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Autore: Alkimia    25/07/2014    5 recensioni
[Post-TheWinterSoldier]
"La voce dell’uomo con lo scudo grida di nuovo quel nome. Dentro a un ricordo che sa di neve e paura, il Soldato sente lo sferragliare di un treno coprire le parole del suo amico, un addio che è la somma di tanti inverni.
Amico, il suo 'migliore amico', è questo che ha detto di essere. Se fosse vero, quello che al Soldato resta da provare è un sentimento che impiega qualche minuto a definire: vergogna.
Ma ciò che gli urla nella testa ora ha la voce della vendetta."

Steve ha promesso che ritroverà Bucky. Fury ha promesso che darà la caccia a ciò che è rimasto dell'Hydra. Entrambe le promesse richiedono l’aiuto dei pochi alleati di cui ci si può ancora fidare.
Genere: Azione, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: James 'Bucky' Barnes, Natasha Romanoff, Steve Rogers, Un po' tutti
Note: Movieverse | Avvertimenti: Incompiuta, Spoiler!
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Sixteenth bullet: quel che resta dellinverno
Parte prima
 
How close am I to losing you?
Hey, are you awake?
Yeah I'm right here.
Well can I ask you about today?
 
NEW YORK
 
La sensazione lo raggiunge nel sonno, è il tocco di una carezza e un alone di profumo fruttato.
Tony Stark apre gli occhi e vede il viso di Pepper chino su di lui.
È seduta sul bordo del materasso, la schiena diritta, il completo color crema senza una piega, il trucco leggero senza una sbavatura.
È il contrappeso perfetto per l’esistenza sgangherata di un genio multimilionario che ha impiegato fin troppo tempo a capire cosa potesse renderlo davvero felice.
«Non ti aspettavo oggi» le dice. «O forse mi sono solo dimenticato di segnarlo in agenda»
«Sono tornata con un po’ di anticipo. Dato che per due giorni non ho avuto tue notizie, ho pensato che magari avevi fatto esplodere anche questa casa».
Tony arriccia le labbra. «La villa di Malibù non l’ho fatta certo esplodere io».
Pepper continua a passargli una mano tra i capelli. Il mondo riacquista ordine nella dolcezza delle sue carezze.
«Jarvis mi ha aggiornata sugli ultimi sviluppi» aggiunge lei dopo qualche istante. «Così adesso facciamo anche i pigiama party con gli Avengers»
«Ci sono stati i pigiama, ma nessun party, te lo assicuro».
Lei sospira. L’orecchio allenato di Tony registra in quel sospiro una nota di rimorso: forse Pepper si sente in colpa per essere stata via mentre lì succedevano i casini - dentro e fuori la preziosissima testa del signor Stark.
Il senso di colpa di una donna è una cosa che torna utile in molti modi, soprattutto quando c’è di mezzo del sesso o uno strappo alla ferrea regola che gli vieta di mangiare schifezze durante la settimana. Ma stavolta Tony non ha voglia di segnare il punto a suo favore.
«Non avresti dovuto fare un viaggio fino in Scozia con l’armatura nuova, non hai mai fatto sforzi così grandi da quando il Mark ha il reattore Arc esterno» dice poi lei. E l’uomo si chiede com’è che all’improvviso sia passato in svantaggio nella competizione sul senso di colpa accumulato, così, nel giro di mezzo secondo.
«Sapevo che i miei calcoli erano corretti e che Capitan Naftalina aveva bisogno di me»
«Diciamo che lo supponevi»
«La cosa dei calcoli o quella del fatto che Rogers fosse nei guai?».
Pepper inarca un sopracciglio, poi gli batte una mano sul petto e gli fa cenno di alzarsi.
Non lo sgriderà perché è andato ad aiutare un compagno di sventura.
«Ho mandato Happy a prendere dolci e ciambelle per la colazione. Tu e i tuoi amici avrete bisogno di carboidrati per giocare a qualsiasi cosa dobbiate giocare» gli dice.
«Questa cosa che ti figuri me e i miei compagni di squadra come dei bambini sono certo abbia un che di freudiano».
Saltellando su una gamba sola, Tony infila i pantaloni della tuta da ginnastica e poi si stropiccia il viso con le mani. Sente lo sguardo di Pepper ancora su di sé, è uno sguardo di attesa. La sua compagna sta aspettando parole che lui non sa bene come mettere insieme.
Alla fine, con lo spirito pragmatico che da sempre la contraddistingue, la signorina Potts decide di agire in modo più diretto.
«C’è anche lui, vero? Hai portato il Soldato di Inverno qui».
Tony spinge in fuori le labbra. «Mmh, sì. Ma non ti preoccupare, non lo avrei fatto se non fossi stato certo che è assolutamente innocuo e sotto controllo, sai l’errore di invitare pazzi assassini a casa nostra  non è il genere di cose sul quale sono recidivo»
«Non parlavo di questo. Mi chiedevo solo come stai, come stanno le cose».
Stanno che quel tizio è un fottuto cucciolo di panda con il potenziale letale di una bomba nucleare.
«Beh, il momento delle presentazioni non è stato dei più felici» ammette Tony con un sospiro, cominciando a gesticolare come se stesse esponendo una teoria di fisica quantistica. «E la sua esistenza mi trasmette un certo male di vivere latente. Tuttavia, una parte di me si chiede se sia giusto incolparlo per quello che ha fatto quando era sotto il controllo dell’HYDRA».
Pepper annuisce, con l’aria della maestrina soddisfatta. «Che altro?»
«È frustrante scoprire che i tuoi genitori sono stati assassinati e renderti conto che la vendetta non sarebbe giusta, anche se ce l’hai a portata di mano»
«La vendetta non è mai giusta. E tu sei migliore di così, per questo sono così fiera di te»
«Oh. Quindi anche se siamo pari con il senso di colpa posso sperare in una seduta di sesso come si deve?…».
Pepper gli lancia un’occhiata truce e si avvia fuori dalla stanza.
«… o almeno nella possibilità di avere dello shawardma per cena». 
Lei si ferma sulla soglia della porta, con una mano sul pomello. «Renditi presentabile per la colazione. Voglio conoscere i nuovi amichetti, altrimenti non ti mando a giocare con loro».
Tony resta a fissarla mentre esce e richiude la porta dietro di sé, il suo profumo che aleggia ancora nella stanza.
Sorride per un attimo prima di dirigersi verso il bagno a passo strascicato.
 
