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Autore: Magali_1982    25/07/2014    3 recensioni
"Per questo correva sempre così tanto, così veloce. Per rendere indefiniti i contorni di una realtà aliena, dove non aveva punti saldi di riferimento. Per questo annotava tutto ciò che valeva la pena di apprendere, sentire, vedere, assaggiare, leggere. Per trovare il vero significato da dare alla sua seconda possibilità." Mai come dopo una distruzione totale servono punti di riferimento. Persino a un uomo definito "Leggenda Vivente". Steve e Captain America ora sono due entità divise, in conflitto. Sole. Alla ricerca di un modo per convivere e di un nome creduto perso in una tormenta di neve. A volte, l'unico modo per andare avanti è tornare indietro, a casa e scoprire di non essere stati i soli a farlo perché esiste un altro Soldato dilaniato tra due nomi. La loro guerra è la stessa e ciascuno cerca di punti fermi per non precipitare; un viaggio lungo e allo stesso tempo brevissimo, scandito da una lista.
Genere: Avventura, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: James 'Bucky' Barnes, Natasha Romanoff, Nuovo personaggio, Steve Rogers, Un po' tutti
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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9


Per lei, il mondo non aveva importanza.
Era contenta del vetro che li separava; poteva concentrarsi solo su ciò che desiderava.
Ogni tanto le capitava di guardare oltre e di porre attenzione sul via vai incessante di camici bianchi e divise militari nere. Scienza e metallo. Voci ovattate e lampi nell’ oscurità.
In genere, quegli attimi di distrazione duravano poco; il tempo che la porta si aprisse e qualcuno le portasse nuovi giocattoli.
Per lei, il mondo erano quei cubi e quegli oggetti che poi cominciavano a danzare nell’aria per suo volere.
Non era nata con quell’abilità. Non aveva mai saputo di poter governare un determinato elemento ma le avevano detto che aveva il potenziale per farlo. Dovevano solo farlo emergere.
Era stata quella, la frase con cui avevano portato via di casa lei e suo fratello.
Cosa fosse successo dopo era diventato un gorgo nero, agitato da un dolore talmente forte da diventare assoluto, ineluttabile, irrimediabile. Dentro a un tale passato ci si poteva perdere ed era accaduto esattamente questo.
Dimenticati i pianti, le iniezioni, gli arresti cardiaci, le violente rianimazioni. Annullato il ricordo dell’ odore del proprio sangue, delle urla terrificanti del suo gemello. Il turbine era diventato un tornado e dove era passato, aveva distrutto.
Giocattoli.
Dov’erano i suoi giocattoli?
Perché non gliene portavano altri, visto come aveva dilaniato gli ultimi?
Infastidita, si decise a guardare davanti a lei; verso quel fuori che non la interessava mai, oltre le pareti trasparenti della sua prigione.
L’agitazione tra i suoi aguzzini era così densa che si sarebbe potuta modellare a piacimento. Correvano inseguiti dai barbigli di un’ansia saettante di cui non conosceva la causa. Scariche elettriche di nervosismo serpeggiavano negli sguardi, trasformavano parole inudibili in coltellate. C’era sempre stata la pace, in quel laboratorio. Adesso sembrava assurdo anche solo pensare fosse mai esistita.
Qualcosa è andato storto.
Lo pensò pigramente, stiracchiando le braccia e facendo danzare le dita nell’aria. Annoiata come un gatto, senza alcuna curiosità di sapere il motivo reale di una simile apprensione, concentrò la sua attenzione sulla porta.
Voleva dei nuovi passatempi.
Gli occhi scuri saettarono verso un bicchiere d’acqua posto per terra. L’oggetto vibrò, si alzò e si scagliò ferocemente contro le lastre piombate.
La ragazza sorrise.
Forse non l’avevano sentita ma c’era pur sempre una branda da usare come martello, per richiamare qualcuno.
Il ferro fa tanto rumore.
Quando il primo dottore si accorse di cosa stava succedendo, ci fu un secondo motivo per perdere la calma, oltre a quello di aver fallito nella cattura di Captain America e di sapere il Soldato d’ Inverno a New York.

