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Autore: Elly J    28/07/2014    3 recensioni
"Feci per alzarmi dal letto, ma subito mi fermai con un gemito. Provai un forte dolore all’altezza della scapola sinistra e istintivamente mi sfiorai il punto dolente con una mano. Sentii subito il tessuto della maglia strappato e non appena toccai la pelle dovetti ritrarre il braccio per il forte dolore. Qualcosa di umido e viscoso mi era rimasto sulle dita e, non appena mi portai queste ultime davanti agli occhi, mi resi conto che erano sporche di sangue."
Fan fiction liberamente ispirata al bellissimo Resident Evil: Revelations. La maggior parte dei personaggi sono inventati completamente da me, ma nel corso della storia appariranno alcuni camei di Resident Evil.
Buona lettura!
Genere: Azione, Suspence, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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2.
 
Non ricordo per quanto tempo corsi. Il corridoio era talmente lungo, pieno di svolte e porte che non mi resi nemmeno conto di quanta distanza percorsi. Mi mossi fino a quando rimasi senza fiato, ansimante, con il braccio sinistro appoggiato ad una credenza per sorreggermi e la mano destra che sfiorava la ferita alla scapola, la quale aveva iniziato a pulsare quasi con violenza.
Mi sembrava di morire, non riuscivo quasi a prendere fiato. Sentivo il petto chiudersi in se stesso, come se qualcosa lo stesse stritolando impedendomi di muoverlo per respirare. Mi pulsavano le tempie e i timpani, udivo i rumori ovattati, percepivo delle gocce scavarmi la pelle del viso e delle braccia, non riuscendo a capire se si trattava di sudore o di sangue. Ad un certo punto le mie gambe cedettero e senza rendermene conto mi ritrovai in ginocchio, aggrappata con una mano al bordo della credenza.
Non riuscivo a capacitarmi di ciò che avevo visto, non sapevo se avevo sognato, se mi ero immaginata tutto, se mi avevano drogata.. non lo sapevo. Quell’essere che avevo visto, quell’essere che mi aveva aggredita non poteva essere reale, non poteva. E se lo era non apparteneva a questo mondo.
Mi sedetti a terra, la schiena appoggiata al legno della credenza, occhi chiusi. Dovevo fare ordine nella mia mente, dovevo calmarmi e cercare di ragionare con lucidità.
La prima cosa da fare era trovare gli altri. Non avevo idea di dove fossero, né se si trovassero tutti insieme.. ma soprattutto non sapevo se erano ancora vivi. Con quei orrendi mostri in giro per la nave non ne potevo essere certa.
Un singhiozzo mi scosse da capo a piedi. Singhiozzai ancora, ancora e ancora, mentre delle grosse lacrime iniziarono a rigarmi il viso.  Il solo pensiero di rimanere sola mi distruggeva, mi corrodeva l’anima. Non volevo credere che gli altri erano morti, ma in quel momento non riuscivo a togliermi quel tremendo pensiero dalla testa. Io ero riuscita a salvarmi, ma ancora mi chiedevo come avessi fatto. Ero ancora viva, avevo ancora una possibilità di cavarmela.. ma rimaneva comunque il fatto che ero sola e gravemente ferita. Il tremendo taglio che mi ero procurata non so come alla scapola sinistra, il quale aveva tutto l’aspetto di una pugnalata inferta malamente di striscio, continuava a pulsare e se non lo avessi medicato al più presto avrebbe di certo fatto infezione, complicando ulteriormente la mia situazione.
Riaprii gli occhi pieni di lacrime guardando il muro di fronte a me, poi spostai lo sguardo alla mia sinistra lungo il corridoio.
Dovevo reagire. Dovevo, altrimenti non sarei mai sopravvissuta. Non potevo essere l’unica superstite su quella maledetta nave, era impossibile. Doveva esserci qualcun altro.
Aggrappandomi nuovamente al bordo della credenza mi rialzai in piedi traballando leggermente. La ferita alla scapola sembrò scoppiare per lo sforzo, procurandomi un dolore acuto e pungente che mi costrinse a rimanere per alcuni secondi con il busto piegato dal male. Respirai a fondo, dopodiché premetti la mano destra sulla ferita, cercando di alleviare un po’ quel tremendo fastidio che essa mi procurava.
Alzai lo sguardo verso il fondo del corridoio, puntando la porta che si trovava appunto al termine di esso. Con tutta la forza che riuscii a trovare mi staccai dalla credenza e iniziai a camminare. Non badai al dolore, non badai alla paura, non badai all’angoscia. Dovevo assolutamente trovare qualcuno. Dovevo sopravvivere.
 
