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Autore: _ayachan_    05/09/2008    29 recensioni
A cinque anni dalle vicende de "Il Peggior Ninja del Villaggio della Foglia", che ne è stato delle promesse, dei desideri e delle recriminazioni dei giovani protagonisti?
Non si sono spenti con l'aumentare dell'età. Sono rimasti sotto la cenere, al caldo, a riposare fino al giorno più opportuno. E quando la minaccia è che la guida scompaia, quando tutt'a un tratto le scelte sono solo loro, quando le indicazioni spariscono e resta soltanto il bivio, è allora che viene fuori il carattere di ognuno.
Qualunque esso sia.
Versione riveduta e corretta. Gennaio 2016
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'L'eroe della profezia'
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Penne 03 7
Capitolo terzo

La maledizione di Juka




Chiharu, Hitoshi e Kotaro entrarono nell’ufficio per lo smistamento delle missioni tra i borbottii risentiti di Chiharu e la rassegnata esasperazione dei compagni. La giornata era tranquilla, i Chunin dietro il banco chiacchieravano ancora della famosa seduta del Consiglio e nella stanza era presente soltanto un altro shinobi oltre a loro.
«Neanche uno schifosissimo giorno di pausa!» protestò Chiharu trascinandosi oltre l’ingresso, a metà tra il petulante e l’indignato. «Eleggono un nuovo Hokage e noi dobbiamo comunque andare al lavoro! Vi sembra corretto?»
Alla fine Naruto aveva accettato il posto di Hokage in prova. Si era lamentato dell’ingiustizia subita con chiunque fosse disposto ad ascoltarlo, ma sapeva bene che quella era un’occasione ghiotta per dimostrare a Iida e ai suoi sostenitori che poteva essere il legittimo successore di Kakashi.
«Sono tre giorni che piagnucoli di volere le ferie, inizi ad essere noiosa...» sbuffò Hitoshi.
«Tecnicamente si tratta soltanto di un periodo di prova, non è proprio l’ascesa del Settimo» le fece notare Kotaro.
«Ma, sempre tecnicamente, siamo ancora i preziosi allievi del nuovo quasi Hokage!» si indignò Chiharu. «Almeno per noi dovrebbero fare un’eccezione! Senza contare che mio padre sarà assistente speciale di Naruto!»
«E i miei genitori chi sono, gli inservienti?» grugnì Hitoshi. «Comunque dovevamo aspettarcelo, il Consiglio vuole far passare la cosa in sordina: la nomina di Naruto è uno smacco troppo grande. Niente cerimonie, niente feste, niente di niente. Forse sperano di convincere Kakashi a fare un passo indietro.»
«E chi se ne frega. Io voglio una vacanza.»
«Bonjour finesse» disse una voce accanto a loro, lungo il tavolo per lo smistamento.
Chiharu sentì il sangue salirle al viso riconoscendo la fin troppo familiare sagoma di Sai, e si maledisse per non essersi accorta che era proprio lui lo shinobi presente nella stanza oltre a loro. Sai le sorrise, rivolgendo un cenno anche ai suoi compagni, quindi la scrutò per un lungo istante.
«Missione?» domandò.
«Sì» rispose Hitoshi, cauto, pronto alla solita frecciatina.
Ma Sai per una volta sembrava totalmente inoffensivo. Con un sorriso prese la pergamena che gli tendeva il Chunin oltre il tavolo e rimase in silenzio.
Chiharu non lo vedeva dalla sera del suo compleanno, la stessa sera in cui lo aveva baciato - dando prova di un coraggio francamente inumano. Ancora si chiedeva dove avesse trovato il fegato di proporsi in quel modo, ma nell’immediato presente il vero problema era impedire a Hitoshi e Kotaro di accorgersi di qualcosa. Mentre lo pensava notò con orrore che tutte le giunture del suo corpo avevano assunto angoli innaturali.
«Voi che siete suoi allievi dovreste essere riusciti ad avvicinare Naruto dopo il trambusto dell’altro giorno...» riprese Sai, come a ripensarci. «Oh. A giudicare dalle vostre facce sembra che non abbia voluto vedervi. E’ ancora così arrabbiato?»
«Sono passati solo tre giorni dalla delibera del Consiglio» ribatté Kotaro sulla difensiva. «E’ stato molto impegnato, per questo non siamo riusciti a trovarci!»
«Immagino...» commentò il Jonin, per nulla convinto. «Non ha trovato nemmeno un paio d’ore per festeggiare con un brindisi?»
«Molto impegnato» sillabò Hitoshi, dicendo a se stesso che il suo istinto non sbagliava mai.
Sai rivolse loro un sorriso condiscendente e gettò un’occhiata alla pergamena che aveva appena ritirato. «Resterei a stuzzicarvi tutto il giorno, ma purtroppo ho qualcosa da fare. Devo salutarvi. Spero che Naruto vi conceda udienza, prima o poi» augurò con una nota divertita nella voce.
Prima che Hitoshi e Kotaro riuscissero a trovare qualcosa di pungente con cui ribattere il Jonin se ne era già andato.
Chiharu riprese a respirare solo allora, accorgendosi con un secondo di ritardo che stava per entrare in carenza di ossigeno. Espirò bruscamente, attirando le occhiate perplesse di Hitoshi e Kotaro, ma ebbe la prontezza di stroncare le loro domande parlando per prima.
«Beh? Questa missione?»
Tese la mano verso il responsabile e quello le porse una pergamena accuratamente sigillata con l’indicazione ‘A’. Chiharu ruppe la ceralacca, la srotolò, impaziente di sfogare il nervosismo menando un po’ le mani, e lesse rapida la consegna.
«Merda» fu il fine commento che si lasciò scappare a lettura completa. «E’ una missione da quattro.»
«Ti prego, dimmi che non ci serve un ninja medico!» gemette Hitoshi con una smorfia. L’ultima e unica volta che era capitata una situazione simile si erano dovuti portar dietro Baka ed era stato un inferno. Quasi avrebbero preferito lasciarci le penne, ma farlo in pace.
«Non credo ce ne sia bisogno» rispose Chiharu tendendogli la pergamena. «Per oggi lasciamo stare Stupido e viviamo sereni. Vado a cercare Yoshi.»
Hitoshi e Kotaro scambiarono uno sguardo allarmato: all’improvviso la prospettiva di portarsi dietro Baka assumeva un certo fascino...

Mentre camminava impettita lungo le vie di Konoha Chiharu si grattava la guancia. L’unguento che le aveva regalato Akeru aveva funzionato inaspettatamente bene, e il livido sul suo zigomo era quasi scomparso del tutto, lasciandole solo un po’ di prurito.
