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Autore: Maryleescence    23/07/2014    7 recensioni
Alexander Brown è un ricco aristocratico che vive nella Londra vittoriana del 1859. Non tutti sanno che dietro quel bell'aspetto e occhi incantevoli, si nasconde in realtà il volto di un assassino. L'uomo uccide le donne con cui riesce ad avere rapporti e in seguito, taglia loro una ciocca di capelli, tenendola come ricordo nel libro delle sue malefatte. Amori, ossessioni e passioni carnali contraddistinguono la sua vita, ma ciò porterà lui stesso alla morte, che fatalmente infligge alle donne che incontra.
Genere: Drammatico, Horror, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Violenza
Capitoli:
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Capitolo 1°: L’uomo dai mille vizi e peccati.

 

Alexander Brown si era soffermato più volte a fissare quel firmamento continuamente oscurato da quelle nubi grigie dalle sfumature più svariate, ma quel giorno ne rimase completamente folgorato.  Quello che vide dentro di esse non fu altro che il suo animo deturpato dalle colpe che ogni giorno s’impregnavano su di lui e lo disarmavano davanti ai suoi stessi pensieri. Nella sua mente continuava a regnare la confusione; era come se vagasse nel buio, seguendo la scia di una luce invisibile. I motivi che l’avevano spinto a restare nella città di Londra erano davvero tanti; forse troppi. La protezione da parte della regina, la quale decideva di graziarlo ogni volta con un’amnistia, giocava un punto a favore. Lui, però, scappava; sì, scappava dal suo incubo peggiore e da una vita angosciante che voleva soltanto cancellare, o forse fuggiva semplicemente da se stesso e dal mostro che era diventato.
Scosse il capo, cercando di dimenticare gli ultimi frustranti pensieri che ormai l’affliggevano da parecchi anni e lo perseguitavano quasi come se cercassero costantemente di distruggerlo. Lui non era altro che un uomo; sì, un essere umano come tanti, ma con una visione del mondo completamente pessimistica. Non vedeva altro che falsità e odio attorno a lui; la società indossava frequentemente maschere per farsi apprezzare, ma Alexander semplicemente le odiava. Anche quando delle giovani donne gli facevano dei complimenti, lui li considerava semplicemente ipocriti. Eppure era dotato di un fascino e di una bellezza in equiparabili a una qual si voglia divina virtù. I suoi capelli scuri erano ricci e corti, ma apparivano molto morbidi al tatto, tanto da sembrare fragili. Il suo viso era ovale ed era accompagnato da una pelle candida, ma soprattutto secca a causa del freddo. Il naso aveva semplicemente una forma perfetta e arrotondata, mentre le sue labbra apparivano rosee e carnose, ma screpolate, poiché le mordeva spesso. I suoi occhi, invece, parevano dei veri e propri lapislazzuli in cui ogni donna poteva specchiarsi e infatuarsi di una cotale bellezza.
Nessuno, però, poteva comprendere cosa si celava dietro quelle incantevoli pietre preziose.
Molte persone lo ritenevano fortunato poiché viveva nei territori appartenenti alla regina Vittoria e nessun altro posto poteva essere più sicuro, ma semplicemente il giovane aristocratico di venticinque anni non era d’accordo. Per lui Londra non era altro che una fatale maledizione. Possedeva un’avversione inconscia proprio per le donne, ma nessuno sospettava di lui a riguardo di questo peccato. La lussuria divorava ogni parte della sua anima, ma Alexander non si dispiaceva di ciò; anzi, il piacere carnale era una delle sue tante forme di sfogo.
Eppure un uomo così orribile e rozzo era capace di essere rispettato e di poter incantare chiunque grazie alle sue notevoli abilità oratorie. Spesso partecipava alle riunioni di stato e cercava costantemente di far prevalere le sue proposte; riusciva sempre e comunque ad accaparrarsi la benevolenza dei suoi colleghi e se non altro quella dei sovrani d’Inghilterra.