***
 
Quando apre gli occhi, il Soldato è quasi certo che Natasha lo abbia fatto svegliare con la sola forza dello sguardo, perché ora i suoi bellissimi occhi da gatta sono puntati sul suo viso e hanno la stessa eloquenza di armi cariche.
Ma lei è ancora raggomitolata al suo fianco, con il viso appoggiato sulla spalla, avvolta nel lenzuolo con un braccio a cingergli il petto.
Forse è ancora in tempo per uscirne vivo.
«Non sono certa di quello che ricordo» dice lei. «Ma so che hai delle risposte. È qualcosa che devi aver ricordato: da quando eravamo in viaggio verso la Scozia non riuscivi più a guardarmi in faccia».
Il Soldato si passa una mano tra i capelli, come se servisse a rimettere in riga i pensieri.
«Rispondimi» incalza lei, dandogli un calcio leggero da sotto le lenzuola.
«Sì. Sto solo cercando di capire cosa c’entrano le domande di stamattina con quello che è successo stanotte». Non trova un modo più garbato di dirlo, ma in genere il sesso e le domande esistenziali non vanno molto d’accordo, meno che mai per una donna. Non che Natasha Romanoff sia una donna comune, ma qualche parametro di normalità deve pur averlo, giusto perché la gente possa regolarsi di conseguenza.
«Dimmelo tu cosa c’entra». Lei non smette di guardarlo fisso.
«Ho qualche possibilità di uscirne incolume?»
«Non ti prometto niente».
Il Soldato le accarezza la schiena, è un gesto che gli viene automatico, non ha bisogno di pensare.
«Sono stato in Russia, ho lavorato alcuni anni per il KGB» dice. «In quello stesso periodo ti stavano addestrando. Fui io a completare il tuo addestramento».
Dice le cose essenziali. I particolari non sono necessari, i particolari sono pesanti come piombo e lei non ne ha bisogno.
Natasha serra le labbra, il suo sguardo si incupisce mentre i pensieri mettono a fuoco immagini che di certo preferisce dimenticare.
«Mi hanno… fatto qualcosa, gli ultimi anni. Hanno testato tecniche di manipolazione mentale e di manipolazione dei ricordi» mormora. «Stavo diventando indisciplinata, suppongo».
Non c’è bisogno di ricordarmi quanto io debba odiarli. Vorrebbe dirglielo, perché quelle parole gli fanno male, più male di tutto quello che l’HYDRA ha fatto a lui in tutti quegli anni.
«È stata colpa mia…» le dice.
«Cosa c’entra? Perché?»
Perché non ho mai avuto il coraggio di portarti via da lì, avrei dovuto ucciderli tutti e distruggere quella base di addestramento mattone dopo mattone.
Perché alla fine gli ordini mi sembravano sempre più importanti.
Perché tu mi amavi.
Perché non sono mai stato abbastanza.
Il Soldato respira lentamente, stringe il pugno tra le lenzuola. Sente la rabbia e la disperazione montagli dentro fino a quando Natasha non gli posa una mano sulla guancia, in una carezza che è la più dolce delle assoluzioni.
Come Stark, come lo stesso Steve, lei avrebbe il diritto di detestarlo, e forse anche il dovere di cancellarlo dalla faccia della terra. E invece, lei è dalla sua parte, nonostante tutto e lui non sa come rendere giustizia alle possibilità così grandi che tutti loro gli stanno offrendo.
«Ci eravamo innamorati. Lo tenemmo segreto finché potemmo, poi ci scoprirono e ci separarono» le dice. «Insieme  eravamo troppo pericolosi, la nostra relazione era un rischio».