Sfruttando i rari minuti di solitudine ripensò con imbarazzo e frustrazione all’incontro con Sai. Doveva mantenere la calma: Sai era famoso per essere un uomo impossibile, quindi anche se l’aveva completamente ignorata non voleva dire niente. D’altronde che avrebbe dovuto fare? Era lei che aveva dato inizio alla cosa, semmai era lei che avrebbe dovuto rivolgergli un cenno, un segno di qualche tipo. Avrebbe voluto farlo, ora che ci pensava. Avrebbe dovuto. Maledizione, perché le idee brillanti venivano sempre un minuto troppo tardi?
Raggiunta l’Accademia si costrinse a tornare al presente. Yoshi frequentava ancora i corsi, anche se era vicino al diploma. Era uno studente un po’ atipico, prima di tutto perché superava il metro e cinquanta, e poi perché aveva quasi il doppio degli anni dei compagni di classe. Non solo: capitava che di tanto in tanto si alzasse dal suo banco, chiedesse il permesso di andare in bagno e poi non tornasse più indietro. E in quel caso non lo si rivedeva fino al giorno dopo.
Il sospetto generale era che marinasse le lezioni per imboscarsi con la figlia di Shikamaru Nara - e in effetti la cosa non sarebbe stata poi così strana: erano due ragazzi giovani che si piacevano, nulla di più facile che si ritagliassero un po’ di tempo extra per scambiarsi effusioni. Se non che, poco tempo dopo l’inizio delle sparizioni misteriose di Yoshi, Hitoshi Uchiha si era presentato nell’ufficio dell’Hokage protestando perché Chiharu aveva portato in missione uno studente non diplomato come suo sostituto mentre era malato. La cosa che più lo mandava in bestia, a quanto pareva, era che lo studente in questione non solo aveva tenuto il ritmo, ma alla fine si era anche rivelato utile.
«Non è un tipo di cui fidarsi» aveva sottolineato l’Uchiha testardamente. «Anche se la sua storia è particolare ed è più grande degli altri allievi, nessuno dovrebbe cavarsela così bene con le tecniche ninja senza essere uno shinobi. Va tenuto d’occhio!»
In effetti Kakashi si era trovato d’accordo. Ma le informazioni che avevano raccolto su Yoshi prima di ammetterlo all’Accademia erano state confermate più volte, e da qualunque parte la si guardasse le tecniche che il ragazzo usava erano tutte parte dei programmi di studio. Per qualche tempo, seguendo i timori di Hitoshi, Kakashi aveva fatto seguire Yoshi. Poi, dato che non succedeva niente e il ragazzo sembrava inoffensivo, aveva lasciato perdere. Forse avevano a che fare con un genio, tutto qui.
Di sicuro il modo in cui si allontanava dalle lezioni non aveva proprio nulla di geniale: quando aveva bisogno di lui, Chiharu raggiungeva la finestra della sua aula, con un foglio segnato in maniera particolare confezionava un piccolo origami a forma di insetto - centipedi o cervi volanti se si sentiva creativa, eserciti di banali formiche quando non aveva voglia - e lo mandava in missione su per il muro e dentro l’aula fino a raggiungere i piedi di Yoshi. Lui raccoglieva la bestiola, accartocciava il foglio con cui era stata creata e andando verso il bagno lo cestinava discretamente, tirando quindi dritto fino all’uscita dall’edificio.
Non sempre Chiharu lo faceva evadere perché aveva bisogno di lui: era capitato più di qualche volta che lo chiamasse solo perché si annoiava, ma dato che negli origami non erano mai scritti messaggi, Yoshi non poteva sapere quale fosse lo scopo della convocazione.
Fino a quel momento, tuttavia, aveva sempre risposto. Anche quel giorno non si fece attendere: Chiharu lo vide uscire dall’Accademia come se fosse un principe conquistatore anziché uno scolaretto senza giustificazione, e lo affiancò distrattamente lungo la strada principale.
«Cosa ho interrotto?» domandò.
«La Storia di Yondaime e Kyuubi» rispose lui roteando gli occhi.
«Forse l’unica parte interessante delle lezioni di storia...»
«Non se censuri i pezzi divertenti.»
«Tipo?»
«Tipo la tecnica usata da Yondaime per sigillare la Volpe. O dove l’hanno sigillata» Yoshi le lanciò un’occhiata obliqua, a metà strada tra uno sguardo di intesa e uno interrogativo.
Chiharu si strinse nelle spalle e fece la vaga. «Farò dire al professor Aburame di inserire nel programma i codici segreti delle spie di Konoha, così non ti annoi.»
Yoshi scoppiò a ridere e scosse la testa. «Allora, oggi perché sono scappato?» chiese cambiando argomento.
«Ci hanno rifilato una missione da quattro. E’ una scorta, ma pare che ci sia un certo rischio di subire imboscate, quindi il cliente ha insistito per uno shinobi in più. Deve aver sborsato un mucchio di ryo.»
«Dove si va?»
«Al Tempio di Juko. O Juka. Qualcosa di simile, comunque è ad est» spiegò la kunoichi guardandosi attorno. «Hai fatto colazione? Non voglio portarti in giro a stomaco vuoto.»
«Sicura che abbiamo il tempo?» esitò Yoshi.
«Kotaro e Hitoshi se ne faranno una ragione... Vieni, prima facciamo e prima ripartiamo.»
Si fermarono a un chiosco che aveva ancora dei dango in esposizione. Chiharu prese tutti quelli che erano rimasti e li mise in mano a Yoshi senza ascoltare le sue proteste: sapeva che il ragazzo viveva solo e spesso mangiava male, ma se si prendeva la responsabilità di portarlo in missione non voleva correre il rischio di vederselo svenire a metà dell’opera, e questo voleva dire dire che tutte le volte che lo faceva uscire dall’Accademia gli comprava qualcosa.
Yoshi divorò le morbide palline di riso lungo la strada tra il chiosco e l’ufficio per lo smistamento, impiastricciandosi le dita e impastandosi tutta la bocca. Quando lui e Chiharu raggiunsero Hitoshi e Kotaro il suo saluto inintelligibile venne accolto da smorfie disgustate e sguardi diffidenti.
«Stai mangiando dango?» chiese Hitoshi stizzito. A lui Chiharu non aveva mai offerto niente.
«Lascia stare» lo fermò Kotaro in tono funebre - non si era mai impegnato a nascondere le proprie emozioni. «Non abbiamo tempo per discutere, se non partiamo subito non riusciremo a tornare prima di sera.»