 

*


Anche se ancora stentava ad usare con disinvoltura l’aggettivo “amico” riferito a Stark, Steve doveva riconoscergli un inedito senso della misura; quando aveva aperto la portiera del SUV fermatosi fragorosamente lungo la traversa dell’ Ottantacinquesima dietro l’ Arthur Ross Pinetum e vi si era fiondato dentro con una ragazza svenuta in braccio, il suo autista si era limitato a sgranare gli occhi. Tony era ripartito senza aprire bocca ma dall’occhiata lanciatagli attraverso lo specchietto retrovisore, il Capitano aveva mestamente intravisto il prevedibile round di domande allusive, rimandato a luoghi e momenti più consoni vista l’attuale situazione.
“Non possiamo portarla in ospedale.” Uno sfoggio di pragmatismo inedito. “ Attirerebbe ancora più l’attenzione su questo piccolo incidente.”
“Sono certo non sia un problema per te.”
No, non lo era per il proprietario di un grattacielo di sessanta piani sede di uffici, laboratori e della divisione delle Stark Industries legate alla ricerca e allo sviluppo da applicare a qualsiasi campo della scienza; sicuramente era dotato di misure sufficienti a prendersi cura dei propri dipendenti in modo discreto e anonimo.
 Il grosso fuori strada nero, dai vetri oscurati, era sfilato oltre i cordoni di polizia e i camioncini di tutte le reti televisive nazionali appostate ai confini di Central Park.
Steve e Tony non dissero altro per il resto del viaggio; Andy non aveva accennato a riprendersi e una volta arrivati nell’area più privata dei parcheggi sotterranei, la ragazza gli era stata letteralmente strappata di dosso da un dottore e due infermiere, adagiata su una lettiga e portata via; fu una sensazione più brutta del previsto, quello di non sentirla più contro il suo petto.
“Sarà meglio che ti rendi presentabile anche tu. Pepper potrebbe preoccuparsi, vedendoti conciato così.”
“Davvero?”
“Senti, fosse solo per quel taglietto al tuo bel pancino marmoreo non mi sarei dato tanta premura ma per quello non voglio sentire storie.”
E gli aveva indicato le macchie di sangue all’altezza della coscia e sull’orlo della felpa, causate dalla ferita di Andy al ginocchio destro.
“Non dire ancora niente.” Sbottò dirigendosi verso l’ascensore.
Non  fu necessario voltarsi per sentire il sorriso sfacciatamente innocente di Tony premergli contro la nuca.
“Oh, tranquillo. Lo farò dopo. E’ un’occasione troppo ghiotta.”
“Tieniti occupato fino a quel momento, allora.”
Steve gli aveva messo in mano una pen drive e poi era scappato oltre le porte scorrevoli prima di dargli il tempo di ribattere.
Mezz’ora dopo fu indetta una riunione straordinaria nell’ attico del padrone di casa. Jarvis stava aprendo i vari file sulle sue schermate virtuali; Pepper, ovviamente presente, era seduta di fronte al grande camino in pietra, un piede che ticchettava nervosamente a tradire la sua apparente calma. Studiava la figura di Tony che le stava dando le spalle, in silenzio. A pochi passi da entrambi, c’era un’altra donna.
Steve, dopo una veloce medicazione, si era cambiato e arrivò nel preciso momento in cui un nuova foto stava venendo mostrata.
Quel cappotto rosso lo avrebbe riconosciuto ovunque. Fu talmente scioccato dal vedere una foto sua e di Andy, scattata il giorno in cui si erano rivisti dopo il ritrovamento della sua Moleskine, da rilevare la presenza di Maria Hill con un secondo di ritardo.
“Non so cosa stia succedendo ma non mi piace affatto.”
“Notevole capacità di sintesi, Capitano.”
“Se voi due l’avete finita di rimarcare il vostro reciproco affetto, io e la signorina Hill vi saremmo grate se foste più chiari.”
