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Autore: giascali    29/07/2014    5 recensioni
I cristiani credono che, dopo la morte, a seconda del nostro comportamento, andiamo o all' Inferno (che, quando diciamo "va all' inferno!", sia una specie di predizione?) o in Paradiso. Gli Indù, invece, pensano che ci reincarniamo. Gli antichi greci avevano una visione più complicata, ma anche molto più interessante (o quanto meno per me). Gli ebrei, invece, non credono nella vita dopo la morte. Ma tutte queste teorie si sono rivelate false ed Ellison Hyde, sedicenne ragazza inglese, grande amante dei libri e incapace di vivere nell' ordine, sta per scoprirlo. E così, tra amici che fanno sedute spiritiche, il fantasma del nonno della tua migliore amica e molto altro, Nellie troverà un mondo che sembra uscito dall' immaginazione di Tim Burton e scoprirà che, dopotutto, non è l'unica con una vita complicata, sopratutto se si parla di un estroverso ragazzo che non ricorda niente della sua vita...
Genere: Dark, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 7
Il verdetto.
 
 
 
Quella notte feci un sogno, ma forse sarebbe meglio definirlo incubo, siccome mi svegliai in un bagno di sudore. Ero da sola al buio in una sentiero fatto di rocce bianche, sospeso in mezzo al cielo scuro e stellato. Davanti a me la strada si divideva in due vie. Una portava ad una cittadina che mi era familiare e lì vi potevo già scorgere mia madre ed i miei amici.
L’altra conduceva ad una città più grande ed intrigante della prima, totalmente a me estranea, abitata da sconosciuti. Lì vi vidi pure Percy e Peter che mi facevano cenno di raggiungerli.
Ad un tratto, Bree mi passò accanto, mi lanciò uno sguardo di sufficienza oltre la spalla e si diresse verso Percy e Peter, mormorando: - Cadrà prima di decidere. –
Al ché mi girai alle mie spalle e vidi con orrore che degli scheletri, seppur lentamente, si stavano avvicinando, alcuni inciampando sugli altri.
Rivolsi di nuovo la mia attenzione alle due strade. Da una parte avrei voluto andare raggiungere i miei cari, dall’altra desideravo andare in quella città misteriosa.
Mordendomi il labbro inferiore, accennai un passo in direzione della seconda città ma, non appena posai il piede sul sentiero, mi accorsi con orrore che non c’era niente che mi fornisse sostegno e che, ormai, stavo precipitando nel vuoto, buio e ostile.
Avrei voluto urlare, davvero, ma l’unica cosa che riuscii a fare fu agitare le braccia e andare nel panico.
Mi risvegliai nel mio letto, madida di sudore ed ansimando. Mi portai una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Mi alzai dal letto, dopo essermi liberata dalle lenzuola a suon di calci ed essere caduta sul pavimento, colpevole la mia leggendaria ed inesistente grazia. Uscii dalla mia stanza e mi diressi in salotto.
Il soggiorno di casa mia era una stanza di forma quadrata, con la carta da parati graziosa e gialla, che si riusciva a scorgere soltanto in due pareti, siccome le altre erano coperte da una libreria che andava dal pavimento al soffitto. Era ammobiliato con due divanetti rivestiti con del cuoio rossiccio ed un tavolinetto di ciliegio, basso e ovale. C’era pure una televisione ma la guardavo per lo più la sera. – Mamma? – mormorai. I miei occhi si fermarono subito sull’orologio appeso ad una delle pareti del salotto. Segnava le undici e quaranta. Strano, di solito, nonostante i miei sforzi, non mi svegliavo mai così tardi.
-È andata in libreria, Elly. – disse Abraham alle mie spalle. Mi voltai sorpresa, non mi aspettavo di ritrovarmelo a casa. In questi tre giorni, mi aveva detto che di notte stava nella sua vecchia casa, a guardare sua figlia, suo marito, e la nipote, alias Dominique.
-Mmh? – mormorai per poi abbandonarmi su uno dei divani.
