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Autore: Nidham    28/07/2014    2 recensioni
Breve elucubrazione della mia ladra nel momento piu' triste del videogioco, quando una scelta porta a tragiche conseguenze. Fatemi conoscere il vostro parere, visto che è anche il mio primo tentativo^^
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sapevo bene che non avrei potuto avvicinarmi a te usando i miei soliti e ben comprovati metodi da seduttore, sapevo che non saresti crollata davanti al mio pur irresistibile sorriso, o a complimenti ben studiati e sussurrati con voce suadente, o ad uno sguardo languido capace di carezzarti come una piuma lungo tutto il corpo. Sapevo che ogni esperienza accumulata in faticosi anni di addestramento si sarebbe rivelata inutile.

Avevo conquistato prede di ogni genere e classe sociale, anche più smaliziate di te, che non avevi certo molto esperienza in ambito sentimentale o amoroso per accontentarti di quel caprone che ti portavi a letto e che aveva scritto “imbranato” su ogni gesto che avessi la sfortuna di osservare; avevo fatto capitolare vergini purissime e piangere di desiderio cortigiane navigate; avevo persino condotto uomini pazzamente omofobici a compiere il grande passo. Eppure davanti a te ero come un bambino che dovesse imparare per la prima volta a vivere e questo perché tu non sei mai stata una preda e io non ero più il cacciatore.

Non nego di aver pensato varie volte che sarebbe stato divertente strapazzarti un po', i primi tempi, ma più viaggiavo al tuo fianco, più mi sentivo meschino per questi pensieri così gretti, quasi ti stessi sciupando anche solo sfiorandoti con la mente: Alistair poteva essere degno di te, con il suo senso del dovere, la sua generosità e la sua purezza, Alistair poteva aspirare a sognarti o persino ad amarti, ma di certo non era giusto che lo facesse un miserabile assassino senza principi e senza morale, che era stato accolto in vostra compagnia solo per un incomprensibile moto di pietà.

Mi sentivo come avessi avuto di nuovo sette anni e la mia vita, per quanto imperfetta, si fosse irrimediabilmente spostata dal suo asse, per diventare qualcosa di diverso e paurosamente inimmaginabile; allora mi avevano venduto per poche sovrane, adesso mi ero venduto per pochi giorni di vita in più, senza neppure essere certo di desiderarli.

Eppure non ero più un bambino e forse, per la prima volta, ero davvero pronto a diventare un uomo: avevo compiuto una scelta di comodo, ma avevo anche ricevuto quello che nessuno mi aveva offerto prima, un'occasione, una possibilità non di morire, ma di iniziare a vivere come ciò che non avevo mai osato sperare di diventare: Zevran Arainai, elfo libero di Antiva.

Chi avrei potuto essere? Come avrei voluto essere?

Da anni non mi facevo più certe domande, da quando il dolore era stato troppo intenso per continuare a rifiutare il ruolo a cui ero stato predestinato.

Avrei voluto chiederti consiglio, ma c'era sempre diffidenza nei tuoi occhi e freddezza nelle tue parole, che pure erano le più sinceramente gentili che mi fossero state rivolte.

Non ti fidavi di me e non potevo biasimarti, anzi la tua prudenza aumentava la stima che già provavo per te. Eppure non volevo esserti di peso, non volevo rappresentare un'ulteriore preoccupazione alle tante che già eri costretta a sopportare e quella notte, se avessi di nuovo rifiutato il mio aiuto, avevo deciso di farmi mettere in catene e giustiziare come l'assassino che ero, perché se anche potevo sopportare il tuo giusto disprezzo, non riuscivo a tollerare di vederti sfinire per causa mia.

Avevi leggeri cerchi viola sotto le palpebre e la pelle del volto era tirata e diafana alla luce del falò. Cosa potevo dirti, proprio io che non ero mai stato a corto di parole? Come farti capire che volevo cambiare, che stavo cambiando, che potevi fidarti di me?

Sembravano tutte patetiche sciocchezze ed ero pronto a capitolare, quando tu mi sorprendesti di nuovo facendomi balzare il cuore che non pensavo di possedere fuori dal petto.

“Fai tu il mio turno di guardia”, nessuna spiegazione, nessuna scusa, nessuna banale rassicurazione, solo fatti crudi e essenziali per dimostrarmi ciò che in nessun altro modo avrebbe potuto essere altrettanto chiaro: sapevi che volevo cambiare, sapevi che stavo cambiando.

Fu l'inizio di ciò che non è ancora terminato.

Giorni dopo, quando ormai il mio turno di guardia veniva regolarmente deciso con gli altri, mi chiedesti se me la sentivo di andare in perlustrazione ed eri certa che sarei tornato ed ero certo che non sarei fuggito.

Quando ti chiesi il perché, ti limitasti a stringerti nelle spalle, con quel gesto così marziale che solo tu potevi rendere sexy, e mi guardasti come fosse stato inutile rispondere.

Parlavamo poco, in quei primi tempi, non ce n'era bisogno: scoprii che sorridevi quando mi guardavi e tu sapevi che io sorridevo quando ti vedevo.

Era uno strano equilibrio, era più di quanto potessi sognare.

 

La notte in cui ti lasciai solo vicino al fuoco dormii bene come non facevo da giorni. Mi sentivo al sicuro e sapevo che, finalmente, tutto era andato al suo giusto posto: tu non avresti permesso ad alcun mostro di avvicinarsi e presto avresti capito di non essere stato un mostro mai.

