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Autore: Whatadaph    24/07/2014    2 recensioni
Il Mondo Magico vive nella pace, almeno finché una serie di eventi misteriosi non giungono a sconvolgere l'equilibrio faticosamente ricostruito nel corso di lunghi anni.
Un Torneo Tremaghi, un incantesimo annullato, oggetti di grande valore trafugati senza un motivo apparente; inspiegabili avvenimenti ed enigmi irrisolti si sovrappongono, conditi con qualche segreto di troppo: segreti che forse sarebbe stato meglio svelare a tempo debito.
I ragazzi di una generazione felice sono destinati a scoprire a loro volta cosa significhi sentire il pericolo sulla propria pelle.
"Hai paura?"
"Sì. Una paura matta."
Genere: Azione, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Albus Severus Potter, Lily Luna Potter, Louis Weasley, Rose Weasley, Scorpius Malfoy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Metamorphosis'
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If this is to end in fire
Then we should all burn together.

Ed Sheeran

 

 

 

7 marzo 2022

Hogwarts, Scozia

Ultimi minuti prima di mezzanotte

 

 

Negli appartamenti dove avevano alloggiato negli ultimi mesi ogni cosa appariva curiosamente calma. Il fuoco scoppiettava allegramente nel camino e il divano di pelle un po' consumato sostava immobile di fronte ad esso, con i cuscini ben sprimacciati e un romanzo Babbano ancora poggiato sul bracciolo.

Nulla in quella stanza dall'aria accogliente sembrava presagire la battaglia imminente, che adesso agli occhi di Holly appariva del tutto insospettabile.

“Dobbiamo fare in fretta,” borbottò, interrompendo quella pace. “Louis, prendi le tue cose e andiamo.”

Lei aveva già indossato l'uniforme degli Auror; dopo aver vestito panni borghesi per tutto quel tempo, provava una sensazione straniante nel percepire di nuovo quel cuoio morbido contro la pelle, ma allo stesso tempo un senso di sollievo. Dopotutto, quella divisa era un po' la sua seconda pelle.

Senza una parola, Louis scomparve nella sua stanza per cambiarsi. Holly, rimasta sola con Marcus, percepiva con esattezza il suo sguardo trafiggerle la nuca.

Tirò un respiro profondo e si voltò verso di lui: lo trovò a fissarla con le braccia incrociate e uno sguardo carico di gravità.

“Io...” mormorò, ma la voce le si spense in gola.

Marcus sciolse le braccia e mosse verso di lei finché la distanza tra di loro non fu ridotta che a pochi centimetri. “Devi promettermi che farete attenzione,” le disse, serio. “Entrambi. D'accordo?”

Holly annuì. “Per quanto possibile,” promise.

Il ragazzo strinse le labbra: era evidente che restare indietro non gli piacesse affatto. Del resto era stato coinvolto in quella storia fin dall'inizio.

E poi vuole potersi accertare che io e Louis ce la caveremo.

Poteva capirlo, dopotutto. Poteva mettersi nei suoi panni. Le bastava immaginare che fosse lei stessa a restare a Hogwarts, mentre Marcus e Louis si dirigevano incontro ad una vera e propria battaglia. La sola idea le faceva rigirare orrendamente lo stomaco; poteva figurarsi come lui avrebbe trascorso le prossime ore... Con quale ansia e preoccupazione.

Siamo inseparabili, a quanto pare. Tutti e tre. L'ironia della sorte...

Improvvisamente ebbe voglia di piangere, ma sapeva di doversi trattenere: per le successive ore, Holly doveva scomparire, lasciando il posto all'Agente Greegrass.

Marcus non le permise di annullarsi. Si chinò su di lei per darle un bacio sulla fronte, prendendo il suo volto tra le mani. Le sue labbra erano calde e Holly chiuse gli occhi, sforzandosi di non pensare che quella poteva essere l'ultima volta in cui lo vedeva.

Per un secondo, uno solo, la sua mente fu invasa solo da un bianco terrore cieco; lo seppellì come le era stato insegnato a fare.

Louis riemerse dalla sua stanza con il suo passo leggero. Marcus lasciò andare Holly e si diresse a salutare l'altro con una familiare pacca sulla spalla. “Stammi bene, Weasley,” buttò lì. “Cerca di non farti ammazzare, quello è compito mio.”

“D'accordo,” ridacchiò Louis.

“Andiamo,” mormorò Holly. L'atmosfera di quiete di quella stanza stava diventando insostenibile. Improvvisamente un cattivo presentimento la aggredì all'altezza del petto: ebbe la repentina impressione che, per chissà quale ragione, Marcus fosse assai più in pericolo di loro. Ricacciò quelle brutte sensazioni in qualche recesso angusto della sua mente; si accertò di avere con sé tutto quello che le serviva prima di dirigersi verso la porta degli appartamenti, mentre i ragazzi la seguivano.

Se non che, nel bel mezzo del corridoio, si trovarono di fronte un magro gruppo di persone in piedi, che chiaramente stavano aspettando proprio loro.

 

 

Louis dovette sbattere un paio di volte le palpebre prima di realizzare che la piccola delegazione dei suoi cugini minori che aveva davanti non era un miraggio causato da qualche strana pozione che doveva aver inavvertitamente ingerito.

Aveva la gola secca. “Che cosa...” esordì rasposo, prima di schiarirsi la voce, “... che cosa ci fate qui?”

Lucy e Hugo, in compagnia del Serpeverde che era andato con Lily al ballo, si scambiarono degli sguardi colpevoli non troppo dissimili, benché avessero gli occhi di colore diverso. “Ecco...” esordì Lucy, ma Holly la interruppe.

“Siete fuori oltre l'orario del coprifuoco,” fece notare ai tre ragazzi nel suo più irritante tono Caposcuola. “Spero che abbiate una valida spiegazione.”

Hugo inarcò un sopracciglio. “Abbiamo un'ottima spiegazione,” replicò. Nonostante tutto, Louis faticò a trattenere una risatina. “I vostri nemici approfitteranno del fatto che tutti gli Auror si stanno dirigendo nel Norfolk per attaccare Hogwarts.”

La sua mente impiegò alcuni secondi per registrare il preciso significato delle parole del cugino. Nemici. Norfolk. Hogwarts. In rapida successione, si chiese come diamine facessero i suoi cugini a sapere del Norfolk e chi avesse detto loro di un probabile attacco a Hogwarts, per poi giungere alla conclusione che nessuno di loro era così stupido da venire a disturbarlo in quel frangente senza essere sicuro al cento per cento di avere ragione.

“Come diamine–” borbottò Marcus, ma Holly non lo lasciò parlare.

“Come fate a saperlo?” domandò seria.

Lucy sospirò. “È lunga da spiegare,” disse in fretta. “Ma dovete crederci. Per favore. Non potete lasciare Hogwarts scoperta.”

Ritenne opportuno intervenire. “Holly, non hanno tutti i torti,” mormorò, notando con la coda dell'occhio lo sguardo grato di Hugo. Si ripromise di scambiare un paio di parole con lui, più tardi. “Lasciare Hogwarts senza nessuna protezione è una cosa davvero stupida.”

