Il puzzo terrificante di morte invase le narici del
prigioniero che se ne stava con le spalle al muro. Con un cenno infastidito
provò a destarsi da quella nube tossica ma era evidente come da quelle parti
fosse pieno di cadaveri. Quando però si svegliò completamente, si rese
finalmente conto della situazione: era stato fatto prigioniero, ma da chi?
Perché? Si alzò ma prima che potesse cominciare a lamentarsi per l’assenza
evidente di una via di fuga, un suono dall’alto attirò la sua attenzione: era
un cavaliere in armatura argentata.
«Ehi! Chi sei? Chi sono? Che ci faccio qui?» disse il prigioniero, realmente
confuso.
Il cavaliere si portò una mano alla testa, non si vedeva il suo volto ma era
chiaramente in imbarazzo.
«Ehm, in teoria dovevi vedermi dopo che avessi lanciato il cadavere ma… boh,
ok» disse lasciando cadere un corpo, per poi sparire.
«… che cazz?».
Il prigioniero si chinò e trovò sul cadavere una forchetta spada dalla
lama spezzata e una chiave. La guardò inizialmente assorto, notando delle
scritte sul suo retro, ma scrollò le spalle e uscì dalla cella, usandola.
«Mah…» disse.
Camminò per qualche minuto uccidendo male vari tizi che incontrò nel corridoio
seguente. Non aveva neanche provato a parlarci, trovava semplicemente
divertente distruggerli senza farli respirare. Improvvisamente però, notò un
mostro enorme alla sua destra.
«Potrei sempre tornare alla cella e continuare a morire tranquillo» si disse
tra sé e sé, ma proseguì per qualche ragione. La strada non fu troppo
difficile, giunse anche a una piccola insenatura nel muro in cui trovò uno
scudo pesante.
«Questa sì che è roba, altro che scudetti e pugnalini del cazzo».
Proprio di fronte a lui però, nel corridoio vicino l’insenatura, un arciere non
morto provava a giocare al tiro al bersaglio con il prigioniero. Quest’ultimo
uscì di prepotenza e con una spada larga trovata per terra lo devastò.
«Ma quanto sono pr0?» disse gasandosi. Non aveva idea di quello che stava
succedendo, ma era felice. Proseguendo salì una rampa di scale e una grossa
pietra lo travolse, facendolo volare tra parole poco carine.
«Ma che porco il ca…».
Si rialzò andando a rovinare il non morto che aveva osato ferirlo, per poi
entrare nella crepa creata dalla pietra. Lo vide: vi era lo stesso cavaliere
che l’aveva aiutato a uscire dalla cella, e era mezzo morto.
«Solo una domanda, non era meglio se mi lanciavi soltanto la chiave piuttosto
che tutto un cadavere?» chiese curioso, ma il cavaliere non lo ascoltò.
«Posso… posso parlarti, non morto prescelto?» disse con il fiato corto.
«No, mi piace la tua armatura e la voglio» rispose il prigioniero uccidendolo
con un fendente, ma per qualche ragione non riuscì a prendergli l’armatura:
scomparve lasciando solo una chiave e una fiaschetta.
«Ma che roba è? Oh! Io volevo l’armatura!».
Rimase a deprimersi per qualche minuto, poi proseguì uccidendo un altro paio di
non morti a caso, per poi giungere infine ai piedi di un piccolo falò.
«UNA CAZZO DI SPADA *-*» disse allungando la mano per prenderla ma una fiamma
si accese e per paura di bruciarsi rinunciò. Proseguì aprendo la porte poco
oltre e dopo pochi passi un mostro enorme gli tagliò la strada.
«Sei quel coso che ho visto prima! Fatti sotto culone» esclamò partendo
all’attacco, ma sbagliò due schivate… e morì.
