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Autore: _ayachan_    01/09/2008    28 recensioni
A cinque anni dalle vicende de "Il Peggior Ninja del Villaggio della Foglia", che ne è stato delle promesse, dei desideri e delle recriminazioni dei giovani protagonisti?
Non si sono spenti con l'aumentare dell'età. Sono rimasti sotto la cenere, al caldo, a riposare fino al giorno più opportuno. E quando la minaccia è che la guida scompaia, quando tutt'a un tratto le scelte sono solo loro, quando le indicazioni spariscono e resta soltanto il bivio, è allora che viene fuori il carattere di ognuno.
Qualunque esso sia.
Versione riveduta e corretta. Gennaio 2016
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'L'eroe della profezia'
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02
Capitolo secondo

Il Gran Consiglio




Il clima del Paese del Vento era generalmente secco e torrido. Il sole di mezzogiorno incrinava le pietre e faceva tremare l’aria avida di frescura, ma l’afa per fortuna era rara. Nella sua conca di arenaria rossa il villaggio di Suna riposava sotto un cielo luminoso, circondato dalla coperta troppo calda della sabbia che si infilava ovunque; il suo silenzio era rotto soltanto dai ronzii degli insetti nascosti tra le ombre e da sporadiche voci dalle camere da letto, dove gli abitanti del villaggio si ritiravano a riposare dopo il pasto di metà giornata.
Nel suo studio, con l’aria fredda del condizionatore puntata tra gli occhi, il Kazekage teneva la testa appoggiata a una mano e fissava la porta senza vederla. La mano libera era posata sul piano della scrivania, morbida, ma con le dita tamburellava nervosamente sul legno.
Gaara era teso, il che di recente gli capitava troppo spesso. Da qualche giorno aspettava un messaggio, certo che fosse sulla strada per il suo studio, ma ogni volta che attendeva uno di quelli non poteva fare a meno di sentire la sudorazione aumentare in maniera esponenziale. Proprio mentre iniziava a considerare l’idea di temperare tutte le matite della scrivania un bussare educato ma improvviso lo fece sussultare.
«Sì, avanti» disse un po’ troppo in fretta, ricomponendosi rapido.
Sulla soglia comparve una donna dall’aria impeccabile, con lunghi capelli rossi raccolti in una crocchia e occhiali dalla montatura spessa. Entrando gettò uno sguardo interrogativo a Gaara, ma quando si richiuse la porta alle spalle non fece nessun commento.
«E’ arrivato un messaggio dalla Foglia» disse invece, andando a raggiungere la scrivania. «Sembra che sia successo qualcosa.»
Gaara nascose l’emozione e prese il foglio che lei gli tendeva. I suoi occhi lo percorsero velocemente in cerca delle notizie che aspettava, ma mano a mano che procedeva nella lettura si rese conto che il messaggio non era quello sperato, anzi: arrivato all’ultima parola dovette trattenersi dal serrare il pugno per non stropicciare la carta.
«Si direbbe una situazione incresciosa» commentò la donna. Un sorriso freddo le incurvò le labbra tinte di rosa. «Davvero una fortunata coincidenza, non trovi?»
«Per voi» sibilò Gaara caustico. Appoggiò il messaggio sulla scrivania, bloccandolo sotto un fermacarte di pietra; prima di rialzare lo sguardo si costrinse a distendere i muscoli del viso.
«Nobile Kazekage, dovreste rilassarvi» ribatté la donna ironicamente, appoggiandosi alla scrivania con un fianco. «Il vostro ruolo è così pieno di preoccupazioni che forse sarebbe il caso di delegare qualcosa alla vostra preziosa segretaria.»
Gli occhi di lui mandarono un lampo, il sorriso della donna si ampliò. «Cos’è quello sguardo, Gaara?» chiese, lasciando perdere la finta deferenza. Appoggiò le mani sulla scrivania e si piegò verso di lui, osservandolo attraverso gli occhiali. «Non puoi fare nulla. Lo sai. Da bravo, non fissarmi così. Anzi, rallegrati: le notizie che vengono da Konoha sono ottime notizie, e quando noi siamo soddisfatti le cose vanno bene per tutti. Non sei sollevato?» alzò una mano e sfiorò la guancia di Gaara per una frazione di secondo, prima che lui scostasse bruscamente il suo braccio. Il sorriso scomparve in fretta dal volto della donna. Si fece indietro. «No, forse non abbastanza» mormorò piano. «Stai attento Gaara... Se dovessi vedere qualcosa che non mi piace nel tuo comportamento, sai chi ne farebbe le spese.»
Di scatto si voltò verso l’uscita e la raggiunse in pochi passi. Giunta davanti alla porta si fermò, sistemò la crocchia sulla testa e lo guardò un’ultima volta, sul viso l’espressione professionale della segretaria affidabile.
«Buon lavoro, nobile Kazekage» disse cortesemente. «Io credo che mi assenterò per un paio d’ore, se non vi è di troppo disturbo.»
Quindi, senza attendere risposta, uscì.
Non appena fu di nuovo solo Gaara riprese il messaggio di Konoha e lo lesse una seconda volta, assottigliando gli occhi nello sforzo della concentrazione. Tra le righe, dietro gli ideogrammi, lui riusciva a leggere ciò che nessun altro vedeva: il codice nascosto dietro il codice, il vero messaggio che aspettava con tanta impazienza. Quando arrivò in fondo alla pagina le occhiaie sul suo viso si erano fatte più profonde.