 
 
***
 
 
 
I corridoi che percorsi sembravano tutti uguali, ma più che sembrare pensai che lo fossero veramente. La solita carta da parati marroncina a motivi floreali sembrava ripetersi all’infinito, interrotta alla volte da qualche strappo e da qualche macchia ambigua. Ero quasi certa che quelle macchie fossero sangue; non sapevo spiegarmi il perché, ma dopo quello che mi era accaduto mi sembrava di vedere sangue ovunque.
I corridoi avevano diverse porte sia a destra che a sinistra, la maggior parte chiuse. Provai ad aprirle tutte, con la mano tremante che si appoggiava su ogni pomolo girandolo con timore, chiedendomi ogni volta se qualche altro mostro mi sarebbe saltato addosso. Le poche porte aperte che trovai rivelarono perlopiù sgabuzzini pieni di cianfrusaglie e qualche altra stanza simile a quella dove mi ero ritrovata rinchiusa io. Sbirciai dentro ad ogni porta, chiamando il nome dei miei compagni a bassa voce. Nessuno rispose, tutte le stanze erano vuote. Di certo non mi ero presa la briga di esplorarle per bene, ma era evidente che non c’era anima viva. Continuai così, ad esplorare infiniti corridoi per non so quanto tempo. Quel luogo faceva perdere la cognizione del tempo, l’orientamento, la percezione dei rumori.. tutto. Più volte mi era sembrato di udire porte che si chiudevano, sussurri ovattati, e rumore di passi al piano superiore. Non riuscivo a capire se quello che sentivo fosse solamente frutto della mia immaginazione o meno, ma dopotutto quei rumori mi riaccesero una piccola speranza di non essere sola su quella nave. Certo, avrebbero potuto benissimo essere quelle orrende bestie che scorrazzavano in giro, ma volevo credere che qualcuno di umano ci fosse ancora.
Dopo aver perso il conto dei corridoi che avevo percorso e delle porte che avevo aperto, mi ritrovai di fronte ad una grata, o meglio, ad un uscio formato da pesanti sbarre di legno che permettevano di vedere l’interno della stanza. Non appena notai la stana porta in fondo al corridoio mi bloccai sbarrando leggermente gli occhi. Non si udiva alcun rumore e all’apparenza sembrava non esserci nessuno.
Mi avvicinai di qualche passo, sfiorando la parete destra con la mano e cercando di respirare il più silenziosamente possibile. Ora che mi ero avvicinata potevo scorgere alcune porzioni della stanza: un tavolo rovesciato, alcune sedie sgangherate e degli scatoloni riposti sul fondo. Mi bloccai per alcuni secondi, allungando leggermente il collo per vedere meglio. La porta infatti era sì in fondo al corridoio, ma quest’ultimo girava poi bruscamente verso sinistra, formando un angolo cieco oltre al quale non riuscivo a vedere.
Nonostante avessi il cuore in gola, mi feci forza. Di certo non sarei potuta rimanere lì ferma a vita. Con passi lenti ed incerti raggiunsi finalmente le grate della porta e, dopo aver controllato che non ci fosse nessuno oltre il muro dove il corridoio faceva angolo, mi dedicai completamente ad esplorare con lo sguardo la stanza dietro le sbarre. La stanza era molto piccola e notai nuovamente gli oggetti che avevo visto poco prima da lontano. Sembrava una piccola prigione ma al suo interno non c’era alcun indizio rilevante che provasse questa mia teoria.
Fu proprio quando stavo per passare oltre che notai un piccolo luccichio in fondo alla stanza, sopra uno degli scatoloni che erano stati ammassati contro il muro. Afferrando una sbarra con la mano sinistra avvicinai il viso alle fessure formate dalle grate di ferro per vedere meglio.
Una pistola.
Appoggiata sopra ad uno degli scatoloni in fondo alla stanza c’era una pistola.
Estremamente sorpresa, rimasi alcuni secondi a fissare l’arma. Sarebbe potuta appartenere a chiunque, ma di sicuro non ad uno di quei orrendi mostri che avevo incontrato. Quegli esseri non mi sembravano in grado di impugnare un’arma, soprattutto per il fatto che non avevano mani.. o meglio, le avevano ma non erano esattamente come un paio di mani umane.
Staccai gli occhi dalla pistola per alcuni secondi, guardandomi attorno. Dopodiché tornai a fissare l’arma. Non avevo mai sparato in vita mia e non avevo benché la più pallida idea di come funzionasse una pistola. L’avevo vista impugnare solamente nei film d’azione oltre che non averne mai vista una dal vivo.
