva abbandonati. Li aveva salvati.
Ma ora
erano soli, e lei era peggio della polvere. Ha dato la sua vita – la sua anima –
per riscattare un mondo che loro pensavano marcio, prossimo all’autodistruzione.
Eppure lei vedeva luce dove c’erano solo ombre.
“Ha
visto la bellezza in una manciata di ragazzi sporchi di fango...” e sorrise
mestamente.
La mano
della donna riccia – bianca di colore, ma castana nel suo cuore – gli asciugò
una lacrima sparuta, accarezzandogli il bordo spigoloso del suo volto.
«Io
sono qui, non vado da nessuna parte Giacomo. Io non ti lascerò.» quella fu l’ultima
volta che parlarono di quell’argomento.
Passarono
anni, moltissimi, da quel giorno in quella chiesa bianca, relitto di un mare di
dolore e sangue. Nacquero bambini che non morivano per l’Infezione – debellata –
e crescevano cacciatori, ricostruendo un mondo civile al di là del selvaggio
che li circondava.
Ma si sa,
quando l’essere umano raggiunge lo scalino più in alto della catena alimentare,
e non ha nemici contro cui scontrarsi, infine si scontra con se stesso, capace
solo di rendere le differenze come ostacoli insormontabili, pericolosi, da eliminare.
Iniziò
un eccidio di coloro che credevano nel Dio Sole, colui che voleva portare la
morte per tutto il genere umano, a parte pochi prescelti. Dopotutto, la
religione è un culto prettamente umano, credere in qualcosa più grande di sé,
per giustificare i propri sbagli e le proprie sventure.
Poi si
passò alle dittature, furono molteplici, una più sconvolgente dell’altra, una
più cruenta dell’altra.
Per
quanto fosse cieca, Cassandra vide tutto con gli occhi della propria anima e
udì l’urlo di dolore di molte persone su quella terra, e pianse lacrime che
sgorgavano a fiumi, mischiandosi al sangue che colava sul terreno.
Poi si
formò una calma, e la civiltà iniziò a formarsi, sotto il suo nome.
La Dea
della Luna.
Fu lei
stessa – l’unica sacerdotessa in vita – a iniziare il culto e accrescerlo in
membri e potenza.
Si
sentì parte di quel mondo che prima rifiutava.
Ma
quando sentì sul volto di lui - l’uomo che amò con pacata dolcezza su quella
terra solo una volta – i segni inequivocabili della morte, portò avanti
comunque la gravidanza. Nacque in silenzio, pianse poco e poté tenerla in
braccio solo pochi minuti, calmarla con una ninna nanna improvvisata, e sentire
come morbida la sua pelle, gli occhi piccoli e la bocca dolce, desiderosa di
latte al primo contatto. Le venne detto che aveva occhi castani – come lei – e i
capelli rossi come la barba del padre.
L’uomo
poté accarezzarla per poco, e spirò pochi mesi più tardi.
Ros e
Giulia, le uniche a conoscenza di quella gravidanza non concessa, dimostravano con
la loro pelle decadente e la mestizia nei movimenti che anche per loro gli anni
iniziavano a sentirsi, e quando Cassandra parlò con loro della sua gravidanza
rimasero sorprese, conoscendo i ritmi del corpo femminile.
Cassandra
era fisicamente bloccata in quel corpo che sì conosceva il progredire dei
giorni ma che non mollava l’anima giovanile che rimaneva lì, in attesa.
Di
cosa, non lo sapeva nemmeno Cassandra.
«Aspettami. Tornerò.»
«Nel frattempo, amore mio, conta
le stelle... per me.»
Anzi,
no... aveva una speranza, minima, piccolissima, non più grande di un sospiro di
bambino, ma abbastanza grande da farle capire che l’avrebbe rivista. Con o
senza la Vista.
«Lei
non deve sapere che io sono sua madre. Nessuno deve saperlo.» diceva Cassandra
ansimando, grondante sudore per il parto.
«Come
vuoi chiamarla...?» domandò allora Ros, giocando con le sue dita, che
afferravano tutto con forza.
«Andrea...
sarà il suo nome.» e una lacrima scese, triste, ferita, mentre vedeva una parte
del suo cuore camminare lenta via da lei.
“Prima
Elisa...poi tu, figlia mia, Andrea...”
Il mio cuore prima apparteneva solo a me.
Ora, una metà e morta, e l’altra cammina già sulle sue
gambe, lontano dal mio corpo.