Si passò una mano sulla fronte. Avrebbe dovuto immaginare che le cose si sarebbero complicate all’ultimo: fino a quel momento tutto era proceduto in maniera troppo scorrevole... Tornò a guardare il messaggio, rilesse le ultime righe.
Beh. C’era un grosso impedimento, ma c’era pure qualche appiglio, dovette riconoscere.
Anche se, ne era certo, Naruto doveva essere furioso.


*


Il primo pensiero che attraversò la testa di Chiharu, quando incrociò lungo la strada Baka Akeru, fu che quella si prospettava una giornata disgraziata. Di solito, da quando lo conosceva, ogni volta che lo incontrava finiva in sangue o insulti.
Pensò di ignorarlo, ma ovviamente lui non glielo permise.
«Quale onore!» commentò non appena fu abbastanza vicino per scoccarle un’occhiata piena di stizza. «La novella maggiorenne.»
«Ciao, Stupido» sospirò lei.
Crescendo Akeru si era fatto più alto, e, come se non bastasse, alla sua già generosa boria era andato ad aggiungersi un aspetto decisamente piacevole, probabilmente fin troppo. Mentre camminava impettito lungo la strada, poi, sfoggiava con orgoglio il tatuaggio che gli marchiava la spalla sinistra, una fiammella stilizzata che lo qualificava come membro della squadra speciale del villaggio; e quello, considerato che era l’unico tra i coetanei ad essersi guadagnato un posto tra gli Anbu, sarebbe stato motivo di orgoglio per chiunque, figurarsi per qualcuno con uno smodato bisogno di complimenti, come era lui.
«Allora? Mi dicono sia stata una bella festa di vecchietti» proseguì, bloccando la strada a Chiharu. «Età media trentaquattro anni, e solo perché i figli degli invitati la abbassavano drasticamente.»
«E’ stato tre giorni fa!» esclamò lei incrociando le braccia sul petto. «Per quanto hai intenzione di recriminare? Volevi davvero venire a quella festa e farti tormentare da Hitoshi e Kotaro?»
Akeru arrossì indispettito e le scoccò un’occhiata offesa. «Quello là lo hai invitato» bofonchiò a mezze labbra. «E nemmeno lui è esattamente amico dei tuoi stupidi compagni di squadra.»
«Yoshi non li provoca, almeno» spiegò lei con uno sguardo eloquente. «Non avevo voglia di sorbirmi le tue frecciatine e la tua antipatia anche al mio compleanno, e soprattutto non avevo proprio voglia di imporle agli altri.»
Il rossore sulle guance di Akeru aumentò. «Ti hanno mai detto che sei una stronza arrogante?»
«Sì, ma tu puoi fare di meglio» replicò lei. «E ora scusa, ‘i miei stupidi compagni di squadra’ mi stanno aspettando. Riesco ad essere in ritardo anche da sola, ma se ti ci metti pure tu Hitoshi e Kotaro finiranno per avere ragione a lamentarsi.»
Prima che lei potesse muovere un passo lui le prese il braccio e le mise in mano un pacchetto avvolto in carta velina viola.
«Cos’è?» indagò Chiharu con una smorfia, mentre Akeru schivava il suo sguardo.
«Mettilo su quel livido» borbottò, accennando alla chiazza bluastra che ancora le sottolineava l’occhio sinistro. «Lo farà sparire più in fretta.»
«Oh. Grazie» rispose Chiharu sorpresa. Ricevere regali in cambio di sarcasmo e battute cattive era un’esperienza nuova.
Akeru arrossì e la lasciò andare. «Spalmane un po’ la sera e un altro po’ la mattina. Nel giro di quattro o cinque giorni non dovrebbe più vedersi niente» spiegò affondando le mani in tasca.
«Non sei un po’ in ritardo per i regali di compleanno?» domandò lei, incapace di ribattere alla gentilezza.
«Te l’avrei dato alla festa, ma non mi hai invitato. Visto che non riesci mai a tornare tutta intera dalle missioni ho pensato che potesse esserti utile.»
«Se ben ricordo all’esame per diventare Chunin eri tu quello messo peggio.»
«Io invece non ti ricordo all’esame per diventare Jonin... Ah! Ma tu non c’eri proprio, ecco perché!» con gesto teatrale Akeru si batté una pacca sulla fronte.
Chiharu assottigliò gli occhi. Baka la imitò.
«E’ davvero da stupido che tu mi chieda perché non ti ho invitato al compleanno» sibilò lei.
«E’ davvero triste che tu non abbia amici della tua età a parte i tuoi compagni di squadra» ribatté lui tra i denti.
«Detto da uno che si è preparato un regalo da darmi anche se non era tra gli invitati fa quasi compassione!»
«Oh, non ti preoccupare. Non succederà mai più, stanne certa!» sbottò Baka tagliente. «Vai a farti ammazzare dove ti pare! Io ti ho già aiutata più volte di quante meritassi, non alzerò un altro dito per darti una mano!» con espressione furibonda, senza aspettare la sua replica, la oltrepassò per andarsene.
Chiharu lo guardò allontanarsi e poi spostò gli occhi sul pacchettino che ancora stringeva in mano. Sorrise, canzonatoria.
«Vai a farti ammazzare, eh...» ripeté tra sé e sé. «Come no.»

