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Autore: _pat__xD    28/07/2014    0 recensioni
Storia originale. I personaggi, caratterialmente, sono completamente inventati, ma ogni personaggio, almeno quelli principali, avranno un presta volto, ovvero un personaggio famoso al quale mi sono ispirata per descriverli fisicamente.
La protagonista è una ragazza che non ha fiducia, né stima, in se stessa e che il suo modo di chiudersi in se e di nascondersi, la porta a diventare una secchiona, giudicata "sfigata" dalle persone che la circondano.
Tratto dal primo capitolo: [...] in quella parola, vedevo me. Da sempre si era utilizzata la parola “secchiona” per indicare una ragazza che, invece di sbavare sui calciatori e sulle riviste di moda, preferiva leggere e studiare realmente, per prepararsi ai duri esami che dovrà affrontare, sia a scuola, che nella vita.
Tratto dal secondo capitolo: «Amore, che succede?» [...] la superai e andai in camera mia, urlandole dietro parole incomprensibili [...] «Ragazzo...porta...mutande...oddio!» [...] «Mike Hakim, ho finito di trasferirmi ieri», si presentò, sorridendogli in modo educato [...] «Mi scusi, non stavo ascoltando» [...] Erano tutti shockati e mi guardavano con quella stessa aria sconvolta che aveva il mio professore.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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The school notebook

                                Capitolo Due.

Driiin.
No, sicuramente era solo un brutto sogno. Nessuno verrebbe mai a dar fastidio a quell'ora del mattino. Come facevo a sapere che era presto? Semplicemente perché la sveglia non era suonata ancora. Era matematicamente impossibile che non l'avessi sentita, perché io non avevo una sola sveglia, ne avevo tre, messe attorno al mio letto. In più, se entro cinque minuti non mi ero svegliata, veniva a chiamarmi mia madre e sicuramente lei non era tanto dolce, quando doveva svegliarmi.
Driiin.
Ancora quel dannato citofono, ma, chiunque fosse, non aveva un orologio? O un po' di pietà per quei poveri disgraziati che ancora dormivano? Era sabato, a maggior ragione volevo stare a letto il più possibile, soprattutto perché quel giorno saremo entrati a scuola con un ora di ritardo, ma forse chi era passato a rompere non ne aveva idea.
Driiiiiiin.
Possibile che, davvero, non si potesse stare tranquilli neanche a prima mattina, a casa propria? Mugugnai qualcosa di sicuramente incomprensibile, poi tolsi le coperte con uno scatto e scesi dal letto; a piedi nudi uscii dalla mia stanza, rischiando anche di cadere rovinosamente dalle scale, anche se, fortunatamente, rimasi in piedi. Sospirai pesantemente, poi sbadigliai e, passandomi una mano fra i capelli, che portavo sciolti solo quando dovevo dormire, andai ad aprire. La mia mano si strinse attorno alla maniglia e, con un piccolo strattone, aprii la porta. Avevo gli occhi socchiusi, quindi non mi resi immediatamente conto di chi fosse.
«Uhm...buon giorno», disse una voce maschile. Se fossi stata anche un pizzico più sveglia di quanto non fossi in quel momento, probabilmente, mi sarei resa conto del tono malizioso che aveva usato il ragazzo. Sospirai e aprii gli occhi, passandomici prima una mano sopra, per riuscire a guardare meglio. Di fronte a me si trovava un ragazzo, probabilmente di un anno in più di me, dalla carnagione abbronzata – anche se ancora non riuscivo a connettere abbastanza da esserne sicura –, dagli occhi scuri e capelli castani. Insomma, l'uomo nero.
«Buon giorno», sussurrai, con la voce ancora impastata dal sonno, poi aggrottai le sopracciglia. Fortunatamente mi svegliavo più velocemente di mia madre, così mi resi conto che lo sguardo del ragazzo stava indugiando un po' troppo sul mio corpo. Abbassai il capo, guardandomi, e, in quel momento, sgranai gli occhi, arrossendo di colpo. Non ero abituata a cose così improvvise, così, senza ragionare, feci la prima cosa che mi era venuta in mente: gli chiusi la porta in faccia e scappai di sopra, sbattendo contro mia madre, la quale era appena uscita dal bagno, lavata, vestita e profumata.
«Amore, che succede?» Chiese, confusa, vedendomi completamente rossa in volto. Io la superai e andai in camera mia, urlandole dietro parole incomprensibili, fra le quali qualcosa che suonava molto così: «Ragazzo...porta...mutande...oddio!» Si, effettivamente detta così non si capiva molto bene. Il punto era che quando andavo a letto ero un'altra, come mi “vestivo”, infatti indossavo una magliettina bianca, semplice, con un fiocchetto rosso sul lato sinistro, mentre giù...indossavo solo degli slip rosa, con disegnati sopra dei cuoricini. Entrai in camera e, velocemente, tirai fuori i vestiti che avrei messo quel giorno per andare a scuola, ancora completamente rossa in volto, mentre il cuore batteva forte per l'imbarazzo. Un ragazzo mi aveva vista mezza nuda. Un ragazzo sconosciuto, mi aveva vista mezza nuda. Ed io? Oddio, io gli avevo sbattuto la porta in faccia! Speravo solo che mia madre avesse capito qualcosa e fosse andata ad aprire.