L'espressione della ragazza si fece tentennante: non era abituata a mettere in discussione gli ordini espliciti dei suoi superiori, né tantomeno a prendere iniziative che contravvenissero ad essi. “Cosa volete precisamente da noi?” domandò, mentre la sua mascella subiva una lieve contrazione.

Buon segno, pensò Louis. Ci sta pensando su.

Il pensiero che Marcus fosse uno dei motivi per cui era in dubbio lo pungolò fastidiosamente allo stomaco, ma Lou si sforzò di ignorare quella sensazione. Aveva detto a Holly che avrebbero pensato a quelle faccende una volta risolte queste e non intendeva venir meno alla parola data.

Hugo fece un passo in avanti con un'espressione risoluta che lo rendeva inquietantemente simile alla zia Hermione. “Vogliamo che restiate qui. Abbiamo anche scritto a Jamie,” aggiunse rivolto a Louis. “Anche lui verrà con la sua squadra.”

Con la mia squadra, lo corresse Louis mentalmente.

“Poca protezione è meglio di nessuna protezione, giusto?” concluse Lucy per lui in tono concitato. “Allora, ci aiuterete o no?”

Holly aprì la bocca per rispondere e la richiuse. Esitava.

“Io resterò,” fece improvvisamente Marcus con la sua voce profonda. “Io non ho l'obbligo di andare nel Norfolk... Tecnicamente ho l'obbligo di non andarci.”

Cadde un silenzio profondo. Gli occhi di tutti erano fissi su Holly: d'altronde, la decisione spettava a lei. Per almeno un minuto non si udì che lo scrosciare della pioggia oltre le finestre del corridoio.

“E va bene,” sbottò Holly infine. “Agente Weasley, come tua superiore ti ordino di restare a Hogwarts, anche se l'avresti fatto anche se ti avessi ordinato il contrario.” Fece scorrere gli occhi sui tre ragazzi, che adesso sembravano quasi esultanti. “Avete già un piano?”

 

 

 

*

 

 

Villa Menley, Norfolk

Quasi un'ora più tardi

 

Lily non avrebbe saputo realmente definire la situazione in cui si trovava al momento. O meglio, non ne avrebbe avuto il tempo.

Aveva la sensazione che la mente si fosse in qualche modo staccata dal corpo: esso si muoveva frenetico, come catturato in una sorta di modalità automatica; i lampi di luce degli incantesimi suoi, di Jake e Christine si diffondevano in ogni direzione, frammisti a quelli dei loro avversari.

Quanti erano?

Lily non avrebbe saputo dirlo.

Sapeva solo che erano in inferiorità numerica sempre crescente. Si erano stretti attorno al corpo esamine di Boot, tentando di proteggerlo assieme a loro stessi.

Proteggersi: non potevano fare altro. Sulle prime – quando i rinforzi chiamati dalla catalana non erano che cinque o sei – avevano potuto accennare un contrattacco; ma adesso? Si limitavano a difendersi disperatamente.

Non c'era altro da fare.

L'aria era spugnosa, bollente. Sotto i denti Lily sentiva il sapore del sangue.

Gettava un Incanto Scudo dietro l'altro, sperando di rallentarli... Sperando che questo bastasse. Nella frenesia, i suoi occhi riuscirono a incrociare quelli di Jake per una frazione di secondo; quello che vi lesse non le piacque affatto.

Forse perché somigliava troppo a quello che anche lei cominciava a pensare: erano spacciati. Quelle persone erano sempre di più e il cerchio che descrivevano attorno a loro sempre più stretto. Improvvisamente il panico la aggredì: la sua mente andò del tutto in bianco.

Sono troppi. Sono maledettamente troppi!

Non voleva morire. In quel momento era la sua unica certezza: non voleva morire e si sarebbe aggrappata alla vita con tutte le sue forze.

La sua esistenza non poteva certo finire lì. C'erano ancora una marea di cose che avrebbe voluto fare... Ad esempio diplomarsi. Crescere. Scoprire cosa volesse dire essere adulti. Decidere cosa fare del proprio futuro.

Abbracciare i propri genitori. Veder nascere il figlio di James.

Dannazione, Lily, non morirai. Non morirai.

“De Bourgh!” chiamò in mezzo alla battaglia. “Se mai uscissimo vivi da questo casino ricordati che mi devi una sigaretta!”

Fra un incantesimo e l'altro, percepì un rauco gorgoglio provenire dalla sua sinistra: era Christine che rideva.

No che non moriremo, accidenti!

Improvvisamente, si sentì come colpita da una determinazione nuova. Non sarebbero morti, ne era certa: dovevano solo resistere fino all'arrivo dell'Auror... Perché sarebbero arrivati presto, non aveva dubbi. Dopotutto aveva ancora addosso la Traccia: non ci sarebbe voluto molto prima che la rintracciassero, sempre che non l'avessero già fatto.

 

 

 

*

 

 

Sala d'Ingresso

Hogwarts, Scozia

 

 

Era accaduto tutto molto in fretta.

Quinn aveva visto tutti quei puntini con cartiglio irrompere ai confini della Mappa del Malandrino e Albus era scattato in piedi, affrettandosi a produrre dei Patronus – cuccioli di leone che rotolavano allegramente sul tappeto prima di eseguire i suoi ordini – per avvisare i suoi amici e cugini di porsi sull'attenti.

Dunque si era precipitato con la ragazza verso la Sala d'Ingresso, dove avrebbe dovuto incontrare gli altri; strada facendo erano quasi andati a sbattere contro la Sinistra, la McGranitt e i direttori delle Case. Avvedendosi dell'attacco, anche loro si erano precipitati fuori dalle rispettive stanze per decidere il da farsi.

La McGranitt lo aveva scrutato per alcuni secondi; le sue labbra si erano strette fin quasi a scomparire e Albus, suo malgrado, aveva provato un sincero terrore. Tuttavia, la preside sostitutiva si era limitata a sospirare.

“Immagino che tu abbia un piano, Potter.”

Finalmente giunto in Sala d'Ingresso, Albus vi trovò già i suoi amici Serpeverde e anche i cugini, con i quali c'erano Louis e gli altri due membri della sua squadra.

Si appuntò mentalmente di complimentarsi con Hugo e Lucy, una volta che tutta quella faccenda fosse stata risolta. Deglutì, chiedendosi perché James ci stesse mettendo così tanto. Mentre i professori parlottavano tra di loro, con sua immensa sorpresa si rese conto dell'affluenza sempre crescente di studenti di tutte le Case verso la Sala d'Ingresso, provenienti alcuni dallo scalone di marmo, altri dai corridoi del pianterreno, altri ancora dai sotterranei, al punto che l'immenso ambiente stava diventando sempre più affollato.

Ma cosa...

“Ehilà, Potter!” gli si rivolse in tono allegro Chris McGregory. “Dalle finestre abbiamo visto tutte quelle luci del parco... Sai cosa sta succedendo?”

“Albus!” esclamò un'altra compagna dello stesso anno. “Che cosa succede, lo sai?”

Si scambiò con Quinn uno sguardo terrificato. “Pensi dovremmo intervenire?”

La ragazza scrollò le spalle. “Su di loro sì,” indicò un gruppetto di Corvonero del primo anno, tutti in pigiama, che si avvicinavano con aria incuriosita.

“D'accordo.” Albus deglutì. “C'è una ragione per cui non sono un prefetto.”

