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Autore: workinprogress    23/07/2014    3 recensioni
Se c'era una cosa di cui Johanna Mason era sicura, era che non voleva vedere nessuno.
Era passata appena una manciata di mesi dalla sua vittoria nei Giochi, dal massacro che aveva operato con le sue stesse mani, mani di assassina, e nessuno le aveva ancora dato il tempo di metabolizzare. [...]
E ora, per l'ennesima volta, lo show stava per cominciare. E questa volta aveva lei come protagonista.

[Johanna Mason] [One shot] [Angst]
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Finnick Odair, Gale Hawthorne, Johanna Mason
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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No one left I love



Se c'era una cosa di cui Johanna Mason era sicura, era che non voleva vedere nessuno.

Era passata appena una manciata di mesi dalla sua vittoria nei Giochi, dal massacro che aveva operato con le sue stesse mani, mani di assassina, e nessuno le aveva ancora dato il tempo di metabolizzare. Suo fratello e suo padre la aiutavano, certo, ma non potevano sapere cosa volesse dire entrare nell'Arena con altri ventitré ragazzi ed essere l'unica ad uscirne. Avere ancora il loro sangue addosso ed essere portati in trionfo come eroi. Doversi fingere implacabili divinità della guerra, mentre si sapeva di essere solo macchine di morte, pilotate da qualcun altro.
E ora, per l'ennesima volta, lo show stava per cominciare. E questa volta aveva lei come protagonista.
Prima di partire Johanna aveva passato lunghe ore nei boschi, ad abbattere con la sua ascia più legna di quanta ne avesse mai colpita. Suo padre la guardava rientrare con il buio e restava in silenzio. La osservava, alzando di nascosto gli occhi sul di lei, ma non aveva il coraggio di dire niente.
La figura minuta di sua figlia racchiudeva nuovi segreti, troppo oscuri per essere compresi, e lui se ne stava lentamente rendendo conto. Avrebbe voluto abbracciarla, camminare insieme a lei nella foresta, farla sedere sulle proprie ginocchia come faceva quando era piccola.
Ma della bambina che la sua Johanna era stata ormai non rimaneva più nulla.



L'unica cosa peggiore di dover fare da mentore a due ragazzi era sapere che avrebbe dovuto farlo circondata da Capitolini che scommettevano sulla loro morte.
Johanna era già stanca ancor prima di cominciare, stanca di veder morire i ragazzi dei Distretti, stanca di dover fingere che andasse bene così. Non andava bene per niente.
Quando l'aveva incontrato per la prima volta si trovava nella villa del presidente Snow, stretta in un lungo abito argentato che le impediva di respirare. All'interno c'era in corso una festa sfrenata in onore della vincitrice che - oh la gioia - era proprio lei.
Era riuscita a sfuggire un attimo alla folla che la seguiva ovunque, agli uomini che volevano vederla più da vicino e alle donne che la avvicinavano complimentandosi per il suo stile sofisticato. Come se solo le fosse importato qualcosa di uno soltanto di loro, delle loro chiacchiere vuote e delle occhiate lascive. Schifo, quel mondo non le faceva altro che schifo, ed era addirittura un periodo senza Hunger Games.
Era scappata da quella confusione delirante e, nascosta contro un gigantesco cespuglio di rose, si era finalmente sentita libera di respirare un po'. Aveva chiuso un attimo gli occhi e aveva cercato di dimenticare chi era.
«Non dovresti essere dentro a festeggiare?».
La voce proveniva dalla sua destra. Johanna si era voltata di scatto, colta di sorpresa, e si era ritrovata davanti un volto tanto bello quanto noto. I suoi occhi verde mare spiccavano anche nella penombra, intriganti.
«A me hanno detto che la festa è in un tuo onore, o no?».
«Beh, visto che è la mia festa mi sono presa qualche libertà».
Il sorriso languido dell'intruso era rimasto al suo posto, ma i suoi occhi non avevano nascosto una scintilla di divertimento.
«E così siamo io e te, qui fuori a goderci la festa».
Odair l'aveva scrutata da capo a piedi con un'occhiata che avrebbe quasi potuto spogliarla. Johanna era rimasta a fissarlo, all'erta. Cosa voleva da lei?
«Sei una bella vincitrice, Johanna».
E quello cosa avrebbe dovuto significare? Stava cercando di adescarla e aggiungerla alle sue conquiste? Non erano né il luogo né il momento giusto, e Johanna dubitava seriamente che lo sarebbero mai stati.
«Anche tu non sei malaccio», aveva replicato.
Sul viso di Finnick era affiorato un sorriso, sfoderato con la naturalezza della notorietà.
Poi, così com'era comparso, era svanito. Il suo sguardo si era fatto indecifrabile e lontano.
«La bellezza è un'arma pericolosa, cara Johanna».
Lei era restata a guardarlo, senza riuscire a capire cosa intendesse.
«A doppio taglio», aveva aggiunto, recuperando il suo sorriso. «Bisogna stare attenti a non ferirsi».
Si era inchinato appena, baciandole il dorso della mano con eleganza, ed era scomparso all'interno della villa.
Johanna era rimasta in piedi vicino alla balconata, disorientata. Le parole di Finnick Odair significavano più di un semplice commento sul suo aspetto. Erano un avvertimento.
Ma da che cosa?