Scesi le scale con una lentezza quasi inumana, mordendomi forte il labbro inferiore e torturandomi le mani. Avevo paura di trovarmi di fronte il ragazzo di prima e, effettivamente, facevo bene ad avere quella paura, perché appena raggiunsi il soggiorno lo vidi lì, seduto comodamente sul divano, mentre chiacchierava con mia madre, la quale era sorridente e amorevole come sempre. Chissà se le avesse raccontato cos'era successo. Conoscendo mia madre era più probabile che fosse stato il contrario, quindi che lei avesse detto al ragazzo in che stato ero quando ero salita in camera. Mi schiarii la voce, interrompendo così il loro discorso, le loro risate. Entrambi si voltarono verso di me e mia madre mi sorrise, dolcemente. Lo sguardo di quel ragazzo era penetrante, insistente, e non potei fare a meno di arrossire.
«Amore mio, lui è Mike, il figlio della famiglia che si è trasferita ieri, di fronte a casa nostra», mi spiegò mia madre, mentre io mi limitai ad annuire. Sapevo perché mi stava guardando tanto, lui. Forse si chiedeva dove fosse capitato, o il perché gli avessi sbattuto la porta in faccia. O semplicemente stava cercando di stamparsi in mente l'immagine di me vestita, in modo da scacciare l'orribile visione di me mezza nuda. Ero completamente differente da come mi aveva visto poco prima, infatti i miei capelli erano, come al solito, legati in una coda alta, sul mio volto c'erano quei grandi occhiali dalla montatura nera; indossavo una felpa enorme e, soprattutto, avevo i pantaloni. Il ragazzo si alzò e, piano, si avvicinò a me, porgendomi la mano, accennando un piccolo sorriso divertito, guardandomi in volto, anche se io continuavo a distogliere lo sguardo. Mordendomi il labbro, e in modo quasi impaurito, gli strinsi la mano, deglutendo subito dopo.
«Mia madre mi ha detto che era meglio iniziare a fare amicizia con i vicini, così sono venuto qui. Mi dispiace per il piccolo incidente di prima», disse, ma si sentiva benissimo che, dal tono di voce, stava cercando di non mettersi a ridacchiare. Finalmente posai il mio sguardo sul suo volto e sospirai, arrossendo leggermente. Come avevo immaginato, il suo sorriso non diceva nulla di buono, anzi, era come se non gli fosse dispiaciuto affatto, l'incidente di poco prima. Tutto quello che speravo, in quel momento, era che la fortuna non fosse contro di me e che non avrei dovuto rivedere più quel ragazzo, a parte qualche incontro casuale uscendo dalla porta.