«Adoro questo caldo senso di appartenenza al gruppo» sussurrò Yoshi a Chiharu, gettando nel cestino un mucchio di fazzoletti appiccicosi. Lei sorrise ma non disse niente. Capiva che portare Yoshi in missione era un gioco pericoloso, perché l’equilibrio del gruppo sette non era mai stato particolarmente stabile. D’altronde se l’alternativa era Baka non aveva dubbi sulla scelta, e Hitoshi e Kotaro avrebbero fatto meglio a tacere se non volevano andare a cercarsi da soli qualcuno che reggesse il loro insolito ritmo di lavoro.
Nessuno dei due protestò, però, e invece entrambi ingoiarono le espressioni truci che avevano stampate sulla faccia e si aggiustarono gli zaini in spalla.
«Andiamo» ordinò Hitoshi prendendo la testa del gruppo. «Il villaggio nella consegna è a mezzora verso nord. Cerca di non vomitare lungo la strada» mormorò all’indirizzo di Yoshi.


«Papà, cos’è successo l'altro giorno?»
La missione che aveva allontanato Jin dalla sala del Consiglio era durata più del previsto, e quando il ragazzino era rientrato la curiosità lo aveva obbligato a svegliare il padre e interrogarlo prima ancora di farsi una doccia. Kakashi, che in quel momento sognava Naruto che era tornato lattante e non capiva i suoi nuovi compiti, sobbalzò sul divano e per un momento pensò che Jin e Naruto fossero la stessa persona.
«Mi stavo giusto chiedendo dove fossi» mormorò quando la vista tornò lucida, tirandosi a sedere con uno sbadiglio. Quante ore aveva dormito? Si sentiva come se fossero stati solo pochi minuti... Istruire i suoi sostituti si era rivelato un compito sfiancante.
«Avevo una missione da finire. Cos’è successo durante il Consiglio?» insisté Jin.
Kakashi sospirò: avrebbe voluto che Jin si godesse almeno un po’ l’infanzia, invece di catapultarsi nel triste mondo degli adulti con tutta quella fretta.
«Ho dato le dimissioni dalla carica di Hokage» disse soffocando un secondo sbadiglio.
Jin spalancò occhi e bocca in una curiosa imitazione del Naruto del suo sogno. Kakashi provò uno slancio di affetto nei suoi confronti.
«Sono troppo vecchio per affrontare una guerra, non riuscirei a guidare gli shinobi in battaglia» spiegò. «L’Hokage non è fatto per stare dietro la scrivania a dirigere le operazioni: l’Hokage è fatto per stare in mezzo ai suoi uomini e rischiare la vita con loro. Lo capisci, Jin?»
Jin fece una smorfia, ma si affrettò a cancellarla prima che diventasse evidente. La ragion di stato non concordava con quella filosofia, però non poteva certo dirlo a voce alta.
Kakashi sorrise. «Dovrei farti passare più tempo con Naruto...» mormorò, più a se stesso che altro.
A quel nome nella testa di Jin si accese un collegamento. Naruto. Conosceva l’opinione di suo padre riguardo a Naruto, anche se faticava a condividerla; se c’era un posto da Hokage vacante allora...
«Hai proposto Naruto come tuo successore?» domandò stupito. «Con che coraggio?»
Kakashi scoppiò a ridere, sentendo qualche goccia della stanchezza accumulata che scivolava via insieme alla risata.
«Non è stato semplice» spiegò. «Perché il Consiglio prendesse almeno in considerazione la proposta ho dovuto affiancargli Shikamaru, Sasuke e Sakura. Naruto si è comprensibilmente infuriato e ha lasciato la riunione, ma in fondo è stato meglio così: ho fatto una gran fatica a strappare un mezzo assenso ai consiglieri anche senza che lui li provocasse infiammandosi come suo solito.»
«Naruto, Shikamaru, Sasuke e Sakura? Hokage insieme?» ripeté Jin allibito. «Ma è legale?»
«Tecnicamente no» fu costretto ad ammettere Kakashi. «E’ stata l’obiezione più difficile da contestare, in effetti, ma alla fine siamo giunti a un compromesso: saranno ‘sostituti Hokage’... una cosa temporanea, insomma.»
«Una specie di banco di prova?»
«Più o meno» Kakashi si strinse nelle spalle.
«Ma quindi tu sei ancora Hokage o no?»
«In questo preciso momento no. Purtroppo i consiglieri hanno detto che si riserveranno il diritto di richiamarmi se avranno bisogno di me, il che in effetti è una cosa in loro potere, quindi... Per adesso sono soltanto sospeso dalla carica. O qualcosa del genere.»
«E quando finisce il periodo di prova?»
Kakashi si alzò dal divano, sgranchendo la schiena dolorante ed evitando gli occhi del figlio. «Non ne ho idea, Jin. Per ora basta che Naruto e gli altri si insedino, poi sono certo che ogni cosa andrà al suo posto: quel ragazzo ha sempre trovato una soluzione per tutti i problemi, anche quelli più impossibili.»
Jin aggrottò la fronte. Non gli era sfuggito che suo padre stesse evitando il suo sguardo, ma per nascondere cosa?
«Che fa un ex Hokage durante il giorno?» indagò.
Kakashi smise di allungarsi e per un attimo rimase immobile. Fuori dalla finestra un uccello cantò, e la sua ombra sfrecciò rapida sulla parete opposta.
«Penso che andrò in viaggio» disse Kakashi nel suo miglior tono neutro. «Ho bisogno di una vacanza, sono anni che non ne prendo una.»
Un brivido corse lungo la schiena di Jin.
«Stai andando dalla mamma?» chiese prima di riuscire a impedirselo.
Silenzio.
La fronte di Kakashi si corrugò dolorosamente. Poche volte Jin aveva pronunciato la parola mamma: le rare volte in cui l’argomento era malauguratamente uscito aveva sempre detto mia madre, mantenendo un certo distacco. Ma oggi diceva mamma, come ogni ragazzino di dodici anni, e Kakashi sapeva che non era in grado di affrontare quella conversazione, non in quel momento.
«Stai andando da lei, vero?» mormorò Jin, sentendo il cuore che accelerava i battiti nel petto. «Ti prego...»
«No. Vado in vacanza» lo interruppe Kakashi bruscamente. «Adesso sono molto affamato, vorrei...»
«Papà!»
Kakashi ammutolì. C’era una ragione per cui nei giorni prima del Consiglio aveva evitato Jin, ed era che quel ragazzino non si era mai bevuto una sua bugia in tutta la vita. Mai. Kakashi aveva ingannato tutti i nobili di Konoha ed era abbastanza sicuro di non aver insospettito nemmeno Shikamaru, che di solito era così intuitivo, ma con Jin non aveva scampo.
«Tu stai andando dalla mamma» non era più una domanda. «Tu sai dov’è e ora stai andando da lei. Perché? Cosa è successo? E’ in pericolo?»
«Jin, non sto andando da nessuna parte...» tentò un’ultima volta, inutilmente.