Natasha si alza a sedere con uno scatto. Con una mano trattiene il lenzuolo a coprirsi il petto nudo e lo guarda in un modo che lui vorrebbe essere anche solo lontanamente capace di decifrare. 
«È stata colpa mia» continua il Soldato, sentendo l’impulso di alzarsi da quel letto e scappare e fare in modo che Natasha non debba mai più averlo attorno. 
Lei china il capo un istante, poi torna a guardarlo.
«Senti, io non sono brava con i discorsi e non so trovare parole convincenti per dirtelo» mormora. «Ma niente di quello che è successo in tutti questi anni è stata colpa tua»
«Vorrei che fosse così facile. Tutta quella gente morta… non importa se ero cosciente o no: quando affiora qualche ricordo, è sempre la mia mano quella che vedo premere il grilletto, è sempre la mia faccia che vedo riflessa nei loro sguardi»
«E allora devi solo darti il tempo di sostituire quei ricordi con altri migliori. Mi pare che al piano di sopra ce ne siano almeno un paio»
«Ce n’è uno bellissimo anche in questa stanza» si lascia scappare il Soldato, il sorriso che gli sale agli occhi prima che alle labbra.
Natasha si china su di lui per baciarlo e gli si stringe contro. 
«Solo, perché non me lo hai detto prima?» gli dice, quando si separano.
«Non volevo che fosse un peso da portare, nel caso non fossi stata pronta a farlo».
Lei annuisce, come davanti a una verità solenne, poi lo guarda negli occhi con aria quasi di sfida, si toglie il lenzuolo di dosso e si alza dal letto. Nuda e bellissima, si dirige verso il bagno. Si ferma sulla soglia e si volta a guardarlo da sopra la spalla.
«D’accordo, ma la prossima volta che ti verrà in mente di fare il cavaliere con me, non farlo. Non sono la principessina da adorare e vezzeggiare».
Mi permetto di dissentire almeno in parte. Ancora una volta, lo pensa ma non lo dice, non gli sembra il caso di mettersi a giocare con il fuoco.
Il Soldato resta disteso a guardare il soffitto. Non prova a pensare, sa che non ne sarebbe capace.
Lui che torna a casa, Natasha che torna da lui. E la guerra, che aspetta tutti loro di nuovo - perché sa che è così che andrà a finire, con il sangue e le macerie, quando troveranno la cellula dell’HYDRA ancora attiva. Sono tutte cose che la sua mente non riesce a mettere in fila.
Vorrebbe che il mondo finisse tra le pareti di quella stanza, che lui a Natasha potessero restare lì senza doversi preoccupare di nulla.
Perdere la pace è il prezzo da pagare per essere ciò che sono. È un prezzo che non hanno mai chiesto, ma né lui né lei conoscono altro modo di stare al mondo, ormai.
Natasha esce dal bagno, avvolta in un asciugamano. I pensieri del Soldato glielo hanno già sfilato di dosso, immagina di nuovo le sue mani su di lei e il suo corpo comincia a reagire a questo genere di pensieri.
«Immagino che ci aspettino a colazione» dice la donna, con noncuranza, cominciando a recuperare i vestiti dal pavimento.
«Una colazione con Stark: esattamente quello di cui avevo voglia».
Natasha si volta a guardarlo, inarca un sopracciglio con un’espressione smaliziata. «Compra sempre dei dolci buonissimi» conclude prima di tornare in bagno a rivestirsi.
 