«Sai, piccola, Mike mi stava dicendo che oggi è il suo primo giorno di scuola e indovina dov'è iscritto?» Fece mia madre, con un sorriso raggiante, come se nella sua mente io potessi essere felice per ciò che mi stava per dire. In realtà, in quel momento, l'unica cosa alla quale stavo pensando era questa: ti prego, non dirlo. «Alla tua stessa scuola, poco lontana da qui! Non ti sembra meraviglioso?» Continuò, ignorando ogni mia piccola preghiera. Forse perché non aveva idea che, dentro di me, stavo sperando con tutta me stessa di non dividere la stessa scuola con il mio nuovo vicino che, già dal primo giorno, mi aveva vista mezza nuda.
Deglutii, mordendomi il labbro inferiore, con forza, mentre mia madre mi guardava con quel sorriso gioioso, aspettando soltanto un mio commento altrettanto felice; Mike, invece, mi osservava con un sopracciglio alzato e, sul volto, un sorriso divertito.

«Si...meraviglioso», dissi infine, forzando un sorriso, poi deglutii e abbassai il capo, imbarazzata, mortificata. Si, certo, meraviglioso. Era meraviglioso avere a scuola l'ennesimo idiota che, sicuramente, non avrebbe perso tempo prima di andare in giro a dire di aver visto la secchiona in mutande, raccontando di quanto fosse orrenda, una visuale sicuramente da dimenticare.

 

Mia madre. Io amavo mia madre, davvero, ma iniziavo a non sopportarla molto, nei momenti in cui se ne usciva con idee che per lei erano brillanti, ma per me un po' di meno. Ad esempio? Beh, ad esempio, quella mattina, aveva avuto la geniale intuizione che mi avrebbe fatto molto piacere andare a scuola in compagnia di Mike.
«Piccola mia, avevo pensato...» iniziò mia madre, facendomi deglutire lentamente. Sapevo benissimo che, come ogni volta che iniziava una frase in quel modo, mi stava per chiedere qualcosa che, in realtà, non avevo la minima voglia di fare. «...visto che Mike è nuovo, avrei pensato che potresti accompagnarlo a scuola. In fondo faresti lo stesso quella strada, no?» Concluse, con un enorme sorriso stampato sul volto. Sgranai gli occhi e deglutii ancora una volta, sentendo il panico impadronirsi di me. Dovevo trovare una scusa e in fretta.

«Sarei veramente felice di avere la tua compagnia». Perfetto, ora ci si metteva anche lui a dare man forte a mia madre, adesso chi la fermava più?
«Mi...mi sembra un idea...» iniziai, mordendomi con forza il labbro inferiore, mentre, disperatamente, cercavo un qualsiasi motivo per dire di no. «Mi sembra un ottima idea», sussurrai infine, sospirando sconfortata. Alla fine la mia mente geniale non era stata in grado di togliermi da questa brutta situazione.

Almeno una cosa buona, in quella mattinata, c'era: il cielo era limpido, il sole era alto e illuminava ogni cosa, mentre le nuvole che occupavano quello spiazzo azzurro erano bianche e donavano una sensazione di pace, almeno quello era l'effetto che facevano a me. Deglutii lentamente, abbassando lo sguardo, notando che il ragazzo, ancora, mi stava guardando. Cosa trovava di tanto interessante, non riuscivo a capirlo. Forse stava semplicemente pensando a qualche modo per prendermi in giro, come facevano tutti quelli che conoscevo, escludendo Leroy.

«Non parlare tanto, potrebbe fumarti la lingua», disse ad un certo punto il ragazzo. Mi voltai verso di lui, confusa, aggrottando le sopracciglia. Sul suo volto si dipinse un piccolo sorriso divertito. «Era solo una battuta», precisò, ma io non dissi una singola parola. Mi limitai a sospirare e a distogliere lo sguardo, notando che, per fortuna, la scuola non era molto lontana. Il silenzio tornò fra noi due ed io lo sentii chiaramente sbuffare, mentre portava le mani nelle tasche dei pantaloni, uscendone, poco dopo, una sigaretta e portandosela alle labbra.