«Smettila di prendermi in giro!» gridò Jin. «E’ mia madre! Non mi hai mai, nemmeno una volta, parlato di lei! Penso di avere il diritto di sapere dove è stata per tutti questi anni e perché!»
Kakashi tacque. Jin aveva il diritto di sapere, certo. Ma lui aveva la forza di dirglielo? Aveva la forza di spiegargli perché stava per mettere in pericolo se stesso e, potenzialmente, tutto il paese del Fuoco? Aveva il coraggio di parlare del fascicolo nell’Archivio Segreto della Foglia, di Jinnai Momori e dei sospetti di Tsunade? No, comprese: non era pronto a riesumare tutta quella vecchia storia, non ancora. Dopotutto nemmeno lui era certo di quel che faceva.
«Jin, vai nella tua stanza» disse alla fine, senza riuscire a trovare idee migliori.
«Non sei più Hokage, non darmi ordini!» ribatté Jin con veemenza.
«Sono tuo padre! Vai nella tua stanza!»
Jin serrò i pugni. Per un attimo sembrò voler rispondere, poi strinse i denti, si voltò, si diresse verso l’ingresso e uscì sbattendosi la porta alle spalle.
Kakashi rimase solo. Che fare ora? Doveva trovare il modo di distogliere il ragazzino dal pensiero che lui stesse andando da sua madre, o non sarebbe mai riuscito a partire senza ritrovarselo alle costole. Forse avrebbe dovuto chiedere l’aiuto di Naruto, renderlo parte della vicenda - ammesso che Naruto non fosse stato dell’idea che Jin doveva sapere, cosa tutt’altro che improbabile.
Sospirò, ripercorrendo mentalmente la conversazione appena avuta. Avrebbe voluto che quello fosse l’inizio dell’adolescenza di Jin... Invece sentiva che era l’inizio di qualcosa di ben più doloroso.


*


Quando i quattro shinobi di Konoha arrivarono al villaggio indicato nella missione Kotaro era l’unico fresco del gruppo. Nel goffo tentativo di mettere in cattiva luce Yoshi e dimostrare quanto lui invece fosse abile ed efficiente, Hitoshi aveva spinto in velocità più di quanto i suoi polmoni affumicati fossero in grado di sopportare, guadagnandosi un mucchio di insulti da Chiharu e non ottenendo molto più di un leggero strato di sudore sulla fronte di Yoshi. Adesso l’Uchiha cercava di mascherare lo sforzo - perché avrebbe preferito sputare i polmoni piuttosto che farsi vedere con l’affanno davanti al re della digestione lampo - ma a dire il vero ci riusciva piuttosto male, dato il colore della sua faccia.
Per sua sfortuna sembrava che le guance arrossate lo rendessero solo più affascinante agli occhi delle ragazze che lo spiavano dai margini della piccola folla radunatasi per vederli partire. Il punto di incontro per la missione era una spianata in terra battuta appena sufficiente a contenere le duecento anime del villaggio, ma la notizia del loro arrivo si era diffusa così in fretta che subito erano stati accerchiati da contadini curiosi, buona parte dei quali imbracciava ancora la zappa o aveva le mani sporche di terra. Al centro dell’assembramento, proprio di fronte a loro, stavano cinque sacerdoti vestiti di viola tra cui spiccava un ragazzino che stringeva un involto.
Ciò che il gruppo doveva scortare era il prezioso tesoro del tempio del luogo, ovviamente nascosto all’interno di un sacchetto ingioiellato e pesantissimo, che partiva in pellegrinaggio per il tempio gemello a trenta chilometri di distanza. Il giovanissimo sacerdote pelato che aveva il compito di consegnare il pacco agli shinobi era un tipo apprensivo: sembrava convinto che tutti volessero rubare la reliquia - inclusi coloro che dovevano scortarla - quindi scrutò i ragazzi con molta cura.
A giudicare dalla smorfia disgustata che comparve sul suo viso il risultato dell’analisi non sembrò soddisfarlo granché.
«Il prezioso tesoro del villaggio sarà scortato da questi bambini?» esclamò pieno di indignazione.
«A me sembra di avere almeno un paio d’anni più di te» sbottò Hitoshi.
«Avevamo richiesto espressamente una scorta di un certo livello...» insisté il giovane monaco, ma Chiharu lo interruppe subito.
«Noi siamo di un certo livello. Siamo i migliori del nostro anno, e il nostro anno è il migliore del villaggio» annunciò, anche se non ne era troppo sicura.
«Quello che la mia compagna intende dire» intervenne Kotaro «è che anche se siamo molto giovani il tesoro con noi sarà in mani sicure. Konoha non ci avrebbe mai affidato una missione tanto, ehm, delicata se non avessimo potuto portarla a termine. Ne va della reputazione dell’Hokage.»
Il monaco li squadrò di nuovo, poco convinto. D’altronde i duecento contadini che li circondavano avevano svuotato le casse delle loro case per pagare la costosa scorta armata che trasportasse il loro più prezioso cimelio, e rimandare indietro i quattro shinobi avrebbe potuto scatenare una rivolta popolare - anche e soprattutto considerato che una parte della generosa offerta era stata usata per il nuovo rivestimento della stanza della meditazione al tempio.
Il ragazzino si voltò e scambiò uno sguardo con i compagni vestiti di viola, i quali annuirono scrollando le spalle.
«Così sia» capitolò. «Ma qualunque cosa dovesse capitare al tesoro voi ne sarete ritenuti responsabili, e la maledizione del dio Juka ricadrà sulle vostre vite!» declamò in tono tragico. Alcuni tra i contadini fecero gli scongiuri.
«Non capiterà niente» disse Kotaro in fretta, troncando il commento di Chiharu con un calcio sugli stinchi.
Il monaco consegnò solennemente il sacchetto ingioiellato nelle mani del giovane Lee, gesticolando una benedizione confusa. I contadini si inginocchiarono reverenti, al che i quattro shinobi si videro costretti a fare almeno un cenno con la testa. A quel punto Hitoshi e Chiharu optarono per la partenza immediata, e con un saluto molto rapido si fecero largo tra la folla per affrettarsi lungo la strada che puntava ad est.
«Che problemi hanno?» sbottò Chiharu quando riuscirono a distanziare l’ultimo bambino che aveva provato a seguirli.
«Ho ancora i brividi lungo la schiena» brontolò Hitoshi, avanzando con determinazione fino a mettersi davanti a tutti.
«Una scorta di quattro shinobi costa molto più di quanto quei contadini guadagnino in un anno» rifletté Kotaro, tenendo il pesante sacchetto con reverenza. «Per loro deve essere una cosa davvero importante.»
«Scommetto quello che vuoi che metà dei guadagni di quegli uomini finisce nelle casse del tempio» commentò Hitoshi.
