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Autore: lucabovo78    28/07/2014    1 recensioni
« La magia è dentro di noi, fa parte della nostra natura. Dobbiamo solo trovare il modo giusto per usarla. »
Se la magia fosse una cosa naturale come respirare, tutti sarebbero in grado di usarla. Invece, questo "privilegio" è affidato a pochi individui, dotati di grande potere e chiamati Stregoni.
Questa è la storia di un giovane stregone e del prezzo che dovrà pagare per questo potere.
« Non è bene sottovalutare le trame del destino, potrebbe rivoltarsi contro di noi. »
Copyright © 2013 Luca Bovo, tutti i diritti riservati
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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35. Risvegli e incubi

   Lucius si risvegliò di soprassalto. Era confuso e frastornato, si mise a sedere e si guardò intorno, era in una stanza del castello disteso su di un letto ed era notte fonda. Cos’era successo? Poco alla volta i ricordi si fecero largo nella sua memoria. Ricordava di aver pronunciato il giuramento dei Cavalieri poco prima di veder spirare il comandante Nicodhem, poi era caduto allo stremo delle forze e si era convinto di essere sul punto di morire. 

   Evidentemente non era così. 

Si tastò il ventre ed ebbe un sussulto: la ferita era scomparsa. Probabilmente uno degli stregoni lo aveva curato, anche se pensava che non ne fossero in grado. Non sapeva come doveva sentirsi, felice per essere ancora vivo? Aveva perso tutto, suo padre era morto insieme all’unica altra persona alla quale avrebbe dedicato la vita, il Comandate. Cosa gli rimaneva? Probabilmente non sarebbe neanche potuto tornare dai suoi compagni Dieber, aveva fatto la sua scelta restando al fianco di Nicodhem, quindi era equivalente a una diserzione. Forse, sarebbe stato meglio se fosse morto anche lui. Cercò di mettersi a sedere ma la testa gli girava. Una voce alla sua destra lo fece sobbalzare.

   «Vacci piano, ragazzo. Ti ricordo che hai perso moltissimo sangue».

Un imponente uomo inarmatura grigia era seduto su una sedia, nella penombra a poca distanza dal letto. Appoggiata di traverso sul suo petto, una lunga lancia brillava nella semioscurità. Poi ricordò, era lo stregone che accompagnava i due ragazzi.

   «Pensavo di essere morto, ti ringrazio. Qual è il tuo nome?»

Disse con tono poco convincente.

   «Mi chiamo Boid, ma non è me che devi ringraziare, io non sono in grado di curare le persone, come tutti gli stregoni del resto. Sei ancora vivo grazie alla ragazza».

   Lucius si passò le mani sul volto, per cercare di scuotersi dal torpore e per combattere i giramenti di testa.

«Sephyr? Non mi avevano detto che era una curatrice, sapevo che era una mezzosangue, per cui non credevo potesse avere il dono delle sacerdotesse di Aglarfuin, nonostante fosse la figlia di Deliah».

   «Non è una curatrice, ma molto di più».

«Cosa significa?»

   «Per il momento non è importante, spiegherò tutto anche a te. Ora sei l’ultimo Cavaliere di Caputargilis e hai giurato di servire e proteggere quei due giovani, quindi ne hai il diritto. Ora però riposati e recupera le forze, ne avrai bisogno. Su quel comodino c’è del cibo, se vuoi. Partiremo all’alba».

   Detto questo, si alzò e si avviò verso la porta. Poco prima di uscire, si fermò e si rivolse di nuovo al giovane.

«Ora hai di nuovo un compito da assolvere. Non desiderare la morte prima del tempo, la tua ora non è ancora giunta».

   Lucius lo guardò chiudersi la porta alle spalle e dopo disse tra se e se, sorridendo amaramente.

«Sono l’ultimo cavaliere di Caputargilis…mio padre ne sarebbe felice…»

   Sentì lo stomaco lamentarsi, aveva dimenticato da quanto tempo non mangiava, per cui azzannò con gusto la carne secca e il pane che lo stregone gli aveva lasciato, dopodiché si scolò quasi tutta la caraffa d’acqua. Dopo essersi nuovamente disteso, cadde in un sonno profondo senza sogni.