«Potresti evitare, per favore?» Chiesi in un sussurro, sentendo la voce uscire lenta, insicura, come ogni volta che parlavo con qualcuno che non facesse parte della mia famiglia. E Leroy, ma lui era un caso a parte. Mike si voltò verso di me, alzando un sopracciglio, poi accennò un piccolo sorriso e, lentamente, spostò la sigaretta, mettendola dove stava poco prima. Era strano, che lo avesse fatto, solitamente nessuno prestava attenzione a quello che dicevo, facevano sempre di testa loro.

«Allora non avevi improvvisamente perso l'uso della parola», mi disse, ridacchiando, facendomi arrossire. Ma poi per cosa? Non c'era alcun motivo per far si che le mie guance si tingessero di rosso. Insomma, aveva solo fatto una battuta. E mi aveva guardata dritta negli occhi, facendomi notare che i suoi non erano poi così banali come avevo pensato quella stessa mattina, osservandolo con gli occhi di chi sta morendo di sonno. Anche se c'era quel piccolo particolare, non trovavo ancora un motivo valido per il mio rossore. Forse era perché quelle labbra erano piegate in un sorriso divertito. Solo quello vedevo nel suo sorriso, divertimento e nient'altro. E non era un bene? Assolutamente, però non ero abituata e forse era quello il motivo per il quale, stupidamente, ero arrossita.

«Liz!» Una voce, fortunatamente, mi chiamò da poco lontano, così mi fermai e mi voltai, sorridendo appena nel vedere un Leroy che, tutto trafelato, cercava di raggiungermi. Indossava dei semplici jeans e una maglietta bianca. Doveva aver fatto di fretta, visto che aveva infilato solo una manica della giacca e il resto stava penzolando, mentre i capelli erano arruffati. Una piccola risatina sfuggì alle mie labbra, mentre portavo una mano a coprirmi, come se non volessi farmi vedere. «Liz, aspetta», continuò, raggiungendoci, respirando a fatica. Casa sua, a differenza della mia, era un po' più lontana dalla scuola e farsela a piedi era già difficile, figuriamoci se uno si metteva anche a correre. «Ho perso l'autobus», spiegò lui, deglutendo. Ammiravo Leroy anche per il fatto che, seppure avesse corso così tanto, si riprendeva facilmente.
«Lo avevo immaginato, ce l'hai la faccia di uno che ha perso l'autobus», lo presi in giro, mentre lui mi scoccava uno sguardo omicida, sguardo che, ben presto, si trasformò, spostandosi sul mio nuovo vicino di casa, il quale era stato al mio fianco tutto quel tempo.

«Posso sapere chi è?» Mi chiese, confuso, ed effettivamente potevo capirlo: non mi aveva mai visto in giro con nessuno, figuriamoci se, improvvisamente, camminavo al fianco di un ragazzo come quello, senza avergli raccontato nulla, poi.
«Lui è...», iniziai, ma venni interrotta presto dal ragazzo.
«Mike Hakim, ho finito di trasferirmi ieri», si presentò, sorridendogli in modo educato, porgendogli la mano, per poterla stringere. Possibile? Forse mi stavo sbagliando su quel ragazzo, forse non era un cretino come tutti gli altri. Non se n'era ancora uscito con un “Bella, fratello!” o con un “Come butta, amico?”, molto stile Bugs Banny. Detestavo quella specie particolare di ragazzi, era come se non avessero la minima idea di cosa fosse l'inglese e lo uccidevano ogni qual volta che aprivano bocca. Leroy gli strinse la mano, ancora non del tutto convinto dal ragazzo che aveva di fronte. Non sembrava, ma era molto geloso di me, una volta confessò che, per lui, ero come una sorellina da proteggere, alla quale non bisognava torcere un capello.

«Leroy Stevens, sono il migliore amico di Liz», si presentò a sua volta. I loro occhi erano come se si stessero fondendo, nessuno dei due aveva intenzione di distogliere lo sguardo o di spostare la mano ed io, personalmente, non riuscivo a capire cosa stesse accadendo.
 