-Hai avuto un incubo, figliola? – al sentire il mio soprannome, sorrisi, rincuorata. Portai le ginocchia al petto ed annuii. Era in piedi, vicino ad una delle due finestre del soggiorno.
Abraham si portò la mano destra ai baffi ed iniziò a giocherellarci, come faceva sempre quando pensava a qualcosa di particolarmente complicato, in vita. – Sarà stato solo un sogno, ne sono sicuro. – Feci nuovamente un cenno d’assenso. Lo pensavo pure io. – Ma ora raccontami cos’è successo nell’altro mondo, ieri sera eri parecchio stanca e non l’hai fatto. –
Gli riferii tutto quello che era successo, omettendo l’antipatia che Bree non aveva cercato di nascondere nei miei confronti. Alla fine del mio racconto, Abe strinse la presa ai suoi baffi ed iniziò a borbottare. – Mmh, le cose si fanno interessanti. Sono morto da quattro mesi ma fino ad ora ho conosciuto solamente Oliver Meyer, dei membri del Consiglio. Individuo davvero interessante. Possibile che ti conoscesse prima che tu andassi, nel vero senso del termine, nell’altro mondo? –
Scossi la testa. – Non vedo come possa essere possibile, non l’ho mai visto prima di ieri in vita mia e non credo che appartenga alla nostra epoca, quindi è escluso che valga per lui. –
Abraham fece un verso d’assenso. – Giusto. – mormorò. – Fatto sta che devi ritornare lì, non solo per capirci un po’ di più di questa faccenda ma anche per capire quale sarebbe stato il loro verdetto. –
Spalancai gli occhi, ricordandomi all’improvviso che Oliver, Suzanne e tutti gli altri membri del Consiglio mi stavano per dire anche dell’altro. Chissà se mi avrebbero aiutato…
- Perfetto! – esclamai ed intanto imboccai il corridoi da cui ero uscita e feci per raggiungere la mia camera. – Ci vado subito! -
Entrai nella mia stanza ed iniziai all’istante a cercare qualcosa da mettermi, non volevo perdere un attimo di tempo. Presi dall’armadio una maglietta grigia e dei jeans. Stavo cercando le scarpe, quando Abraham comparì alla soglia della camera. Aveva le braccia incrociate al petto ed un’espressione benevola in viso. – Cosa c’è? – domandai con curiosità. Sembrava che stesse assistendo ad uno spettacolo particolarmente divertente.
Fece un passo in avanti ed io mi alzai dal pavimento, abbandonando le ricerche della scarpa sinistra, mi pareva di aver visto la destra in mezzo a dei libri…
-Forse è meglio che tu riposi, Elly. – non mi diede neanche il tempo per replicare che aggiunse: - È da due giorni che vai lì. Riposati un po’. Passa del tempo coi tuoi amici e tua madre. Così ti stancherai troppo. –
Sgranai gli occhi. – Pensavo che anche tu volessi capire cosa sta accadendo! – ribattei.
-Voglio soltanto che tu non ti affatichi troppo. Non posso stare con mia nipote ma con te sì e, fino a ché non ritornerò indietro, posso prendermi cura di te, impedendoti di stancarti. –
Feci un passo indietro, ferita. – E così sono solo un ripiego? –
Abraham inclinò la testa di lato, squadrandomi, prima di sorridermi e rispondere: - Assolutamente no, figliola. Farei lo stesso anche se Dominique potesse vedermi, lo sai che ti voglio bene. –
Ricambiai il sorriso. – Grazie. – riuscii a trovare la scarpa sinistra e presi anche la destra. Me le infilai e corsi fuori casa. Sentivo Abraham seguirmi. Non sapevo che pure i fantasmi potessero avere il fiatone.
-Dove stai andando? – mi domandò mentre scioglievo il catenaccio della mia bici.
