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Autore: Francesco Coterpa    27/07/2014    1 recensioni
Finché l'ultimo uomo non sarà salvo, la guerra rimarrà l'unica fonte di salvezza; l'ultimo spiraglio di luce nel mare di tenebre che offuscano la breve e vuota vita; l'unico desiderio al di sopra della propria sopravvivenza, che permette di sacrificare la propria anima perfetta per poter raggiungere una pace temporanea.
Genere: Guerra, Introspettivo, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità, Antichità greco/romana
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La spada era ancora lì, alta e splendente come la saetta di Zeus re degli dei dell'Olimpo. L'imperatore si chinò per prendere l'elmo lasciato prima cadere pesantemente e nel medesimo istante rinfonderò la spada con un movimento deciso e sicuro, degno della carica che portava il suo nome. Infilò l'elmo e come un attore, aperto il sipario, si accinge ad introdurre lo spettacolo, così fece lui per il discorso che stava per pronunciare. L'armata era immobile ed impaziente. Voltò il capo a destra e sinistra per vedere bene tutte la file di soldati, anche quelle che mantenendo una sguardo dritto e rigido non avrebbe potuto vedere per via della restrizione del campo visivo dato dalla struttura dell'elmo. Il mondo era pronto per ascoltare il discorso. Il primo discorso dopo la caduta. E forse l'unico.

Prese un gran respiro e socchiuse gli occhi, poi con tutta la voce e rabbia che aveva in corpo, urlò “La capitale è caduta!” I soldati rimasero immobili. E Per sottolineare il dolore che provava e la gravità del fatto urlò ancora “La capitale è caduta! La capitale è caduta!”

Nessuno si mosse. Nessun rumore.

In una delle ultime file un soldato alzò il possente scudo e fece un passo avanti facendo ricadere l'arma difensiva con violenza e urlando “No, non è caduta!”

Le parole furono chiare e distinte e non lasciavano margine di interpretazione. L'imperatore non si mosse e fisso il punto lontano da cui veniva la voce.

“La capitale è stata distrutta! Le mura sono cadute! I nostri fratelli sono stati uccisi!”

Alle parole dell'imperatore un altro soldato, questa volta di una delle file più vicine a lui, una delle prime, avanzò ed urlò “No, non è caduta!”

Il cielo si annuvolò ma nella piazza regnava ancora il silenzio, poi un altro uomo avanzò e ripeté le stesse identiche parole degli altri due con la stessa ferocia e precisione.

“L'occidente è stato preso! Le armate sono state distrutte!” disse ancora il capo dell'esercito a squarciagola.

Una ventina di soldati avanzarono e pronunciarono la frase “No, non è caduta!” Dai lati dell'armata iniziarono a tuonare i tamburi. Colpi secchi e decisi a ritmo costante.

“Uomini, donne, bambini e anziani sono stati uccisi! La nostra libertà è stata soffocata! Le nostre vite saranno le prossime a cadere negli oscuri inferi! Senza guerra moriremo senza onore e vivremo da codardi! Presto verranno a prenderci, tutti quanti!”

Centinaia di soldati ripeterono il gesto. Avanzarono ed urlarono all'unisono “No, non è caduta!”

Ora insieme ai tamburi i lancieri iniziarono a picchiare sul pavimento lastricato della grande piazza le armi, alzandole e scagliandole violentemente per terra. Il mare iniziò a muoversi, in parte per il vento, in parte per il suono delle armi e tamburi e forse anche per le parole che uscivano dai polmoni come proiettili scagliati senza nemico alcuno.

“Il nostro sangue! È il nostro sangue che bagna il terreno dei nostri avi e fratelli! Non il loro, non il loro! Abbiamo perso! Siamo stati le prede, scuoiati e martoriati come bestie! Noi siamo morti! Noi! Non loro!”

Quasi tutto l'esercito avanzò e ripeterono il mantra battendo anche gli scudi al suolo. L'atmosfera si era trasformata in poco tempo. Anche i due comandanti posti alle spalle dell'imperatore avanzarono, gettarono per terra gli elmi e urlarono con i soldati.

“Ogni nostro passo è già stato calcolato! Tutto quello che per decenni abbiamo conquistato è morto e sepolto sotto i loro colpi! Tutto è sparito! L'impero sta cadendo! Nessuno può più fermare la loro avanzata!”

