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Autore: clepp    26/07/2014    6 recensioni
Quel ragazzo era così... fisico. Preferiva esprimere a gesti ciò che voleva dire con le parole e quello era un aspetto di lui che a Gwen faceva impazzire. Lei era abituata a parlare, a confrontarsi con le persone, a litigare, urlare, sussurrare e discutere. Lui era il suo esatto opposto, così calmo e pacifico, così gentile, silenzioso delle volte e riservato, ma mai scontroso o schivo: era il perfetto equilibrio tra l’essere troppo e l'essere troppo poco.
SOSPESA
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti, Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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01
Superman

 




Le gambe di Gwen erano attorcigliate a quelle di legno dello sgabello posto di fronte al bancone della tavola calda in periferia. Il gomito poggiava sulla superficie piana - proprio sulla tavoletta bordeaux che si abbinava perfettamente alle sue converse - e sul palmo della mano aveva abbandonato il mento appuntito. Il piccolo locale non era affollato, gli unici clienti erano lei, due signori in giacca e cravatta seduti ad uno dei tavoli accanto alla finestra, una donna intenta a leggere un romanzo e un ragazzo con la forchetta in mano occupato a finire il suo pranzo.
L’attenzione di Gwen era puntata verso la sua amica bionda, Gretel, inginocchiata di fronte al figlio dalla stessa tonalità chiara di capelli, Josef. Forse per la scarsità di persone da servire o forse perché Gretel era morta dalla preoccupazione, si lasciò andare ad uno slancio di affetto e con impeto afferrò suo figlio per le spalle e lo strinse a se con forza, sussurrandogli parole di conforto, cercando di scusarsi per la sua assenza.  
Gretel era fatta così: avrebbe dato la vita per suo figlio, e per qualsiasi persona cara, e forse per lei non sarebbe stato ancora abbastanza. Aveva rinunciato alla sua adolescenza, agli studi, e ad una vita agiata per quel piccolo pargoletto, ma non rimpiangeva nulla di ciò che aveva fatto.
Gwen sorrise perché nonostante Gretel si spaccasse la schiena per Josef, poteva leggere sul suo viso il senso di colpa per non essere potuta stare accanto a lui durante quel momento di debolezza, anche se era paradossalmente occupata a lavorare per garantirgli un futuro.
«Gret,» la richiamò Gwen, dopo aver notato una smorfia di dolore comparire sul viso di Jo, ancora stretto nella morsa protettiva della  madre. «Lo soffocherai di questo passo.» l’avvisò, sorridendo a quella scena.
Josef si liberò dalla presa della madre e si sistemò la giacca che si era stropicciata durante quel caloroso abbraccio. Sorrise timidamente mentre zampettava verso lo sgabello libero accanto a Gwen, e Gretel tornava dietro il bancone.
«Ti ringrazio di cuore, Gwen.» ripeté per la ventesima volta, ed erano lì da soli cinque minuti. «E mi dispiace di averti disturbata mentre stavi studiando.»
Gwen trattenne un sorriso: quando le emozioni di Gretel si facevano più intense, come quando era arrabbiata perché non riusciva ad accendere la vecchia televisione della cucina, come quando era felice perché Josef portava a casa ottimi voti, o come quando si dispiaceva per aver caricato qualcun altro dei suoi problemi, il suo accento tedesco diventava ancora più marcato e talvolta le capitava di inserire nel discorso qualche parola della sua lingua madre. Era divertente, soprattutto per Josef che amava sentire parlare la madre in tedesco.
«Gretel,» Gwen sospirò continuando a tenere la testa appoggiata sul palmo della mano. «Ti ho già detto che quando si tratta di Josef, non c’è nulla che tenga. Non devi né ringraziarmi, né scusarti di niente.»
Gretel rise nervosamente, e cominciò a sistemare il bancone per tenersi occupata ed evitare di iniziare a straparlare. Josef lanciò un’occhiata eloquente a Gwen.
«Piuttosto, preparami una cioccolata calda per pranzo. Con doppia panna, devo tirare fino a questo pomeriggio.» chiuse le palpebre facendo finta di perdere l’equilibrio e addormentarsi, giusto per sottolineare il fatto che stesse morendo di sonno. Gretel si mise subito al lavoro.
Ancora un po’ scosso dall’attacco di panico di qualche ora prima, Josef cominciò a torturarsi le dita delle mani appoggiate sul bancone. Anche lui, come la madre, più cercava di nascondere la sua agitazione, più la metteva in mostra, solitamente tramite dei gesti nervosi o dallo sguardo timoroso, ma talvolta anche con una parlantina fluente e spesso inopportuna, simile ma mai ai livelli di quella della madre.
Gwen si voltò di scatto, gli occhi vagamente spalancati e l’espressione confusa. Josef si era rivolto al ragazzo seduto a qualche sgabello di distanza intento a mangiare il suo piatto di maccheroni e formaggio e gli aveva posto una domanda che non aveva fatto in tempo ad afferrare.
«Josef.» lo riprese sua madre, con le mani alzate in alto in procinto di afferrare una tazza dallo scaffale in legno. Si rivolse poi al cliente. «Non deve rispondere, se non vuole. Josef è soltanto curioso. La prego di scusarlo.»
Ed eccolo lì, l’accento marcato. Gwen si trattenne dallo scoppiare a ridere, dovette abbassare lo sguardo per non risultare maleducata e ricevere anche lei un’occhiataccia dalla mamma.
«No, no.» anche il ragazzo sembrava divertito, perché inghiottì il boccone che aveva in bocca e sorrise a Gretel come a volerla rassicurare. Gwen fissò lo sguardo in quello confuso di Josef, che non capiva cos’avesse fatto di così tanto brutto da essere ripreso in quel modo.
«Jo,» lo richiamò. «Cos’è che gli hai chiesto?»  sentì lo sguardo di ghiaccio di Gretel congelarle la guancia sinistra, che era quella rivolta a lei, ma non poteva farci niente se si era persa il motivo di tanta agitazione ed era troppo curiosa di saperlo.
«Josef, non ripeterlo.» Gretel lo fissò con decisione, e Josef rimase in silenzio. La sua migliore amica poteva essere la ragazza più dolce e timida della terra, ma quando si trattava di educare suo figlio, poteva diventare la madre più severa di tutte le madri severe mai esistite.
«Dai, Gret, me lo sono perso. Non puoi privarmene.» Gwen le lanciò un’occhiata supplichevole, con tanto di broncio, ma la bionda intensificò il suo sguardo che da ghiacciato divenne rovente.