***
 
«Dormito bene?» chiede Sam in attesa nel corridoio.
Sharon annuisce. «E tu hai dormito o hai rimuginato su quelli del piano di sopra?»
Lui le fa una smorfia.
La mattina è ancora grigia, l’aria appesantita e umida dalla notte di pioggia.
Quando imboccano l’ascensore, Sharon si guarda nello specchio incastonato nella parete di radica. Ha i capelli legati in una coda un po’ storta e gli occhi velati. Non è vero che ha dormito bene, ha dormito come qualcuno che sta steso sul bordo di un precipizio.
Era partita da Philadelphia insieme a Steve e Sam con in mente un’idea di avventura, niente che avesse a che fare con i pensieri romantici e ingenui dei suoi primi anni di addestramento, solo l’idea di una strada che, a prescindere da quanto sarebbe stata tortuosa, l’avrebbe in ogni modo condotta da qualche parte. Ora è praticamente tornata al punto di partenza e le sembra di non avere niente, niente fuori da lì, fuori da quel posto che comunque non è casa, da quei giorni che comunque non sono la sua vita. La sua vita e il suo posto nel mondo sono andati perduti tra le macerie del Triskelion, è un pensiero che solo in quel momento si manifesta in tutta la sua dolorosa eloquenza.
E poi c’è Steve.
Pensare a lui confonde solo di più le cose.
L’amore è un tiro di fionda, un sassolino scagliato lontano verso un futuro in costruzione. Non sai quale angolo di muro andrà a colpire, se centrerà una finestra e spaccherà qualche vetro oppure se colpirà qualcuno e lo farà sanguinare.
Quando la parola amore prende forma nella mente della ragazza, lei si sente mancare il terreno sotto i piedi. Il futuro le sembra solo un’ombra soffocante, e il sassolino scagliato dalla sua fionda non può fare altro che perdersi in quel buio.
«Hai intenzione di restare lì?». Sam la guarda da oltre la porta dell’ascensore, con una mano poggiata alla fotocellula per tenere aperto lo sportello automatico.
La voce di Tony Stark arriva alta e squillante dal centro dell’open space. Sta raccontando qualche aneddoto imbarazzante sul dottor Banner, approfittando del fatto che lui non sia lì ad arrabbiarsi.
Gli altri sono seduti attorno a un tavolino di vetro con sopra caraffe di caffè, latte e cartoni di ciambelle dalla glassa così perfetta da sembrare finte.
Sharon fa un rapido inventario dei presenti. Mancano Natasha e Bucky.
Steve la guarda al di sopra della spalla, le rivolge un sorriso che è il miglior buongiorno del mondo. Clint Barton, seduto vicino a lui, si alza per prendere del caffè e poi va a sedersi altrove, lasciando vuoto il posto accanto al Capitano.
Sharon si chiede se non sia questo il genere di cose che farebbe arrossire una ragazza appena un po’ meno smaliziata di lei.
«Ci sono delle tazze pulite nel mobiletto del bar, servitevi pure» dice Stark. Sembra meno esagitato del solito - dove per meno esagitato si intende vagamente meno somigliante a una scimmia sotto metadone.
La ragione di questo lieve mutamento avvenuto nel padrone di casa deve essere la donna dai capelli biondo rame che sta attraversando la stanza con una caraffa di acqua calda e un contenitore di bustine di tè. Pepper Potts non ha bisogno di presentazioni, quasi come il suo esuberante compagno, anche se Sharon e Sam elargiscono sorrisi e strette di mano d’ordinanza in risposta a i modi cordiali della donna.
La ragazza va a sedersi vicino a Steve, approfittando della gentile e arguta concessione dell’agente Barton. Lui le posa la mano sulla spalla in una carezza fugace e Sharon pensa che forse avrebbe dovuto dar retta a Bucky e intrufolarsi nella sua stanza la notte prima.