Alexander continuò a camminare tra le gelide strade vittoriane, osservando ad ogni passo, il paesaggio caratteristico dell’anno 1859. S’innalzavano magnifici palazzi pubblici e proprio dinnanzi a loro, tutta la popolazione rimaneva esterrefatta nell’ammirarli, dimenticando così la restante parte della città afflitta dalla fame e dalla miseria. Lui stesso quando vedeva i poveri chiedere l’elemosina in ginocchio, rivolgeva loro uno sguardo intriso d’indifferenza; colui il quale era capitato spesso di vederli morire dal freddo sui marciapiedi e di spingere il loro cadavere con il piede, poiché intralciava il suo cammino. Semplicemente, li odiava. Ogni volta che se li ritrovava davanti, un’espressione di disgusto si dipingeva sul suo volto; probabilmente perché, fissandoli negli occhi, rivedeva se stesso molti anni prima.
In quel momento, cercò di respirare a pieni polmoni, sentendosi soffocare dalle perenni catene che imprigionavano il suo stesso animo, ma solo aria pesante e maleodorante l’investì. Strisciò le scarpe nere e nuove sulle strade lastricate, iniziando così già a consumare la suola. Non gli importò, poiché per lui i soldi non erano un problema. Udì l’elevato vocio cittadino e il rumore degli zoccoli dei cavalli che battevano su quei ciottoli quasi come martelli su pezzi di ferraglia. Ciò confondeva ulteriormente la sua mente, provocandogli un fastidioso mal di testa che sapeva sarebbe passato solo con un buon riposo; un qualcosa che non avrebbe mai ottenuto, poiché il suo inconscio era costantemente tormentato da incubi che altro non rappresentavano il suo vero essere.
Alexander, inoltre, era anche un uomo molto colto; dedicava, infatti, tante ore allo studio di materie scientifiche. Anche la letteratura per lui aveva un grande valore; adorava impregnare i suoi pensieri su fogli di carta, ma soprattutto amava creare catene di parole, che solo a pronunciarle scaturivano un’armoniosa musicalità. Era molto interessato soprattutto alla psicologia e all’anatomia dell’essere umano; spesso si ritrovava a fissare le persone che passavano accanto a lui con uno sguardo intriso di curiosità o a volte semplicemente disegnava su quelli che erano soltanto semplici fogli, il vero lato inconscio di ogni persona. Lui era un uomo molto intuitivo e per lui gli esseri umani erano dei veri e propri libri aperti.
Questo era Alexander Brown, l’uomo dai mille vizi e peccati.
Ben presto svoltò più volte, avvertendo il freddo pizzicargli le guance e giunse davanti a quello che era un palazzo composto da due piani; si trattava infatti della sua dimora. Già all’esterno appariva ricca di ghirigori di materiali pregiati, come l’oro e l’argento. Più volte aveva sorpreso qualche piccolo teppistello rubargli ornamenti oppure rovinargli la struttura e più volte li aveva denunciati davanti a un pubblico ufficiale. Altre invece, i poveri bussavano alla sua porta chiedendogli del pane, ma lui la richiudeva con forza ordinando loro di non ritornare più. Aveva sorpreso anche il suo maggiordomo prendere del cibo e donarlo a loro; tante minacce volarono quel giorno, anche di morte. A differenza di molti aristocratici, i quali preferivano vivere in campagna, lui amava la città, poiché abitava tra quell’agglomerato di palazzi e sporcizia dalla tenera età infantile.
Appena varcò il portone, davanti ai suoi bellissimi occhi, si estese un magnifico salotto composto da pregiate poltrone, divani rossi e tappeti scuri. Un tavolino di marmo era posto al centro della stanza e numerose librerie adornavano il suo angolo di lettura.