Nella stanza le imposte erano sigillate. L'unica luce filtrava da sotto la porta in uno spiraglio sottile, proiettato sul pavimento scuro.
«Johanna».
Da fuori una voce entrava ovattata, in un mormorio.
Johanna nascose il volto con più forza contro le ginocchia. Le braccia con cui si teneva stretta tremavano contro la sua fronte fradicia.
Uno spicchio di luce la investì in pieno, facendola trasalire. Si raggomitolò febbrilmente nell'angolo tra le pareti, tappandosi le orecchie con le mani.
Dita sconosciute si posarono sulla sua spalla, accarezzandola piano.
«Johanna…».
Lei si voltò di scatto. Scansò con ferocia la mano, con un verso graffiante.
Puntò i suoi occhi spalancati contro Finnick, il volto illuminato dallo spicchio di luce, le lacrime che le scivolavano giù per le guance paonazze.
«Che c'è?», ruggì.
Finnick restò un attimo a fissarla, le mani ancora tese verso di lei. Tentennò, esitando, in cerca della cosa giusta da fare.
«Johanna…».
«E smettila con quel nome!», urlò mentre la voce le si spezzava, tornando a nascondere il volto tra le braccia. «Lo so come mi chiamo!».
Finnick tacque. Non c'era niente che potesse dire per migliorare le cose.
Con un sospiro, si sedette accanto a Johanna. Lei tremava, scossa da singhiozzi silenziosi che si ostinava a soffocare contro le ginocchia strette al petto.
Alla fine, arrivò ad un punto in cui non riuscì più a mantenere quell'ultima facciata. Tra un singhiozzo e l'altro si fecero strada i lamenti, con la voce spessa per il pianto.
«È stata colpa mia», mugolò contro le ginocchia. Iniziò ad affondare le unghie nella carne delle gambe. «Colpa mia, colpa mia, colpa-».
«Sssh», sussurrò Finnick, prendendola fra le braccia. «Ssh».
Johanna dondolava piano contro il suo petto, senza smettere la sua nenia. Le parole si fusero con i lamenti e diventarono un urlo, che partiva dal petto ed sgorgava senza sosta. Finnick chiuse gli occhi, il grido di Johanna nelle orecchie e sul suo petto e ovunque intorno a lui in quella stanza scura.
Dopo aver frenato quell'urlo, anche i singhiozzi rallentarono. Sentì che pian piano il ritmo del suo respiro si regolarizzava, mentre lei sembrava farsi più piccola nella stretta delle sue braccia.
«Finnick», sussurrò alla fine con un filo di voce.
Lui chinò subito la testa accanto alla sua. «Dimmi».
«Finnick… è stata colpa mia».
Un sospiro. «Devi smetterla di-»
«È stata colpa mia. Li hanno uccisi per colpa mia…». La voce le si spense in un singhiozzo, e Finnick attese in silenzio. «Me l'avevi detto. Mi avevi detto di stare attenta, alla… alla festa di Snow, ma io…». Un altro singhiozzo. «Io non ti ho ascoltato, e adesso…».
Per un attimo sembrò non riuscire ad accettarlo.
«E adesso sono morti», concluse seppellendo il volto nel maglione di Finnick, stringendo forte la lana tra le dita.
Lui la abbracciò più stretta, passando su e giù le mani sulla sua schiena. Temeva che sarebbe potuta andare a finire così. Johanna era troppo fiera, troppo orgogliosa per cedere alle richieste di Snow, e troppo ribelle per non diventare un bersaglio del suo governo.
Dopo un po', la vide riemergere dalla sua stretta. Aveva gli occhi gonfi e le gote graffiate, ma non singhiozzava più. Qualche lacrime scendeva ancora dalle ciglia, in silenzio.
«Ma la sai una cosa, Finnick?». Sorrise senza entusiasmo. «Hanno fatto uno sbaglio».
Tirò su con il naso, pulendosi il volto dalle lacrime con le maniche della maglia.
«Avrebbero dovuto risparmiare qualcuno. Ucciderli un po' per volta, ad ogni mio rifiuto».
Guardò di lato mentre la luce le illuminava il volto, come se avesse potuto vedere le figure dei suoi cari comparire sulla sagoma di quella porta.
«Adesso non hanno più niente con cui ricattarmi». Incontrò lo sguardo di Finnick, e lui vide l'amarezza sul suo volto. «Non mi è rimasto più nessuno a cui volere bene». 