Riflettei veloce. Le armi non mi piacevano, erano pericolose e potevano uccidere. Però era anche vero che in quella circostanza rischiavo io di venire uccisa se non mi fossi difesa adeguatamente. Avrei potuto usarla solamente per intimidire, non ero per forza obbligata a premere il grilletto. Anche se, riflettendoci bene, non ero certa che quelle bestie orrende si sarebbero fermate vedendo una pistola che le teneva sotto tiro..
Scossi leggermente la testa e non pensai più. Afferrai la maniglia della porta e la abbassai con vigore, dopodiché spinsi. Con mio grande stupore la porta si aprì con un cigolio fastidioso; non mi sembrava vero che fosse aperta.
Entrai nella stanza e, una volta che mi fui avvicinata allo scatolone posizionato sul fondo, afferrai la pistola con delicatezza. Era pesantissima oltre che particolarmente scomoda da impugnare e con titubanza iniziai a rigirarmela tra le mani con estrema cautela per paura di far partire un colpo. Non sapevo se fosse carica e nemmeno se avesse la sicura o meno, ma poco importava. Ora avevo un’arma e questo migliorava lievemente la mia situazione.
Senza pensarci troppo uscii dalla piccola stanza con la pistola in pugno, percorrendo il pezzo di corridoio che non avevo ancora esplorato. Oltrepassai  diversi ingressi e altri corridoi interminabili finché non mi ritrovai davanti ad una porta alquanto particolare. Era molto grande, formata praticamente da due ante di un marroncino chiaro ma splendente al tempo stesso. Sembrava l’entrata di una qualche sala particolare, come per esempio una sala da ballo o una sala da pranzo molto ampia. Mi ricordava terribilmente l’entrata della sala da pranzo del film “Titanic”, anche se quella, a dire la verità, aveva delle vetrate sulla superficie, mentre questa no. Non rimasi troppo tempo a fissarla e decisi di oltrepassarla. D’altra parte non avevo nessuna intenzione di tornare indietro, quindi non avevo altra scelta.
Con la pistola nella mano destra e la mano sinistra tremante appoggiata sulla maniglia di una delle due ante della porta aprii lentamente l’uscio, sbirciando poi all’interno della piccola fessura che si era formata. Uno spettacolo che mai mi sarei immaginata di vedere si parò davanti ai miei occhi quasi con una delicatezza innaturale. I miei occhi scuri si posarono su decine, centinaia di libri riposti con cura sopra degli scaffali nemmeno troppo alti e corrosi dal tempo. Un profumo a me famigliare e assolutamente gradito di carta e di libri giunse alle mie narici, facendomi dimenticare per alcuni secondi l’orrenda situazione in cui mi trovavo.
Una biblioteca.
Entrai nella stanza richiudendomi la porta alle spalle e abbassando la pistola. Quasi non mi sembrava vero: quel posto era così bello e misterioso tanto da sembrare irreale. La stanza era particolarmente scura, eccezione fatta per una piccola abat-jour accesa, riposta su uno scrittoio in fondo al corridoio centrale della biblioteca. Non riuscivo a scorgere bene i particolari di quel posto: mi sembrava di essere in una delle tante biblioteche perdute che avevo letto nei racconti di fantasia quando ero piccola. Feci alcuni passi avanti, avvicinandomi ad uno dei primi scaffali. Sollevando la mano sinistra sfiorai con delicatezza il dorso dei volumi riposti negli scaffali, percependo all’istante un lieve strato di polvere sopra di essi. Nessuno li leggeva da molto, troppo tempo. Sempre con  il dito indice posato sul dorso del primo libro iniziai a camminare, sfiorando così ogni singolo volume. Mi sembrava quasi un sacrilegio abbandonare dei manoscritti in una scura biblioteca di una nave.
Camminai fino alla fine dello scaffale sfiorando ogni singolo libro finché non raggiunsi lo scrittoio che avevo visto poco prima. Posai i miei occhi scuri sulla abat-jour accesa e con una mano ne toccai leggermente la lampadina. Mi bastò qualche secondo per sentirne la temperatura, dopodiché ritrassi la mano. Non era calda e questo significava che era stata accesa da veramente poco tempo. Spostai lo sguardo su di un foglio bianco che era stato lasciato al di fuori del fascio di luce della abat-jour e solo dopo averlo preso in mano mi accorsi che sopra qualcuno aveva scritto delle parole.
 