«Fai anche tre quarti» rincarò Chiharu.
«Va tutto bene?» le chiese Kotaro con un’occhiata incerta.
Lei strinse le labbra senza rispondere. Normalmente si risparmiava i commenti inutili - perché parlare era uno spreco di energia, e lei era molto contraria a qualunque spreco di energia - ma l’incontro con Sai l’aveva innervosita più di quanto pensasse.
«Davvero non ti ha turbato quello sfoggio di bigottismo e malcostume?» domandò Hitoshi in tono di vaga superiorità, forte del sostegno di Chiharu e ben determinato a sottolinearlo agli occhi di Yoshi.
«Bigottismo? Malcostume?» ripeté Kotaro confuso. «Perché?»
«Io credo» intervenne Yoshi a quel punto «che se continuiamo a camminare conversando non riusciremo a tornare prima di sera.»
«Domani devi essere a scuola?» frecciò Hitoshi, irritato dall’interruzione.
«Veramente sì. E visto che c’è una lezione sulla moltiplicazione vorrei partecipare.»
«Tu sai già moltiplicarti» commentò l’Uchiha sospettoso.
«C’è sempre da imparare dai maestri.»
«Ma davvero? E cosa impari?»
Yoshi tacque, lasciando cadere la domanda. Chiharu passò lo sguardo da lui all’Uchiha e per un momento accarezzò l'idea di conficcare uno shuriken nel collo di quest'ultimo.
«Cosa c’è nel sacchetto?» chiese invece per cambiare discorso.
«Non vorrai aprirlo!» trasalì Kotaro.
«Perché no?»
«E’ sacrilegio!»
«Il monaco non ha detto niente sull’aprirlo...»
«Sono piuttosto sicuro che non si debba fare!» Kotaro strinse forte il sacchetto e fece un passo per allontanarsi da Chiharu.
«Dai» sbuffò lei. «Diamo solo un’occhiata, sono certa che Juka non se la prenderà. Scommetto che è un pezzo di legno con la vaga forma di un essere umano.»
«Hai perso» disse Yoshi con un sorriso. «E’ una statuetta d’oro massiccio con incastonata una perla grossa come una noce.»
I tre shinobi lo fissarono, e lui si interruppe come se avesse detto troppo.
«Tu come fai a saperlo?» chiese Hitoshi cauto.
Yoshi esitò per un istante, poi spiegò: «perché l’ho vista un mucchio di volte. Quella statua è la ragione per cui sono stato spedito a Konoha, e il Tempio di Juka è praticamente sopra casa mia.»
Kotaro guardò Chiharu come a chiedere conferma, ma lei si strinse nelle spalle e scosse la testa. Non aveva mai chiesto a Yoshi i dettagli del suo passato, aveva l’impressione che quell’argomento non gli piacesse granché.
«Sai, nessuno ha mai capito di preciso cosa ci fai a Konoha» disse Hitoshi con deliberata lentezza. «Adesso che ci avviciniamo alle tue zone sarebbe bello sapere cosa dobbiamo aspettarci.»
«Cosa dovete aspettarvi?» Yoshi ridacchiò. «Niente. E’ una missione normale, non vi chiederò di fare una scappata a casa per salutare i parenti.»
«Perché no? Sarebbe un’occasione ideale.»
Il sorriso scemò dalle labbra di Yoshi. «Perché no. Sono stato mandato a Konoha per addestrarmi, e a mio padre non farebbe piacere vedermi tornare senza un diploma in mano.»
«Addestrarti a cosa?» insisté Hitoshi, ignorando i segni di fastidio di Chiharu.
«Ti preme tanto conoscere la mia storia?»
«Ti preme tanto nasconderla?»
«Come vanno le cose a casa?»
Hitoshi si irrigidì. «Non sono fatti tuoi.»
«E viceversa.»
«Okay, adesso basta» intervenne Chiharu. «Abbiamo davanti più di sessanta chilometri tra andata e ritorno e io non voglio viaggiare al buio. Smettetela di perdere tempo e acceleriamo il passo.»
Hitoshi e Yoshi si fissarono per qualche secondo ancora, poi Hitoshi mollò la presa. «Kotaro, il sacchetto pesa abbastanza per avere dentro una statuetta d’oro massiccio?» si limitò a chiedere.
Kotaro soppesò l’involto e annuì. «Va bene. Allora ripartiamo» concesse l’Uchiha.
Ma non ti leverò gli occhi di dosso neanche per un secondo, aggiunse mentalmente.
Chiharu soffocò un sospiro e la voglia di ammazzare Hitoshi. Mentre con Kotaro e Yoshi riprendevano il viaggio a ritmo sostenuto lei si trovò a pensare che da lì in poi avrebbe rifiutato categoricamente ogni missione a quattro, se Naruto non li accompagnava. Non erano scientificamente in grado di collaborare con nessuno, ecco la verità. Quando cinque anni prima Kakashi li aveva affidati a Naruto perché imparassero a lavorare in gruppo era stato troppo ottimista: nulla li avrebbe mai convinti a mettere da parte l’orgoglio, già quando erano loro tre riuscivano a collaborare solo grazie a Kotaro. Era folle pensare che qualcuno potesse inserirsi tra di loro.
I banditi di cui parlava la consegna della missione provarono un paio di timidi attacchi lungo il percorso. Un assalto avvenne quasi subito, forse per sfruttare l’effetto a sorpresa, ma Hitoshi era tanto arrabbiato che spaventò a morte i due uomini che gli si avventarono contro e i compagni li seguirono in men che non si dica. Il secondo attacco, un po’ più prevedibile, fu a pochi chilometri dal Tempio, quando la stanchezza iniziava a farsi sentire e con essa la fame.
Il sole era a picco sul sentiero e loro procedevano nella piccola striscia d’ombra a margine del sottobosco. Di lì a poco avrebbero dovuto lasciare la strada battuta per inoltrarsi su un percorso non segnato che attraversava il folto, secondo le istruzioni una via più breve e che probabilmente i banditi non avrebbero controllato.
Stavano appunto perlustrando i margini della strada quando una freccia sibilò tra le braccia di Kotaro tintinnando contro il sacchetto ingemmato. Dalle ombre dei cespugli emersero due uomini urlanti armati di falcetto, e una seconda freccia, proveniente da un’altra direzione, fendette l’aria conficcandosi accanto ai piedi di Yoshi.
I quattro shinobi reagirono come da manuale: Hitoshi e Kotaro si occuparono dei due a piedi, Chiharu e Yoshi si tuffarono tra gli alberi alla ricerca degli arcieri. Chiharu trovò il suo arrampicato sul ramo di un pino. Prima che potesse incoccare una nuova freccia lo afferrò per un piede e lo trascinò a terra, spingendolo violentemente contro il tronco.