SEI
MORTO…
La maledizione dei non-morti
incombeva sul "non-morto prescelto" che come per magia si ritrovò
vincolato al falò precedentemente incontrato. Ma qualcosa era diverso: il suo
corpo sembrava ancora un guscio vuoto e marcio ma dentro di se una nuova
consapevolezza si faceva strada. Si trattava infatti dell'altro lato
dell'anima, un lato riflessivo, che si ritrovò stranito allo sguardo di quella
fiamma così vivida.
«Cosa
ci faccio qui? E cos'è questo braciere?»
Guardandosi attorno si rese conto di essere ancora nelle mura della prigione in
cui era stato rinchiuso a causa del suo morbo, e senza perdere ulteriore tempo
si mise in moto. Attraversò una porta già aperta ed una volta nel nuovo salone
vide un enorme demone dalla stazza imponente pararsi al suo cospetto: tutto ciò
aveva il sentore di un deja-vu.
«Così sei tu il custode di questo luogo» disse osservando per la prima volta
nella sua vita quello che aveva tutta l'aria di essere un demone. Puntando lo
sguardo ad un messaggio lasciato al suolo da qualche intrepido che lo aveva
preceduto prese la decisione di lasciare quel posto e correndo verso l'unica
porta libera rotolò in quella direzione schivando una martellata.
«C'è mancato poco...»
Proseguendo oltre una scalinata, si trovò di fronte ad una porta chiusa, che
poté però aprire grazia ad una chiave che per magia aveva stretto nella mano
fino a quel momento «ma da dove salta fuori?». Oltre questa si trovò di fronte
ad un bel gruppo di non-morti tali e quali a lui: loro sembravano però aver
perso il senno.
«Cazzo, mi attaccheranno e io non ho un'arma... aspetta, ma questa cos'è?» con
enorme sorpresa si trovò tra le mani quella che aveva l'aria di essere una
spada larga, e con questa avrebbe potuto sconfiggere il demone. Distribuendo
fendenti si fece strada, e ignorando un'enorme parete fatta di foschia si
ritrovò in una sala, solo contro una guardia con scudo: stava dritto in piedi
dando le spalle ad una porta.
«Mi dispiace per te, ma sono in cerca di una via di fuga, fatti da parte».
Lo scheletro ignorò quelle parole, ma alla vista dell'uomo gli si scagliò
addosso facendo un affondo con la lancia. Il prescelto parò il colpo ma ben
presto intuì che non sarebbe riuscito a colpire lo scheletro che era sempre
nascosto dietro lo scudo; ci volle un guizzo, e al successivo attacco del
mostro lanciò in avanti lo scudo, deviando il colpo della lancia e attaccando
lo scheletro ormai aperto a un attacco: aveva fatto il suo primo parry. Tronfio
d'orgoglio tentò di aprire quella porta, ma con sommo dispiacere la trovò
chiusa a chiave «tutto questo per
niente, non mi rimane che la nebbia».
Attraversata la foschia, si ritrovò su un balcone elevato, sotto al quale c'era
il demone intento a squadrarlo; non perse tempo e d'istinto gli si gettò
addosso tentando un fendente in volo. Il demone sembrò risentire il colpo, e
per qualche istante si contorse nel dolore, per poi tentare subito una
martellata descrivendo una semicirconferenza. Il non-morto subì il colpo, e
compreso di dover stare alle spalle del mostro, tentò di attaccare sempre
coperto da un punto cieco per il demone. In qualche fendente finì tutto, e una
volta battuto, il custode lasciò al suo posto una chiave.
«Questa mi aiuterà a fuggire». Aprì un maestoso portone e si ritrovò davanti a
un pavimento roccioso che dava sul vuoto di un burrone: arrivato alla fine di
quelle rocce si ritrovò senza ulteriori vie da percorrere.
«Possibile che finisca qua la mia storia?» Mentre diceva queste parole, poté
vedere un corvo avvicinarsi minacciosamente a lui; arrivandogli di fronte aprì
le zampe, e con gli artigli gli avvinghiò le veste: lo avrebbe portato in un
luogo più consono alla sua leggenda.