Lucy sembrò materializzarsi al suo fianco. “Voi del primo anno!” prese l'iniziativa, levando la sua vocetta acuta sopra il brusio crescente. “Tornate nei vostri dormitori immediatamente!”

Horace Lumacorno li affiancò. “Credo che la cara Minerva desideri... Uhm.” Si grattò la testa. “Come aveva detto? Ah, sì... Solo gli studenti maggiorenni sono autorizzati a restare in piedi. Tutti gli altri debbono tornare nei propri dormitori.” Sorrise sornione. “Sonorus!”

Ripeté l'ordine come se lo stesse gridando in un megafono, al punto che entrambi dovettero tapparsi le orecchie per evitare una perforazione del timpano. Lucy, come c'era da aspettarsi, si era dileguata al primo accenno alla maggiore età.

Albus guardò Quinn e improvvisamente il suo cuore sprofondò. Si chinò a baciarla. “Andrà tutto bene, vero?”

Lei lo strinse. “Sì,” sussurrò nel suo orecchio. “Non siamo soli.”

 

 

*

 

 

Per la prima volta in tutta la sua vita, Lucy Weasley stava consapevolmente e deliberatamente violando i dettami imposti da un'autorità. Ne era perfettamente cosciente e non se ne vergognava affatto, mentre aspettava in Sala d'Ingresso con gli altri studenti e gli insegnanti, cercando di non farsi notare troppo.

Improvvisamente, nel brusio costante che avvolgeva la Sala, si levò un trambusto ancor più considerevole: giù per lo scalone di marmo si stava precipitando un considerevole gruppo di persone che indossavano la divisa degli Allievi Auror, tra i quali riconobbe suo cugino James.

Scivolò non vista verso l'accesso ai piani superiori: ai piedi della gradinata gli Allievi avevano raggiunto gli insegnanti; si avvicinò abbastanza da udire quel che dicevano senza farsi notare – aveva la netta impressione che, ancor più dei professori, se suo cugino l'avesse vista l'avrebbe costretta a tornare in dormitorio.

“Scusate se ci abbiamo messo tanto,” stava dicendo James in tono allegro, abbracciando Albus e Louis. “Abbiamo usato il passaggio della Strega Orba e c'è voluto un po' a passarci tutti...”

Mentre il cugino finiva di parlare, un brusio attraversò la Sala.

“Si avvicinano...” udì dire da qualcuno.

Il suo cuore mancò un battito. Era iniziata.

Le sembrò che tutti iniziassero a muoversi freneticamente verso il portone di quercia, mentre altri studenti continuavano a precipitarsi giù per lo scalone di marmo per partecipare alla battaglia. Si rese conto appena di aver cominciato anche lei a correre; rischiò quasi di essere travolta dalla folla nel brusio generale, ma qualcuno l'aiutò afferrandola per un braccio.

Senza smettere di correre, sollevò lo sguardo su Leopold, che le rivolse un sogghigno e senza lasciare il suo gomito procedette con lei fino al parco.

Il diluvio furibondo di alcune ore prima si era placato solo appena, lasciando il posto ad una pioggerellina sottile, quasi invisibile ma consistente. Nel giro di pochi minuti si ritrovò inzuppata fino alle ossa. Si rendeva conto a malapena di cose che non fossero la pioggia, la mano di Leopold stretta attorno al suo gomito e le proprie dita serrate sulla bacchetta magica.

Improvvisamente – non avrebbe saputo dire quanto tempo fosse passato – se li ritrovarono di fronte. Lo schieramento nemico: file e file di individui incappucciati, immobili sotto la pioggia con le bacchette puntate.

Era il momento. Era veramente giunto il momento.

Per alcuni umidi istanti, l'atmosfera parve sorpresa. Poi dallo schieramento nemico qualcuno lanciò un incantesimo: allora cominciò davvero. Nel giro di pochi secondi si scatenò l'inferno e lei stessa ne faceva parte.

Nel caos generale, udì Leopold dirle qualcosa, ma la sua voce fu coperta dal rumore della pioggia e dalla confusione di voci.

“Cosa?!” gridò di rimando.

Il ragazzo lanciò una fattura prima di voltarsi verso di lei. “Esci con me, Weasley?” urlò più forte.

Del tutto insensatamente, Lucy scoppiò a ridere mentre respingeva con un Incanto Scudo una maledizione lanciata dritta verso di lei. “Ti sembra il momento per dirmelo?!” gridò.

“Era il momento perfetto!” fu la replica urlata.

Lucy non rispose, buttandosi della battaglia con maggiore determinazione.

Dopotutto, adesso aveva un'ulteriore buona ragione per uscirne viva.

 

 

*

 

 

Pochi minuti prima

 

 

“Hugo...”

Nel caos generale, Louis lo trattenne per un braccio. Mentre la folla continuava a scorrere intorno a loro, il cugino lo guardava con aria di estrema gravità. Sebbene fosse persino più alto di lui, Hugo si sentì improvvisamente un ragazzino.

E un perfetto idiota.

“Che c'è?” replicò angosciato, mentre gli Allievi Auror, i professori e gli studenti si precipitavano oltre il portone di quercia, riversandosi nel parco per andare incontro alla battaglia.

“Forse saprai dirmelo tu. Come diamine facevi a sapere dell'attacco?”

Hugo deglutì. “C'è qualcuno... Non so con sicurezza chi sia, anche se ho dei sospetti. Mi manda informazioni. Dall'inizio dell'anno. Ci ho messo un po' per riuscire a decifrare i suoi messaggi, per capire che stava cercando di aiutarmi..:”

Louis annuì grave. “Poi mi spiegherai,” borbottò, scansandosi per permettere ad un gruppo di Allievi di passare. “Ha a che fare con i Doni?”

“I Doni?” Hugo aggrottò le sopracciglia perplesso. “Che cosa c'entrano? Io sapevo solo della Pietra, non–”

Improvvisamente la voce gli si spense in gola: aveva avuto un'idea. O almeno credeva... Forse i Doni erano la chiave di volta. Il pezzo mancante del puzzle, quello che avrebbe risolto ogni cosa.

C'era solo un modo per scoprirlo.

“Devo andare, Lou,” sbottò, divincolandosi per liberare il braccio dalla sua presa.

“Hugo...” cercò di trattenerlo lui, ma alle sue orecchie la voce del cugino si dissolse presto, coperta dal brusio di tutti quei passi e tutte quelle voci.

Hugo procedeva controcorrente rispetto alla massa eterogenea di persone dirette al parco. Si precipitò su per lo scalone di marmo, il fiato in gola, correndo come mai aveva corso nella sua intera vita. Era possibile che la soluzione, ciò che avrebbe chiarito tutto, si trovasse in Biblioteca? In quel luogo in cui da cinque anni passava la maggior parte del proprio tempo, praticamente tutto quello trascorso tra le mura scolastiche?

C'era un che di ironico, doveva ammetterlo.

Sgomitava per farsi largo tra la gente che procedeva con la sua stessa frenesia ma in senso inverso; sembravano non far caso a lui, presi dall'adrenalina e forse dal terrore.

Riconosceva alcune facce familiari dell'ultimo anno di Corvonero e Grifondoro scendere dalle loro Torri, decisi a partecipare alla battaglia. Fiona Beckett gli passò accanto, ravvivandosi i capelli ondulati, bacchetta alla mano: non parve notare la sua presenza.