«Mi ha chiesto cos’avessi sul braccio.» fu il ragazzo sconosciuto ad esaudire il suo capriccio, attirando la sua più totale attenzione. Lo sguardo di Gwen cadde automaticamente sulle braccia del ragazzo e ne rimase quasi delusa: non c’era nulla di particolarmente eclatante. Il muscolo del braccio sinistro era teso nel tenere in mano la forchetta, così da mettere in evidenza l’inchiostro scuro che disegnava ghirigori sulla sua pelle. Erano tatuaggi, semplicissimi tatuaggi che gli riempivano l’intero avambraccio, e forse anche la spalla, coperta dal maglione grigio. Gwen rialzò lo sguardo sul viso del ragazzo.
«Si, siamo tutti curiosi. Adesso vogliamo sapere cos’hai sul braccio.» disse, ironica, accennando un sorrisetto sarcastico. Josef ricambiò il sorriso, innocentemente, felice di aver trovato l’appoggio di qualcuno così da non essere l’unico bersaglio della madre.
Il ragazzo ridacchiò, appoggiando la forchetta nel piatto quasi vuoto.
«Li devi scusare. Non so chi dei due sia il vero bambino.» fece Gretel alzando gli occhi al cielo e ricevendo una linguaccia dall’amica che tornò ad appoggiare il mento sul palmo della mano, annoiata.
«Sono dei tatuaggi,» replicò lui, sempre più divertito, rivolto più a Josef che a Gwen, anche se il suo sguardo vagava tra entrambi. «Sono dei disegni o delle scritte che tu decidi di inciderti sulla pelle, e che rimarranno per tutta la vita.»
Josef spalancò gli occhi. «Cioè per sempre?»
L’altro annuì: «Si. Per questo quando decidi di fartene uno, devi esserne convinto. I tatuaggi non sono fatti per essere rimpianti.»
Gwen non capiva se quel giorno trovasse tutto uno spasso o se fosse troppo stanca per rimanere seria. Avrebbe voluto ridere per quel discorso tanto appassionato, neanche stesse parlando della pace nel mondo o delle cure per i bambini malati di cancro.
«Sei uno molto convinto.» intervenne Gwen, riferendosi alla ormai totale parte di inchiostro sul suo braccio che aveva coperto il rosa della sua pelle.
«Si, abbastanza.» rispose lui, guardandola.
Tatuaggi e discorsi appassionati a parte, Gwen doveva ammettere che non aveva mai visto un ragazzo tanto affascinante, ed era tutto dire dato che gli stava parlando mentre aveva la bocca sporca di maccheroni e formaggio.
Aveva grandi occhi color nocciola che ogni volta che si muovevano sotto la luce al neon dei lampadari, questa ne rifletteva sfumature diverse e gli illuminava il viso di una intensità quasi innaturale. I capelli erano lunghi e scuri e lasciati disordinati a cadere sulla fronte come se acconciati in quel modo avessero uno scopo ben preciso, ovvero quello di donargli una bellezza sciatta di cui evidentemente andava piuttosto fiero, perché altrimenti avrebbe potuto tranquillamente pettinarsi. I lineamenti del viso erano definiti e quasi perfetti, ma a Gwen sembravano fin troppo ossuti. In effetti, non sembrava affatto molto robusto, anzi: il maglione gli cadeva sulla schiena senza forma e le maniche risvoltate all’insu penzolavano lasciando due centimetri di vuoto.
Era attraente, certo, ma non attraente per Gwen. Non era il suo tipo, anche se non riusciva a fare a meno di fissarlo.
«E posso farne uno anche io?» Josef interruppe lo scambio silenzioso di sguardi tra loro due. Gwen spostò l’attenzione con uno sbuffo irritato, mentre l’altro tornò a concentrarsi sul ragazzino con un sorrisetto divertito, se possibile ancora più di prima. «Si, ma magari quando sarai più grande e avrai le idee chiare.» Gretel gli lanciò un’occhiata grata.
Josef sbuffò: «Ma io ho le idee chiare adesso. Credi che tra dieci anni non mi piacerà più Superman? Io non credo. Io amo Superman, e voglio farlo sapere a tutti!»
Gwen rise mentre affondava il cucchiaino nella panna della sua cioccolata calda che Gretel le aveva preparato in pochi minuti. «Josef.» lo richiamò la madre ma non potè aggiungere altro perché i due uomini in giacca e cravatta attirarono la sua attenzione. Al bancone rimasero solo il bambino, il ragazzo e Gwen.
«No no, non voglio mettere in dubbio il tuo amore per Superman solo... pensa se quando sarai grande vorrai tatuarti il simbolo di Batman o di Spiderman, o di Hulk. Non potrai farlo, altrimenti tradirai la fiducia di Superman. È questo che intendo con idee chiare. Prenditi del tempo per decidere, e tra qualche anno torna da me con il disegno del supereroe che ti vorrai tatuare. E io lo farò.» il ragazzo allungò il braccio tatuato e aprì la mano verso Josef, in attesa che il bambino sigillasse quell’accordo così strano. Josef ci pensò su un momento, indeciso sul da farsi. Alla fine, gli strinse la mano.
«Va bene, ma come farò a trovarti?» gli chiese arricciando il naso.
Il ragazzo infilò la mano nella tasca dei jeans e tirò fuori un pennarello nero. Prese il braccio di Josef e cominciò a scrivere dei numeri sul suo polso.
«E’ il numero del mio studio di tatuaggi. Corri a casa e segnalo da qualche parte per non dimenticarlo.» gli sorrise amichevolmente mentre rimetteva a posto la penna.
Josef saltò giù dallo sgabello, fissando con ansia il numero scritto sulla sua pelle.
«Gwen! Dobbiamo andare a casa!» esclamò, d’un tratto tutto felice e allo stesso tempo agitato.
«Ma, ho appena iniziato la mia cioccolata!» protestò lei, con la bocca piena di panna.
«Non c’è tempo, forza! Vado a salutare la mamma.» corse verso sua madre mentre Gwen sospirava affranta e fissava la sua cioccolata con malcelata malinconia.
«Credevo che questo fosse il modo per rimorchiare le ragazze, non i ragazzini di nove anni.» borbottò ironica, rivolgendosi verso lo sconosciuto che le sorrideva, - e con che sorriso!
«Allora stai attenta che non perda quel numero, se lo vuoi così tanto.» replicò, con altrettanta ironia. Gwen alzò gli occhi al cielo.
Afferrò la borsa, si infilò in bocca un’altra cucchiaiata di panna, e scese dallo sgabello.
«Grazie per avermi fatto sprecare il pranzo.» farfugliò, seccata. «A mai più rivederci, o perlomeno, a mai più rivederci all'ora di pranzo.»
L’altro fece un cenno con la testa, tornando ad occuparsi dei suoi maccheroni. «A presto.» e il sorrisino nascosto che Gwen gli vide comparire sul viso, le fece chiedere cosa ci trovasse di tanto divertente. Ma poi Josef la trascinò fuori dal locale, e tra fogli volanti, penne scariche e esami universitari, si dimenticò persino che faccia avesse. 

