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Autore: charliesstrawberry    24/07/2014    8 recensioni
«Quali sono le tue certezze, Lena?».
Stringo i denti e socchiudo di poco le labbra, mentre una leggera brezza notturna mi sferza il viso e mi fa rabbrividire nella mia felpa gigantesca. Lo guardo più del solito, con i suoi occhi curiosi che brillano, con le sue mani intrecciate sul suo addome come se stesse per addormentarsi sulle mie gambe, con il suo respiro pesante che sa di alcool e di marijuana. Quali sono le tue certezze?
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Sinceramente vorrei esser morta;
lei mi lasciò, tra le lacrime
e mi disse: come è terribile,
Saffo, questa nostra sorte,
perché è contro il mio volere
che ti abbandono.
- Saffo

 

Un ronzio intermittente e quasi insopportabile accompagna la mosca che perlustra la stanza sopra la mia testa.
Le mosche di solito volano in tondo o, più caratteristicamente, seguendo dei movimenti irregolari che formano un triangolo o un quadrilatero. Il loro volo non è elegante come quello di una farfalla o di un'aquila, questo perché hanno ali piccole e il corpo troppo pesante: una mosca è in continua lotta con la forza di gravità e, incapace di planare dolcemente come tutti gli altri volatili, è costretta ad un volo brusco e disordinato e ad uno sforzo energetico immane, pur di non precipitare.
Me l'ha detto Jean, una volta. La cosa mi ha colpito, forse perché allora io mi sentivo così: confusa, pesante, costretta ad essere sballottata da una parte all'altra pur di rimanere in piedi. Oggi guardo l'animale che vola sopra la mia testa, disorganizzato, scostante, sempre in procinto di cadere... e penso a qualcun altro.
«Hai intenzione di prestarmi attenzione o preferisci che ti getti subito fuori dal mio ufficio?».
I miei occhi, ancora rivolti all'insù, si abbassano fino a sostare sulla figura del mio psicologo. La mia espressione resta atona, poco concentrata.
«È un incontro straordinario, questo. Te l'ho concesso perché sono estremamente magnanimo».
«Ma le ho solo chiesto di anticipare la seduta di Venerdì a oggi... Non c'è nulla di aggiuntivo» ribatto, le braccia incrociate al petto e l'espressione contrariata.
«Non ha importanza»
«Perché non mi ha detto niente?»
Gli occhiali sul naso di Wilson vengono aggiustati con un gesto meccanico delle dita. «Perché mai avrei dovuto parlartene io? Non sono affari tuoi».
Sospiro, con calma. Ho sentito ripetere questa frase un innumerevole quantità di volte, negli ultimi mesi; eppure, ora più che mai, la sento come una grande bugia. Perché in un modo o nell'altro quelli che "non sono affari miei" finiscono sempre per riguardarmi da vicino.
«Era... Era importante! È morta una ragazza. È una faccenda seria» sussurro, come per paura che qualcuno possa sentire la nostra conversazione. A discapito dello shock e della delusione per tutte le parole non dette – o dette troppo tardi – sento ancora di dover preservare Harry, a maggior ragione adesso che conosco la sua storia, sento il peso di questo segreto sulle spalle.
Solleva un sopracciglio, improvvisamente più interessato alla conversazione. «E questo cambia qualcosa?».
«Cambia tutto!» esclamo, sconcertata. Riesco solo ad immaginare le scene orrende che mi sono state descritte: il sangue, il dolore, le urla, la morte... Come fa, tutto ciò, ad essere irrilevante per Wilson? Come fa, un omicidio, ad essere considerato qualcosa "che non mi riguarda"?
«Cambia anche quello che pensi di Harry?». L'immediata domanda di Wilson, fedelmente accompagnata da un sopracciglio sollevato e da un'espressione più seria del solito, mi prende in contropiede.
«Io...» borbotto qualcosa di incomprensibile anche per me. Mi guarda e sorride, consapevole di aver colto il mio punto debole. La verità è che ho paura: paura di giudicare quando non sarebbe mia prerogativa, paura di fidarmi troppo di qualcuno che, in fin dei conti, conosco troppo poco. «Io... non lo so».