«Venti minuti!» sbottò Hitoshi, additando l’orologio che ancora campeggiava sulla facciata dell’Ufficio per lo smistamento delle missioni. «Venti minuti di ritardo! Giuro che la prossima volta a te diciamo che l’appuntamento è mezzora prima!»
Chiharu, che lo ascoltava con un orecchio solo, sbadigliò vaga. «Scusa» fu il suo commento mentre tormentava distrattamente il livido sullo zigomo.
Hitoshi si passò una mano sugli occhi, sentendo l’emicrania pulsare dietro le palpebre come un martello pneumatico. Maledisse il giorno in cui lo avevano messo in gruppo con lei, e poi il giorno in cui era scampata all’avvelenamento, e ancora quando era sopravvissuta alla sua prima vera battaglia. Perché all’epoca era stato felice di simili infausti avvenimenti?
«Sai che per fare la predica a lei abbiamo perso altri cinque minuti?» gli fece notare Kotaro molto pragmaticamente.
Sulla fronte di Hitoshi una vena pulsò in trasparenza. «Entriamo e non rompete!»
«Quand’è che abbiamo deciso che sei tu il capo?» chiese Chiharu incamminandosi per prima.
«Quando tu ti sei addormentata durante quella missione nel Paese dell’Acqua e Kotaro si è ubriacato nell’altra al Fulmine.»
«Oh. Me ne ero dimenticata. Ma quella roba era di una noia tale che era impossibile stare svegli!»
«E io non mi sono ubriacato al Fulmine» puntualizzò Kotaro. «Sono stati i vapori dell’incendio. Erano andate a fuoco quelle botti, non ricordate? Io ero solo troppo vicino, sarebbe successo anche a voi se foste stati in quel punto!»
«Noi eravamo lì, proprio di fianco a te» disse Hitoshi.
Kotaro unì le spesse sopracciglia in un unica riga riflessiva. Non ricordava proprio, ma in effetti di quel giorno aveva solo un’immagine molto nebulosa. «Beh, comunque stiamo aspettando il giorno in cui il fumo o le emicranie ti metteranno K.O. in terra straniera, signor ‘Ce-L’Ho-Solo-Io’; allora pareggeremo i conti» disse seccato.
Un tempo Kotaro era stato la personalità pacata che ammorbidiva i toni delle liti tra Chiharu e Hitoshi, ma dopo cinque anni con Naruto di pacato non era rimasto proprio nulla nel gruppo sette e anche lui aveva finito per imparare a rispondere a tono.
Mentre si punzecchiavano a vicenda i tre shinobi raggiunsero il tavolo delle missioni e si fermarono davanti a un unico ninja, che li accolse guardandoli storto.
«Voi che ci fate qui?» chiese seccato, nascondendo sotto il tavolo l’ultima copia della serie della Pomiciata.
«Cosa vuol dire ‘che ci facciamo qui’?» fece eco Hitoshi. «Siamo ninja, di solito svolgiamo missioni.»
«Non oggi» replicò lo shinobi. «Oggi tutti, dal grado di Chunin in su, sono sotto il palazzo dell’Hokage; se la memoria non mi inganna voi non siete Genin.»
«Il palazzo dell’Hokage?» ripeté Kotaro per primo. «E’ successo qualcosa?»
Lo shinobi oltre il tavolo ghignò con malcelata aria di superiorità. «Ma come, non lo sapete?» chiese, appoggiando un gomito al tavolo sdegnosamente. «L’Hokage ha convocato urgentemente il Gran Consiglio, stamattina. Si vocifera che siamo in crisi, o qualcosa di simile, e tutta Konoha è in fermento. Come fate a non averne idea, eh? Persino io sono qui solo per i gruppi che rientreranno in mattinata, altrimenti sarei con tutti gli altri in piazza.»
Chiharu scambiò un’occhiata con i compagni. «Prima ho incrociato Stupido, ma non ha accennato a niente del genere» mormorò stranita.
«Ehi, ricordi di chi stiamo parlando?» le fece notare Hitoshi. «Un nome, un perché*. Secondo me ne sa anche meno di noi che non sappiamo niente.»
«Andiamo a vedere che succede, no?» disse Kotaro, impaziente.
Sia lui che l’Uchiha fissarono Chiharu, leggendo nel suo sguardo le allarmanti avvisaglie di una defezione pro pisolino mattutino, ma a metterci l’ultima parola fu lo shinobi dello smistamento, che ancora li guardava con sprezzante condiscendenza.
«Oh, potete anche non andare» borbottò, sfilando da sotto il tavolo L’esperienza della pomiciata, edizione rilegata con sovraccoperta. «Tanto dubito che siate abbastanza importanti da venir direttamente influenzati dalle decisioni del Gran Consiglio.»

«Dovremmo smettere di avere questo orgoglio spaventosamente sviluppato» commentò Kotaro, mentre insieme a Hitoshi e Chiharu si faceva largo nella calca cercando di guadagnare la prima fila. «Di solito ci porta a un mare di guai.»
«Oh, ma sta’ zitto!» brontolò Chiharu, seguendolo agile. «Siamo qui solo perché vogliamo sapere qualcosa... e poi siamo Chunin. Ne abbiamo il diritto.»
«Io sono Jonin» le fece notare Hitoshi, che chiudeva la fila.
