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Autore: Gilmore girls    24/07/2014    0 recensioni
Com’era possibile che la vita di una persona potesse cambiare in così poco tempo? Era questo il dubbio che divorava Pauline, una quindicenne dal ciuffo ribelle e gli occhi azzurri come il mare. E se, dei mesi prima, non avesse trovato quel portale? E tutte le persone che esso racchiudeva? No, sarebbe stata una pazzia. Era scritto nel suo destino. Pauline doveva scoprirlo, aveva il diritto di sapere la verità. Ma forse, la ragazza aveva scoperto troppo, troppo a proposito di quel portale che poteva portarla indietro nel tempo…in un’epoca passata. Pauline continuava a fuggire, era braccata da quel gruppo di uomini, in compagnia del suo migliore amico, Jonah. Ma per quanto tempo poteva continuare a farlo? E soprattutto, com’era arrivata fin lì?
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Aveva proprio ragione. La sua vita sei mesi fa era totalmente diversa.
La sera prima della partenza, prima che tutto cambiasse, Pauline era stesa sul letto della sua camera a leggere ‘Il ritratto di Dorian Gray’, col segnalibro su una delle prime pagine. Fuori, la pioggia cadeva ininterrottamente, picchiettando sui vetri della finestra accanto al letto, da cui la ragazza, di tanto in tanto, si soffermava a guardare una quercia. Si poteva dire che fosse uno degli elementi fondamentali della sua infanzia. Ci aveva trascorso tutti i pomeriggi a giocare, legando delle foglie ai sassi che trovava e poi lanciandoli nel laghetto accanto e quando iniziò a crescere diventò un ottimo posto per leggere all’ombra e soprattutto al silenzio. Quel posto racchiudeva un mucchio di ricordi, che di certo avrebbe continuato a custodire con gelosia nel suo cuore, nonostante se ne fosse andata. Pauline riprese a leggere, ma proprio non riusciva a concentrarsi. Così la sua attenzione si posò di nuovo fuori dalla finestra. Era certa che anche la pioggia le sarebbe mancata. Era sempre vissuta in quel paese così piovoso che non sapeva se si fosse abituata all’aria così calda del Minnesota.
Per l’ennesima volta cercò di capire ciò che c’era scritto in quel paragrafo, che leggeva almeno da un quarto d’ora, ma fu un altro tentativo vano, cosi chiuse il libro e finì di preparare le valigie.
L’indomani mattina si svegliò di buon ora, ma rimase per circa un’ora a letto, per assaporarsi tutto ciò che non avrebbe visto per un bel po’ di tempo. Le piaceva tantissimo restare sotto le coperte, al caldo, osservando fuori dalla finestra, la libreria, la scrivania e tutti quelli oggetti, che a causa dell’aereo aveva dovuto lasciare sulle mensole (a parte il carillon regalatole dalla madre, che era stata la prima cosa ad essere stata infilata in valigia). Era uno dei pochi oggetti che possedeva di lei, assieme quel braccialetto che non si levava mai dal polso, con un pendolo a forma di bastoncino di zucchero, che Judie
adorava. Era una delle bambine dell’orfanotrofio. Per Pauline era come avere tante sorelle e fratelli. Gli voleva tanto bene ed era certa che le sarebbero mancati moltissimo. Mentre tutti quei pensieri vagavano nella sua mente, la porta si aprì.
-Hey, Pauline, pensavo ti fossi già alzata…ti ho portato alcune cose...- La signora Gomez, che per tutti questi anni l’aveva accolta e accudita nel suo orfanotrofio, stava entrando, frettolosamente, con un vassoio in mano. Per Pauline era come una seconda mamma e la adorava, più di qualsiasi persona al mondo. Era una donna gentile nei modi e nobile nel portamento, che camminava con disinvoltura. I suoi occhi erano celesti e i suoi capelli, ondulati solo sulle punte, color del miele. Aveva sempre avuto una passione enorme per i bambini e aveva coronato il suo sogno aprendo quest’orfanotrofio in  Main Street, una ventina d’anni fa.
-Alcune cose? Ma è per caso il mio compleanno? - chiese divertita Pauline, guardando meravigliata tutte le prelibatezze nel vassoio.
-Sappiamo benissimo entrambe che giorno è questo, sciocca! Ho preparato la torta di mele, che ti piace tanto, i biscotti alle mandorle, delle frittelle col burro e marmellata e qui c’è del latte con il cacao.- rispose la signora Gomez, sorridendo.