Bastian Waynther, il maggiordomo di mezz’età di casa Brown, si avvicinò all’aristocratico togliendogli il cappotto e assicurandosi che la luce non fosse troppo fioca. Era già quasi del tutto calvo, ma si notavano ancora dei capelli brizzolati. Possedeva anche lui un naso arrotondato, ma molto più grande rispetto a quello di Alexander. I suoi occhi erano verdi, mentre sulle sue labbra molto sottili, si poggiavano dei grandi e curati baffi bianchi. Indossava, inoltre, degli occhiali da vista rotondi poiché gli mancavano parecchi gradi in tutti e due gli occhi, ma questi purtroppo apparivano sempre sporchi e unti.
<< Spero abbiate fame! Ruth, vi ha preparato un pranzo squisito… >> disse, mettendo in mostra il suo audace sorriso.
<< Non ho fame, potete dire alla signora Dickens di gettarlo… >> rispose con acidità, recandosi nel suo studio.
Chiuse la porta bianca a chiave alle sue spalle e si sedette su quella sedia di legno nobile, posta dietro a una scrivania intagliata da numerose decorazioni. Su di essa era poggiato un calamaio e una piuma, poiché preferiva continuare a scrivere nel modo classico e non usare una penna stilografica. Per non parlare dei numerosi fogli buttati alla rinfusa e le cartacce che tutti i giorni Bastian doveva gettare nell’apposito raccoglitore di rifiuti. Su quelle mura bianche erano appesi numerosi quadri di volti sconosciuti e altre librerie, invece, erano semplicemente appoggiate a esse.
Si alzò in piedi e diede un calcio al tappeto scuro che si trovava dietro la sua precedente postazione, rivelando così il segreto che teneva celato nel profondo del suo cuore. Davanti a lui vi era una botola di legno e sapeva esattamente che in realtà era un passaggio che conduceva a un regno intriso di maledizioni. Fece dei respiri profondi e in seguito deglutì con forza. Estrasse la chiave dalla tasca e girandola nella serratura la sbloccò, affinché potesse introdursi all’interno della botola. Percorse una scala di legno e facendosi luce con un fiammifero, attraversò il corridoio tetro e freddo, sino a giungere davanti a una porta di legno che in seguito aprì.
Quello era il laboratorio delle sue malefatte.
L’atmosfera era cupa e solo poche fiaccole illuminavano lo scenario. Un odore pungente investiva i polmoni del giovane Alexander, il quale avvertiva anche il freddo impregnarsi nella sua pelle. Erano presenti tanti scaffali su cui erano poggiati dei barattoli, che in realtà contenevano organi umani di vari tipi; erano conservati in liquidi, così da arrestare il loro processo di decomposizione. C’era poi un altro ripiano su cui giacevano degli strumenti chirurgici e al centro della stanza era presente un tavolo di ferro, tipico dell’obitorio, dove il cadavere della donna che aveva portato a casa sua quella notte – e di cui aveva abusato – restava inerme e nudo.
Il rituale era sempre lo stesso. Estraeva gli organi con i vari strumenti che aveva a disposizione e li metteva in dei barattoli, i quali li posizionava poi su quegli scaffali polverosi. In seguito tagliava una ciocca di capelli alla sua vittima e servendosi della cera di una candela, la incollava tra le pagine bianche di un libro dalla copertina nera; accanto alla prova del crimine scriveva il nome della donna che aveva ucciso. Infine bruciava i cadaveri con il forno crematorio costruito in quella putrida stanza e poi semplicemente gettava le ceneri dove nessuno potesse vederle.
Alexander ormai stanco e sudato, si soffermò a lungo su quel libro che era già per metà pieno di crimini e peccati. L’osservò dalla prima pagina, sfogliando poi le altre e osservando, con uno sguardo intriso di malignità, che il suo primo omicidio avvenne cinque anni prima. Ricordava bene che aveva ucciso sua madre, con cui inizialmente si era scaturito un rapporto incestuoso, il quale sfociò poi con la morte.
La regina non faceva altro che coprire i suoi crimini e lui la ricambiava con effusioni di piacere carnale. Questa era la terribile vita di Alexander Brown, il quale rimaneva costantemente in bilico per non cedere alla morte.
Lui era il collezionista di anime e di corpi; lui era il collezionista di capelli.

   
 
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