Kotaro roteò gli occhi e aumentò il passo tentando di seminare entrambi. Ciò che invece ottenne, purtroppo o per fortuna, fu soltanto di arrivare in prima fila con molta più rapidità del previsto. Così rapidamente che andò a sbattere contro uno degli shinobi che presidiavano l’ingresso del palazzo.
«Che cosa succede?» domandò all’uomo scusandosi frettolosamente.
«Il Consiglio è ancora in seduta» rispose quello. «L’Hokage ieri ha indetto una riunione straordinaria, ma non ha spiegato il motivo.»
«Nessun consigliere si è lasciato sfuggire qualcosa?» intervenne Hitoshi scansando Kotaro.
«Che io sappia, no.»
«Siamo in crisi?» indagò Chiharu sgusciando tra i compagni di squadra.
«E chi lo...»
«Sì, sì, abbiamo capito» la kunoichi fece un gesto stizzito. «Non sai un tubo di niente!»
Lo shinobi le scoccò un’occhiata offesa, ma non fece in tempo a riprenderla che dalla folla alle loro spalle si fece avanti un trafelatissimo Akeru, scusandosi a destra e a manca.
«Sì, scusate... Scus... Non stavo palpando niente! Ehi! Il mio piede!» Ansante, raggiunse il gruppo sette e scoccò un’occhiata furiosa alle persone che si accalcavano nella piazza. «Qualcuno mi ha toccato il culo!»
«Beh, se lo metti in mostra sopra quel collo è ovvio che prima o poi lo notino» commentò Hitoshi.
«Ah-ah. Esilarante» ribatté Akeru squadrandolo male, poi vide lo shinobi davanti alla porta. «Posso salire?» chiese mostrando subito il tatuaggio sulla spalla.
Chiharu, Kotaro e Hitoshi spalancarono la bocca quando la guardia si fece da parte, e Baka li salutò esibendo un ghignetto di superiorità. «A dopo, pivelli.»
«Aspetta, Stupido! Sai cosa sta succedendo?» tentò di chiedere Chiharu, ma Akeru le rivolse un gestaccio e sparì su per le scale.
I tre ragazzi ancora fermi fissarono lo shinobi che lo aveva lasciato passare.
«Possiamo...?» iniziò Kotaro, ma quello scosse subito la testa.
«Niente da fare, voi aspettate» disse con un sorriso perfido.
«Perché quell’idiota può salire e noi no?» sbottò Hitoshi indignato. «Io sono Hitoshi Uchiha!»
«Non mi sembri un Anbu né un membro importante del tuo cosiddetto clan» ribatté l’uomo, per nulla colpito. «Chiudete la bocca e lasciatemi fare il mio lavoro.»
I tre ragazzi non poterono che fare un passo indietro e disporsi all’attesa.
Con un moto di stizza Hitoshi si accese una sigaretta. Cosiddetto clan, eh? Un giorno quel tizio e tutti quelli che la pensavano come lui si sarebbero rimangiati fino all’ultima parola. A costo di sfornare sedici figli, entro la prossima generazione avrebbe fatto sì che nessuno potesse più permettersi di nutrire dubbi sulla legittimità del clan Uchiha!
Mentre lui rimuginava sulle sue sventure, Kotaro si lamentò per il fumo passivo che era costretto a ingoiare, cercando di spingerlo più lontano. Incidentalmente lo mandò a sbattere contro Chiharu, la quale, già innervosita dall’arrivo e partenza di Baka, non si fece certo pregare per prenderli a male parole. Se c’era una cosa che non avevano mai imparato, nonostante tutti gli anni di lavoro come shinobi, era la pazienza.
Per loro fortuna, dopo circa mezzora e tre tentativi di defezione da parte di Chiharu, un’insperata ancora di salvezza arrivò a trarli d’impaccio: dalle scale infatti scese Jin, le mani ficcate in tasca e le sopracciglia corrugate. Sembrava pensieroso.
«Jin! Jin!» lo chiamò Kotaro al volo, sbracciandosi con foga. «Siamo qui!»
Il ragazzino alzò lo sguardo e vide tutti e tre accanto allo shinobi di guardia. Li raggiunse, leggermente sorpreso.
«Non vogliono farci passare!» si lamentò Kotaro. «Hanno lasciato andare Akeru, ma non noi!»
«Lui è un Anbu, voi non siete nessuno» ribatté il ragazzino con disarmante franchezza.
Hitoshi gli scoccò un’occhiata indignata, e anche Chiharu si riscosse dal letargo per esternare il suo disaccordo. Jin sospirò di fronte alle loro espressioni costernate, ma fece un cenno alla guardia.
«Lasciali passare, per favore» chiese.
«Sicuro? Di sopra non avevano finito le sedie?» replicò quello, vagamente deluso.
«Mi prendo io la responsabilità» Jin si strinse nelle spalle. «Almeno la smetteranno di infastidirti.»
Lo shinobi lasciò passare Chiharu, Kotaro e Hitoshi. Loro tirarono un sospiro di sollievo, ma erano ancora offesi.
«Vi cedo il mio posto. Io ho lasciato una cosa in sospeso, devo andare» spiegò Jin una volta che furono ai piedi delle scale. «Ah, Chiharu, quando tuo padre uscirà di nuovo da quella porta per andare in bagno, per favore fagli notare che è la quinta, e che fa una media di una volta ogni nove minuti, grazie. Credo che a questo punto richieda un trapianto di reni.»