Sì, è facile essere coraggiosi quando si ragiona per ipotesi
«Oh, Bruce, grazie per esserti unito a noi!» esclama Tony, guardando in direzione della porta dell’ascensore.
Il dottor Banner fa il suo ingresso nell’attico con un paio di pantofole ai piedi. Si ferma nel mezzo della stanza guardando le teste che spuntano oltre la spalliera del divano come se nel corso della notte si fosse dimenticato della loro presenza lì, sembra persino un po’ imbarazzato per essersi presentato ancora in ciabatte, con il viso assonnato, poi però fa una specie di sorrisetto e avanza verso di loro, andandosi ad appollaiare sul bracciolo del divano accanto a Barton.
«Non ho buone notizie da darvi» annuncia, stringendo le labbra. «Non ho trovato ancora niente su Boston»
«Sono le otto del mattino, Bruce» osserva Stark, enfatico. «Cosa avevamo detto riguardo al non parlare di lavoro prima delle nove?»
«Credevo che questa fosse un’emergenza»
«Non lo è, nel senso che abbiamo altre cose di cui occuparci, prima di Boston».
Sharon sente Steve sospirare impercettibilmente accanto a lei. «Davvero? Quali?» domanda il Capitano, cercando di apparire paziente e conciliante.
«Oh, tanto per cominciare il braccino del tuo amico del cuore, Cap» bercia Stark aprendo i palmi delle mani come se stesse spiegando la cosa più ovvia del mondo - nella mente di Tony Stark deve esserci una definizione a parte di ovvietà e di altri concetti del genere. «Tu non vuoi mandarlo a fare a botte con il braccio che non si sa se funziona, o no?»
«Credevo che lo avessi aggiustato»
«Credevo di aver detto che lo avrei definitivamente sistemato una volta tornati a casa, ed è quello che ho intenzione di fare».
Steve incassa il colpo, annuendo dietro il bordo della tazza di caffè.
«Il sottinteso di tutto ciò è che siamo ben lontani dal vedere la fine di questo delirio?» domanda Clint Baroton, gettando all’indietro la testa.
«Oltre che un falco sei anche una lince, Legolas» lo rimbecca Stark.
«Non è una questione di quanto tempo ci serve, quello che mi interessa sapere è cosa fare» insiste Steve.
«A me sembra che al momento la priorità sia capire dove. Siamo certi che le informazioni su Boston siano esatte?» interloquisce Banner.
Devono esserlo. È tutto quello che hanno contro dei nemici che ancora una volta sembrano tenere il coltello dalla parte del manico.
Non è chiaro cosa l’HYDRA voglia fare con le tecnologie del progetto Avengers, ma il punto è proprio questo: con quelle potenzialità, potrebbe fare qualsiasi cosa e ora ci sono solo loro a cercare di evitarlo.
Sono tutti soldati che hanno battaglie alle spalle, ma non hanno più una bandiera sotto la quale raccogliersi se non il desiderio di rivalsa contro un nemico che ha tolto qualcosa a ognuno di loro.
Sharon spera che possa bastare.
Il trillo dell’ascensore annuncia che sta per aggiungersi almeno un altro nome all’appello in quella colazione diventata un brainstorming senza uscita.
Natasha e Bucky arrivano insieme e mentre si avvicinano al divano, un sorrisetto da stregatto arriccia le labbra di Stark. Il suo cervello deve essere come una molla carica sul punto di sparare una qualche battuta ma quando lui intercetta lo sguardo di Pepper gli occhi della donna sembrano portare scritto a caratteri luminosi e impossibili da ignorare le parole: non.osare.nemmeno.pensarci.
Stark potrà pure risparmiarsi una delle sue uscite pruriginose, ma la lampadina che gli si è accesa in testa è la stessa che si accesa anche nei pensieri di tutti loro.