«Sei confusa» completa lui per me, ed io mi lascio andare ad un breve sospiro sconfitto. Avverto una lacrima rigarmi il volto e mi affretto ad asciugarla.
Lo vedo accennare ad un breve sorriso, quasi compassionevole. Pian piano, mi dico, in questi mesi ho scoperto che anche Wilson ha un cuore – e funziona (quasi) come tutti gli altri. «Partiamo da una cosa: io ho letto i verbali e parlato con alcuni testimoni di quella sera, e posso assicurarti che Harry non è un assassino. La versione che ti ha raccontato è quella vera, senza filtri né menzogne».
Inspiro lentamente, il gomito appoggiato al bracciolo della poltrona e il palmo della mano che sostiene il capo. All'improvviso comincio ad avvertire un gran mal di testa. «Questo lo so – confermo, in un sussurro spezzato – è solo che...»
«Non avrebbe fatto nulla neanche in un altro caso. È vero che è stato la causa della morte di quella ragazza, ma questo non vuol dire che sia colpa sua – mi studia attentamente, gli occhiali da vista tra le mani e i gomiti appoggiati alla scrivania – Non devi cominciare a dubitare di qualsiasi cosa lui abbia mai detto o fatto, Helena. Harry non è un bugiardo, e sono certo che è stato sincero con te. Forse ha omesso qualche verità, negli ultimi mesi, ma puoi biasimarlo?».
Gli occhi scuri di Wilson mi penetrano da parte a parte, so che mi vuole leggere dentro e forse per una volta non ho niente in contrario.
«Ha detto che aveva paura di perdermi» dico fissando il vuoto, mentre la mia mente ritorna a quelle parole e a quei messaggi che avrò ascoltato un migliaio di volte ma a cui non ho ancora dato risposta.
«E tu credi che sia una paura fondata, la sua?»
Abbasso lo sguardo. «Forse – confesso – neanch'io non voglio perderlo, dottor Wilson. Ma...»
«Ma è più complicato di così».
Annuisco, in un cenno d'assenso. «È che non posso fare a meno di farmi un milione di domande, e chiedermi se ne vale la pena, e dirmi che non sono in grado di sostenere un peso così grande – la mia voce viene spezzata da un singhiozzo, ma, ancora una volta, mi trattengo – voglio dire... mi guardi, dottor Wilson: sono un casino. Come posso aiutarlo a risolvere la sua vita se non so nemmeno tenere in piedi la mia?».
I capelli brizzolati di Wilson tremano leggermente mentre una brezza di metà primavera entra dalla finestra alle sue spalle e m'investe in pieno viso.
Mi rivolge un cenno d'assenso. «Credo tu abbia ragione. E sai benissimo che non ti costringe nessuno, vero? Sei capace di prendere le tue decisioni e Harry lo capirà – annuisco – eppure io credo che ti sottovaluti. Harry ha fatto enormi progressi negli ultimi mesi, e sono in gran parte dovuti a te. Forse non te ne sei accorta, ma ha resistito soprattutto grazie al tuo aiuto. Non credo tu debba lasciarti condizionare dalla sua storia: dopo tutto non mi pare lui l'abbia fatto con te, o sbaglio?
«Non ha smesso di parlarti dopo aver scoperto delle tue amnesie perché credeva fossi un peso troppo grande; è rimasto e, lasciatelo dire Helena, perché so bene che non vuoi ammetterlo, ma stai guarendo grazie a lui. Vi fate bene a vicenda. E sì, siete due casini ambulanti, ma non è forse vero che due segni negativi, insieme, ne fanno uno positivo?».
La sua voce, meno decisa ed autoritaria che mai, ma, per una volta, morbida e paterna, riecheggia nella mia testa. Sbatto le palpebre più volte, prima di pronunciarmi.
«È meglio che vada».
Annuisce, prima di inforcare gli occhiali e rivolgere la sua attenzione allo schermo del computer alla sua destra.
«Pensaci su, mi raccomando» dice non appena le mie dita sfiorano la maniglia della porta.
Sollevo un angolo delle labbra, uscendo dall'ufficio, perché non posso fare a meno di notare il suo affetto nei confronti di Harry, che non riesce a celare in nessun modo.
