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Autore: Dea Elisa    22/07/2014    2 recensioni
Semplice raccolta di drabble/one-shot con protagonisti Anna e Antonio. I titoli delle storie seguiranno un ordine alfabetico, tecnica abusata, ma a mio parere ideale per lavorare di fantasia.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anna Ristori, Antonio Ceppi
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Zitta

 

Mi sembrava di aver udito dei rumori strani.

Come dei colpi, dei tonfi sommessi, dei passi frettolosi e sconosciuti.

Mi sporsi oltre la parete per verificare di persona l’origine di quel trambusto, il cuore in gola e il fiato corto. Non avrei voluto essere così agitata: avrebbe potuto trattarsi di un temporale, delle imposte che qualcuno aveva dimenticato di chiudere e che sbattevano per il vento. Avrebbe potuto essere già mattino e il mio sonno leggero mi aveva tradita, troppo sensibile persino ai piccoli gesti quotidiani che la servitù compiva all’alba per risvegliare la tenuta.

Il buio era quasi completo; avevo preferito non accendere lumi, ma me ne stavo rammaricando. Il freddo marmo delle scale intorpidiva i miei piedi nudi mentre scendevo al piano di sotto, facendo attenzione a non inciampare, aggrappata alla ringhiera. Dalle finestre si intravvedeva ancora l’oscurità della notte: constatai allora come il giorno fosse lontano, allo stesso modo della mia camera, dove avrei preferito essere ora, benché la curiosità e soprattutto il terrore e l’apprensione nei confronti della mia famiglia e di questa stessa tenuta si fossero vestiti di supremazia nei confronti di tutto il resto.

Oltre ai colpi cadenzati sempre più vicini, riuscivo a riconoscere alcune voci, senza discernere le singole parole. Altrimenti avrei saputo tornare saviamente di corsa sui miei passi.

Attenta ad ogni movimento, ad ogni ombra sulle pareti, a riflettere su quali avvenimenti stessero avendo luogo a mia insaputa, non udii l’avvicinarsi di una figura alle mie spalle, né nei suoi passi leggeri, né nel suo respiro ora più teso.

Una mano mi coprì la bocca, e iniziai ad annaspare alla ricerca d’aria, spalancando gli occhi per lo spavento e gridando contro le dita serrate sul mio volto che cercavo di strappare inutilmente da me. Con la mano libera mi trascinò contro il suo corpo, violentemente e con la prepotenza di chi desidera appropriarsi di qualcosa o difenderla a tutti i costi.

«State zitta e non muovetevi.»

La furia nei miei muscoli contratti a divincolarmi si placò non appena la sua voce raggiunse in un sussurro il mio orecchio. Mi lasciai andare sorretta dal suo corpo, mentre le forze sembravano avermi abbandonata per il panico che mi aveva brancato. La sua mano si allentò leggermente per permettermi di respirare, non senza affanno.

«Cosa ci fate qui?» esclamai forte, per vincere la tensione contro le mie labbra, che si fece di nuovo più intensa.

«Fareste meglio a chiedermi cosa stia succedendo.»

Iniziai a strattonargli le braccia, imprigionata dalla solidità della sua presa.

«Promettetemi di rimanere in silenzio» depose la propria condizione.

Annuii prontamente, così che potesse liberarmi la bocca.

«Cosa diavolo-»

«Vi ho detto di tacere!» mi intimò rigirandomi verso di lui, che aveva dimenticato per un attimo la delicatezza e lo scoglio del tempo e di un titolo nobiliare che si ergeva tra di noi.

La veste da notte frusciò contro il suo corpo e lui mi premette contro di sé, le mie forme ad aderire alle sue senza il vincolo delle pesanti stoffe dei miei abiti consueti.

Lasciai che i secondi passassero indefiniti, perché l’angoscia si placasse. Deglutii più volte, la bocca secca e gli occhi affaticati nel cogliere nel buio ogni particolare dell’uomo di fronte a me.