Ora l'esercito intero e anche i due senatori avanzarono. La piazza esplose in un urlo fortissimo che persino in Caledonia avrebbero potuto udire. Il mare tremava e faceva oscillare le imbarcazioni già pronte per salpare. Il cielo era diventato grigio ma non pioveva. Il lastricato della piazza in alcuni punti si era frantumato dai colpi, e ridotto in piccoli sassolini che si alzavano ad ogni colpo scagliato contro il terreno. Alcune finestre delle case più vicine si staccarono e caddero, rompendosi.

Un ultimo colpo all'unisono, poi ancora il silenzio. Lo sguardo gelido dell'imperatore. I soldati indietreggiarono tutti di un passo. Si schiarì la voce poi mantenendo il suo sguardo impenetrabile disse a piena voce “Andiamo a riprendere Roma!” E nel contempo sfoderò nuovamente la spada, puntandola verso il cielo. L'esercito gridò più forte ancora di prima, come se fosse stato un unico meccanismo programmato, alzando gli stendardi e le armi a imitazione del gesto del capo dell'esercito. Nello stesso istante gli dei fecero tuonare le nubi, rompendo la monotonia del cielo.

“Preparatevi! La guerra ci aspetta!” poi l'imperatore si voltò ed entrò nuovamente nel palazzo mentre l'esercito con forte animo sciolse le file e ognuno si diresse in direzioni diverse, verso le rispettive caserme, per terminare in brevissimo tempo la preparazione e marciare sulla penisola. Le urla di eccitazione continuarono ad invadere la piazza.

“Vostra grazia, è stato un discorso memorabile. I bardi e i cantori racconteranno per i secoli a venire ciò che oggi e nei prossimi mesi accadrà! Della vostra futura ma vicina vittoria e...”

“Senatore, lei è davvero convinto che io possa battere, almeno in breve tempo, una intera armata e per di più non una semplice armata ma quella che ha distrutto la capitale e l'esercito d'occidente?”

“No, mio signore, cioè sì... speriamo tutti che lei vinca... senza tirare troppo i tempi... capisce, l'economia, il senato poi...”

“No, senatore non comprendo. Mi spieghi il perché. Perché dovrei affrettare una guerra come questa, rischiando di perdere definitivamente le terre dell'ovest e mettere in ginocchio le mie. Mi spieghi la prego.” Il passo dell'imperatore si arrestò e il suo possente corpo si voltò di scatto verso il corpo gracile dell'anziano che lo guardava intimorito dal basso all'alto.

“Vede mio signore, non possiamo permetterci di non avere un saldo controllo sulle terre dell'ovest per troppo tempo, come potremmo fare nel caso di rivolte o per la riscossione di tasse o il nuovo arruolamento della milizia.”

“Primo, lei mi sta facendo perdere tempo e io ho un esercito da portare alla vittoria, secondo, se in occidente scoppieranno guerre civili le soffocherò io stesso nel sangue, terzo, non possiamo pretendere tasse su territori che hanno già sofferto e pagato con le loro vite e di conseguenza non potremmo arruolare nemmeno giovani reclute, quarto, non mi importa nulla di voi vecchi bavosi del senato sempre in cerca di denaro e potere come avvoltoi in cerca di carcasse, e ora vada a dire ai suoi colleghi che per motivi di guerra il senato verrà sciolto fino a nuovo ordine e la reggenza verrà affidata al primo ministro.”

“Ma, mio signore... non credo sia una scelta saggia... penso che debba riflettere e prendere una decisione più razionale...”

“La mia prossima risposta sarà avere il suo sangue sulla lama della mia spada per aver ostacolato un mio comando diretto.”

Il senatore si voltò ed andò via borbottando tra sé e sé e gesticolando con le sue fragili braccia, poi sparì in fondo al corridoio.

L'imperatore invece continuò per la sua direzione verso le stalle per poter montare la sella al suo cavallo e raggiungere in seguito l'esercito. Era una delle tante cose che preferiva fare di persona senza alcun aiuto da altri.

“Perché la reggenza dell'impero è passata nelle mie mani?”

L'imperatore non sentii la voce che proveniva da una delle troppe diramazioni del corridoio che attraversava tutto il palazzo. Era troppo occupato con la mente, ed irato, per poter fare caso a una voce sola nel vuoto del labirinto.