Gli rivolsi uno sguardo acceso di adrenalina. – Indovina. –
 
Per esperienza, sapevo che mia madre non si sarebbe preoccupata, non vedendomi a casa, a volte accadeva che mi dimenticassi di avvertirla, ma questa volta le avevo lasciato un biglietto, per prevenzione. Abraham era ritornato a casa di Dominique però mi disse, prima che andassi dall’altra parte, che lo avrei rivisto al mio ritorno e mi augurò di scoprire qualcosa.
Il mio quinto viaggio fu identico ai quattro che lo precedevano: mi fece perdere il senso dell’orientamento e girare la testa.
Ricomparii un’altra volta sulla mia lapide. Chissà se c’era un motivo oppure quel fenomeno era solo frutto del caso.
-Ehi, bentornata. – disse una voce maschile. Alzai lo sguardo dell’erba grigiastra e incontrai quello di Percy. Sfoggiava il suo immancabile sorriso a trentadue denti e, sinceramente, fui rincuorata nel vedere una faccia che conoscevo, anche se solo da pochissimi giorni.
-Già. – mormorai. Provai ad alzarmi ma il mio equilibrio non si era ancora stabilizzato e sarei caduta, se Percy non mi avesse afferrato giusto in tempo la mano. – Grazie. – dissi, staccandomi da lui e constatando che la sua pelle ora mi sembrava nettamente più calda.
Traballavo ancora, così mi appoggiai alla mia lapide. Il cimitero era sempre lo stesso, non sembrava che ci fossero meno tombe rispetto al giorno precedente. Mi chiesi dove fossero quelle dei miei amici e se lo spazio potesse finire. Magari le dimensioni della città e del cimitero erano stabilite in maniera proporzionale? Lo dubitavo. Forse in quella dimensione i luoghi in cui far sorgere nuove case o tombe non finiva mai.
-Ehi, ci sei? – mi distolse dai miei viaggi mentali Percy, agitandomi una mano davanti al viso.
Sbattei le palpebre, confusa. Ogni tanto mi capitava di perdermi nei pensieri, come era appena successo. Però succedeva di rado che lo facessi quando ero in compagnia, eccezion fatta di quando ero in classe. Arrossii. – Sì, scusa, stavo pensando. –
Percy fece un sorriso. – Non dovresti scusarti del fatto che pensi. Ho conosciuto tante persone che non lo facevano e neanche avevano la decenza di… - sospese la frase, in viso aveva un’espressione sorpresa e smarrita, come se  non potesse credere a quello che stava dicendo.
-La decenza di… - lo incoraggiai a continuare.
Sorrise. – Di accorgersene e chiedere umilmente perdono in ginocchio. – proseguì. Il suo sorriso si allargò. – Ho… ho ricordato qualcosa! – esclamò, per poi fare un urletto entusiasta.
Ridacchiai, contenta per il suo buon umore. – Peter e Bree dove sono? – domandai poi, sperai che non si capisse dal mio tono che non nutrivo molta simpatia per quest’ultima.
Percy interruppe quello che sembrava il suo ballo della vittoria. Si voltò verso di me e fece un “Mmh?”. Si grattò la testa, arruffando i suoi capelli castani. – Credo che siano in città, non so. Quando ho detto loro che sarei venuto qui, hanno rifiutato di accompagnarmi, più che altro Bree l’ha fatto. Peter non voleva lasciarla da sola. –
Si sedette per terra ed io feci lo stesso, mettendomi accanto a lui. Era piacevole parlarci, anche se non pensavo lo stesso la prima volta che l’avevo visto. Ero già troppo impegnata a cercar di capire cosa mi stesse accadendo, sebbene la situazione fosse la stessa, adesso, e lui sembrava voler scherzare su tutto, cosa che non mi era molto utile. Ora però mi metteva a mio agio, in un certo senso. Percy, nonostante fosse morto chissà da quanto tempo, era come qualsiasi altro ragazzo vivo. A parte, forse, per il fatto che leggesse, non conoscevo molti ragazzi della mia scuola che lo facessero, tranne per David.  Credo che, se si fosse comportato in maniera diversa dalla sua, avrei preso molto peggio la questione del parlare con una persona morta.