«Prego, il dottore è libero» pronuncia Jillian quando mi vede emergere dall'ufficio, rivolta ad una figura sul divano della sala d'attesa. Quando questa si volta, gli occhi di Adam si scontrano con i miei per un istante troppo lungo, che mi impedisce di ignorarlo.
«Ciao» mormoro in un sorriso di circostanza, tanto impacciato quanto imbarazzato. Lui mi rivolge un mezzo sorriso a labbra serrate, con uno sguardo indecifrabile. Mi passa accanto, diretto verso l'ufficio di Wilson, ma si blocca quando si accorge della mia mano ferma sul suo braccio.
«Quella notte, a Manchester... c'eri anche tu, non è vero?» domando in un rantolo, come se tenessi dentro questo interrogativo da sempre.
Lui mi guarda con fare curioso, poi annuisce lentamente. Ero certa che tutti i suoi avvertimenti, i suoi "criminale" e "dovrebbe stare dietro le sbarre" rivolti ad Harry non erano casuali. Abbasso lentamente lo sguardo, incerta se formulare o no la prossima domanda. Adam, dal canto suo, gli occhi scuri puntati su di me ed i capelli neri scompigliati, forse dal vento leggero che c'è oggi, resta in attesa.
«Cosa... cosa hai visto?»
Si lecca il labbro inferiore, «Non mi pare il momento giusto per parlarne» e si guarda intorno, in difficoltà. Nella sala si ode solo il ticchettio delle dita esili di Jillian sulla tastiera del computer, che finge indifferenza; la porta è semiaperta e sicuramente Wilson starà origliando la nostra conversazione, ma di lui poco m'importa.
«Per favore» sussurro ancora più piano, in un'espressione implorante.
Sbuffa. «Sono arrivato tardi... Lei era già morta. C'era una pozza di sangue a terra e la polizia stava arrestando Matt, Louis ed Harry» aggrotta le sopracciglia non appena si accorge del mio sospiro di sollievo. «Io credo che Harry abbia contribuito» dice convito, lo sguardo più serio che mai.
Scuoto la testa. «Non credo tu abbia il diritto di sentenziare».
«Non vuoi dirmi che hai intenzione di credere alla sua stupida versione!» ribatte, il tono di voce più alto di un'ottava. Jillian si volta di scatto, curiosa e forse anche un po' preoccupata, memore dell'ultima discussione poco amichevole avvenuta tra me ed Adam.
Sospiro pesantemente, facendo spallucce. «Io non so nulla. E da quello che ho capito, tu sei solo poco più informato di me».
Rotea gli occhi al cielo, e vedo quell'espressione di rabbia che tante volte gli ho visto addosso balenargli sul volto. Apre la porta e scopre la figura di Wilson intenta a scrivere qualcosa al computer: quest'ultimo solleva il capo e, sorpreso, ci guarda interessato.
«Un'ultima cosa» dico, fermandolo dal varcare la soglia. Mi osserva a braccia conserte, con fare poco amichevole. «È importante per me – mi giustifico – È... È vero che ti ho baciato?» domando, con le mani torturo l'orlo della mia sciarpa e attenziono lo spostamento di ogni suo muscolo facciale.
Abbassa lo sguardo e scuote la testa, sembra incredulo: a palpebre abbassate, si massaggia le meningi con il pollice ed il medio. Quando si rivolge nuovamente a me, gli occhi di fuoco e l'espressione quasi... esausta?, per poco non sussulto. «No, okay? Mi sono inventato tutto io, non è successo niente e mi sono preso gioco delle tue amnesie. Sei contenta adesso?» quasi urla d'impazienza, prima di varcare la soglia dell'ufficio e sbattere la porta alle sue spalle.
Osservo la superficie liscia di legno di fronte a me, che ancora riecheggia di delusione, rabbia, e forse anche di bugie.



La nebbia notturna è svanita nel tepore primaverile e i miei occhi, abituati ormai all'oscurità delle due di notte, riescono a distinguere perfettamente i contorni del cartello all'entrata, i binari arrugginiti e perfino quella panchina solitaria quasi alla fine della stazione.