Provava un curioso senso di libertà a scivolare lungo lo scalone senza che nessuno lo vedesse. Quell'ultimo tassello da ricomporre per chiarire il quadro... Stava a lui trovarlo, solo a lui spettava compiere quella ricerca.

Forse era questo il mio ruolo fin dall'inizio, De Bourgh?

Perché non siamo mai diventati amici? Quella ragazza è un dannato genio.

“Weasley?!”

Sentendosi richiamare, accelerò il passo lungo i gradini marmorei. Non poteva permettere che qualcosa lo distogliesse dal suo obiettivo, giusto?

Weasley!”

Quando la voce divenne un grido fu costretto a voltarsi per non attirare troppo l'attenzione. “Che c'è?!” sbottò rivolto a Herman Hessler, che l'aveva raggiunto – visibilmente a fatica, considerato il fiatone – lì dove si trovava, verso la fine della scalinata.

Per la seconda volta in pochi minuti, ebbe l'impressione che lui e il suo interlocutore fossero le uniche persone immobili in un mare di gente in movimento. Gli parve che il suo stomaco sprofondasse.

“Dove stai andando?” gli chiese l'altro.

Strinse le labbra. “Tu dove stai andando. Sei minorenne, dovresti restare in dormitorio.”

Herman emise uno sbuffo sarcastico. “Cos'è, questa regola vale per tutti tranne che per te? Solo perché sei un Weasley?”

Fu un colpo basso, ma Hugo sapeva che l'altro aveva ragione, perciò non replicò. “Devo andare,” disse invece. “Ho un'ultima cosa da sbrigare, e in fretta.”

Herman parve intuire la gravità della cosa, perché annuì, serio. “Certamente.” Sogghignò. “Ti accompagno.”
Hugo aprì la bocca per replicare. La richiuse una frazione di secondo più tardi, quando capì che qualunque replica sarebbe stata del tutto inutile.

 


 

*

 

Villa Menley, Norfolk

Stessa ora

 

 

Il maniero era una struttura massiccia e complessivamente ben tenuta, sebbene fosse circondato da un giardino incolto. Il che, rifletté Harry, non poteva che esser loro d'aiuto, nel caso ci fosse stata qualche vedetta alle finestre.

Non c'erano barriere di protezione. Erano entrati nel parco senza difficoltà, arrampicandosi sulle basse siepi che lo circondavano; strisciavano cauti tra l'erba alta, le ginocchia affondate nella fanghiglia e la pioggia che tamburellava lieve sulle loro schiene, la bacchetta stretta convulsamente tra le dita.

Procedettero a quella maniera finché non si trovarono a pochi metri appena dall'edificio vero e proprio. Tra il buio e la pioggia che macchiava le lenti dei suoi occhiali, Harry distinse una pianta d'edera inerpicata sul muro, fino ad una finestra con le imposte chiuse, che tuttavia lasciavano filtrare una luminescenza aranciata e traballante, come il fuoco di un caminetto. Si voltò verso Ron e Nott, accennando con il capo in quella direzione.

“Di là,” mormorò.

Ron sollevò la bacchetta magica, muovendo il braccio in un largo semicerchio. “Homenum revelio... La stanza è vuota, ma nell'edificio ci sono almeno una trentina di persone,” dichiarò. “Siamo più o meno pari di numero.”

Harry annuì. “Andiamo.”

Continuarono a strisciare finché non si trovarono sotto la finestra: a quel punto Evocarono delle corde, che utilizzarono per raggiungere il primo piano. Harry fu il primo ad arrampicarsi sino in cima: aprì le imposte e i vetri con un Alohomora e si calò dentro con cautela.

Non si era sbagliato: la stanza era abbastanza piccola e in disuso, a giudicare dai mobili coperti da teli bianchi, con l'eccezione di un divano scoperto e messo davanti al caminetto acceso assieme ad un basso tavolino da tè, dove due tazze attendevano di essere vuotate e qualche mozzicone ancora fumava da un posacenere lasciato lì, tra avanzi di cibo e carte da gioco sparse disordinatamente.

“La stanza è stata abbandonata in fretta,” constatò Harry. “Solo pochi minuti fa.”

“Sono d'accordo,” convenne Hestia, che si era appena lasciata scivolare a propria volta nel piccolo ambiente. “Cosa devono fare le altre squadre?”

“Dite loro di cercare altre entrate e trovare il punto in cui questa gente è corsa d'urgenza. Noi intanto cercheremo i ragazzi.”

Hestia annuì e tornò a scivolare giù dalla finestra per dare l'ordine.

Una volta che fu tornata su, bacchetta alla mano, Harry si diresse verso la porta che costituiva l'unico accesso verso il resto per la casa. La aprì con un calcio e si incamminò in quello che sembrava un lussuoso corridoio dalle pareti coperte di quadri, dove calavano dal soffitto, a intervalli regolari, grossi lampadari impolverati. Al corridoio si affacciavano numerosissime porte: si domandò quale direzione dovessero prendere.

Almeno finché non udì un robusto scoppio provenire da lontano. Ad essere precisi, dal fondo del corridoio, che ai loro occhi appariva affondato nel buio, fuori dal raggio di visibilità dei loro Lumos.

“Lì,” disse semplicemente, per iniziare dunque a procedere in quella direzione; inizialmente camminava con cautela, per poi iniziare ad accelerare il passo man mano che si avvicinavano e che il rumore di scoppi e grida si faceva sempre più forte.

Il corridoio immetteva in una stanza piuttosto piccola, quasi completamente buia. Una piccola rampa di scale conduceva ad un grande portone di legno con inserti metallici: evidentemente quell'ambiente faceva da anticamera ad una sala più grande.

Il portone era socchiuso. Al di là di esso le grida si facevano udire ancora più forti.

Harry non ebbe bisogno di dare l'ordine. Come un sol uomo, anche le due squadre che aveva portato con sé si mossero verso la porta dietro di lui.

Il tragitto da un capo all'altro dell'anticamera non durò che pochi secondi, ma Harry ebbe l'impressione che ogni passo di corsa fosse troppo lento, che occupasse troppo tempo del poco che aveva a disposizione per entrare lì dentro e tirare sua figlia fuori dai pasticci.

 

 

*

 

 

Stentò a crederci quando vide gli Auror irrompere nella stanza, attaccando alle spalle i loro avversari. Sapeva che sarebbero arrivati, presto e tardi, ma non aveva saputo impedire ad una parte di sé di temere segretamente che questo non avvenisse. Che non facessero in tempo a salvarli.

Papà!

Suo padre era lì, zuppo di pioggia e ricoperto di fango. Agitava la bacchetta a destra e a manca, respingendo il contrattacco del nemico e facendosi strada assieme agli altri verso di loro; ogni volta che poteva, sollevava lo sguardo, cercandola con gli occhi per assicurarsi che fosse lì.

Per vedere se sono ancora viva... Cosa devo avergli fatto patire in questi giorni.