-Oh, grazie mille...dev’essere tutto buonissimo, ma non credo riuscirò a mangiare tutta questa roba in così poco tempo. - disse Pauline, addentando un biscotto alle mandorle e sorseggiando subito dopo un po’ del latte al cacao.
-Non devi ringraziarmi…a proposito, prima che mi scordi, hai messo tutto in valigia? Non dimentichi nulla? -
-Si, ho controllato tre volte da ieri!-
-Hai messo almeno un maglione o una felpa per i giorni più freddi? -
-Oh, ma dai! Vedi che dove andrò non c’è continuamente freddo e piove ininterrottamente, come qui…-
-Va bene, ma ora preparati che il signor Louis sta per
arrivare. E’ stato così buono ad offrirsi per venire a prenderti. -
-Scendo tra un attimo.- disse Pauline, mentre iniziava ad infilarsi un jeans. Poi mise la felpa rossa e gli stivali impermeabili.
Dopo venti minuti, la ragazza stava scendendo le scale, per recarsi al piano di sotto, dove l’aspettava la signora Gomez, ora, più che mai, con gli occhi lucidi. Prima di uscire di casa, Pauline le aveva sentito dire solo, con voce flebile, ‘’stai attenta, e copriti bene.’’ Probabilmente si era limitata a questo perché temeva che se avesse continuato avrebbe di sicuro pianto.
Così, in quella fredda giornata di inizio novembre, Pauline si ritrovava ad osservare, dal finestrino di un auto, quel posto, che in un certo senso ‘l’aveva adottata’, come la signora Gomez. Le sembrava così strano allontanarsi per circa 7 mesi. Non lo aveva mai fatto.
Arrivati all’aeroporto, il signor Louis era stato così gentile da aspettare con lei (probabilmente su raccomandazione della signora Gomez, pensò Pauline). In ogni caso, le fece piacere avere qualcuno accanto in quel posto cosi enorme, che emanava una tale confusione! Quando si fece l’ora di andare, il signor Louis la salutò e Pauline lo ringraziò, affettuosamente. Dopo aver preso posto e ascoltato le varie raccomandazioni dell’hostess, che l’avrebbe accompagnata durante il viaggio (in quanto minorenne), prese il suo libro e iniziò a leggere, proprio dove si era interrotta la sera prima. Lesse per tutto il tempo, e si fermò solo  per mangiare qualcosa e dormire qualche oretta. Tuttavia non era stanca, pur avendo dormito solo poche ore quella notte, ma non se ne meravigliò: era di sicuro l’eccitazione a tenerla sveglia.
Dopo circa dieci ore, l’aereo toccò terra. Naturalmente ci vollero più di tre quarti d’ora per scendere e prendere i bagagli. In tutto quel frastuono, Pauline sentiva uno strano fremito allo stomaco e realizzò che quello era il paese dove sarebbe restata per un bel po’ di tempo. Non vedeva l’ora di arrivare alla nuova scuola e di colpo si ricordò che doveva telefonare ad un numero che  aveva nello zainetto, come le era stato detto dei giorni prima. Così, dopo la telefonata, Pauline vide arrivare un uomo sulla cinquantina, con i capelli molto neri, da sembrare tinti, con un auto abbastanza grande e molto lucente.
-Buongiorno, signorina…Carter, vero? - disse con una voce calma.
-Proprio così! - rispose Pauline, dall’aria raggiante.
- Salga in macchinai…io sono Francis, e sono venuto a prenderla per portarla ad Helvorsne. Ci vorrà circa mezz’ora, giusto il tempo di vedere un po’ dove abiterai!- annunciò l’autista, ammiccando un piccolo sorriso. A Pauline le era già simpatico e così rispose ricambiando il sorriso.
Osservava dal finestrino. E così si ritrovò nella stessa situazione di dodici ore prima, con l’unica differenza di non aver mai visto quel posto.
Era tutto così nuovo e affascinante. Lo amava già quel paese. Forse era l’euforia di essere appena arrivata o forse le piaceva davvero. Boh. L’unica cosa che sapeva era che l’aveva trovato così diverso dall’Inghilterra.                        
Non solo per le strade e le piccole case, che venivano sostituite da palazzi, ma anche per il clima, che era molto più mite. Osservò un gruppo di ragazzi che avanzavano insieme, in divisa: probabilmente tornavano da scuola. Chissà come sarebbe stata la sua divisa e se le fosse piaciuta. Chissà con chi avrebbe fatto amicizia. Chissà come si sarebbe trovata in quel nuovo contesto. In quel tragitto la sua testa era affollata di domande, che, naturalmente, esigevano una risposta. Tuttavia, tutto ciò che poteva fare era attendere e le risposte sarebbero venute da sé.