A volte la vicinanza tra le persone e le sue implicazioni sono cose che si percepiscono a naso, e quei due hanno un modo di camminare vicini, alla stessa andatura, con le braccia che quasi si sfiorano, che la dice assai lunga. 
Sharon non ha bisogno di voltarsi verso Steve per indovinare il sorriso trattenuto che deve brillargli nello sguardo. E non ha nemmeno il coraggio di guardare l’agente Barton.
«Natasha, è bello rivederti». La signorina Potts si alza e va incontro all’agente Romanoff con un’aria neutrale che non si capisce se sia sincera o se sia solo la più perfetta delle maschere, ma il suo intervento solleva tutti dall’imbarazzo del momento.
Pepper posa una mano sulla spalla della Vedova Nera e le sorride. «È passato tanto tempo. Spero che non finisca come l’ultima volta» dice lei con uno dei suoi rari sorrisi davvero amichevoli.
«Beh, l’ultima volta è stato divertente. O almeno è così che mi piace ricordarlo».
Lo sguardo della signorina Potts si sposta sul Soldato, la sua espressione non muta. «Sergente Barnes, sono contenta di conoscerla».
Bucky dà sfoggio di tutta la sua cortesia d’altri tempi, di quello che c’è rimasto sotto la corazza del Soldato, e risponde al saluto di Pepper con un’espressione squisita. A riprova del fatto che riesce almeno a fingere di essere tornato parte di quel mondo. Di certo la notte appena trascorsa deve averlo messo di buon umore.
L’intervento della padrona di casa sembra aver rotto il giacchio, o almeno cominciato a scalfirne la crosta.
Quando per un assurdo caso dovuto alle precedenti disposizioni dei presenti sui divani, Natasha finisce seduta proprio in mezzo a Bucky e a Clint, Sharon pensa che non vorrebbe essere al suo posto per nessuna ragione al mondo.
«Stavamo parlando di te, poco fa» annuncia Stark, guardando Bucky in viso.
«Spero vi verrà a noia, prima o poi» borbotta lui.
«Mh, può darsi. Ma per adesso, siccome sono un uomo di parola e al momento pare non ci sia altro di costruttivo da fare, vorrei dare un’occhiata come si deve a quel braccio»
«Ti ricorderai di disattivare l’innesto nella spalla, stavolta?»
«Oh, farò molto di più. Lo stacco!».
Sharon ha la sensazione che Stark non si sia reso conto di quanto macabra debba apparire l’idea per chiunque abbia un cervello regolato sui comuni standard di normalità.
«Si stacca, vero?» incalza il padrone di casa.
Il Soldato è palesemente a disagio, ma Stark decide di ignorarlo. «Credo di sì».
La ragazza abbassa lo sguardo e vede la mano di Steve stretta in un pugno così saldo da far sbiancare le nocche.
«Sì, beh, penserai a i tuoi giocattoli un altro giorno, Tony» esclama il Capitano con un tono imperioso che sembra rendere l’aria più rarefatta. «Oggi Bucky è con me».
Il Soldato guarda Steve senza alcuna espressione particolare, ma nei suoi occhi passa una scintilla di gelo, un frammento di quell’inverno che deve essergli rimasto attaccato sotto la pelle. «Credevo che i tempi in cui qualcuno decideva per me fossero finiti» dice in tono monocorde.
Dai suoi occhi, il gelo sembra spandersi e calare su tutta la stanza. 
 

 
 
 
 
Note:
Sono viva! E quanto prima risponderò anche a tutte le recensioni che mi avete lasciato, intanto vi ringrazio.
Ho odiato questo capitolo, è venuta fuori una roba lunghissima che non sapevo come dividere, a meno di non pubblicare una cosa lunga chilometri. Perdonate se la prima parte suona un po’ “inconcludente”. 
La citazione iniziale è dal brano “About today” dei The National.
 A venerdì prossimo con l’aggiornamento. 
   
 
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