Tony alzò le spalle e si limitò a un imbarazzante passaggio di palla, piantando addosso a Steve l’occhiata gongolante tenuta gelosamente in serbo per quel glorioso momento.
“Non sono io quello che appena iniziato il Signore degli Anelli ha pensato di andare a rapire la Dama Luthien.”
Il modo in cui Steve scosse il capo lo rese ancora più euforico; quello era un chiaro smottamento emotivo, un segno di esasperazione; stavolta aveva colto la citazione. A salvarlo da una imbarazzante richiesta di spiegazioni fu Pepper.
“Potresti dirci chi è senza ricorrere a citazioni da Nerd?”
Il Capitano fissò ancora per un momento quel volto di profilo, il cappello con le orecchie da gatto. Parlarne forse avrebbe attenuato il senso di colpa per aver coinvolto un’ innocente in un gioco che sperava concluso.
“Si chiama Andy Martin, è un’ illustratrice. L’ho conosciuta pochi giorni fa.”
Avevano parlato di Star Wars, bevuto un caffè dal nome improbabile; tra un sorso e l’altro aveva trovato il modo di medicarsi un poco alcune ferite; senza lo capisse, Andy aveva ammesso di averne di molto simili anche lei. Naturalmente non fece cenno a nulla di tutto questo, aspettando il prossimo passo di un interrogatorio ormai inevitabile.
“Ci puoi spiegare da dove vengono queste foto?”
Pepper Potts era davvero una donna straordinaria, pensò guardandola con ammirazione e gratitudine; non perché riusciva a gestire un uomo impossibile da coniugare con qualsiasi significato del verbo “gestire”; sapeva sempre guardare oltre le apparenze, intuendo come muoversi con grazia. Aveva visto che Steve aveva bisogno di aiuto e non voleva parlare troppo di quella ragazza non per diffidenza ma per il suo innato senso del pudore nel condividere con parsimonia delle emozioni da tenere scrupolosamente per sé; erano la sua medicina e avevano la giusta dose di additivi benigni, se la si prendeva da soli.
Il lieve sorriso di Pepper era un incoraggiamento e insieme una promessa di silenzio. Aveva compreso e se avesse voluto, ne avrebbero parlato dopo.
La risposta fu il suo modo di ricambiare tanta sollecitudine.
“Dal Soldato d’ Inverno. L’ho visto, mi ha riconosciuto. E prima che lo pensiate tutti, no, sono certo che non le abbia scattate lui.”
Maria fece un mezzo passo in avanti, lo sguardo duro e carico di domande che non arrivarono alla bocca.
Il fumo del Triskelion era ancora nel suo cuore, insieme alla consapevolezza pesante e dolorosa di dovere a quell’uomo la distruzione del suo mondo. Il Capitano resse quell’accusa silenziosa con sorprendente calma. Avevano tutto il diritto di non fidarsi della sua parola, visto quanto era coinvolto in quella penosa vicenda ma avvertiva anche quello di sua esclusiva competenza di difendere in tutti i modi quanto aveva vissuto poco prima, in una pineta sotto assedio.
“Signore, i file sono stati decriptati.”
“Mostra, Jarvis.”
Le immagini cambiarono; al loro posto comparvero dei file, schede informative con una serie di date e riferimenti.
“Steve, quando hai ragione hai ragione” gli concesse Tony, con un mezzo sorriso. Era una smorfia che nulla aveva di divertito. Selezionò una parte del monitor e la fece ingrandire con un movimento distensivo delle mani: tutti poterono leggere un dettagliato resoconto della vita del Capitano Rogers dal suo arrivo a New York fino a due giorni prima, quando il rapporto si chiudeva. Date, spostamenti, abitudini, luoghi. Riferimenti ai suoi ospiti e a un fatto accaduto a Washington poche ore dopo la sua partenza.
“A quanto sembra, c’è una squadra di osservazione anche là. E hanno trovato da tempo chi pensavano di aver perduto.”