Inspiro ed espiro lentamente, prima di avvicinarmi e sedermi.
«Sei venuta a prendermi a schiaffi?»
Mi volto alla mia destra, esaminando il profilo che conosco a memoria. «Perché così catastrofico?» domando in un sussurro.
Harry abbassa lo sguardo, pensieroso. «Allora sei venuta a rompere con me».
Serro le labbra, esitante. Il suo sguardo è perso nel vuoto di fronte a lui, e, nonostante tutto, non posso fare a meno di pensare quanto i suoi occhi mi manchino e a come darei qualunque cosa perché si voltasse e le sue iridi cristalline s'incrociassero con le mie.
Lo osservo, mentre si sforza d'ignorarmi. «Siamo mai davvero stati qualcosa noi due, Harry?» sospiro, sollevando le spalle.
Lo vedo voltarsi di scatto dalla mia parte, e questa volta sono io ad evitare il suo sguardo, che sento addosso quasi come un'accusa. «Certo che sì! O almeno... Così è stato per me». Il suo tono, amaro e deluso, mi penetra sotto la pelle, e mi fa rabbrividire.
«Perché non mi hai detto tutto subito, allora? Perché hai aspettato tutto questo tempo?»
«Lo sai, il perché! – la sua voce è più alta di un'ottava, e la sento risuonare ovunque intorno a me – Avevo paura, okay?, di essere giudicato e che tu... mi lasciassi. E forse sarò stato egoista, ma avevo troppo bisogno di te per rischiare». I suoi occhi verdi ora bruciano di rabbia e rancore, e sembra quasi surreale che queste emozioni siano rivolte a me.
Sento il rumore di un'automobile solitaria passare proprio fuori dalla stazione. «Ma... perché questo pensiero? Davvero immaginavi che ti avrei lasciato dopo che mi avresti raccontato tutto?»
Sbuffa, e lo sento lasciarsi andare ad una risata sostenuta, ricca di stanchezza e forse un po' di astio. «Non fare l'ipocrita, Lena. Io e te sappiamo benissimo cosa hai pensato; e non dirmi che neanche per un istante non ti è venuto in mente di lasciarmi perdere perché sono troppo incasinato. E che in fin dei conti potrei essere anch'io un assassino, insomma: chi ti può assicurare che io abbia detto la verità? Che non sia riuscito a prendere tutti in giro? – ansima, l'ira nel volto e sulle labbra, che tremano leggermente; sta gridando e io mi costringo a non chiudere gli occhi per la paura – È questo che hai pensato, non è vero?».
«Io...» mi arresto. Come faccio a mentire? A dire che no, sono sempre stata certa di lui, non ho avuto bisogno di consultare Wilson né di interrogare Adam sulla faccenda? Come posso mentire così spudoratamente proprio adesso che lui a deciso di tirar fuori la verità? Abbasso lo sguardo, incapace di sostenere il suo.
«Come pensavo – pronuncia dopo svariati secondi, e subito dopo lo sento tirare sul col naso. Sollevo lo sguardo, per scontrarmi con un paio di occhi lucidi e delusi – tutto quello che chiedo è un po' di sincerità – scuote la testa, sospira e si alza in piedi, così da impedirmi di guardarlo in volto – e io non ti biasimo Lena, okay? Non ti biasimo per niente, perché ho fatto un casino ed è tutta colpa mia ma, cazzo, dopo tutto quello che c'è stato, almeno abbi il coraggio di guardami in faccia e dirmi che ti faccio schifo».
Osservo la sua figura in silenzio. Le sue gambe lunghe, la schiena avvolta da una felpa troppo vecchia, le spalle larghe, la nuca in parte coperta dai ricci ribelli che stasera non sono nascosti sotto uno dei suoi soliti beanie, eppure non sono neanche troppo scompigliati.
«Non mi fai schifo» dico e lo vedo voltarsi un poco, così da permettermi di distinguere il suo profilo.
«Allora che sei venuta a fare?» chiede, la voce più roca del solito, tipica di quando piange ma non vuole darlo a vedere.