Il letto d’ospedale dov’era confinata era scomodamente rigido.
Johanna era immersa fino al naso sotto le ruvide coperte della sua stanza, con il sacchetto di aghi di pino ancora tra le mani, stretto al petto. Non aveva realizzato quanto le fosse mancato il Sette fino a che non ne aveva sentito di nuovo il profumo.
Ci mancava solo la nostalgia di casa. Tipico di Katniss, venire a scombinare le cose proprio nei momenti peggiori.
Tuttavia, doveva ammettere - e le costava non poco - che il suo era stato un gesto premuroso. E che, tutto sommato, le faceva piacere sentire vicini i boschi del Distretto.
Gale se n’era appena andato. Era passato a salutarla, o perlomeno a rendere nota la sua imminente partenza per Capitol City.
Johanna era scivolata lentamente sotto quelle coperte, chiudendo gli occhi, cercando di sgombrare la mente. Sarebbe andato tutto bene. Tutto bene. Preoccuparsi era ridicolo.
Se l’era ripetuto finché non le era venuta la nausea. Li odiava i bugiardi, lei.
Il terzo colpo alla porta di quella giornata l’aveva fatta ridestare. Era convinta di non attendere la visita di nessuno, ma quando la porta si era aperta piano, si era resa conto con orrore che se lo sarebbe dovuto aspettare, dannazione.
Perché nessuno lì intorno, nessuno a parte lei, voleva vedere Snow morto quanto Finnick.
L’aveva guardato mentre entrava in silenzio, un’espressione dispiaciuta sul volto. Si era seduto sul ciglio del letto, vicinissimo a lei, e Johanna aveva sperato inutilmente che cambiasse idea e si spostasse da lì. La vicinanza la faceva sentire vulnerabile.
«Come stai?».
«Da favola, mi sembra di essere in villeggiatura. Che ci fai qui?».
Finnick aveva abbassato lo sguardo, chinando il capo. Si sentiva in colpa?
«Senti, Jo, io-».
«Volete farvi ammazzare, vero?», sbottò lei, scatenando la sorpresa di Finnick. «Ditelo e basta, no, che state cercando un modo eroico per tirare le cuoia».
Lui era rimasto per un attimo senza parole. «Non eri tu quella che voleva venire a prendere personalmente a calci nel culo Snow? Me lo sono sognato?». L’aveva inchiodata con il suo sguardo chiaro. «Lo sai benissimo che adesso non puoi rifilarmi queste storie».
Johanna aveva sbuffato, spazientita. «È vero, l’ho detto, e allora? Non potete prendere e andarvene via mentre io resto qui a marcire!».
«Non ci puoi venire a Capitol City! Devi fartene una ragione!».
«E restare a guardare mentre morite? Non posso!». Finnick l’aveva guardata e lei aveva sentito le lacrime pizzicare agli angoli degli occhi, quelle bastarde. «...Non posso».
Lui aveva sorriso appena, posandole una mano sulla spalla coperta dal lenzuolo.
«Cosa ti fa pensare che moriremo?».
Johanna si schiarì la voce prima di parlare. «Il fatto che non ci sia io a salvare le vostre povere chiappe».
Finnick rise e le accarezzò i capelli scuri, che iniziavano pian piano a ricrescere.
«Ehi, non vado da nessuna parte. Quando sarà tutto finito tornerò qui e ti ripeterò con estremo gusto la mia frase preferita».
Johanna, malgrado tutto, increspò le labbra in un sorriso. «Roba che scotta in arrivo?».
«No». Le baciò la fronte. «Te l’avevo detto».
Si alzò e si diresse verso la porta. Johanna si chiese con che parole fosse riuscito a convincere Annie che non sarebbe morto a Capitol City.
Quando si voltò a salutarla, in piedi sull’entrata, era bello come non lo vedeva da tempo. I suoi occhi verdi sprizzavano vita anche a quella distanza, da quel letto d’ospedale da cui lo osservava.
«Finnick…», iniziò a dire.
«Sì?».
Johanna sospirò. «Te lo dico quando torni».