 
Jaiden,
la squadra di ricognizione è salita a bordo della nave la scorsa notte. Sono stati più veloci del previsto e proprio per questo dobbiamo accelerare i tempi. Ne ho contati otto per ora: tre uomini e tre donne credo siano militari o qualcosa di simile, mentre gli altri due, un uomo e una donna, appartengono a qualche altra organizzazione. Il problema sono proprio questi ultimi due: l’uomo non l’ho mai visto, ma la donna sono quasi certa che sia una delle due donne sopravvissute di Raccoon City, la sorella di quell’agente. Jaiden, sono certa che sia lei! E sai anche tu che questo è un bel problema.. Quella donna sa troppo e sarebbe capace di mandare all’aria tutto il nostro progetto.
Incontriamoci sul ponte di passeggiata insieme agli altri. Le chiavi della porta sono al solito posto.
Dimenticavo, quel gruppetto di inutili civili lo ha sistemato Tanner. Se non sono già morti lo saranno fra poco, quindi non ci daranno più problemi.
Ti aspetto alle 10. Occhio alle B.O.W., ne abbiamo sguinzagliate un po’ tra gli alloggi dei passeggeri.
 
Sami
 
Lessi il messaggio scritto a mano con il cuore in gola. Non sapevo se essere felice o no per il fatto di aver scoperto che sulla nave c’erano altre persone umane. Quel messaggio non mi sembrava particolarmente di buon auspicio, oltre che essere abbastanza angosciante. Ero quasi certa che fosse stato scritto da una donna vista la calligrafia e soprattutto per il fatto che continuava a ripetere “sono certa”. Sì, quel messaggio era certamente stato scritto da una donna. Oltretutto il nome Sami non mi sembrava molto adatto ad un uomo..
Rilessi velocemente il messaggio, questa volta soffermandomi su alcune parole che mi erano saltate subito all’occhio durante la prima lettura. Non sapevo esattamente il perché, ma questi tre tizi, Jaiden, Tanner e Sami, non mi sembravano del tutto apposto. A quanto pareva avevano un progetto da portare a termine e la preoccupazione di questa Sami per l’arrivo dei militari mi suggeriva che molto probabilmente quello che stavano facendo non era del tutto legale.
La mia attenzione venne anche attirata dalla citazione della città di Raccoon City. Più volte, quando ancora andavo a scuola, avevo studiato la storia di quella sfortunata città che era stata distrutta il primo ottobre di parecchi anni prima. Non ricordavo mai l’anno esatto, ma ero sicura che fosse attorno alla fine degli anni Novanta. A dir la verità non ricordavo nemmeno il perché fosse stata distrutta, ma poco importava. La cosa che importava era il fatto che qualcuno sopravvissuto alla distruzione di quella città ora si trovava sulla nave e poteva intralciare il progetto di questa Sami e dei suoi amichetti.
La cosa che però mi aveva turbato realmente era stata la menzione del “inutile gruppetto di civili”. Io, Shane e gli altri non eravamo né militari, né gente che doveva portare a termine un progetto.. chi potevano essere i civili se non noi?