Non ne abbiamo più parlato, ma so che quello fu l'inizio di ciò che non è ancora terminato.

Non ti consideravo un amico, non ti consideravo adatto ad essere inquadrato in qualsiasi tipo di sterile classificazione: eri Zevran e non eri un assassino.

Non mi credesti, la prima volta che te lo dissi.

Erano poco più delle tre del mattino e c'era troppo silenzio intorno a noi per permetterci altro che un sussurro; gli altri stavano dormendo, ma io non potevo chiudere gli occhi, non in quella notte che solo pochi mesi prima aveva visto la morte di tutto ciò che amavo e che ero.

Mi tenevi al tuo fianco senza farmi domande, non so se qualcuno ti avesse raccontato la mia storia, ma, per la prima volta, sentii di voler ascoltare la tua, per quanto mi fossi ripromessa di non forzarti a confidenze men che spontanee.

“Ti va di parlare?” chiesi semplicemente, senza smettere di fissare la fiamma.

“Di noi? Di come staremmo bene, in questo momento, se la smettessimo di gelarci le chiappe qui fuori e andassimo a coccolarci nella mia tenda?”

Intuii il tuo sorriso e lo ricambiai, ma non mi lasciai distrarre.

“Di te.”

“Sai tutto di me” non sorridevi più, anche se le tue labbra ne avevano mantenuto la piega. “Sono un assassino.”

“Hai fatto l'assassino, ma questo mi dice ben poco del tuo passato.”

“Avrei potuto fare il lustrascarpe, il fabbro o il mantenuto, ma l'assassino non è un mestiere che si possa esercitare e appendere al chiodo la sera, come la zappa del contadino. E' un modo di essere, è come vivi e come muori.”

Avevo sbuffato per la stupidità di quella affermazione e avrei pianto, se avessi potuto, per l'amarezza con cui l'avevi pronunciata.

“Forse è come dici, in generale, ma questo dimostra ancora di più che ho ragione.”

Mi hai guardato totalmente confuso, ma almeno il tuo volto aveva perso quella piega dolorosa.

“Tu non sei un assassino, perché non ne hai mai avuto il cuore” ti ho preso la mano, sfiorandoti per la prima volta, inconsapevole del calore provocatoci da quel gesto innocente. “Non contraddirmi, Zevran, odio dover spiegare l'ovvio e sai bene anche tu che un assassino ora non sarebbe qui.”

Non hai replicato, né hai lasciato la mia mano; mentre iniziavi a raccontarmi di tua madre, del bordello dove eri stato allevato, dei tuoi compagni troppo deboli per sopravvivere e di quelli troppo crudeli per essere compagni di qualcuno, passavi il pollice lungo il mio polso, distrattamente, in una carezza leggera che non nascondeva lussuria, ma solo il desiderio insopprimibile di contatto umano, come nessuno te ne aveva mai offerto, come non avevo mai pensato di sentirne il bisogno.

Quella notte gli spettri dei miei genitori, dei miei amici, di tutte le persone innocenti che non avevo saputo proteggere si dissolsero nel calore della tua mano e se aprirmi il tuo cuore ti portò un po' di sollievo, di certo fu minore di quanto me ne offristi senza neanche il bisogno di pormi domande.

Non te l'ho mai detto, ma Morrigan ci aveva osservati, quella notte, e aveva cominciato a sperare che i miei sentimenti verso Alistair stessero finalmente svanendo per spostarsi su qualcuno di meno sprovveduto.

Faceva il tifo per te, l'avresti ritenuto possibile?

Ovviamente non è mai stata una gara e ti giuro che non mi sono mai soffermata a riflettere sull'insensatezza del mio cuore, neppure quando, tempo dopo, ha iniziato a battere davvero in maniera tanto egoista, facendo di me la più ingenuamente crudele tra le donne.

Quella mattina tutto era ancora come doveva essere e io mi limitai a soffocare nell'acqua, con cui mi stavo sciacquando il volto, sotto il peso della sua domanda piombatami tra capo e collo senza alcun preavviso.

“Pensi di smetterla di comportarti da sciocca e divertirti con quell'elfo?”

“Zevran” calcai sul tuo nome, mentre riprendevo fiato, “non è un giocattolo con cui ci si possa divertire.”

“Di sicuro più del tuo bietolone Alistair.”

“Non mi diverto con Al.”

“Non ne dubito” sbuffò.

“Intendevo dire che non vado a letto con lui per divertirmi e per non annoiarti con discorsi che ti piacciono poco, mi limiterò a questo: non faccio sesso con lui, noi facciamo l'amore.”

“Conoscendo il tipo mi pare improbabile che sappia anche solo la metà di quel che fa” alzò gli occhi al cielo. “Comunque non ti avevo mai visto così serena come ieri notte, nelle altre ricorrenze.”

Non pensavo avesse fatto caso a che giorno fosse, o che si ricordasse quale significato avesse per me, e ne fui segretamente commossa, ma, più di tutto, mi sorpresi a pensare a quanto fossero vere le sue parole: prima di te, nessuno era riuscito ad asciugare quelle lacrime che non mi ero mai permessa di versare.

Ti cercai tra gli altri, ma tu eri distratto da un sermone di Leliana, della quale credevo fossi segretamente infatuato, così non mi vedesti sorriderti e non scopristi mai quanto ti fossi riconoscente.

  
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