Sentiva qualcosa di caldo colarle giù per la fronte. Si asciugò il sangue che sgorgava da un grosso taglio poco sopra il sopracciglio e continuò a lanciare un incantesimo dietro l'altro, mentre Jake gridava tra una formula e l'altra che tra poco sarebbero stati al sicuro, che sarebbe andato tutto bene e che ce l'avevano fatta a salvarli, a salvare Bernie e Christine...

Stupeficium!”

Adesso che erano arrivati i rinforzi, potevano passare al contrattacco: provò un senso di indicibile trionfo nel vedere il primo di quei terribili figuri perdere i sensi per il suo Schiantesimo.

Non sarebbe morta. Nessuno di loro sarebbe morto. Avrebbe fumato la sigaretta che Christine le doveva e sarebbe andato tutto bene... Ancora aveva un futuro davanti. Aveva almeno un milione di cose da fare.

Aveva Jake con cui condividere quel futuro, o almeno così sperava. Aveva un nipote da veder nascere e crescere, dei fratelli a cui voleva bene e dei genitori amorevoli che di lì a poco avrebbe potuto riabbracciare.

Una vita da vivere... Mica male, eh, Lily?

 

 

 

*

 

 

Biblioteca di Hogwarts, Scozia

Durante la battaglia

 

 

Nel buio più completo – con l'eccezione dei circoli luminosi prodotti dalle bacchette accese – i corridoi della Biblioteca apparivano infiniti e tenebrosi. L'odore di polvere si avvertiva con più forza che durante il giorno e il silenzio sembrava raschiare nelle sue orecchie. Rispetto al caos della Sala d'Ingresso, dello scalone di marmo e di parte dei corridoi, tutta quella quiete produsse su Hugo un effetto straniante.

“Sei ancora convinto di voler restare qui?” biascicò rivolgendosi a Herman.

“Ancora convinto,” confermò il Serpeverde in tono piatto.

Hugo inarcò le sopracciglia, perplesso per tutta quell'ostinazione, dunque deglutì e si decise risoluto a cercare di capirci qualcosa. Se solo Lucy fosse stata lì... La cugina aveva ricevuto istruzioni circa l'organizzazione della Biblioteca dalla vecchia Pince in persona.

Decretò che sarebbe comunque stato in grado di cavarsela. Aveva una certa considerazione della propria intelligenza, e inoltre passava lì dentro più tempo della maggior parte degli studenti di Hogwarts. Poteva farcela.

Avrebbe semplicemente bisogno di riflettere. Fu per questo che si lasciò scivolare con la schiena contro uno scaffale fino a sedersi a terra, le gambe piegate di fronte a sé e i gomiti sulle ginocchia, lo sguardo fisso sulla luce prodotta sulla sua bacchetta.

“Stai bene, Weasley?”

“Certo che sto bene. Ho solo bisogno di pensare.”

“D'accordo.”

Herman si sedette accanto a lui senza dire nient'altro, cosa di cui Hugo gli fu estremamente grato.

Il Proteus. I Doni. Hogwarts. Dovevano avere qualcosa in comune.

Scattò in piedi ed Herman lo guardò perplesso. “Qualche idea?”

Hugo scrollò le spalle. “Non esattamente,” replicò, porgendogli la mano per aiutarlo ad alzarsi. Herman lo ignorò, puntellandosi con i gomiti sullo scaffale per tirarsi su senza il suo aiuto. “Potresti tornarmi utile, Hessler,” proseguì. “Dopotutto, ho almeno una cinquantina di libri da consultare.”

 

 

*

 

 

Villa Menley, Norfolk

Nel frattempo

 

 

Dovettero arrivare anche gli altri Auror prima che avessero la meglio su quella gente, ma alla fine ce l'avevano fatta.

Quando anche la donna dai capelli corti fu messa a tappeto, tutto parve acquietarsi d'un colpo. Nella vasta sala ormai non erano rimaste in piedi che una ventina di persone; riversi al suolo e privi di sensi giacevano tutti i loro avversari e anche parecchi Auror.

L'adrenalina ancora in circolo lo faceva tremare, come sempre dopo una battaglia.

Immediatamente cercò Lily e la trovò dove era rimasta per tutto quel tempo: proprio al centro dell'ambiente, in piedi a formare con gli altri ragazzi un circolo attorno al corpo esanime di uno di loro.

Lily,” esalò in un mugolio strozzato, per poi precipitarsi verso di lei.

“Papà!”

Anche sua figlia corse. Si scontrarono quasi e la strinse forte contro il petto, mentre il sollievo gli gonfiava il cuore come un palloncino; Lily era lì, era viva, era salva.

Sentiva un groppo alla gola. Per la prima volta da anni e anni percepì la figlia singhiozzare senza ritegno, probabilmente per la tensione accumulata, la paura...

“La prossima volta che farai una cosa del genere–” esordì, ma non riuscì a proseguire. Certo, Lily era stata avventata. Era stata folle.

Ma era stata anche coraggiosa e furba e non poteva che essere orgoglioso di lei, non poteva che essere felice che fosse salva. Non era quello il momento di arrabbiarsi.

Anche se una bella punizione non gliela leva nessuno, uhm?

Afferrò le sue spalle e l'allontanò leggermente da sé per verificare le sue condizioni. Del sangue colava da uno spesso taglio sulla fronte, i suoi capelli erano sporchi e arruffati, il suo viso macchiato e le labbra secche e screpolate. Aveva l'aria pallida e smunta di chi da giorni non mangia né dorme decentemente. I suoi vestiti erano spiegazzati e anche vagamente puzzolenti, ma nel complesso sembrava star bene.

Sta bene. Sta bene.

“Scusa, papà,” sbottò Lily con voce arrochita, tra un singhiozzo e l'altro. “Mi dispiace di avervi fatto spaventare da pazzi, tutti quanti... Ma dovevo farlo. Non avevo scelta, non potevo abbandonarli qua...”

“Oh, Lily,” mormorò. “Sei viva, e questo è l'importante.”

Lei annuì, asciugandosi le lacrime che avevano segnato strisce lucide sul viso sporco. Harry dovette allontanarsi da lei per verificare come stessero gli altri, in particolar modo il ragazzo privo di sensi, attorno al quale un gruppetto degli Auror ancora in piedi si stavano già affaccendando per verificarne le condizioni.

“Un Incanto Togli-forze, eh?” udì Ron borbottare mentre si stringeva al petto il braccio destro, che perdeva molto sangue. “... Il secondo che questo ragazzo becca in un anno, non c'è che dire.”

“Non ha nulla da invidiarti, Potter,” commentò Nott quando lo vide avvicinarsi.

In ginocchio accanto a Bernard Bott stava la ragazzina che era stata rapita assieme a lui, Christine De Bourgh. Harry la riconobbe all'istante: aveva imparato a memoria i loro lineamenti, a forza di osservare ossessivamente le foto identificative appese alla base Auror.

Le sue condizioni gli ricordarono quelle di Tamara Graysand al momento del ritrovamento, sebbene la ragazza fosse prigioniera dai catalani da molto meno tempo.

“Signor Potter...” gli si rivolse subito con voce roca. “Starà bene?” accennò con il capo al ragazzo, come se non le interessasse altro.

Harry annuì. “Sì,” mormorò. “Starà bene.”

Christine De Bourgh sorrise. “Ah...” la sua voce si fece più flebile. “Molto bene...”