Chiharu si lasciò scappare un sorrisino, e d’istinto pensò alla possibile reazione di sua madre alla notizia che il marito scansava ancora ogni responsabilità con metodo e dedizione. Shikamaru era nel Consiglio della Foglia da qualche anno, ma non aveva mai smesso di lamentarsi della fatica che l’incarico comportava .
«Tu sai perché si sono riuniti?» chiese Kotaro prima che Jin se ne andasse.
«Non ne ho la minima idea. Sono tre giorni che mio padre sta rinchiuso nel suo ufficio e non vuole vedere nessuno a parte Koichi... Per essere sinceri, se non avessi mollato a metà una missione importante resterei fino alla fine» il ragazzino lanciò un’occhiata su per le scale, pensieroso. «Scusate, ma ora devo proprio andare. Ci vediamo in giro.»
«Grazie!» gridò Kotaro.
Per un lungo istante Chiharu scrutò Jin che si allontanava, quindi corrugò la fronte.
«Non vi sembrava preoccupato?» chiese.
«Dici?» replicò Hitoshi, stizzito. «A me sembrava il solito menefreghista... ‘Una missione importante’! Tutti gli shinobi sono qui, che diavolo può esserci di più importante?» gettò a terra il mozzicone di sigaretta ed espirò l’ultima boccata. «Su, andiamo.»
Quando raggiunsero la sala d’aspetto davanti al salone del Consiglio la trovarono gremita di gente, sia Anbu e capigruppo, sia nobili di vario grado. Inutile dire che non una delle sedie era rimasta libera.
«Ma bene. Si aspetta in piedi» brontolò Chiharu, contrariata.
Mentre lei si appoggiava al muro Hitoshi scoccò un’occhiata rapida ad Akeru, che occupava una poltroncina e discuteva tutto serio con un altro Anbu. Visto da quella prospettiva Stupido era discretamente irritante.
La triste verità era che qualche mese prima, sulla scia di Baka, anche Hitoshi aveva fatto richiesta per entrare nella squadra speciale. Ma era stato respinto. Per fortuna la cosa era rimasta confinata tra lui e Kakashi, però se ci ripensava bruciava ancora, e sentirselo rinfacciare persino dal Chunin ai piedi delle scale lo aveva irritato oltre misura.
«Che facciamo? Anche noi contro il muro?» propose Kotaro sottovoce, accennando a Chiharu.
«Per forza» grugnì Hitoshi spostandosi.
I due raggiunsero la compagna e si misero ai suoi lati come guardie del corpo, pronti a una lunga attesa.
«Speriamo che esca almeno il papà di Haru...» mormorò Kotaro a un tratto. «Sarebbe un bel diversivo.»
E il diversivo arrivò, come richiamato dai suoi sospiri. Ma non fu Shikamaru, alla quinta pausa bagno.
Fu un grido dalla sala del Consiglio.


I consiglieri erano esponenti della nobiltà con molto tempo libero e poca immaginazione per occuparlo. Ufficialmente erano un organo consultivo che doveva assistere l’Hokage nel governo del villaggio e dare o negare il consenso per le missioni più rischiose, ma in pratica erano una manica di vecchi arcigni che voleva assicurarsi che gli shinobi non si montassero la testa. Unica eccezione era Neji Hyuuga, sia per età sia per inclinazioni, ma nel gruppo si trovava quasi sempre in minoranza.
In quel momento il giovane capo del clan dagli occhi bianchi era seduto tra Shikamaru Nara, Stratega in carica, e una vecchia rugosa che continuava ad accarezzarsi le mani. Tutti scambiavano occhiate nervose da un capo all’altro della sala.
«E’ un’assurdità!» sbottò alla fine uno dei consiglieri di fronte a Neji.
Kakashi, a capo del lato corto del tavolo, si prese un secondo per lasciarsi andare a un lungo sospiro. Sapeva che non sarebbe stata una passeggiata.
«Consigliere Iida, comprendo le vostre perplessità...»
«Non credo» lo interruppe il nobile. Rughe di disappunto si disegnavano attorno alla sua bocca, i muscoli delle guance risaltavano sotto la pelle sottile. «Se davvero comprendeste le nostre perplessità non sareste venuto ad insultarci con le vostre dimissioni! Non con una guerra alle porte!»
Nella mezzora precedente l’Hokage aveva aggiornato il Consiglio sulla situazione con la Roccia e presentato un annuncio mai udito prima: voleva lasciare la sua carica. Il che, considerato che oltre confine si stavano ammassando eserciti di ninja e soldati, suonava molto male alle orecchie dei consiglieri.
«E’ proprio perché la guerra è vicina che voglio lasciare il campo a shinobi più giovani» ribatté Kakashi senza agitarsi. «In battaglia avremo bisogno di un capo che possa guidare i suoi compagni dalla prima linea, non di un politico di mezza età. Posso essere un buon Hokage in tempo di pace, ma non ho più l’entusiasmo necessario per trascinare gli eserciti in un’offensiva.»
Shikamaru e Neji aggrottarono la fronte, scambiandosi uno sguardo preoccupato.
«Potremmo non arrivare mai a un conflitto vero e proprio...» mormorò un consigliere sul fondo. «Potreste iniziare a farvi affiancare da qualcuno, e poi passare la carica quando...»