Stavo ancora ragionando su quell’assurdo messaggio quando un urlo quasi disumano squarciò il silenzio della biblioteca. Feci un balzo dall’enorme spavento e poi mi girai verso l’entrata della stanza puntando la pistola davanti a me con mano tremante. L’urlo spezzò ancora una volta il silenzio della stanza, seguito poi da una richiesta d’aiuto fatta con voce disperata.
Con il respiro corto e la pistola spianata feci guizzare velocemente gli occhi da una parte all’altra della stanza, ma solo dopo aver udito l’urlo per la terza volta realizzai che esso proveniva da un’altra stanza.
Ero completamente terrorizzata e confusa. La voce maschile che urlava e chiedeva aiuto mi faceva accapponare la pelle e non accennava a fermarsi. Il cuore minacciava di esplodermi nel petto e sentivo già le lacrime pizzicarmi gli occhi.
Cosa dovevo fare? Qualcuno stava disperatamente implorando aiuto da qualche parte poco distante da me. Urlava, continuava ad urlare, come se lo stessero sbranando. Cosa stava succedendo?
Il mio pensiero si rivolse ancora una volta all’orrenda creatura che aveva tentato di uccidermi poco prima.. no, non potevo rischiare di farmi uccidere, non potevo..
Abbassai la testa chiudendo gli occhi e stringendoli con forza. Delle grosse lacrime iniziarono a rigarmi le guance. Cosa avevo fatto di male per meritarmi tutto questo? L’urlo disumano continuava a squarciare ritmicamente il silenzio di quel maledetto posto, rimbombandomi nella testa con violenza. Chiunque fosse l’uomo che stava urlando aveva bisogno di aiuto. Mi era sempre stato insegnato ad aiutare il prossimo, ma non fino a questi limiti. Avrei dovuto uccidere qualcuno se fossi andata a soccorrere l’uomo che urlava e chiedeva aiuto? Poteva essere. Sarei stata capace di uccidere qualcuno? No, non sarei stata capace. Ne ero certa. Non sarei mai riuscita ad uccidere nessuno.
Alzai il viso, tornando nuovamente con lo sguardo verso la porta d’entrata della biblioteca. Sarei riuscita a convivere con l’idea che avrei potuto salvare la vita di qualcuno ma non l’avevo fatto? Mi bloccai, con la bocca leggermente aperta e gli occhi colmi di lacrime. Conoscevo benissimo la risposta, la conoscevo fin troppo bene.
Singhiozzai per l’ultima volta, dopodiché mi asciugai le lacrime con mano tremante. Piegai alla bell’e meglio il messaggio che avevo trovato sullo scrittoio e me lo misi nella tasca destra dei leggins. La mia mano destra strinse con violenza l’impugnatura della pistola tanto da sentire male alle dita della mano.
No, non avrei mai potuto convivere con la consapevolezza di aver lasciato morire un uomo.
Feci un bel respiro e, con ancora gli occhi umidi di lacrime, iniziai a correre nella direzione della voce che urlava e chiedeva disperatamente aiuto.
  
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