Le sue parole si dissolsero e i suoi occhi si chiusero mentre si accasciava accanto alla figura priva di sensi di Bernard Boot, evidentemente troppo priva di forze per restare ancora sveglia.

“Molto bene,” ripeté Harry tra sé. “Al San Mungo.” Decretò poi. “Tutti e quattro.”

 

 

*

 

 

Lily non credeva di essere così sensibile agli abbracci.

Quando suo padre l'aveva stretta era scoppiata a piangere senza remore, con tanto di singhiozzi rumorosi e naso che colava, come le succedeva solo da bambina. Adesso che era avvolta tra le braccia di Jake – a propria volta stringendolo così forte da rischiare di incrinargli qualche costola – dopo solo una breve tregua aveva ripreso a singhiozzare furiosamente.

Dannazione, se è così che reagisco alla tensione si capisce perché non ne faccio spesso, di queste cose.

Il suo volto era affondato nell'incavo della spalla di Jake e le sue braccia circondavano il suo torace. Erano entrambi sporchi, insanguinati e probabilmente anche puzzolenti, ma non importava... Adesso erano salvi. Salvi.

Non l'aveva ancora realizzato del tutto, ma aveva l'impressione che quando l'avesse fatto avrebbe anche cominciato a gridare in preda all'euforia.

Sono viva!

“Lily...” mormorò Jake contro il suo orecchio. “Ce l'hai fatta. Avevi ragione.”

“No, ti sbagli,” riuscì a dire lei tirando su col naso e sollevando la testa per guardarlo negli occhi. “Ce l'abbiamo fatta. Ed era Christine ad avere ragione, anche se...”

“Sì, la voglio strozzare anche io. Non so come si possa essere al tempo stesso così intelligenti e così stupidi.”

Lily scoppiò a ridere in mezzo alle lacrime.

Si sentiva bene.

 

*

 

 

Biblioteca di Hogwarts, Scozia

Tre quarti d'ora, venticinque libri diversi e quattro ipotesi surreali dopo

 

 

La risposta arrivò dopo tre quarti d'ora, venticinque libri diversi e quattro ipotesi abbastanza surreali da parte di Hessler, almeno secondo Hugo. Dopo aver consultato libri di Trasfigurazione, Incantesimi, Pozioni e persino Erbologia, si era ritrovato tra le mani un tomo spesso milleduecento pagine di Aritmanzia Comparata.

Consultando l'indice analitico si era reso conto che ben due delle parole che cercava – Doni della Morte e Incanto Proteus – riconducevano ad un'unica pagina. Il cuore in gola, aveva sfogliato le pagine sino ad arrivare a quella giusta. Herman, accortosi per qualche ragione che era arrivato il momento cruciale, si era posto accanto a lui, posandogli una mano sulla spalla. Hugo era troppo concentrato; a malapena se ne rese conto e non si scostò come avrebbe fatto normalmente.

“Ecco qui...” mormorò tra sé. “È solo un riferimento a qualcosa di cui non parla apertamente... La predizione di un Aritmante del secolo scorso, Sir Artemis Audrey. Sembra che abbia rintracciato in base a calcoli numerici la localizzazione di un oggetto magico di enorme potenza... Senti qua, Hessler,” si schiarì la voce. “... Grazie ai suoi calcoli aritmantici Sir Audrey seppe ricostruire il percorso storico del Catalizzatore, leggendario congegno in grado di guidare e raccogliere la magia stessa a suo piacimento. Per compiere il sortilegio permesso dal Catalizzatore la formula dev'essere pronunciata su di un suolo dall'intensa e antica carica magica, con l'ausilio di potenti oggetti come la Pietra Filosofale o i mitici Doni della Morte.” Hugo dovette interrompersi, poiché uno strozzato mugolio d'orrore era risalito automaticamente per le sue corde vocali. “Hai capito, Hessler?” sbottò, rivolgendosi al suo interlocutore come avrebbe fatto con se stesso. “Hogwarts è un posto intriso di carica magica vecchia mille anni. E loro hanno i Doni. Capisci?!

Herman annuì, prima di strappargli il libro dalle mani. “Finisci di leggere, Weasley.” Indicò il foglio. “Qui c'è scritto che nel luogo preciso che si sceglie di destinare all'incantesimo vanno compiuti nel corso dei mesi precedenti determinati incantesimi...”

Hugo si riprese il libro. “Nel luogo destinato al sortilegio,” lesse ad alta voce, “è necessario apporre, almeno due mesi prima del giorno prefisso, un Sigillo di Legame che renda immutabile il terreno per prepararlo alla magia. Naturalmente per fare questo debbono essere annullati tutti gli Incanti di Legame eventualmente imposti in precedenza.

Posò il libro sull'apposito spazio a ridosso della libreria, per poi sollevare lo sguardo su Herman. Sul suo volto riconobbe la propria espressione agghiacciata; si sentiva atterrito, terrificato.

In effetti, adesso tutto cominciava a tornare.

Naturalmente il loro nemico, chiunque fosse, si era occupato di impadronirsi dei Doni, venendo a sapere grazie a Georgia Menley che la Pietra fosse in possesso di Lysander Scamandro... Le intrusioni a Hogwarts dei mesi precedenti erano serviti ad apporre quel Sigillo di Legame, per il quale era stato necessario annullare il Proteus dei galeoni di Gossip Witch. Gli attacchi a Hogwarts e i problemi al Ministero erano probabilmente stati null'altro che diversivi per distogliere l'attenzione degli Auror dal castello.

Non c'erano altre spiegazioni.

Ma dove...

“Hessler!” agguantò l'altro per il braccio. “Ho capito, dannazione. La tomba di Silente! Quell'area è recintata da mesi... Ho visto anche degli Spezzaincantesimi cercare di lavorarci. E il gruppo di Auror di mio cugino! Sono qui da Natale.”

Affondò il volto tra le mani. Il suo cervello era in fermento.

Dopo mesi e mesi di infinite domande e nessuna risposta, finalmente era giunto alla verità. Ma non era soddisfazione quella che provava: semplicemente, la sua angoscia si era dissolta. Provava un vago senso di esaltazione ed era perfettamente in grado di rendersi conto del perché: adesso sapeva cosa fosse necessario fare per interrompere tutta quella follia.

Aveva scoperto l'unica soluzione possibile: niente e nessuno avrebbe potuto fermarlo.

Si voltò verso Hessler, ma l'altro non gli lasciò il tempo di aprir bocca.

“Prima che parli: se quello che vuoi dirmi è di restare qui, la risposta è no.” Lo guardò inflessibile. “Verrò con te.”

 

 

*

 

Ospedale San Mungo per Malattie e Ferite Magiche

(Londra)

 

 

Lily non aveva potuto fare a meno di gettarsi sul cibo con tutte le scarse energie che le erano rimaste, e così Jake, al suo fianco. Dopo un breve controllo, una doccia e una bella dose di Unguento Cicatrizzante sulla fronte, suo padre e un suo collega Auror li avevano accompagnati alla caffetteria del San Mungo.

L'altro Auror – Nott? Le pareva si chiamasse così – sembrava conoscere Jake molto bene, dal momento che si erano parlati con una certa familiarità. Tuttavia, veva deciso di rimandare le spiegazioni non appena si era vista depositare di fronte un toast al formaggio e un succo di zucca. A quel punto, dopo aver spazzolato tutto in pochi secondi, ne aveva chiesto ancora.