«La diplomazia ha fallito» lo interruppe Kakashi. «Avete tutti una copia del rapporto di cui vi ho parlato fino a poco fa. Secondo le nostre spie la Roccia sta solo cercando un pretesto per aprire ufficialmente le ostilità. Il consigliere Iida ha ragione: siamo sull’orlo di una guerra... Ma non sono io l’Hokage che può affrontarla.»
«Voi siete l’Hokage che abbiamo!» esclamò Iida.
Neji si schiarì cortesemente la voce, prendendo la parola. «Immagino che l’Hokage intenda dire che ha già selezionato i nomi degli eventuali candidati alla successione... Mi sbaglio?» suggerì con cautela.
Lungo il tavolo serpeggiò un brivido. Gli sguardi saettarono da Iida, livido, alle sedie scomode aggiunte in fondo alla stanza su cui stavano seduti Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha e Sakura un tempo Haruno, ora altrettanto Uchiha.
I tre shinobi non erano membri del Consiglio, ma quella mattina si erano visti convocare d’urgenza da un segretario e si erano trovati nel mezzo del discorso di dimissioni di Kakashi. Anche se Naruto faceva fatica a capire tutte le sfumature di quel che veniva detto, a quel punto della discussione persino nella sua testa si era acceso un campanello.
Iida, avvertendo la piega che stava prendendo la situazione, sbatté una mano sul ripiano lucido e passò a un registro molto più minaccioso. «Hatake, non puoi fare di testa tua! Ricordati che siamo noi consiglieri a decidere chi deve diventare Hokage e chi no!»
«Non agisco di testa mia, agisco nell’interesse del villaggio» replicò Kakashi un po’ più duro. «E penso che Naruto Uzumaki, nei giorni difficili che dovremo affrontare, sarà un Hokage migliore di me.»
Un silenzio di piombo scese sulla stanza.
Naruto fissò Kakashi con occhi e bocca spalancati, incapace di proferir parola.
Da quando aveva capito che c’era un posto da Hokage vacante una minuscola fiammella di speranza si era accesa in fondo al suo cervello; adesso, alimentata dall’eco delle parole del suo vecchio maestro, era appena divampata in un grande incendio: una cosa è sognare per tutta la vita di raggiungere un certo obiettivo, un’altra, ben diversa, è raggiungerlo sul serio. E lui ci era riuscito. Finalmente, dopo tutti quegli anni di fatiche e di sforzi sovrumani, Kakashi gli offriva la possibilità di far scolpire il suo volto sulla parete degli Hokage.
Il sangue risalì di colpo alle sue guance, rendendole scarlatte. Non si accorse degli sguardi sgomenti dei consiglieri né delle occhiate preoccupate che si scambiarono Shikamaru e Neji. Non vide l’espressione allarmata di Sakura né l’occhiata di Iida, ma una cosa non poté non notarla, e cioè le successive parole di Kakashi.
«Non da solo.»

La porta della sala del Consiglio si spalancò con violenza quando già tutti nell’anticamera erano sull’attenti.
Chiharu, Kotaro e Hitoshi, ora lontani dal muro e con i sensi all’erta, videro Naruto uscire con un diavolo per capello, e all’istante compresero che il grido che avevano sentito era il suo.
«Non da solo!» esclamò il Jonin rabbiosamente, attraversando la porta con la furia di un tornado. «Che cavolo vuol dire non da solo? Per chi mi ha preso? Con chi crede di parlare?»
La piccola folla radunata nella stanza si fece rapidamente da parte mentre lui incedeva a passi pesanti. I tre membri della sua squadra non si sognarono nemmeno di avvicinarlo. Lo guardarono passare con espressione attonita, la schiena di nuovo premuta contro il muro, e per un attimo a Chiharu sembrò di vedere una nota scarlatta nell’azzurro dei suoi occhi.
In meno di un istante, quando Naruto ancora aveva un piede nella stanza, si diffusero i mormorii; i più vicini cercarono di sbirciare oltre il portone della sala del Consiglio, ma tutto ciò che riuscirono a intravedere furono i volti preoccupati di Sakura e Sasuke Uchiha, prima che un inserviente si affrettasse a richiudere. Akeru, dopo aver scambiato qualche rapida parola con un compagno della squadra speciale, raggiunse Hitoshi, Kotaro e Chiharu.
«Voi avete capito cosa è successo?» domandò con espressione preoccupata.
«Qualcuno ha pestato i piedi a Naruto» rispose Hitoshi accigliandosi. «Poche volte l’ho visto tanto incazzato, e in una di quelle volte ricordo uno shinobi del Fulmine che chiedeva pietà.»
«Che ci faceva nella sala del Consiglio?» insisté Baka. «A voi non ha detto niente?»
«Neanche mezzo accenno» furono costretti ad ammettere. A dire il vero non lo vedevano dalla festa di Chiharu, perché si era preso qualche giorno di ferie per stare con la famiglia.
«Il punto è che né Naruto né i genitori di Hitoshi sono consiglieri» intervenne Chiharu. «Hitoshi, tu non hai sentito niente dai tuoi?»
«Stamattina sono uscito presto, non li ho nemmeno incontrati» mormorò l’Uchiha, tacendo il dettaglio che ogni mattina cercava di schivare i suoi genitori e in particolar modo suo padre.