Steve non ribatté, fissando quella nuova immagine. Mostrava il Soldato nel suo appartamento, chino su qualcosa; la foto era stata scattata dall’alto, con un’angolazione famigliare.
“E’ il tetto da cui ha sparato a Fury.”
La voce di Maria era una sentenza di colpevolezza senza possibilità di appello. Steve ritenne saggio non provocarla in alcun modo, annuendo stancamente.
Bucky aveva seguito le sue tracce. Era persino stato a casa sua. Dio, era una prova davvero ingrata non sentirsi sollevati nel momento in cui si poteva davvero sperare di trovare un uomo vero, dietro il pallido alone di un fantasma.
“La pista purtroppo si ferma qui.”
“Cosa intendi dire?”
“Che non abbiamo altri indizi; chiunque abbia raccolto tutte queste informazioni su te e il Soldato d’ Inverno non ha lasciato modo di risalire al mandante.”
La frustrazione di Tony era evidente e si ripercosse anche su Steve; strinse i pugni in una morsa.
“Jarvis non può fare davvero nulla?”
Per quanto impostata, la voce da compassato maggiordomo del sistema operativo risuonò di una vena piccata: “Capitano Rogers, il programma di gestione di queste risorse è dotato di un sistema di cancellazione dati immediato. Ogni attività svolta in Rete lascia tracce ma se queste vengono rimosse da un costante aggiornamento, il server d’aggancio viene azzerato.”
“Non dubito del tuo potenziale. Conosco di persona chi ti ha creato e ti chiedo comunque di tentare il possibile. Sempre che il tuo inventore accetti la richiesta.”
La faccia di Tony era quella di un bambino che aveva scoperto di essersi svegliato il giorno del suo compleanno.
“Dopo un simile riconoscimento da parte tua, potrai usare Jarvis per scaricare qualsiasi cosa, Stevie!”
“Questo però non ci porta a chi sta dietro a questo attacco” s’intromise Maria, ben decisa a ricordare al suo nuovo capo quale fosse l’ordine delle priorità. Tony sbuffò e alzò platealmente gli occhi al cielo.
“L’agguato di oggi non aveva questo grado di tattica. E’ stato pianificato con troppe falle: pochi uomini, un territorio troppo vasto da perlustrare.”
“Uno specchietto per allodole?”
“O il suo contrario.”
Le situazioni confuse non piacevano a nessuno. L’ex agente dello SHIELD strinse le labbra, gli occhi chiari ridotti a due fessure.
“Non ci servono  prove certe che si tratti dell’ HYDRA; Nick Fury fu molto chiaro nel dirmi che non l’avevamo ancora sconfitta. Ma chi è che vogliono?” Puntò l’ indice sulla foto del Soldato d’ Inverno, calma e feroce come stesse per premere un immaginario grilletto.
Lui o Captain America?
“Abbiamo bisogno di rinforzi” ammise Steve dopo un lungo silenzio. La voce risuonò fredda, determinata. “Contatteremo Sam e decideremo come muoverci.”
“Prima c’è una cosa più importante.” La petulanza della battuta di Tony voleva dire solo una cosa: niente di buono.
“Signorina Hill, le dispiacerebbe andare ad accertarsi delle condizioni della nostra principessa? Mi piacerebbe incontrarla, se si fosse svegliata.”
Steve pregò di avere tanta furia repressa nello sguardo da incenerire un maledetto milionario sul posto. Definirlo amico senza pentirsene subito dopo  sarebbe sempre stata un’impresa titanica; se si fosse scoperto ammettendo di poter andare personalmente da Andy avrebbe tradito la sua preoccupazione per lei. Dovette rimanere fermo e lasciare il compito a qualcun altro, maledicendo la situazione in cui era stato incastrato.
“Cerca di non spaventarla troppo, Maria.”
“Tranquillo Stevie; devi ancora lavorare sul tuo lato “cavaliere devoto” ma qui non ci sono draghi cattivi da cui proteggerla.”
Tutto sommato, l’agente fu contenta di lasciare l’attico di Stark prima di sentire un esasperato Capitano ordinare di smettere con l’abuso di paragoni fastidiosi.