Al terzo toast, finalmente sazia, si era abbandonata contro lo schienale della sedia di plastica, mentre i suoi occhi cominciavano a chiudersi. Suo padre si alzò per andare a pagare, accompagnato dal collega: finalmente, lei e Jake restavano soli per qualche secondo.

“Come ti senti?” le domandò il ragazzo, poggiando la mano sulla sua sopra la superficie del tavolo.

“Stanca morta,” replicò Lily, scansandosi dalla fronte una ciocca ribelle. “E tu?”

Jake non rispose. Si limitò ad accarezzarle lentamente la mano, per poi sollevare di scatto gli occhi sul suo volto e gettarle un'occhiata penetrante. “Ti ho mai detto che sono innamorato di te, Lily Potter?”

“Solo qualche volta,” scherzò lei in una scrollata di spalle. “Sono contenta che siamo vivi.”

 

Due piani e un corridoio più in là, in una stanza dietro una porta chiusa, Bernard Boot stava riaprendo gli occhi.

Per alcuni istanti, gli parve di rivivere qualcosa di già visto. Apriva lentamente gli occhi dopo aver perso i sensi e subito vedeva Christine, con il volto smagrito e coperto di lividi e i capelli scarmigliati che piovevano in una massa nerastra sulle spalle.

“... Christine?” esalò. “Dove siamo?”

“Al San Mungo,” rispose lei con espressione sollevata. “Hai sete?”

Bernie si rese conto di averne. “Sì,” riuscì a sillabare raschiante. Christine gli versò un bicchier d'acqua dalla brocca che era posta sul comodino.

“Bevi piano,” si raccomandò. Bernie fu felice che gliel'avesse detto: era talmente assetato che senza il suo avvertimento avrebbe bevuto avidamente un bicchiere dietro l'altro, rischiando una congestione.

Finito di bere, rimase a osservare la ragazza per qualche istante, come incantato.

Christine ricambiò il suo sguardo e Bernie si accorse di non aver mai visto i suoi occhi così, prima di quel momento. Sembravano più grandi del solito ed erano curiosamente privi di barriere, liberi da ogni maschera. Onesti, spogliati, senza più nulla da nascondere. Senza più nulla da combattere.

“Christine...” ripeté, ma la sua voce si spense.

Lei sorrise e i suoi occhi si riempirono di lacrime. Bernie sentì i propri fare lo stesso e seppe di cosa si trattava: sollievo. Gioia.

Gli accarezzò il volto con delicatezza. “Lo so, Bernard,” sorrise ancora. “È finita adesso. Siamo vivi.”

 

 

*

 

Parco di Hogwarts, Scozia

Nel mezzo di un gran casino

 

 

La battaglia infuriava attorno a lei.

Si difendeva e contrattaccava come meglio poteva, lanciando un incantesimo dietro l'altro in tutta quella confusione. Non sapeva di preciso cosa l'avesse spinta a partecipare. Tutti – i ragazzi, i professori, Scorpius – le avevano detto di pensarci, le avevano chiesto se davvero se la sentisse. Lei aveva solo saputo rispondere che , se la sentiva, e , avrebbe combattuto come tutti gli altri.

Quel barlume di memoria che le aveva permesso di compiere l'incanto per mandare la bacchetta a Bernard Boot era bastato a far sì che si rendesse conto che era effettivamente quella Rose che tutti cercavano continuamente in lei. Aveva deciso di combattere perché lo doveva a lei e anche perché lo doveva a se stessa.

Sono una persona vera. Esisto realmente.

Lanciò uno Schiantesimo contro una figura incappucciata prima che questa avesse il tempo di scagliarle contro qualche maledizione: la fattura andò a segno e l'avversario cadde riverso al suolo. Si voltò rapidamente per vedere se aveva qualcuno alle spalle, e allora... Allora la vide.

Vide una ragazza dai capelli scuri sgattaiolare nella folla in battaglia e la riconobbe all'istante. I ricordi si riversarono nella sua mente improvvisi, senza controllo.

 

Christine?”

Nell'udire la sua voce, la ragazza dai capelli scuri si era voltata, ai piedi della collina, e allora Rose aveva saputo che non si trattava di Christine.

Georgia Menley aveva sogghignato nella sua direzione. “Ti aspettavo, Rose,” aveva detto, prima di puntarle contro la bacchetta.

Allora era diventato tutto nero.

 

Ricordò ogni cosa. Ricordò chi era, ricordò tutti gli eventi degli ultimi mesi e anche quelli precedenti: ricordò ogni istante dei suoi diciassette anni di vita.

“Rose?”

Si voltò verso Scorpius, che si era fatto strada nella battaglia sino a raggiungerla. Vide il suo viso, i capelli biondi madidi di pioggia attaccati alla fronte. Improvvisamente, tutti i sentimenti che provava per lui riaffiorarono. Seppe di essere innamorata di lui e di aver avuto a malapena il tempo di dirglielo, prima di perdere la memoria.

Allora si precipitò verso Scorpius. Poteva essere la sua ultima occasione di farlo, quindi non si trattenne dall'afferrarlo per la collottola e premere le labbra sulle sue.

Da come la guardò una volta che si furono allontanati, seppe che aveva capito.

“Vedi di non farti ammazzare, Scorpius Malfoy,” gli gridò nella confusione, prima di mettersi schiena contro schiena con lui e ricominciare a combattere.

“Ti amo anche io,” lo udì dire.

Nel frattempo, la battaglia continuava.

 

 

*

 

 

 

Parco di Hogwarts, Scozia

Nel momento peggiore per Hugo

 

 

Hugo scoprì che scivolare in mezzo alla battaglia era assai più facile di quanto pensasse. Certo, doveva respingere di tanto in tanto lampi di luce colorata, ma assieme ad Herman stava scivolando così rapidamente lungo il crinale della collina da non lasciare a nessuno il tempo di coinvolgerlo in un duello vero e proprio.

In fondo alla collina, al di là del Lago, la tomba bianchissima di Albus Silente sembrava quasi rilucere nel buio, spiccando tra le chiome dei grandi alberi che la circondavano. Era visibile anche la recinzione che la circondava.

Accelerò il passo, arrancando sotto la pioggia in quella fanghiglia esasperante, finché non arrivo a correre, bacchetta alla mano, in una disperata lotta contro il tempo. Nel buio esplodevano i lampi coloratissimi degli incantesimi, come un selvaggio scontro di mortuari fuochi d'artificio.

Herman arrancava alle sue calcagna; finalmente, dopo aver corso attorno ad una porzione del Lago, giunsero in prossimità della candida lapide... In tempo per osservare un piccolo gruppo di persone avvicinarsi di soppiatto, con in testa un uomo dalla barba scarmigliata, che sorreggeva tra le mani un mantello dal tessuto argenteo simile alla superficie del lago quando la accarezzava la luce della luna. Sopra il Mantello dell'Invisibilità erano poggiati una bacchetta magica e una pietra scura tondeggiante, graffiata sui lati, che Hugo conosceva assai bene.

Dannazione!

L'uomo aveva iniziato a parlare in una lingua che Hugo non conosceva.