Continuai a fissare il riflesso della poca luce naturale che filtrava dalle finestre nelle sue iridi azzurre, impegnate ad alternare la loro attenzione su di me e verso l’ambiente circostante.

Scossi leggermente la testa, sperando di fargli intuire quanto fossi disposta a non fiatare pur di ricevere qualche spiegazione.

«Dobbiamo andare via da qui» dichiarò invece.

Entrambi sollevammo lo sguardo, quando udimmo qualcuno improntare la scalinata con passi rapidi.

«Che succede, Antonio?»

Mi fece segno di rimanere in silenzio e mi trascinò in un angolo ancora più buio, a lato della scala, dove la penombra ci avrebbe esclusi dalla vista. Trattenemmo il respiro finché l’uomo non fu quasi davanti a noi.

«Ma è Fabrizio» notai, a bassa voce. «Fabrizio!»

«No, Anna!» le braccia di Antonio mi circondarono rapide perché non mi spostassi né lasciassi che la mia impulsività prendesse il sopravvento. Tuttavia il suo impegno non riuscì a trattenere la mia avventatezza.

Fabrizio si avvicinò titubante al recesso in fondo alla scala, e sul suo volto si dipinse rabbia e sorpresa quando ci vide, stretti l’una tra le braccia dell’altro, spaventati e ignari degli eventi.

«Anna» si tranquillizzò relativamente quando mi riconobbe. «Portala via, Antonio.»

Antonio provò a chiedere spiegazioni, a proporsi perché l’accompagnasse dov’era diretto, ma Fabrizio non cedette, né si permise di aprir bocca più del necessario.

«Accompagnala nelle sue stanze, e non muovetevi di lì per nessuna ragione al mondo» insistette, per poi proseguire il suo cammino a passo sostenuto.

Fu in quel momento che distinsi la pistola nascosta tra le pieghe dei pantaloni allacciati di tutta fretta. Dalla parte opposta oscillava il fodero della spada.

Strinsi forte una manica di Antonio con il terrore che mi invase il corpo. Appena Fabrizio scomparve nell’oscurità, mi indicò di fargli strada verso il piano superiore.

I colpi, le grida e lo sferragliare delle armi che dimostrarono l’inizio di una colluttazione impedì al mio buon senso di seguire l’ordine di mio fratello. Scattai in direzione dell’ala posteriore della tenuta, annebbiata dal terrore che stesse verificandosi l’inevitabile.

Antonio mi raggiunse e di nuovo cercò di imporre razionalità nei miei gesti. «È pericoloso, Anna. Dobbiamo andarcene.»

«Non voglio lasciarlo solo.»

«E io non voglio lasciare sola voi. Siate ragionevole e fidatevi di lui. Se vi ha detto di-»

«Ho paura, Antonio.» La mia voce echeggiò per il corridoio, e lui si incupì, incerto su come gestire quella situazione che gli era piombata addosso. «Non posso perdere anche lui» abbassai lo sguardo a terra, seguendo le linee della veste sottile.

«Non succederà. Fabrizio è stato nell’esercito: sa come comportarsi senza mettere in pericolo la propria vita e quella degli altri.»

Titubante, tornai sui miei passi e raggiungemmo la scala.

Salita sul primo gradino mi voltai indietro, con la preoccupazione infondata che Antonio non si allontanasse da me.

Mi guardò aspettando che parlassi, i nostri occhi ora quasi alla medesima altezza.

«Non lasciarmi, ti prego» bisbigliai, la voce spezzata da un singhiozzo soffocato.

Antonio si sporse verso di me e accolse il peso, il calore, i fremiti del mio corpo che si lasciò sostenere totalmente. Una mano sul capo mi teneva ancor più stretta a lui, casomai fosse stato possibile.

«No, Anna. Non ti lascio più» sussurrò baciandomi tra i capelli.

 

   
 
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