-Eccoci, siamo arrivati. - annunciò l’autista.
Pauline non aprì bocca. Era troppo impegnata ad osservare tutto ciò che la circondava. Dopo un maestoso cancello di colore blu, che alcuni operai stavano ridipingendo, c’era un grande parco, pieno di giardini e alberi, che data la stagione, erano striminziti e privi di foglie. In fondo si trovava l’edificio scolastico, di color rosso mattone. Sopra il portone principale si trovava un gran cartello, con su scritto ‘Helvorsne school of Minnesota’. Date le numerose finestre, dovevano esserci tante stanze.
-Allora ti piace? -continuò l’autista, con aria un po’ delusa.
-Si, è tutto molto…grande, direi.- rispose Pauline, incredula.
-E non hai ancora visto l’interno. - annunciò il signor Francis ,ora entusiasta.
Così, entrarono dal portone principale, ornato da maniglie dorate, e mentre il signor Francis era intento a prendere le valigie per portarle di sopra, Pauline non voleva perdersi il benché minimo dettaglio. Alle  pareti, pitturate in oro, c’erano appesi arazzi, raffiguranti varie scene storiche. Alla destra c’erano grandi finestre, che facevano notare il gran parco e alla sinistra, delle poltrone, molto antiche, e un orologio a pendolo appeso al muro. All’improvviso entrò nella stanza una signora alta, molto magra, con i capelli biondi (che a Pauline ricordarono quelli della signora Gomez), e un portamento a dir poco nobile. Pauline pensò fosse la preside, ma si sbagliava.
-Buongiorno signorina Carter e benvenuta alla ‘Helvorsne school’. Sono certa che vorrà accomodarsi nello studio della preside, per ricevere alcune importanti, anzi fondamentali, regole. - disse la donna con voce un po’ cantilenante.
-Buongiorno. - rispose Pauline, un po’ stupita da quel mucchio di parole che la donna le aveva detto e del fatto che le aveva dato del ‘lei’.
-Comunque, se vuole, può chiamarmi signorina Jeffrey. - continuò la donna, con lo stesso tono di voce di prima.
-D’accordo, signorina. -
-Le ho detto Jeffrey! - questa volta la donna alzò la voce. Pauline non rispose.
Finalmente dopo quella strana conversazione, la ‘signorina Jeffrey’ bussò ad una porta, con su scritto
‘Preside Polkish’ e una voce le disse di accomodarsi.
Pauline entrò e si sedette, salutando come le aveva detto la donna, prima di aprire la porta.
-Buongiorno anche a lei, signorina Carter e benvenuta alla ‘Helvorsne school’. Io sono miss Polkish. - disse una signora anziana dall’aria benevola, che indossava un vestito alquanto elegante.
Era la seconda volta che sentiva quella frase in un giorno e così si limitò a sorridere e ringraziare, come la precedente. Dopo averle illustrato alcune delle più importanti regole e averle dato l’orario delle lezioni, miss Polkish le diede la sua divisa e le disse di indossarla immediatamente.
Pauline la ringraziò e uscì dall’ufficio, accompagnata da miss Jeffrey, che, prima di lasciarla sola, nel bel mezzo del corridoio, le disse, porgendogli una chiave –Piano di sopra, aula 515, dormitorio femminile naturalmente. -
Pauline pensò che la sua voce sembrava così meccanica e quasi registrata e, scrutando da tutte le parti, si avviò dove la donna le aveva detto. Finalmente, dopo aver vagato per dieci minuti, riuscì a trovare l’aula 515 e vi bussò.
Nei restanti trenta secondi non seppe cosa dire. Il suo viso era diventato più rosso del colore delle pareti. Un ragazzo, alto e abbastanza magro, le stava davanti. I suoi occhi erano verdi e i suoi capelli, ricci e disordinati, erano castani, con delle sfumature ramate. Aveva le labbra piccole, con il labbro superiore più sporgente. Non era particolarmente carino e oltre gli occhi verdi, i lineamenti del viso, alquanto marcati, non erano un gran che.
-Scusa? Tu chi sei? - si rivolse a Pauline, con un’aria piuttosto allibita, mentre aveva indossato la maglietta al contrario.
-Io, io...sono nuova. Mi hanno detto di venire all’aula 515. E’ la mia stanza. - balbettò Pauline, certa di aver fatto una figuraccia.