   Lind non riusciva a dormire, nonostante fosse esausto. La battaglia lo aveva svuotato di ogni energia e gli era stato difficile persino togliersi gli stivali e stendersi sul letto. Sephyr, invece, si era addormentata di colpo appena aveva messo la testa sul cuscino. Boid aveva portato Lucius in un’altra stanza e loro due si erano sistemati in quella per riposare, dopo che la situazione si era “tranquillizzata” ed erano sicuri di non aver altra compagnia indesiderata nel castello. Avrebbero voluto dare subito degna sepoltura a Nicodhem, ma la stanchezza e il buio avevano fatto loro optare per rimandare la cosa al mattino seguente, nel frattempo avevano composto il corpo del comandante sul grande tavolo della sala del trono, coprendolo con uno dei vessilli che la ornavano. Sephyr non aveva più proferito parola da quando aveva guarito Lucius, evidentemente scossa dagli ultimi avvenimenti. Come darle torto, d’altra parte, rischiare di essere uccisi da un’orda di morti viventi, vedere una persona a te cara tramutarsi in un qualche mostro, veder morire la persona che ha segnato la tua esistenza dopo che era stata trasformata a sua volta in un morto vivente e, dulcis in fundo, scoprire di essere in grado di compiere incantesimi, non erano emozioni così semplici da smaltire prese singolarmente, figurarsi se messe tutte insieme nell’arco di una giornata. Lind l’aveva presa per mano e lei si era fatta guidare docilmente fino alla camera, dopodiché si era stesa ed era piombata nel sonno. Ora il ragazzo la osservava dormire, disteso di fronte a lei. Una miriade di pensieri gli giravano per la testa, c’erano troppe cose oscure e misteriose che incombevano su di loro e non vedeva l’ora di poter interrogare Boid su molte di queste, ma guardare il suo viso addormentato e sentire il suo respiro caldo sulla pelle gli donava tranquillità. Avrebbe voluto essere con lei a centinaia di chilometri da li, solo loro due. In un posto dove non ci fossero stregoni, simbioti, sigilli e misteriosi demoni, avrebbe aspettato che si svegliasse, l’avrebbe baciata e avrebbero fatto l’amore fino a stancarsi, poi si sarebbero alzati, lui le avrebbe preparato il caffè e avrebbero deciso insieme su come trascorrere la giornata, così, senza preoccuparsi di nulla. Per la prima volta nella sua vita, odiava il suo destino. Odiava il “dono” di essere uno stregone. Fino a quel momento ne era stato orgoglioso, sapere di essere in qualche modo superiore alle altre persone lo faceva stare bene. Forse per un senso di rivalsa verso quelli che lo trattavano come un "diverso" o forse per semplice superbia. D'altronde, chi non sarebbe felice di avere un grande potere? Ora, però, quel potere lo aveva portato a rischiare la vita di una persona che amava. Forse, se fosse stato un ragazzo come tutti gli altri non si sarebbero mai incontrati, questo era vero, però almeno lei sarebbe rimasta nel suo villaggio, al sicuro. Shayra gli aveva detto una volta che amare significa prima di tutto mettere il bene dell'altro davanti al proprio, forse era questo che intendeva e in questo momento se ne rese conto definitivamente. Amava quella ragazza, come non avrebbe potuto amare nessun'altra. Una ciocca di capelli le cadde di traverso su una guancia, con la mano lui la spostò lentamente, accarezzandole la pelle con il dorso delle dita. Nel sonno, lei sorrise dolcemente a quel contatto. Dopo qualche istante, però, corrugò la fronte e piegò le labbra in un’espressione spaventata, un incubo? Cominciò ad agitarsi e a sussurrare parole dapprima senza significato, poi disse con tono chiaro “Lind…no!”. Stava sognando il Rakhoon. Le passò il braccio sulle spalle e la strinse a se. Inconsciamente, lei gli afferrò un lembo della camicia e la strinse nel pugno, affondandogli il viso sotto il mento. Il suo respiro tornò regolare e si calmò. La baciò sulla fronte e le sussurrò piano, per non svegliarla “Scusami…mi dispiace”, dopodiché cadde anche lui in un sonno profondo.


   Boid, dopo aver lasciato Lucius, era uscito e si era diretto verso la zona posteriore del castello. Lo spettacolo che si trovò di fronte era terribile. Aumentò l’intensità dell’incantesimo luminoso per vedere meglio, la notte era oramai inoltrata e la luna, coperta da una delle torri, non illuminava quella zona. Di quello che doveva essere stata una antica cappella non rimaneva che un ammasso di pietre, sparse nell’arco di alcuni metri, in mezzo alle quali si vedeva una voragine che un tempo doveva contenere le scale per scendere nei sotterranei. Lo spiazzo che si trovava di fronte alla costruzione sembrava devastato da un terremoto di proporzioni epiche, le rocce erano divelte dal terreno e da sotto di esse spuntavano arti umani, la terra era scura e intrisa del sangue delle vittime.

   «Che potenza spaventosa…»

Disse tra se e se, provando un brivido al pensiero dello spettacolo tremendo al quale avevano dovuto assistere quei poveri soldati, prima di essere schiacciati sotto il peso di quelle pietre. Avanzò lentamente in quello scenario desolante, dirigendosi verso la voragine. Giunto sul bordo constatò che oramai era impossibile scendere, le scale erano distrutte. Pensò che, tanto, quello che vi era custodito non c’era più e quindi, anche se ce ne fosse stata la possibilità, sarebbe stato inutile scendere. Quello che gli interessava ora era ben altro. Si guardò intorno per un po’, smuovendo la polvere con i piedi, finché a un certo punto scorse un luccichio e un sorriso si disegnò sul suo volto.

   « Eccoti qui! »

Si chinò e raccolse quello che stava cercando, lo rimirò per qualche istante alla luce per essere sicuro di non sbagliarsi, poi lo mise in una piccola bisaccia che aveva appeso alla cintura e si riavviò verso il castello.


   La signora Vinn non poteva credere ai suoi occhi. Era sparita. La statua del sindaco senza nome, così l'avevano battezzata gli abitanti di Pineswood, era scomparsa nel nulla, rimaneva solo il piedistallo in pietra. Chi poteva aver fatto una cosa simile? E perchè poi...l'ultima "versione" della statua era anche, a detta sua, discretamente pacchiana...o forse era solo colpa di chi rappresentava...comunque, cosa se ne poteva fare qualcuno di quella tonnellata di vecchio metallo a forma di sindaco? Non riusciva a spiegarselo.

  
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