«Ma che diavolo hanno detto per far arrabbiare Naruto fino a questo punto?» si chiese Kotaro per tutti. I ragazzi si guardarono, senza idee. Dalle porte chiuse della sala riunioni provenivano voci soffocate e indistinte. Naruto era scomparso, i consiglieri erano tornati a discutere, e nessuno era ancora uscito per spiegare qualcosa. Poi, come predetto da Jin, la porta si aprì di uno spiraglio e Shikamaru si affacciò all’esterno, adocchiando l’ingresso dei bagni e calcolando quanti dei presenti sarebbe riuscito a schivare.
«Papà!» lo chiamò Chiharu, battendo sul tempo tutti i curiosi che volevano interrogarlo.
«Che ci fate qui?» ribatté Shikamaru stupito, squadrando lei e i compagni.
«Di sotto c’è mezzo villaggio, che sta succedendo? Abbiamo visto Naruto andarsene furibondo.»
Shikamaru li raggiunse e abbassò notevolmente il tono di voce. «Siete la mia copertura per arrivare ai bagni. Scortatemi e ve lo dico.»
I ragazzi obbedirono, circondandolo come guardie del corpo. Per tendere le orecchie quasi si arrampicarono sulle sue spalle, ma se non altro nessuno osò tentare di insinuarsi oltre una barriera tanto compatta.
«Kakashi ha deciso di renderci la vita impossibile» spiegò Shikamaru mentre camminavano. «Vuole dare le dimissioni. Indovina chi ha scelto per sostituirlo?»
Chiharu inarcò le sopracciglia per la sorpresa. «Naruto?»
«Ah, magari...» rispose Shikamaru con un lamento. «Naruto e me e Sasuke e Sakura.»
«Che cosa?» la mandibola di Chiharu si spalancò.
«Non oso pensare a quanto sarà orgogliosa tua madre...» gemette Shikamaru.
«Ma è legale?» borbottò Akeru confuso.
«Secondo i consiglieri no. Andremo avanti ancora per ore, temo.»
«Perché Kakashi molla?» domandò Kotaro, sconvolto all’idea che qualcuno potesse non avere più voglia di essere Hokage, obiettivo e sogno dichiarato di tre quarti degli shinobi di Konoha.
«Ragazzi, scusate, adesso non ho proprio tempo» sospirò Shikamaru, troncando di colpo le altre domande. «Voglio andare in bagno e poi devo tornare a litigare: non posso lasciare Neji a lottare da solo.»
Lui e lo Hyuuga erano stati i primi a sospettare i piani di Kakashi. Non appena avevano sentito la parola ‘dimissioni’ aleggiare nella stanza avevano guardato Naruto, collegato la presenza di Sakura e Sasuke e fatto due più due. Solo, non pensavano che Kakashi avrebbe davvero proposto una cosa del genere: era riuscito in un colpo solo a far infuriare sia il Consiglio sia il suo pupillo.
«Andate a casa» consigliò Shikamaru ai ragazzi. «Ne avremo ancora per un bel po’, è inutile che perdiate tempo qui attorno. Ci vediamo per cena, spero.»
Con un cenno che la diceva lunga sul suo entusiasmo, il padre di Chiharu si allontanò verso i bagni. Subito un Anbu si affrettò ad avvicinarsi ad Akeru.
«Che ha detto?» domandò ansiosamente.
Akeru lo fissò vacuo, ancora stordito dalle notizie.
«Abbiamo un sostituto Hokage» annunciò, mentre tutti i presenti si avvicinavano istintivamente.
«Anzi, ne abbiamo quattro» lo corresse Chiharu, iniziando a far lavorare il cervello. Ripensando a quanto Naruto tenesse alla carica di Hokage e alle parole di Kakashi di tanti anni prima, quella volta che le aveva confessato che Naruto era il miglior ninja del villaggio, improvvisamente realizzò che il suo maestro aveva decisamente molte ragioni per aggirarsi con i canini più affilati del dovuto...


«E’ una presa per il culo! Un orribile scherzo stupido!»
Naruto faceva avanti e indietro nella stanza da letto della sua casa, pestando i piedi sul tappeto decorato con passo più che marziale. Hinata era seduta sul materasso e lo guardava preoccupata, le mani strette in grembo e le sopracciglia corrugate.
«Naruto, per favore...» lo richiamò.
«No, per favore niente!» scattò lui, fermandosi di botto. «Sono trent’anni che voglio quel posto e Kakashi lo sa benissimo! Ma quando viene l’occasione, cosa fa? Mi mette appresso delle balie! Cosa pretende che faccia, ancora? Come diavolo gli dimostro di essere pronto più di quanto abbia fatto fino ad oggi?»
«Naturalmente l’Hokage può essere uno solo» Hinata cercò di essere conciliante «Deve averti affiancato Sasuke, Sakura e Shikamaru soltanto per un breve periodo, per consigliarti i primi tempi... Non potete diventare Hokage in quattro, lo sa anche lui. E’ una cosa temporanea.»
«Non è vero» la interruppe Naruto. «Se non crede che io adesso sia in grado di reggere le sorti del villaggio, allora non lo crederà mai.»
Hinata sospirò, guardandolo passarsi una mano tra i capelli e mormorare tra sé. In quegli anni gli era stata vicino abbastanza da capire quando qualcosa gli faceva davvero male, e non erano i graffi sulle sue guance o gli occhi screziati di viola a darle i primi segni di allarme, ma semplicemente la sua voce, la nota d’angoscia che trapelava dalle sue parole.