Per la prima volta in tutta la mia vita, non stavo ascoltando. E non era una semplice chiacchierata con Leroy o con mia madre, no. Quella era la lezione di matematica ed io non avevo prestato attenzione, neanche ad una singola, piccolissima parola uscita dalle labbra del professore. Mi limitavo a guardare la lavagna, muovendo la penna su e giù, tenendola stretta fra l'indice e il pollice della mano destra. Non avevo la minima idea del perché non stessi prestando attenzione, forse, semplicemente, quel giorno non avevo voglia di studiare, a volte poteva succedere anche a me, giusto? In fondo ero un essere umano, anch'io potevo avere certi momenti, anche se non succedeva molto spesso..

«Signorina Jenkins», mi richiamò il professore. Nel momento in cui mi voltai verso di lui, tornando con i piedi per terra, potei notare il suo sguardo, preoccupato e stupito, come se improvvisamente fossi diventata una schifosa aliena verde con trenta teste, completamente pelosa e a chiazze viola.

«Mi scusi, non stavo ascoltando», risposi in un sussurro, quasi senza rendermene conto, accorgendomi subito dopo che, quella mia singola affermazione, aveva scatenato le reazioni più assurde, in quella classe. Erano tutti shockati e mi guardavano con quella stessa aria sconvolta che aveva il mio professore. Meredith, addirittura, aveva fatto cadere a terra il suo lucidalabbra, mentre Leroy, seduto poco più avanti della ragazza, era rimasto come paralizzato, con le labbra socchiuse e la mano in aria.

«Elizabeth, stai bene?» Domandò preoccupato il professore, sporgendosi verso di me, posando la sua mano sulla mia fronte. Solo in quel momento mi resi conto che non erano loro ad essere esagerati, ma ero io che ero sempre stata così terribilmente attaccata alla scuola e alle lezioni, da farmi considerare degli altri come una sorta di mostro dei libri e del sapere, quindi al minimo cenno di normalità tutti si preoccupavano. Cosa avrei dovuto fare, ora?
«A dire il vero mi sento un po' strana», sussurrai. Non appena risposi, tutti si ripresero da quello strano stato di shock e tornarono a fare quello che stavano facendo poco prima. Era la verità? Non era esattamente una bugia, quella che avevo detto al professore, ero un po' stanca, visto che quella notte non avevo dormito molto, ma a volte capitava anche a me di non avere voglia di ascoltare la lezione. Ora che ci pensavo bene, l'ultima volta era successa in prima media, ma non mi importava. Ero anch'io umana e quella ne era la prova, ma forse non era il modo giusto per farlo notare a tutti, avrei stravolto quell'assurdo equilibrio della scuola, dove io ero la secchiona per eccellenza. Se solo mi fossi dimostrata umana, probabilmente, loro non avrebbero capito più come comportarsi, con me, perché, anche se non sembrava, la maggior parte delle persone, nel mondo, erano così legate alle abitudini, che se, improvvisamente, si trovavano d'avanti a qualcosa di diverso, entravano nel panico. «Non si preoccupi, professore, torni pure alla sua lezione», dissi, con un piccolo sorriso, arrossendo leggermente. Non mi piaceva essere al centro dell'attenzione, non mi piaceva avere gli occhi di tutti puntati su di me, era una cosa che non sopportavo.
Il professore, dopo un istante di riflessione, sospirò e tornò alla sua lezione, mentre io mi costrinsi a prestare attenzione, iniziando a prendere appunti. Quella era la Elizabeth che tutti conoscevano e non potevo fare altro, che essere lei. Chissà se un giorno mi sarei stancata, di quell'etichetta. Per il momento, potevo ancora sopportarla.