I secondi scorrevano pulsanti come i battiti di un cuore gigantesco. La sua mente prese a lavorare febbrilmente... Cosa doveva fare? Che cosa avrebbe fatto lo zio Harry al suo posto?

Improvvisamente lo seppe. Per impedire a quell'uomo di utilizzare il Catalizzatore poteva strappargli di mano i Doni... E c'era solo un modo per farlo.

Richiese un ultimo sforzo alle sue gambe, accelerando la corsa per fiondarsi nella recinzione. Il magro gruppo di persone che sostava dall'altro lato della tomba sollevarono lo sguardo su di lui, ma Hugo non lasciò loro il tempo di reagire.

Expelliarmus!” gridò, e il suo cuore si gonfiò come un palloncino nel vedere i Doni della Morte sollevarsi di scatto dalle mani dell'uomo e volare precipitosamente verso di lui.

Li afferrò, lasciando cadere la propria bacchetta per stringere le dita della mano destra attorno a quella di Sambuco.

Stupeficium!”

Dopotutto doveva esserci una ragione, se quella era la bacchetta più potente. Il suo Schiantesimo parve comprendere l'intero gruppo di persone vestite di nero, che nel giro di pochi secondi crollarono al suolo, prive di sensi, sotto gli occhi stupefatti di Herman, che l'aveva raggiunto proprio in quel momento. Un boato sembrò aggredire le orecchie di Hugo, per poi dileguarsi, lasciando spazio alla voce dell'altro

“Weasley?!” lo udì esclamare stupefatto.

Fece in tempo a sorridere tra sé, prima di percepire le proprie energie prosciugarsi e accasciarsi al suolo, svenuto.

 

 

 

*

 

 

Infermieria di Hogwarts, Scozia

Due settimane più tardi

 

 

Quando aprì gli occhi, la sua prima sensazione fu il bianco.

Gli sembrava che la sua vista fosse inondata da un candore estremo e morbido, che lo cullava. Poco a poco, iniziò a mettere a fuoco ciò che aveva di fronte. Distinse il profilo morbido delle lenzuola, che disegnavano pieghe strane sul suo corpo. Notò i raggi del sole che facevano capolino dalla finestra dell'Infermieria: doveva essere mattina, a giudicare dalla luminosità dorata e fresca.

Si sentiva curiosamente rinvigorito, come non gli accadeva da... Beh, non avrebbe saputo dire da quando. Non aveva idea del perché si trovasse in Infermieria, né di come mai si sentisse così leggero.

Almeno finché non iniziò a ricostruire gli ultimi eventi.

Allora scattò a sedere.

“Ben svegliato,” disse una voce meravigliosamente familiare. “Era ora, Hughie.”

“Lily?!”

Non riusciva a crederci, ma appollaiata ai piedi del letto c'era proprio la cugina, intenta a giocherellare con uno dei suoi accendini vecchio stile. “L'unica e sola,” la udì replicare con fare da primadonna.

Sogghignò. “Vedi di non dar fuoco all'Infermieria.”

Lily scrollò le spalle, ma ripose l'accendino in tasca. Il sole inondava la sua figura, facendo risplendere i suoi lunghi capelli di bagliori rossastri. Hugo si perse per qualche secondo a osservarla con estremo sollievo: aveva sinceramente temuto di non rivederla mai più, e averla di fronte...

“Ti voglio bene, lo sai?”

Lily fece una smorfia che lo fece pentire di aver parlato. “Mi sa che dormire troppo non ti fa bene se diventi così mieloso.”

Roteò gli occhi. “Perché, ho dormito molto?”

“Due settimane.”

“Ah.” Tornò a poggiare le spalle sul cuscino. Poi realizzò: “Che cosa?!

Lily sorrise sardonica. “Due settimane,” ripeté. “Secondo Rose hai deciso di recuperare in una volta tutte le ore di sonno perse quest'anno.”

Hugo aggrottò le sopracciglia, perplesso. “Rose?”

La cugina sbarrò gli occhi. “È vero! Non lo sai.” Sorrise. “Rose ha recuperato la memoria. Tutta la memoria. Dovrebbe arrivare da un momento all'altro...” gettò uno sguardo all'orologio da polso.

Il suo cuore si gonfiò di felicità come un palloncino. Per evitare che Lily scorgesse i suoi occhi lucidi di commozione, Hugo voltò lo sguardo dall'altra parte, per scoprire un cumulo enorme di dolci sul carrello dell'Infermieria. Il suo stomaco brontolò sonoramente.

“Quelli...” esordì esitante.

“Sì, Hugo,” sorrise furbesca la cugina. “Sono tutti tuoi.”

Non se lo fece dire due volte e recuperò il braccio per agguantare una manciata di Cioccorane, qualche Zuccotto di Zucca e una tavoletta di Cioccolata Deluxe di Mielandia. Iniziò a mangiare spargendo briciole e cartacce sulle lenzuola candide, condividendo il cioccolato con Lily come avevano sempre fatto.

“Che altro mi sono perso?”

“Non parlare con la bocca piena.”

Lily.

La cugina sbuffò. “Vediamo... Al si è messo con Quinn Baston. Christine e Boot sono decisamente vivi e vegeti, a quanto pare, visto che si appartano continuamente. Poi... vediamo. Ah, sì,” si incupì. “Siamo in punizione, Hughie. Tutti quanti.”

Quasi si strozzò con una Cioccorana. “Stai scherzando?”

“Affatto.” Lily fece spallucce. “Anzi, reputati fortunato ad aver già scontato un paio di settimane in Infermieria mentre noi sgobbavamo. Hanno deciso di abbonartele.”

“E la battaglia?” mormorò. “Ci sono stati...”

Lily sorrise. “Dalla nostra parte nessuna vittima. Un'infinità di feriti, ovviamente, ma stanno tutti bene, apparte alcuni che hanno perso la memoria come era successo a Rose... Ma al San Mungo dicono che riusciranno a rimettersi.”

Sollevato, finì di sgranocchiare uno Zuccotto e appallottolò la carta stagnola che lo ricopriva.

Non riusciva a credere che fosse tutto finito, che veramente adesso andasse tutto bene. Forse perché c'era ancora un'ultima cosa da chiarire. Una volta uscito dall'Infermieria, avrebbe scambiato quattro chiacchiere con Christine De Bourgh riguardo alla questione delle carte, decise.

Nel frattempo, tuttavia, poteva godersi la presenza di Lily e il fatto che fosse viva. Che ci fosse ancora.

Non pensò ad altro mentre si sporgeva ad abbracciarla.

 

 

 

 

 


 

Note dell'Autrice

 

Mi sento un po' depressa perché è il penultimo capitolo... Ma pazienza! Rimandiamo i discorsi strappalacrime al prossimo e all'epilogo.

Anyway, sono fiera di me per essere riuscita a pubblicare in tempi se non buoni perlomeno decenti. Vi ringrazio infinitamente e spero che questo capitolo vi piacerà – non sono un granchè nelle scene d'azione, spero di non aver fatto un pasticcio.

Avrete notato che è più breve del solito, ma avevo bisogno di rapidità per le scene della battaglia (spero che si noti l'effetto “visivo” che ho cercato di creare).

Detto ciò... Ci vediamo al prossimo capitolo!
Un bacione

Daph

 

   
 
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