L’incubo in cui era relegata non aveva confini, non aveva paesaggi o volti. Puzzava di zolfo e altri odori nauseabondi, feriva gli occhi gonfi e lucidi, gonfiava la lingua. Stava correndo in quella nebbia disgustosa con addosso la stanchezza di giorni passati in fuga: le gambe erano pesanti e si rifiutavano di obbedirle.
Andy aprì gli occhi nell’esatto istante in cui una figura minacciosa le si stagliò davanti ma un secondo dopo, pensò di aver avuto una pessima idea a svegliarsi; una luce intensa le ferì lo sguardo, costringendola a schiacciare il volto di lato, contro un morbido cuscino.
Cuscino?
Dopo un approfondito esame, stabilì che proprio di un cuscino si trattava.
Era stesa in un letto d’ ospedale, con le tende tirate su ogni lato. Una volta stabilito di non aver avuto danni permanenti alla vista causa abbacinamento da luce elettrica, la ragazza si decise a dare un’occhiata più o meno a tutto ciò che la circondava, inclusa lei stessa, per capire cosa fosse successo.
Qualcuno le aveva tolto la giacca di pelle e portato via il suo adorato borsone. Mani sconosciute avevano arrotolato la manica destra della  camicetta per permettere l’inserimento di un sondino per flebo. Sempre con una calma innaturale, Andy fissò la sacca appesa sopra di lei, al suo fianco. Soluzione salina ricostituente. Avere una madre infermiera portava a riconoscere certe cose al volo.
Qualcuno doveva pensarla molto debilitata e sicuramente non a torto: chi era svenuto dopo aver vomitato e con una ferita al ginocchio?
Già. Ginocchio. Fermi tutti!
Alzato il lenzuolo, il suo timore peggiore trovò conferma: le avevano dovuto togliere i collant per medicarla e ora la gamba destra sfoggiava tutta orgogliosa una bella fasciatura di garza sterile. Sotto i suoi strati medicati, avvertiva l’eco pulsante di dolore che l’aveva riportata nel mondo dei vivi giusto dieci secondi prima. I successivi venti le bastarono per ricordare cosa fosse successo.
I poliziotti.
Finti poliziotti, mia cara.
La sua preoccupazione per Steve.
Su cui pongo subito censura preventiva.
L’ aggressione subìta all’ Arthur Ross Pinetum.
E l’uomo col coltello.
La sua mente lo fotografò di nuovo: alto, letale. Occhi grigi. Un volto che un tempo doveva essere stato gradevole.
 L’uomo che Steve conosceva. Come lo aveva chiamato?
“Bucky” mormorò fissando i piedi del letto, tirandosi su a sedere lentamente, per verificare se il suo corpo era svelto quanto la sua testa.
Conosceva anche lei quel nome.
Qualunque ragazzo americano con un po’ di memoria lo avrebbe fatto. Era una fortuna che lei di quella ne avesse in abbondanza.
L’aveva letto nei libri di Storia, incontrato nei documentari. Riferito in almeno cinque interrogazioni. Era stata sicuramente una frana in materie tecniche come la Matematica ma in quelle letterarie aveva avuto ben pochi rivali.
C’era però un aspetto fastidiosamente logico a farle corrugare la fronte.
E’ morto. L’unico degli Howling Commandos a perdere la vita nella Seconda Guerra Mondiale fu il Sergente Barnes.
Una come lei, abituata ad osservare bene la realtà per poi usarla e alterarla in un dipinto, non poteva essersi sbagliata. Chiuse gli occhi e ricostruì meticolosamente, in un lampo, cosa aveva visto.
L’incredulità di Steve, la sua voce incerta. Le pupille dilatate, le spalle che si erano alzate ad assecondare un moto istintivo di speranza.
E dall’altra parte, lui. Un lupo pronto a sferrare il suo attacco, con in mente solo come trovare il prima possibile la giugulare del nemico. La bocca ferina, lo sguardo gelido tramutato da un nome in uno del tutto nuovo. Triste e vulnerabile.
Andy tornò a fissare la candida perfezione delle lenzuola, con un senso di colpa opprimente a stringerle la gola. Era stata chiaramente di troppo in un momento atteso da due persone che forse non lo avrebbero mai ammesso;  raramente il suo istinto si sbagliava.