Ros e
Giulia la guardavano sommesse, e capirono. Avvolsero la bambina in un
asciugamano pulito, e se ne presero cura come se fosse loro, nel loro rifugio per
bambini orfani nella città.
Fu in
quel fatidico giorno che nacque la figlia di una sacerdotessa, che era
destinata a grandi cose.
Forse
allo stesso destino di sua madre.
O uno
differente.
Ovviamente tutto dipende da che angolazione la guardi.
Non è vero...Dea?
Elisa –
o almeno, ciò che rimaneva di lei – vagava sospesa nel nulla, gli occhi spenti,
la pelle rugosa, i capelli infinitamente lunghi che galleggiavano, come immersi
nell’acqua intorno a lei.
Ci sei rimasto male, vero... Dio?
Che scoprissi il tuo inghippo, il tuo colpo durante l’eclissi...?
Prendere il posto della Dea e ingannare tutti....tutti
tranne me.
Sono qui, ho capito il tuo piano. Ma la Profezia avrà
inizio. Oggi è nata colei che ucciderà tutti i tuoi figli, cancellerà i nostri
peccati...
Anche i miei.
E i suoi.
Un
rombo scosse il suo piccolo universo.
Sorrise,
i denti ancora perfettamente bianchi. Era un sorriso malvagio che nascondeva
felicità.
Lei è sua figlia.
E tu solo sai che letteralmente ucciderei per salvarla da
te.
Passarono
anni, e Cassandra si sentiva come una bambina nei vestiti della madre, pesanti,
larghi. Così come sentiva il suo corpo. Una animo giovane dentro un corpo
prossimo alla decomposizione.
E Andrea
crebbe davanti ai suoi occhi ma lontana dalle sue braccia.
Gli
occhi dell’anziana avevano visto troppi giovani morti, aveva vissuto troppe
vite, per rammaricarsi a veder morire anche sua figlia.
E tutto
ci riporta lì, a quel patibolo, a quel colpo di stato dove Cassandra si vide il
potere della Dea – racchiuso nel suo bastone – letteralmente strappato dalle
mani. Il suo assistente che sorrideva, mentre la cacciava via, e i suoi
assistenti con lei – Andrea inclusa.
Destinati
alla morte più veloce e immediata, e la folla, soggiogata dalle dolci parole
del ragazzo, inneggiava al sangue.
E
volevano il suo.
«Abbiate pietà per mia figlia,
ve ne prego!»
Quella
frase spezzò l’intero universo celestiale. Elisa sorrise.
Era ora, Cassandra...
Ti sei decisa finalmente, a chiamarla per nome.
Il
nulla si spezzò, e nacque la luce. Gli occhi di Elisa si chiusero. Troppo rozzo
l’impatto con la realtà. La sua maledizione si era spezzata. Sentiva il vento
accarezzarle il volto dopo tanto tempo. La pelle raggrinzita dal troppo tempo
passato ritornò scattante, tesa, giovane. I capelli vennero tranciati
rozzamente, i vestiti stracciati che la ricoprivano adesso nascevano a nuova
vita.
Stava
cadendo, e le nuvole si spezzavano sotto il suo corpo che precipitava. La coda
si mosse mesta, come a ricordare un passato troppo lontano.
Luce. C’è luce, sui miei occhi.
Non vedo.
Sto... cadendo?
E poi i
suoi occhi si spalancarono. Erano marroni, come l’ultima volta. E vide. Tutto.
La
Profezia risuonava nella sua mente, la Dea – quella vera – finalmente le stava
parlando. E capì tutto. E sorrise, il sole batteva di nuovo sul suo corpo,
riscaldandolo.
Ora ho capito.
Sto arrivando... amor mio.
Era
come il meteorite che si schiantò sulla terra tempo fa, quello che distrusse la
sua casa, la velocità di caduta era tale da togliere il fiato dal petto, di cui
finalmente provava il bisogno di sentirlo ancora. Gli mancava, respirare.
Essere
un essere umano, di nuovo.
Cadeva,
e la terra si avvicinava sempre di più. Il suo obbiettivo diventò tangibile. La
piccola piazza circondata da case di fattura turca, in cima a una rupe in mezzo
al deserto.
Gli
occhi si trasformarono. Gialli felino.
La coda
si mosse.
Un
rumore di ossa che si spezza suono labile.
Ancora
pochi metri e avrebbe toccato il suolo. E lei
era lì, in pericolo.
«Andrea, no!» l’ultimo urlo
della vecchia, prima che l’arma venisse alzata. Brillò come oro, sotto il sole
impassibile.
E poi...
... un tonfo scosse la terra.