«Sono venuta per dirti che ti credo, Harry; che neanche io voglio perderti e che sono convinta che ce la faremo nonostante tutto. E che è vero, hai ragione e ho dubitato di te ma perché non posso lasciare che miei sentimenti comandino da soli, e so che in questo puoi capirmi, non è vero? Ma sono venuta perché a te ci tengo e perché anche se sei nei casini te lo devo, perché neanche tu mi hai abbandonata nel peggiore dei momenti. Sono venuta per tutte le volte che mi hai portata a casa quando non ricordavo più dove fosse, quando non ricordavo più neanche chi fossi tu, e mi hai preso la mano e ti sei presentato di nuovo come la prima volta, e ancora e ancora; e poi perché mi sono innamorata, e a questo non so dare una spiegazione logica, ma spero che basti comunque».
Sono in piedi adesso e stringo la sua mano, inerte, nella mia. I suoi occhi lucidi balenano nei miei e non posso fare a meno di notare il sospiro di sollievo che lascia le sue labbra.
Mi avvicino a lui con cautela, circondo la sua vita con le braccia e appoggio una guancia al suo petto in un abbraccio tanto malinconico quanto liberatorio. Risponde a stento, le sue mani sono appoggiate ai miei fianchi con estrema cautela e adesso, finalmente capisco: che Harry, quando mi sfiora, e trema, e esita, non ha paura per sé. Ha paura di farmi del male come il male che crede di aver fatto un anno fa. I tentennamenti, i pianti ed i rifiuti avevano tutti un fondamento comune, e rispondevano tutti ad un solo nome: Rachel. Sospiro e mi avvicino di più, per fargli capire che io non ho paura, che può stringermi quanto vuole perché so che non può farmi del male.
«Mi sei mancato» sussurro, rivolta al suo sorriso ammaccato e triste che, a discapito del resto, compare comunque.
«Non credevo fosse possibile, considerata la scena penosa alla quale ti ho costretta ad assistere due settimane fa».
Scuoto la testa. «Non è un problema – gli rivolgo un sorriso sincero – detto tra noi, non vedevo l'ora che dessi di matto anche tu. Così io mi sento più... normale, sai?»
Ride piano e scioglie l'abbraccio, prima di sedersi per terra. «Di certo in questi giorni mi sento più matto che mai – dice, gli avambracci poggiati sulle ginocchia e le gambe incrociate – con le sedute giornaliere da Wilson e tutti gli antidepressivi che mi ha prescritto».
Mi siedo accanto a lui. «Lui ti ha dato... cosa?!»
Annuisce, come per confermare. «Ne avevo bisogno – mi guarda negli occhi, in un'espressione incredibilmente seria – non voglio diventare dipendente da questa roba, Len. Ma per adesso ne ho veramente bisogno. Sono stanco di non avere il controllo del mio corpo, non voglio più avere crolli emotivi».
Serro le labbra in un sorriso breve. «Suppongo che dovremo fidarci di Wilson, allora».
Mi guarda, e lo vedo sorridere davvero per la prima volta. «Io mi fido già da tempo; quando comincerai tu?» dice.
E a questo non ho il tempo di rispondere, perché mi bacia.
E ci sono ancora tante cose da dire, tante questioni in sospeso, tanti perché da chiedere e tanti rimproveri da fare. Ma per adesso va bene così.




Note.
Ebbene sì, sono ancora viva! Come ho scritto nelle note precedenti, che forse non tutti avete letto, sono stata via tre settimane per cui è stato impossibile per me postare.
Considerata l'importanza del capitolo scorso, e il tempo che è passato, se devo essere sincera speravo in qualche recensione in più... mi piacerebbe sapere che ne pensate del segreto di Harry, se credete sia qualcosa di stupido o troppo scontato o che so io!
Ad ogni modo, questo capitolo non avrà un'anteprima del prossimo perché - ahimè - non l'ho ancora scritto, però presto posterò una os che avrà come protagonisti Wilson ed Harry, per cui non disperate, organizzerò meglio il mio tempo (:
Detto questo, spero che stiate passando delle belle vacanze. Le mie, fin'ora, sono state meravigliose.

Un bacio!
Carla
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