Era una fredda giornata d'inverno.
Johanna era seduta sul divano, avvolta da una coperta pesante. Si sentiva la pioggia picchiettare sulle finestre nel silenzio della stanza. Gale, seduto di fianco a lei, la stringeva al suo petto con un braccio intorno alle spalle.
A volte capitava che passassero ore in silenzio. C'erano giornate in cui il passato tornava a fare visita, e non era così facile rinchiuderlo nel posto da dov'era venuto.
«Non gliel'ho mai detto».
Il mormorio di Johanna aveva rotto il silenzio. Era l'anniversario della morte di Finnick.
Gale ascoltava in silenzio, in attesa.
«Non so perché ho aspettato». Fece un sorriso amaro, come per commentare quella scelta. «Forse pensavo che avrebbe avuto un motivo in più per tornare a casa».
Gale le baciò la guancia. Lei aveva il rimorso di non aver tentato, e lui quello di aver osato troppo.
La pioggia si tramutò in temporale. Rimasero ad ascoltare i tuoni, mentre nella casa scendeva di nuovo il silenzio.
«Cosa volevi dirgli?», chiese Gale alla fine, le labbra contro la sua tempia.
Johanna sospirò. Finnick era morto da tempo, ormai. Non sarebbe tornato bussando alla sua porta, affermando te l'avevo detto. Non poteva conservare quelle parole in attesa che lui venisse a sentirle.
Si strinse le ginocchia al petto. «Che gli volevo bene».
Gale rimase spiazzato per un attimo, poi le accarezzò piano i capelli.
«Sono sicuro che lo sapeva già».
«L'ultima volta che ne abbiamo parlato avevo detto che non mi era rimasto più nessuno a cui volere bene». Lo sguardo di Johanna era perso nel vuoto davanti a sé. «Volevo solo che sapesse che non era più così».
Gale la fissò in silenzio. «Hai sempre considerato l'amore come una debolezza, vero?».
«Dopo che hanno ucciso quelli che amavo, sì».
Johanna conosceva un'altra persona che la pensava così. E non smetteva di stupirsi quando pensava che, in un modo o nell'altro, tanto lei quanto Katniss avevano trovato il coraggio di crederci un'ultima volta.
Come cosa aveva dell'incredibile, dopotutto. O forse solo del masochistico.
Gli occhi grigi di Gale erano fissi nel suoi. Johanna aveva due parole sulla punta della lingua, ma non era sicura di riuscire a pronunciarle.
Il ricordo di Finnick si fece strada prepotente nella sua mente. Sapeva cosa avrebbe voluto che lei facesse. L'avrebbe voluta vedere crescere e migliorare. Avrebbe voluto che lei vivesse anche per lui. Perché Finnick era così, una vita sola non sarebbe bastata per l'energia che irradiava.
Gale lo sa già, si disse. Tentò di convincere se stessa, ma senza risultato. Sapeva di non voler rischiare un altro rimorso.
Tirò fuori una mano dalla coperta e attirò a sé il volto di Gale. Nascose le labbra contro il suo collo e parlò in un sussurro, come se l'avesse voluto dire solo per se stessa.
Gale sorrise, rispondendo nel suo orecchio, e lei non si sentì debole come temeva.
In realtà, solo più forte.
Finnick, nei suoi ricordi, la guardava un'ultima volta prima di partire, con gli occhi che brillavano.
Le scappò una lacrima, mentre sorrideva sulla spalla di Gale. Se n'era finalmente resa conto, o forse lo accettava solo allora.
Te lo dico quando torni.
Finnick lo sapeva, la conosceva da una vita. Non aveva bisogno di sentirlo.
L'aveva sempre saputo.



__________________



Workinprogress al rapporto

Non riesco a credere di aver finalmente finito questa storia.
Amo scrivere di Johanna, e amo scrivere di Finnick. Ma questa fic? Oh, questa qui è stata un'impresa. Non perché mi mancassero le parole, ma perché mi rattristava troppo.
Spero di non aver fatto rattristare troppo anche voi, e che anzi vi sia piaciuta.
La frase che pronuncia Johanna, 'Non mi è rimasto più nessuno a cui volere bene', è una citazione di Catching Fire, quando si offre di andare nella zona in cui c'è stato l'attacco delle ghiandaie chiacchierone.
Titolo più che banale, lo so. Non sono riuscita a farmi venire in mente niente di meglio, purtroppo.
Che dire? Di nuovo, spero che vi sia piaciuta, e scusate se compaio e scompaio a intermittenza. Purtroppo la costanza non è esattamente uno dei miei pregi, lo ammetto.

Un bacione grande a tutti,

wip
  
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