Non avrebbe dovuto nemmeno trovarsi coinvolta in quello che era stato, a tutti gli effetti, un agguato. Se non fosse stata presente, Steve non avrebbe dovuto pensare alla sua incolumità e avrebbe potuto sicuramente difendersi meglio. Se non si fosse impuntata nel tornare indietro-
Una domanda urgente ebbe la pietosa tempestività di interrompere la sequela di responsabilità con cui voleva flagellarsi.
Dov’è Steve?
Doveva chiamare un’ infermiera. Si voltò indietro per cercare il pulsante da premere in caso di aiuto ma si trovò di fronte il nulla: solo un muro.
Buttò le gambe nude, coperte solo dalla gonna a kilt, giù dal letto e con fare battagliero si aggrappò all’asta della flebo. Quando aprì una delle cortine, rimase con la bocca spalancata.
Se quella era una camera di degenza, era dotata  della vista più spettacolare su Manhattan che si potesse immaginare, luccicante delle migliaia di luci della notte. Le finestre erano più simili a vetrate, le pareti intonacate di beige scuro. C’erano stipetti pieni di farmaci e altre garze, un attaccapanni con sopra appesi ordinatamente la sua giacca, il cappello e sul ripiano di un comodino trovò il borsone.
Accanto al suo, c’erano altri tre letti intatti ma i conti non tornavano comunque; forse era davvero in un’ infermeria ma a progettarla doveva essere stato qualcuno che di design ne capiva e in grado, cosa rara, d’ interpretarlo in maniera funzionale ed elegante; in oltre, quale ospedale avrebbe mai autorizzato un pavimento come quello? Il linoleum era perfetto per essere ripulito da qualsiasi cosa in poco tempo; i suoi piedi invece carezzavano una moquette compatta e morbida.
 Con nuova stizza, Andy chiuse la valvola che alimentava il flusso dalla sacca e procedette a togliere dal braccio il sondino, gesto visto fare in casa troppe volte per non saperlo imitare in automatico; fu in quel momento che la porta si aprì, lasciando entrare una donna.
Doveva avere trent’anni e il sobrio tailleur blu scuro donava al suo corpo slanciato un’ autorità non necessaria, dal momento che i suoi occhi azzurri, sotto una frangia di capelli neri, bastavano a farle sentire un brivido lungo la schiena.
Una bellezza severa, essenziale, dominata dalla linea netta di zigomi forti. Labbra piene appena imbronciate. Uno chignon impeccabile. Braccia che andarono a incrociarsi sotto il seno.
“Posso sapere cosa ci fa in piedi?”
E una voce capace di farle rimpiangere quella pacatamente terribile del suo professore di Anatomia Artistica alla Brooks, l’unico capace di zittire una classe di scalmanati senza mai un urlo.
  Maria Hill, ex agente di livello 10 dello SHIELD, sapeva come fronteggiare situazioni critiche e una spaurita ragazzina dai lunghi capelli arruffati, scalza, stanca e ferita, non l’avrebbe impressionata.
Per questo rimase suo malgrado colpita dal cipiglio che le vide assumere prima di risponderle.
“Posso sapere dove sono?”
“Si trova in un’ infermeria.”
Risposta automatica a una domanda prevedibile.
La ragazza spostò lentamente lo sguardo da lei alla stanza; non era un modo per tergiversare, quanto per osservare con scrupolo chi le stava davanti e l’ambiente. Il sorrisetto che le spuntò sul viso risultò dipinto dalla più perfetta ironia.
“Posso sapere dove sono realmente?” chiese di nuovo, con l’ arrendevolezza subdola di un gatto pronto a graffiare. Non che potesse fare molto altro viste le circostanze eccezionali che l’avevano portata lì ma a Maria fu chiara una cosa.
Tony Stark si sbagliava, con le sue metafore a base di principesse e dame eteree in pericolo.
Il Capitano Rogers non aveva salvato una fanciulla indifesa ma qualcuna capace di non aver paura dei draghi. Forse persino convinta di poterseli fare amici.