-Ah, beh…fino a prova contraria questa è la mia stanza! Probabilmente ti sei sbagliata. Qui sei nel dormitorio maschile.- disse il ragazzo, ammiccando un sorriso.
-Oh, mi dispiace tanto. Ho sbagliato direzione, scusa. - rispose Pauline, ancor più rossa in viso di prima.
-Non preoccuparti. Comunque se vuoi posso accompagnarti io…-
-Volentieri! -
Pauline, quasi morta per la vergogna, avrebbe voluto tanto dire di no, ma voleva evitare di ritrovarsi in una situazione del genere di nuovo. Così, mentre il ragazzo le faceva vedere la strada, lei lo ascoltava parlare della scuola.
-Probabilmente quella che ti ha fatto entrare è miss Jeffrey. Insegna letteratura. E’ davvero noiosa, ed è
quasi impossibile ascoltare la sua lezione per più di dieci minuti. Ma non preoccuparti, non tutti i professori sono così. Ce ne sono di peggio! - rise il ragazzo, che sembrava piuttosto spontaneo e socievole.
E cosi, finalmente, arrivarono all’aula 515, del dormitorio femminile.
-Grazie mille! Mi sei stato molto d’aiuto…- Pauline non sapeva cos’altro aggiungere.
- Di niente… va be’, sarà meglio che vada, altrimenti Michael chi lo sente. Magari ci vediamo stasera a cena! –
Pauline avrebbe voluto domandargli chi fosse quel Michael, ma non lo fece e così si limitò a dire un semplice ‘ciao’.
Mentre stava aprendo la porta, il ragazzo le urlò dietro. –Non mi hai detto come ti chiami-
-Pauline, tu? -
-Jonah. -
Appena entrata nella stanza Pauline non rimase così
stupita. Era una semplice camera, con le pareti color champagne, un letto accanto alle pareti e un piccolo orologio di fronte. Nulla di spettacolare. A dir la verità si era aspettata una stanza che le avrebbe mozzato il fiato, ma purtroppo aveva solo fatto aumentare la nostalgia della sua all’orfanotrofio. Stanca, si sdraiò sul letto, ma dopo aver chiuso gli occhi per un paio di minuti entrò in stanza una ragazza. Era molto alta ed estremamente magra, con i capelli castani e gli occhi azzurri. Camminava come se fosse su una passerella, e non parve accorgersi di Pauline, fino a quando gli disse –Ciao, sono la nuova arrivata e a quanto pare dividerò la stanza con te! Piacere di conoscerti, mi chiamo Pauline. -
-Io? Dividere con te questo topaio? Sei fuori strada! - disse, con arroganza la ragazza che frugava nel cassetto, vicino l’altro letto. -Io sono Judie, e sono qui solo per prendere delle cose dal cassetto di Luisiana...Cosa c’è? Sorprendente vero che una mia amica abbia una stanza così pietosa? Eh, vabbè...non tutti hanno la fortuna di avere un padre come il mio. - (e su quest’ultima parola alzò il tono di voce, con una certa arroganza).
Pauline non sapeva cosa dire. Non conosceva nemmeno quella tipa e già non la sopportava. A dirla tutta era contenta di non dover dividere la stanza con
lei, ma, dopo cinque minuti, vide che le cose non cambiavano tanto con ‘’Luisiana’’,che, sedutasi sul letto, le chiese – E tu chi saresti?- con tono arrogante come l’altra.
-Io sono Pauline. Vengo dall’Inghilterra.-
-Pauline? E che nome è questo? Ma rimarrai qui? No, dico...per sempre?! –
-Credo proprio di sì. - rispose Pauline, con una voce flebile.
-Bene, bene...di male in peggio! Prima mi viene affibbiata una stanza del genere, poi sono costretta a condividerla con una londinese svampita. - aggiunse, soffiando sulle unghie per far asciugare lo smalto rosso.
-Non sono di Londra. Vengo da un piccolo paese inglese. - disse Pauline, ormai stanca di quelle lamentele inutili.
-E che differenza fa??- urlò Luisiana, uscendo con Judie e facendo sbattere la porta violentemente.
Bene, pensò Pauline, sono appena arrivata e già vengo trattata in questo modo. Si chiese se fossero tutte così le ragazze e i ragazzi in quel posto, ma poi pensò a quel tizio, di nome Jonah, e convenne che qualcuno di simpatico l’aveva incontrato. Trascorse la sera seduta sul suo letto, leggendo, finché non si addormentò, con i vestiti indosso e completamente ignara di aver saltato la cena.  
   
 
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