 

Uscii dall'aula e, lentamente, raggiunsi il mio armadietto, ma non feci in tempo ad aprirlo, che il professore mi si avvicinò, chiedendomi di andare nella sala professori e prendere alcuni registri di cui aveva bisogno. Come potevo non fare un favore ad un professore? Annuii e, piano, mi diressi verso l'aula, però mi fermai prima di poterci entrare. Perché?
Degli strani rumori venivano da quella sala ed io non avevo idea di cosa potesse aspettarmi, se solo fossi entrata. Posai la mia mano sulla maniglia, pronta ad aprire la porta, ma poi sussultai, sentendo un ansimo. Era sul serio un ansimo? Il mio volto, in pochi secondi, iniziò a riscaldarsi e il mio corpo iniziò a tremare. Cosa dovevo fare, ora? Forse mi ero confusa, forse era stato tutto frutto della mia fantasia. Lentamente aprii la porta, o era meglio dire che la socchiusi, poi mi irrigidii completamente, sgranando gli occhi. No, non mi ero confusa e avrei fatto meglio a tornare indietro e dire al professore una bugia, come, ad esempio, che c'era un problema con la porta. Feci un passo indietro, pronta ad andare via, ma il mio corpo non ne voleva sapere nulla, era come se si fosse pietrificato. Deglutii, guardando tramite quel piccolo spiraglio che io stessa avevo creato.
Una ragazza era sdraiata sulla cattedra, aveva la gonna sollevata e gli slip spostati, mentre l'uomo si spingeva contro di lei, dentro il suo corpo, facendola ansimare. La mano grande dell'uomo si posò sulla bocca della ragazza, forse per evitare che si facesse sentire da qualcuno. Lei si inarcò con uno scatto, buttando indietro i lunghi capelli castani, mentre le sue labbra si socchiusero; il suo petto, non molto coperto, si alzava e si abbassava, irregolarmente, mentre l'uomo si spostava piano, baciandole il collo, la gola, mordendogliela.
Dovevo andarmene prima di scoprire altro, prima di scoprire, ad esempio, la loro identità. Avevo accumulato già abbastanza segreti sporchi, in giro per la scuola, non avevo bisogno anche di... Oh, diamine, ma allora qualcuno, su nel cielo, ce l'aveva con me! Perché? Perché, proprio in quel momento, l'uomo spostò il capo ed io potei vederlo meglio. Capelli castani, occhi più o meno scuri, labbra non troppo sottili, ma neanche troppo carnose. Sussultai e, finalmente, mi allontanai da quell'aula il più possibile, portando una mano sul petto. Velocemente raggiunsi il professore e, a testa bassa, lo chiamai.

«M-mi scusi, m-ma non h-ho trovato q-quei registri», balbettai, poi, senza neanche lasciargli il tempo di rispondermi, mi catapultai nella classe della mia prossima ora. Avevo il cuore che batteva a mille e, sicuramente, il volto più rosso di un pomodoro maturo. In fondo non era una cosa da tutti i giorni scoprire che il professore di lingue straniere aveva una relazione clandestina con un'alunna. L'unica cosa che mi chiedevo, però, era il perché dovessi sempre essere io a scoprire queste cose. Non mi piaceva sapere tutti quei segreti, perché sapevo che, prima o poi, tutto quello mi avrebbe cacciato nei guai e, quel giorno, probabilmente, non sarei stata in grado di uscirne da sola.


Angolo pazzo.

Buon giorno a tutti quelli che leggono o chesono capitati qui per un puro caso, magari pensando che ci fosse scritto qualcosa di intelligente. Premetto che non sono una di quelle che aggiorna una volta a settimana, quindi pensavo di prendermi quache giorno di più e fare una volta ogni dieci giorni, se non appaiono enormi e pelosi orchi che mi rubano l'ispirazione. Ora concentriamoci sulla storia. Sono arrivata al secondo capitolo e spero di essere stata chiara, di aver fatto capire com'è Elizabeth e come sono le persone che la circondano, anche se non ne ho parlato molto, ma avrò modo, andando avanti, di concentrare la storia anche su altri personaggi, non solo su di lei.
Vorrei ringraziare in primis la mia ragazza, Nay Nay, che non solo ha fatto la copertina per la mia storia, ma che mi è sempre vicina e che mi da l'ispirazione per i personaggi. Vorrei ringraziare anche DelilahAndTheUnderdogs per aver commentato lo scorso capitolo e per aver aggiunto la storia nelle seguite; un grazie anche a Lux_Potterhead per aver messo la storia fra le seguite.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto. Tanti saluti, Pat! :)

 
  
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