«Quanti siete?» chiese premendo il braccio contro il suo collo.
«Sei» rispose quello in fretta. Era un ragazzo giovane, con la pelle del viso che tirava sulle ossa e un orecchio solo.
«Quanti arcieri?»
«Due.»
«Sicuro?» Chiharu premette con più forza.
«Sì!» esclamò quello aggrappandosi alle sue braccia.
«Ci sono altre bande lungo la strada?»
«Forse...»
«Ti piace il tuo orecchio?»
«Non lo so! Giuro che non lo so!»
Chiharu strinse gli occhi e si fece indietro. L’uomo prese fiato per un istante, poi la sua testa fu sbattuta violentemente contro il tronco del pino. Un intenso odore di resina si sprigionò dalla corteccia.
Chiharu lo lasciò a terra tramortito, tornando sul sentiero per controllare come stavano gli altri. Al suo arrivo trovò un bandito riverso in mezzo al sentiero e i ragazzi stretti attorno a qualcosa che non vedeva.
«Che succede?»
«Abbiamo un problema» disse Hitoshi.
«Un grosso, enorme problema!» strillò Kotaro con voce piena di angoscia.
Voltandosi le mostrò qualcosa che teneva tra le mani, con la tenerezza con cui avrebbe tenuto un bambino: si trattava della statuetta in oro di un uomo con una gran pancia tonda intento a mantenere l’equilibrio su un piede solo, ma la sua pancia, anziché essere un lucido guscio dorato, era una cavità sferica delle dimensioni di una noce circa. E la perla che di solito la riempiva giaceva tristemente accanto alla statua.
«Deve essere stata la freccia!» gemette Kotaro. «E’ tutta colpa mia!»
«C’era una probabilità su un milione che quella freccia scalzasse la perla» borbottò Hitoshi. «Forse è un segno divino?» aggiunse sarcastico.
«Il dio Juka ci disapprova?» inorridì il giovane Lee.
«Piantatela!» sbottò Chiharu, afferrando la statuetta e cercando di rimettere la perla al suo posto.
«Non era incollata» spiegò Yoshi rigirandosi tra le mani il sacchetto scalfito. «Penso che l’abbiano aggiunta alla statua a caldo, così che poi l’oro raffreddandosi la bloccasse.»
«Saperlo ci servirà a poco» disse Hitoshi secco. «Adesso cosa ci inventiamo per i monaci del tuo Tempio?»
Sul viso di Yoshi passò un leggero spasmo, come di irritazione a stento contenuta. «Dobbiamo ripararla in modo che non si veda il danno» disse frugando nel marsupio. Tra uno snack al sesamo e un paio di penne comparve un tubetto mezzo vuoto di colla universale.
«No!» gridò Kotaro riprendendo la statua. «Questo è sicuramente un grave sacrilegio!»
«Ascolta, non possiamo fare altro» tentò di blandirlo Yoshi. «Conosco i monaci del Tempio: se l’incidente fosse avvenuto a loro avrebbero fatto la stessa cosa.»
«O avrebbero chiesto tre anni dei guadagni dei contadini per far rifondere la statua» aggiunse Hitoshi.
«Ma ce l’hai con la religione o con i monaci?» cedette Yoshi, vinto dall’esasperazione.
«Ce l’ho con i contadini. E’ la facilità con cui si fanno prendere in giro da quattro pelati che mi innervosisce. La loro stupidità mi offende.»
«Divertente, detto da uno shinobi.»
«Non osare!» scattò Hitoshi. «Io non...»
«Andiamo, non riesci nemmeno a vedere quanto tu sia identico a quei contadini di cui parli!» lo interruppe Yoshi. «I monaci dicono che bisogna onorare il dio con una nuova statua d’oro? I contadini si privano del cibo per pagarla! L’Hokage dice che bisogna combattere contro la Roccia? Duemila uomini buttano al vento la loro vita per obbedire! Se il tuo problema non è con la religione ma con la stupidità umana, allora tu offendi te stesso!»
«Ma volete piantarla, una buona volta?» si intromise Chiharu, alzando la voce fino a coprire quella di Yoshi. «Siamo nel mezzo di una missione! Avete perso completamente la testa? Pensavo che lasciando a casa Stupido avremmo evitato queste cose! Perché oggi non riuscite a ignorarvi come al solito?»
I due ragazzi tacquero, evitando di incrociare i rispettivi sguardi.
Yoshi riprese la statua dalle mani di Kotaro e finse di non sentire il suo gemito quando riempì il fondo della pancia concava di colla universale. Chiharu vi premette a fondo la perla finché la colla non ebbe fatto presa, quindi testò la solidità dell’impianto chiedendo a Yoshi di scuoterla un po’. Sembrava reggere.
«Rimettiamola nel sacchetto e partiamo» concluse. «Non voglio più sentire discussioni sull’ordine sociale o sulla famiglia o su qualunque cosa che non sia da che parte andare o quando fermarci.»
I ragazzi si fissarono i sandali, ma dal momento che non protestarono lei lo registrò come un sì.
Pochi minuti dopo trovarono la scorciatoia che doveva portarli al Tempio. Al di là delle erbacce e della difficoltà di seguire il sentiero la strada si rivelò davvero sicura, come se i banditi non si aspettassero che qualcuno passasse di lì. Il percorso procedeva tortuoso fino ad accostarsi a un ruscello, poi risaliva lungo il fianco di una montagna seguendo il corso dell’acqua. Non fu una salita particolarmente difficile, ma a quell’ora del giorno il bosco era caldo e umido e quando raggiunsero la cima a Hitoshi e Chiharu girava la testa per la fame.
Se non altro la vista era spettacolare: la gradinata che avevano salito nell’ultimo tratto di strada emergeva su un vasto spiazzo cosparso di massi, tra cui spuntavano alberi in miniatura e piccoli speroni sbozzati dai ghiacci. Guardando verso valle il disegno delle strade che attraversavano il bosco delineava una ragnatela intricata e difficile da individuare, che si spingeva fin dove gli alberi lasciavano il posto ai campi e poi all’orizzonte, confondendosi con il turchese del cielo. Ma il vero spettacolo era il tempio: padiglioni di legno e pietre arroccati sugli speroni di roccia più ampi, placidi nel sole come lucertole. Quelli rivolti a sud erano costituiti in gran parte di pareti scorrevoli che lasciavano entrare la luce a fiotti, gli altri sembravano più robusti, destinati a riparare dalle intemperie della cattiva stagione. La struttura del tempio non era unitaria, e i diversi padiglioni erano connessi l’uno all’altro da sentieri di ghiaia bianca; ma tutti convergevano verso lo spiazzo centrale dove torreggiava un un edificio più grande, le cui porte erano aperte per accoglierli.