«Naruto» chiamò di nuovo. «Ti prego, siediti un attimo... Solo un attimo.»
Lui le scoccò un’occhiata rovente, alla quale lei ricambiò con il solito sguardo mite. Allora sbuffò, amareggiato, e si lasciò cadere al suo fianco.
«Ho completato missione dopo missione» gemette, prendendosi la testa tra le mani e posando i gomiti sulle ginocchia. «Mi sono preso cura di Chiharu, Hitoshi e Kotaro, ho salvato il villaggio come minimo tre volte, ho riportato indietro Sasuke, ho superato mio padre, ti ho sposata senza scatenare una guerra civile, grazie a me siamo alleati con la Sabbia! Cosa manca ancora? Non sono abbastanza forte? Sono stupido? Cosa?»
Hinata posò la fronte contro la sua testa, poco sopra l’orecchio, e gli accarezzò il ginocchio con una mano.
«Sappiamo tutti e due che saresti un ottimo Hokage, e lo sa anche Kakashi» sussurrò gentilmente. Naruto fece per protestare, ma lei lo prevenne. «Io credo che l’abbia fatto per proteggerti.»
Lui si immobilizzò con la bocca pronta a sputare insulti. Corrugò la fronte, confuso, e le rimandò uno sguardo scettico.
«Il Consiglio è potente, Naruto» spiegò Hinata facendosi seria. «Neji me ne ha parlato: ci sono un paio di consiglieri che di fatto governano Konoha, e contrastare loro non è semplice. Anche con tutta la buona volontà e le migliori intenzioni, ciò che loro vogliono è ciò che loro ottengono, nel bene e nel male. Kakashi ha imparato a bilanciare le loro richieste con le sue e finora è riuscito ad andare avanti soltanto grazie alla sua diplomazia, ma tu ne saresti in grado? Pensaci un attimo, Naruto, ne saresti in grado?»
«Che c’entra?» arrossì lui. «Non sono più il ragazzino idiota che ero a dodici anni. So che a volte bisogna scendere a compromessi!»
«Anche come Hokage?» lo incalzò lei. «Se ti chiedessero di scegliere tra sacrificare una squadra Anbu e non ottenere importanti informazioni che salverebbero la vita a Gaara, cosa faresti?»
«Sicuramente ci sarebbe un modo per avere tutti e due!» protestò Naruto, piccato. «Le cose non sono sempre bianche o nere!»
«Quando sei Hokage sì» gli spiegò Hinata. «Spesso le decisioni sono bianche o nere, e se il Consiglio ti mettesse davanti a una scelta proibitiva, tu daresti in escandescenze.»
Naruto si morse l’interno della guancia, offeso. «Non è vero.»
Hinata sospirò e gli prese una mano. «Kakashi ha fiducia in te come in nessun altro» gli ricordò. «Shikamaru, Sakura e Sasuke saranno lì solo per calmarti quando ti andrà il sangue alla testa e per farti vedere le soluzioni che non troverai immediatamente. Kakashi avrebbe potuto scegliere Sasuke, se avesse pensato che fosse più adatto di te, invece ha fatto il tuo nome. Significa che in tutta Konoha non c’è nessun altro che lui consideri migliore.»
«Migliore di me, Sakura, Sasuke e Shikamaru messi insieme» la corresse lui.
«Naruto...» sospirò Hinata, e se fosse stata una donna normale la sua sarebbe stata esasperazione.
«Scusa» mormorò lui, giocherellando con le dita della sua mano. «E’ solo che... sono deluso. Molto deluso. E amareggiato. Era il sogno della mia vita, capisci? Ciò a cui ho sempre puntato... Cioè, anche tu sei importante, Hinata, importantissima. Ma essere Hokage... essere Hokage...»
Anche senza bisogno di psicanalisi, Hinata riuscì a cogliere nelle parole amare di Naruto l’ombra di Namikaze Minato.
Essere Hokage per lui significava essere riconosciuto, ma anche percorrere le orme del padre che non aveva mai incontrato e in qualche modo stabilire un contatto con lui: sedere sulla sua poltrona, prendere le sue decisioni, provare ciò che aveva provato, erano tutte cose che poteva fare soltanto come Hokage. Avere Sakura, Sasuke e Shikamaru al fianco significava sedersi solo su un bracciolo della sedia.
«E’ stato come prendere una manciata di sabbia» spiegò Naruto. «Un attimo prima era lì, tra le mie mani, e l’attimo dopo Kakashi ha detto ‘non da solo’ ed è scivolata via.»
Hinata gli accarezzò una guancia. «Naruto, non devi abbatterti» gli sussurrò sollevandogli il viso. «Sono certa che Kakashi abbia in mente qualcosa. Sai bene che nel villaggio non esiste nessuno che lui stimi più di te.»
Naruto sospirò, incapace di sorridere, e d’impulso tese le braccia e la strinse al petto. «Scusa» disse, chiudendo gli occhi contro la sua spalla. «Scusa, adesso mi passa. Non sono così scemo da rifiutare la carica di Hokage, anche se è monca e suona come una presa in giro.»
Hinata avvolse le braccia attorno alla sua schiena e lo sentì tiepido come sempre, non più caldo come Kyuubi.
«Sì» mormorò confortante, accarezzandolo come se fosse stato uno dei suoi figli. «E poi ricorda che avrai sempre me.»





*Baka significa stupido.




  
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