*
 

Aveva ricominciato a piovere.
Le gocce ticchettavano contro la tela tesa della tenda principale dell’ ospedale da campo; gli ci volle poco tempo per capire che quel suono aveva qualcosa di diverso. Era più ritmico, insistente.
Quella era acqua mista a neve. La prima avvisaglia di un inverno che presto avrebbe imbiancato tutto il confine italo-austriaco.
Attorno a lui c’era silenzio. Ogni tanto, da alcuni letti divisi dagli altri dalla pietà di tende tirate, si alzava un lamento.
Era un allarme: non appena veniva udito, da qualche parte compariva un’ ombra candida che andava a vedere di cosa avesse bisogno il paziente.
“Sergente Barnes, ha bisogno di cure?”
La voce dell’infermiera era stata una dolce tentazione. Comparsa al suo fianco mentre tutti stavano festeggiando l’uomo che da solo aveva riportato all’accampamento trecento soldati, gli era sembrato un delitto non cedere a quel sorriso dolce, alle labbra truccate di rosso e alla mano che  aveva sfiorato quella che sì, a tutti gli effetti, era una brutta escoriazione non curata di una delle tante pallottole volate nella battaglia di Azzano.
Mentre veniva medicato, aveva finalmente capito perché le crocerossine volontarie fossero tutte belle ragazze: ci volevano i loro occhioni vellutati per far capitolare dei virili quanto testardi americani, emblema vivente del “E’ solo un graffio, dolcezza. Baciami e passerà tutto!”.
Non che l’avesse davvero baciata; l’occasione, semplicemente, non era quella giusta. Si sarebbe presentata al momento, quando fosse stato meglio e la testa più sgombra per riempirla di belle sensazioni.
Solo James Buchanan Barnes sapeva quanto avesse bisogno di un po’ di calore e di bello, anche se fosse stato portato sulla punta di due labbra pronte a schiudersi in un sorriso prima d’incontrare le sue.
La tenda si aprì, lasciando entrare un raggio di luce livida e un refolo d’aria ghiacciata prima che una figura alta ostruisse la vista.

Bucky gli rivolse un sorriso malandrino. Stava aspettando la sua visita. “Spero mi perdonerai se non mi alzo in piedi per salutarti… Capitano.”
Non riusciva ancora a chiamarlo Steve senza sentirsi in errore. Perché quello che ora gli stava di fronte non era il suo amico, il fratello mai avuto.
Quello Steve era magro, il volto scavato illuminato dalla determinazione incrollabile chiusa nei suoi occhi azzurri sempre troppo saggi e sempre troppo seri.
 Quello Steve era mingherlino, troppo basso per arrivare persino al minimo di altezza stabilito dalla Leva dell’ esercito.
Quello Steve prendeva pugni e calci, aveva i polsi sottili, le ginocchia ossute e un sorriso capace di farti credere in qualcosa, qualsiasi cosa, di più bello e più giusto.

“Viste le tue condizioni di moribondo, per questa volta soprassiederò.”
E poi arrivava la sua voce, come nel laboratorio dove lo avevano imprigionato e l’ illusione si spezzava: la maschera del soldato invincibile cadeva e mostrava che sotto c’era ancora lo scricciolo più pazzo e incosciente di tutta Brooklyn. Quello in grado di comprendere Bucky “il bullo” Barnes come nessun altro.
“Ti faccio impressione, non è vero?”

Appunto. Gli era bastato il suo silenzio per capire. Bucky alzò le spalle e l’osservò sedersi accanto alla sua branda.
“Parla con i nostri angeli in camice; sono certo che a loro non fai tanto schifo.”
“Come se fosse questo il motivo per cui l’ho fatto.”

“Io lo so, il perché. Solo che- beh, è un bel cambiamento.”
Occhi troppo saggi cercarono i suoi. E risero della sua stessa risata. Forse adesso c’erano più muscoli, c’era più forza ma tutto quel glorioso “di più” sarebbe stata poca cosa senza il cuore di Steve Rogers e il suo coraggio.
“Ti ci abituerai.”

“Certo. Solo … per favore, non rovinarmi la piazza con le infermiere. Intesi?”
Sapevano entrambi ci sarebbe voluto tempo ma la cosa più importante, adesso, era essere insieme, era aver scoperto come la loro amicizia avesse salvato entrambi.