«Quella cosa enorme è una riproduzione della statuetta che abbiamo portato?» chiese Hitoshi fissando la scultura d’oro all’interno.
«Spero sia solo rivestito...» mormorò Chiharu. «Tu e Kotaro aspettate qui, io e Yoshi entriamo.»
I due esclusi le scoccarono occhiate costernate.
«Non voglio altre discussioni. Prima consegniamo il pacco e prima ripartiamo» spiegò lei. «Hitoshi, prendila come un’occasione per riprendere fiato, hai le labbra viola.»
L’Uchiha portò involontariamente una mano alla bocca, poi la ritrasse subito. Chiharu afferrò Yoshi per un braccio e avanzò con passo marziale, lasciando i due ragazzi sotto il sole.
«Vieni, là c’è un po’ di ombra» sospirò Kotaro avviandosi verso i primi gradini.
«Non può concludere una missione con uno che non è neanche diplomato!» sbottò Hitoshi seguendolo.
«Non sta concludendo la missione, prima dobbiamo rientrare.»
«Hai capito cosa intendo! E perché prende sempre le sue parti? La prossima volta non me ne resto zitto, gliene dico quattro a lei e a lui!»
I due si sedettero sull’ultimo gradino, dove Hitoshi si sdraiò con le mani dietro la testa. Un alto albero nodoso gettava su di loro la propria ombra, l’aria fresca d’altura li cullava insieme al gorgogliare del ruscello poco distante.
«Ho davvero le labbra viola?» chiese l’Uchiha.
«No» sbuffò Kotaro. «Ma non riesco a capire se odi Yoshi perché sta simpatico a Chiharu o perché riesce a starci dietro.»
«Lo odio perché è insopportabile!» rispose Hitoshi. «Si divertono solo lui e lei. Nessuno è alla loro altezza, sembra quasi che abbiano un codice segreto! E poi non mi piace che un allievo dell’Accademia sia così bravo! Non è normale, non va bene! Sono sicuro che nasconda qualcosa!»
«Tu dici?» Kotaro inarcò le sopracciglia.
«A te sembra normale?»
«Immagino che abbia un sacco di talento...»
«Io invece immagino che abbia dei segreti.»
«Sei proprio sicuro di non essere un po’ di parte?» chiese Kotaro in tono rassegnato.
Le sopracciglia di Hitoshi arrivarono a toccarsi sopra la radice del naso. «Quale parte?»
Kotaro sospirò. «Nessuna» si arrese.
«Mi piacerebbe proprio sapere cosa ha a che fare lui con questo tempio...» borbottò Hitoshi rischiarando la fronte. «Ha detto che la statuetta è la ragione per cui è stato mandato a studiare a Konoha, ma secondo te cosa vuol dire?»
«Non ne ho la minima idea.»
A un tratto sentirono il rumore di qualcosa che cadeva, e Hitoshi si alzò in tempo per vedere una donna che scivolava qualche gradino più in basso e perdeva un involto pieno di frutti rotondi.
«Si è fatta male?» chiese Kotaro raggiungendola in fretta. Con sollecitudine la aiutò a rialzarsi, constatando che era molto anziana e affaticata. «Com’è arrivata fin qui?» chiese sorpreso, prima di accorgersi che la domanda era maleducata.
«Ha perso questi» intervenne Hitoshi tendendole i frutti caduti.
«Grazie, grazie...» disse la donna massaggiandosi le ginocchia. «Ho fatto proprio un bel volo.»
«Lasci, porto io il sacco» suggerì Hitoshi mentre Kotaro la aiutava a fare gli ultimi gradini.
«Le mie vecchie ossa non sono più salde come una volta» sorrise lei zoppicando leggermente. «Povera me, spero di non essermi rotta niente.»
Quando emersero sullo spiazzo davanti al Tempio videro Yoshi e Chiharu che tornavano verso di loro con un paniere pieno di cibo. Li incrociarono a metà strada, proprio sotto il sole a picco, e spiegarono cosa era successo.
«I monaci ci hanno offerto il pranzo» disse Chiharu mostrando il paniere. «Accompagniamo al tempio questa donna e poi mangiamo qualcosa.»
«Un momento...» mormorò Yoshi fissando intensamente la vecchia. «Non è possibile... Lena!»
Prima che qualcuno potesse capire qualcosa Yoshi prese le mani della donna, che lo guardò stupita. Ma subito un lampo di riconoscimento passò nei suoi occhi, seguito da un ampio sorriso.
«Sei Yoshi! Proprio il piccolo Yoshi! Per la pancia del dio Juka, mai avrei pensato di trovarti qui!» esclamò felice. «Non dovresti essere a Konoha? E’ accaduto qualcosa?»
«No, sto bene. Sono... in missione» sintetizzò lui evasivo.
«Questi ragazzi sono ninja» realizzò la donna in quel momento, passando lo sguardo sui tre shinobi confusi. «Ma tu non...»
«Io sto ancora studiando, sono qui per imparare» la rassicurò lui, rivolgendosi poi agli altri. «Questa donna è stata la mia balia, praticamente una seconda madre per me» spiegò. «Viene dal villaggio sull’altro versante del monte. Come sei arrivata da sola? Quando sei partita? Sarai esausta...»
La vecchia scosse la testa. «Ora che ti vedo non sento più la stanchezza. Ma cosa hai fatto ai capelli? Erano neri come le ali di un corvo! Tua madre non approverebbe... Quando ti vedrà...»
Yoshi si incupì. «Sai che non posso ancora tornare.»
«Sono certa che tuo padre farebbe un’eccezione...»
«No, non la farebbe.»
Negli occhi di Hitoshi passò un lampo. «Oh, dai, potremmo fare un tentativo» suggerì con un sorriso ampio quanto falso. «Sono così curioso di conoscere la tua famiglia.»
«Non penso che sarebbe il momento migliore» ribatté Yoshi con uno sguardo tagliente. «In questi giorni cade l’anniversario della morte di mio fratello.»
Il sorriso di Hitoshi si trasformò in una smorfia. Era acutamente consapevole dell’occhiata di commiserazione di Kotaro e di quella esasperata di Chiharu, ma la frittata era fatta. «Mi dispiace» si costrinse a dire.
«Una storia molto triste...» mormorò la vecchia scuotendo la testa. «Il miglior ragazzo che si sia mai visto, pronto a sostituire il padre come custode del villaggio. Poi quel tragico incidente, e hanno dovuto inviarti a Konoha in tutta fretta... Mi si è spezzato il cuore due volte.»
«Non è il caso di restare sotto il sole» la interruppe lui. «Vieni, ti accompagno al Tempio.»
«Ti aspettiamo sulla gradinata» annuì Chiharu.