Dalle grossa finestre vuote senza chiusure del palazzo si poteva intravedere il vecchio acquedotto. Un numero indefinito di pietre che una sull'altra formavano un capolavoro di ingegneria idraulica romana. Archi perfetti che poggiavano l'uno sull'altro e che permettevano la giusta distribuzione del peso su ogni arco fino allo scarico delle forze in terra. Perfetta inclinazione che permetteva di far defluire l'acqua pian piano verso il bacino di raccolta ed evitava al contempo di far depositare l'acqua e far deteriorare le pietre per corrosione.

Quale altro impero aveva costruito dopo la conquista. Solo il suo. Nessun re poteva sacrificare il proprio denaro, le proprie risorse e i propri uomini solo per avere in cambio un regno più grande e più attaccabile, dunque più nemici. Niente poteva mai mettersi a confronto con l'ingegno romano. Nessuno. Dalle colonne e i templi greci ai maestosi palazzi di Creta alle straordinarie piramidi d'Egitto, nulla era paragonabile alle straordinarie strutture nate dal genio romano. Palazzi, anfiteatri, acquedotti, strade, uffici, tribunali e quant'altro. Questo voleva dire avere un impero, avere tutte le terre sotto il proprio dominio giustamente abitate e stabili. Un impero non muore ma sopravvive per millenni, un regno invece decade, perché anche se più grande di un impero, tutti sono lasciati a sé, soli e senza risorse. Tutto è solo terra arida senza vita. Tutto è destinato a decadere nel giro di pochi anni, non appena la stabile reggenza decade o peggio, viene eliminata.

Una figura si impose dinnanzi all'imperatore costringendolo a fermarsi di colpo ed interrompere il flusso libero dei suoi pensieri.

La lunga barba bianca si confondeva con la tunica del medesimo colore, il maestro d'Atene era lì, davanti all'imperatore, e lo fissava con aria interrogativa, in attesa di qualche chiarimento, di una risposta che avesse potuto schiarire le scure nebbie della sua anziana mente.

“Mi scuso mio signore per averla interrotta, non era mia intenzione e so che il momento non è certamente dei migliori vista l'imminente partenza dell'armata ad occidente, ma devo chiederle e riferirle delle cose piuttosto urgenti.”

“Dimmi, ma in fretta, non ho tempo da perdere in parole.”

“Vede mio signore, penso di aver trovato il modo di vincere la guerra in un tempo relativamente breve, ma mi servirebbe un suo parere da soldato esperto quale lei è.”

“Parla.”

“Vede mio signore, penso che vi sia la necessità di inviare i corvi neri ad oriente e a sud, in Egitto e Mauritania, in questo modo forse potremmo avere non solo maggiori speranze di vittoria, ma anche tempi di guerra ridotti il che verrà a beneficio delle casse dello stato e richiederà meno soldati arruolati dall'impero centrale.”

L'imperatore rimase a pensare per qualche attimo fissando coi suoi profondi occhi lo sguardo vissuto del maestro.

Non poteva ignorare le sue parole, era consapevole dell'esperienza che aveva anche in campo militare il maestro d'Atene. Figura emblematica, misteriosa. Ricco di cultura quanto di strategie militari, alcune delle più grandi vittorie in oriente furono vinte solo grazie alle sue geniali trovate, che avevano permesso di portare a casa la vittoria anche in situazioni drammatiche o di netto svantaggio. Non si poteva non dargli retta, era una figura che ispirava fiducia e sicurezza, ma soprattutto consiglio.

“Sì, penso sia una scelta saggia, quando ha intenzione di inviare i corvi neri?”

“Mio signore, non sottovalutiamo il nemico, nonostante numericamente sia in svantaggio, non dobbiamo dimenticare che la capitale è pur sempre caduta.”

“Capisco, faccia come crede giusto, mi fido di lei.”

“Grazie signore per la sua fiducia, farò volare subito i corvi neri nelle zone che ritengo strategicamente più importanti e vedrà che andrà tutto bene, anzi meglio.”

“Lo spero per il bene di tutti.”

L'imperatore considerato finito il colloquio, passo avanti lasciando fermo dove era il maestro e continuò a camminare verso le stalle.

“Un'ultima domanda mio signore.”

L'imperatore arrestò il passo a circa sette metri dall'anziano, voltati entrambi di spalle. Il silenzio dell'imperatore voleva dire che lo stava ascoltando e poteva parlare.

“Perché mi ha nominato primo ministro a pieni poteri?”

L'imperatore accennò un sorriso e senza proferire parola riprese a camminare verso la sua destinazione. Il maestro si voltò a lo vide poi sparire svoltato l'angolo del corridoio, poi si incamminò anch'egli.

  
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