Se Steve non avesse mai saputo della cattura della gran parte del Centosettesimo battaglione, sarebbe stato ancora una scimmia ammaestrata al servizio della propaganda dell’ esercito degli Stati Uniti.
Se Bucky non avesse pensato a lui, a sua madre, alle sue sorelle, non sarebbe sopravvissuto alle torture dell’ HYDRA.

Erano entrambi così coscienti di questo da non aver bisogno di dirselo. Ascoltarono per un po’ il rumore splendido della pioggia; sapeva di vita, sapeva di possibilità e speranza. Cose estremamente utili ed estremamente fragili in una guerra.
“Steve?”
“Cosa?”
“Grazie.”

Lo guardò scherzosamente  male. “Guarda che non c’ è nessuna fetta di torta di mele, questa volta.”
Era un loro vecchio gioco di bambini; quando uno dei due doveva all’altro l’affrancamento da una qualche punizione, si condivideva il sollievo di aver scampato un sonoro ceffone sulla nuca mangiando quella che era la specialità della signora Rogers: il dolce per eccellenza, di cui deteneva una ricetta segreta.
“Però c’è il ricordo” rispose con un altro sorriso da gatto soddisfatto.
La pioggia divenne più insistente.
“Allora mangiamola insieme così.”


Il Soldato si svegliò in un bagno di sudore. Stava ansimando. Qualcosa di salato e fastidioso gli aveva appiccicato gli occhi.
Il sogno stava ancora danzando nella sua testa, nitido e perfetto come poteva esserlo solo un ricordo. Si mise a sedere con uno scatto, frustrato e distrutto. Il suo corpo, non più stordito dalla criostasi e dalle sedute di manipolazione reclamava l’affermazione di bio ritmi umani, reali e lo imponeva tramite sonni improvvisi, ore di oblio impossibili da prevedere e prevenire.
 Non era stato uno scherzo della sua mente spezzata e contorta. L’odore della pioggia, il freddo di quella foresta, il sorriso del Capitano Rogers.
Le loro battute, dopo che aveva rischiato la vita per andarlo a salvare e a ogni buon conto, anche la Corte Marziale vista la sua infrazione agli ordini ricevuti.
Si passò la mano sugli occhi impestati e la ritrasse.
Inorridito.
Sconvolto.
Stupito.
C’erano delle lacrime sulle sue dita.
E non accennavano a smettere di scendere.
Stavolta non gli venne in soccorso la consolante voce di Bucky e capì il perché quando posò la testa sulle ginocchia, riscoprendo che poteva anche singhiozzare.
Non c’erano più il Soldato d’ Inverno e il Sergente Barnes. Stavano diventando una cosa sola. Un uomo ferito e rotto nel cuore, nello spirito  ma capace di contenere tutti e due.


Angolo (buio e tetro) dell’autrice:
-Ebbene sì. Wanda, alias Scarlet Witch ha avuto l’onore di aprire questo capitolo. Cosa so di lei? Nulla. La si vede per una manciata di secondi nella prima delle sue scene post-credits di “Winter Soldier”. Mi sono informata il minimo indispensabile ma è stata una decisione ponderata, perché volevo dare l’idea della “mia” Wanda e di come me la immagino. Spero che gli amanti dei fumetti Marvel non se la prendano troppo con me; posso assicurare che anche in scelte del genere dietro c’è un’ attenta valutazione. Posso affermare ufficialmente che da ora in avanti, prenderà sempre più corpo una sorta di "The List!Verse" che ovviamente differirà molto da quanto stabilirà il Marvel Cinematic Universe.
-Naturalmente, Tony non poteva non dare un soprannome a Andy. E non è per niente casuale. Luthien Tinùviel, figlia del Re Thingol, il cui soprannome significa “Usignolo”, figlia del crepuscolo. Tenetelo a mente questo dettaglio. Non immagino Tony lettore appassionato di fantasy ma sicuramente conoscerà a memoria la trilogia cinematografica, dove il personaggio viene citato da Aragorn e sicuramente il nostro genio miliardario playboy filantropo ha una cultura e una curiosità abbastanza vaste da sapere perché può affibbiare un simile nomignolo con nozione di causa.
Come sempre, grazie a tutti i lettori, i recensori, insomma a tutti voi.
A venerdì prossimo!
Maddalena

  
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