Hitoshi lasciò a Yoshi l’involto pieno di frutti e Kotaro prese il paniere con il pranzo. Andando verso il riparo offerto dagli alberi Chiharu fece arrivare a Hitoshi una gomitata di una precisione micidiale.
«Ahia! Come facevo a saperlo?» protestò lui.
«Non ho mai visto una scena più patetica» replicò lei tra i denti. «Mi sono vergognata di essere insieme a te.»
«Un pochino anche io» mormorò Kotaro.
«Se lui ci avesse detto prima come stavano le cose, la scena patetica ce la saremmo risparmiata!» insisté Hitoshi.
«Non aveva alcun dovere di dirti niente» precisò Chiharu. «Smettila di pensare che nasconda qualcosa.»
«Continuerò a farlo sempre: non è normale che uno studente senza diploma sia così bravo!»
«Sì, beh: sorpresa! Non sei tu il più figo del mondo! Adesso riempiti la bocca di cibo e piantala di metterci in imbarazzo.»
Hitoshi strinse le labbra e si lasciò cadere pesantemente sul secondo gradino.
Kotaro mise il paniere accanto a lui e si sedette vicino a Chiharu. I monaci avevano preparato per loro onigiri e verdure sottaceto. Chiharu raccontò della consegna della statua e disse che al Tempio non avevano notato nulla di strano, ma il giovane Lee scosse la testa afflitto.
«Il dio Juka se ne ricorderà» rabbrividì. «Avete sentito la maledizione di quel monaco.»
«Il dio Juka terrà conto delle tue buone intenzioni» lo rassicurò lei.
Yoshi tornò che avevano quasi finito di mangiare. Si sedette dall’altro lato di Chiharu e prese i suoi onigiri senza parlare.
Kotaro toccò Hitoshi con il piede. Lui lo fissò corrucciato. Il giovane Lee inarcò le sopracciglia. L’Uchiha scosse la testa. Il secondo contatto con il piede fu un vero e proprio calcio, al che Hitoshi si girò proprio dall’altra parte. Non si sarebbe scusato, assolutamente no.
«La mia famiglia viene dallo stesso villaggio di Lena» disse Yoshi a sorpresa. Tutti alzarono la testa a guardarlo, ma lui continuò a fissare il chicco di riso con cui giocherellava distrattamente. «Da generazioni il mio clan rappresenta il potere del signorotto locale, siamo una specie di guardia armata» raccontò. «Mio padre è il capoclan, e per tradizione il primogenito del capoclan viene inviato a studiare a Konoha perché si trasformi in un ottimo stratega. Sono stati stipulati accordi vecchi di decenni per questo. Mio fratello era il primogenito: quando ha compiuto otto anni è venuto a Konoha e si è brillantemente diplomato insieme ai ragazzini della sua età. Poi è tornato a casa, senza coprifronte ma con un sacco di buone idee per migliorare la difesa del villaggio e del tempio, e mio padre lo ha trovato così utile che ne ha fatto il suo braccio destro a non più di tredici anni. Era un vero genio. Beh, sapete anche voi come vanno queste cose... Esci vivo da cinquanta scontri e al cinquantunesimo ci lasci le penne. La statuetta è una preda attraente per tutti i banditi della zona, provano a rubarcela con cadenza regolare. Un giorno in cui mio fratello era addetto alla difesa del Tempio, durante uno dei tentativi di rapina è rimasto ucciso.»
«Stai dicendo che anche in questo momento ci sono membri del tuo clan che ci fissano?» chiese Kotaro guardandosi le spalle.
«Probabilmente sì» sorrise Yoshi.
«E perché non pensano loro a trasportare la statua da un villaggio all'altro?»
«Perché gli uomini dell'altro villaggio resterebbero offesi: sono gente religiosa e pacifica, non hanno una scorta armata in grado di sorvegliare la statua durante il viaggio. Pensano che sia più onorevole sacrificarsi pagando qualcuno, piuttosto che lasciare tutto il merito a noi. Comunque sia, mio fratello è stato ucciso circa un anno fa, e allorao ero già troppo grande per l’Accademia. Ma mio padre aveva bisogno di un erede addestrato, così ha fatto pressioni perché mi accettassero a Konoha. Non era entusiasta di dover ripiegare su di me, ma non aveva molte altre scelte. In ogni caso ero già stato cresciuto con la rigida disciplina militare, tre anni di ulteriore addestramento non erano un gran dramma.»
Chiharu scosse impercettibilmente la testa. Il racconto spiegava perché Yoshi fosse già tanto abile anche senza avere un diploma, e allo stesso tempo dava una risposta al suo stile di vita così sciatto: doveva essere difficile vivere senza regole quando lo avevi fatto per tutta la vita. Senza farsi notare guardò di sottecchi Hitoshi: c’erano alcuni punti in comune tra la sua storia e quella di Yoshi, ma l’Uchiha non prendeva mai le cose per il verso giusto. Sperava solo che non usasse anche questo discorso per attaccare briga.
«Ora sei soddisfatto?» chiese Yoshi alzando lo sguardo.
Hitoshi ricambiò l’occhiata con malagrazia. «Più o meno.»
Appunto.
«Beh, fattelo bastare» concluse Yoshi, e per chiudere il discorso addentò il suo onigiri.
Kotaro sospirò e appoggiò il mento alla mano. Vedeva fin troppo bene che Hitoshi non era per niente soddisfatto: se c’era una cosa che poteva incrementare il suo astio era proprio l’idea che Yoshi avesse una stirpe alle spalle per legittimare le sue eroiche imprese e lui no. Ne avrebbe fatto il perno su cui fondare tutta la sua teoria della cospirazione... L’invidia era un movente potentissimo. Ora che aveva ascoltato la sua storia, lui invece non pensava che Yoshi avesse qualcosa da nascondere, ma era certo, proprio assolutamente certo, che Hitoshi invece un paio di cose ce le avesse: cose che riguardavano Chiharu e gli Uchiha e il suo ruolo nel clan. L’orgoglioso Hitoshi non lo avrebbe mai confessato, ma, dopo tutti quegli anni insieme, Kotaro certe sfumature aveva imparato a capirle. Dopotutto anche lui aveva i suoi segreti...
Poco prima che Chiharu insistesse per ripartire, un brivido gli corse lungo la spina dorsale, come se un refolo di aria fredda si fosse infilato sotto il colletto. Guardò il Tempio alle sue spalle un’ultima volta, mentre le parole minacciose del monaco riecheggiavano nelle sue orecchie.
La maledizione del dio Juka ricadrà sulle vostre vite!
No, si disse, sicuramente il dio avrebbe tenuto conto delle sue buone intenzioni...




Il tempo è vicino.




  
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