 






Buonasera a tutti!
Ho davvero pochissimo tempo perchè come al solito comincio a fare le cose troppo in ritardo senza tenere conto dell'ora e degli amici che mi urlano contro di muovermi. Ma, tornando alla storia, ecco qua il primissimo capitolo!
Allora, in realtà non c'è molto da dire. Ho deciso di aggiornare così presto perchè non volevo lasciarvi a bocca asciutta con solo il prologo. Tuttavia, le pause tra i prossimi aggiornamenti saranno un po' più lunghe ma, per chi mi segue su facebook (Clepp efp) pubblicherò qualche spoiler di tanto in tanto.
Comunque, è arrivato Zayn, finalmente. Cosa dire di lui? Prima di tutto voglio sottolineare che non sarà il solito ragazzo scontroso, e neanche il ragazzo tutto cuoricini e stronzate simili. Avrà un carattere abbastanza... particolare? si se si può definire così. Spero di riuscire a descrivere lo Zayn che ho in testa così da riuscire a farvelo apprezzare come lo apprezzo io.
E' apparsa anche Gretel che come ho precedentemente accennato avrà un ruolo importante nella storia :)
Volevo ringraziarvi di CUORE per il bellissimo welcome back che mi avete regalato, davvero, mi avete resa molto fecile! Appena avrò un secondo di tempo, risponderò ai vostri messaggi!
Un bacio, 
clepp





 
 
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