-E come mai sei voluto venire qui? – chiesi.
Percy smise di tamburellare le dita sul ginocchio destro, quello più vicino a me, e si girò.
Il suo colorito parve diventare leggermente più scuro, come se stesse riprendendo le sembianze di quando era vivo, e solo in seguito realizzai che era arrossito. – Io volevo avvertirti di quello che hanno deciso i membri del Consiglio. –
Alzai le sopraciglia, in attesa del “verdetto”. Cosa avrebbero deciso? Mi avrebbero permesso di restare in quello strano mondo così diverso dal mio? Oppure mi avrebbero esiliato? Sarebbe finita così la mia avventura? No, non mi sarei arresa: ero decisa a capire da cosa traessero origine le mie capacità, di chi fosse l’anello che ora avevo al dito e perché sembrava che Oliver Meyer mi conoscesse. – Allora? – lo esortai a continuare.
Percy scoccò la lingua e prese qualcosa dalla sua tasca. Poi mi porse un foglietto piuttosto sgualcito. Lo spiegai. C’era scritto:
 
"Carissima signorina Ellison,
nonostante la sua assenza durante la pronuncia del nostro responso, abbiamo comunque proferito la nostra decisione, che spero che il suo amico Percy Gabriel Lee Arrow le consegni al vostro prossimo incontro. Ebbene, le concediamo tre ore al giorno nella nostra biblioteca per effettuare le ricerche che desidera fare.
Le ore potranno essere trascorse nella fase del giorno che più preferisce ma non dovranno essere distribuite nella maniera che desidera: una volta che le avrà iniziate, dovrà finirle e, se uscirà prima dello scadere del tempo, dovrà rinunciarvi fino al giorno successivo.
Scadute le tre ore, dovrà sgomberare la stanza e prendere tutte le vostre cose.
Speriamo che ci terrete costantemente al corrente delle vostre scoperte.
Il Consiglio."
 
Sorrisi. – È… è fantastico! Mi permettono di restare! – esultai in direzione di Percy.
Ridacchiò. – Lo so. –
Alzai un sopraciglio e lo guardai con aria scettica. – In che senso? –
Fece un ghigno. – L’ho letto, cosa credi. – sbuffai, sollevando gli occhi al cielo. Fu solo in quel momento che mi stupii di non averlo mai fatto, le altre volte che ero venuta nell’altro mondo. Era grigio chiaro, completamente sgombro di nuvole. Cercai con lo sguardo il sole o qualsiasi altra fonte di luce ma non ne trovai. Eppure non era buio, era come se la volta celeste emanasse luce e sicuramente era così ancor prima che i miei nonni nascessero ma mi sembrava una cosa tremendamente innaturale. Dov’era il Sole?
Ero cresciuta in un mondo con il Sole, mi piaceva sdraiarmi e godere del calore che mi infondeva la sua luce, non avevo mai considerato che ci potesse essere un posto che non lo avesse.
Mi sdraiai sull’erba, intenta a guardare ancora il cielo. Aveva lo stesso colore delle nuvole, quelle poco cariche d’acqua, quando ancora ci sarebbe voluto molto tempo prima che iniziasse a piovere.
Percy, per tutto il tempo delle mie elucubrazioni, mi guardava dubbioso, come se si stesse chiedendo cosa fosse meglio fare in quel momento. Poi, quando mi distesi, lui imitò il mio movimento. – Allora? Sei così incavolata che mi vieti il piacere di sentire la tua possibile risposta? – disse con tono scherzoso, anche se non sembrava molto convinto.
Scossi la testa, sorridendo. – No, ficcanaso. – Rise. – Stavo pensando: dov’è il Sole? – indicai la volta.
Aggrottò la fronte. – Qui ci sono solo le stelle ma nessuno ci fa caso. –
-Oh. – mormorai sconsolata. Mi sentii delusa, quel posto era diventato una sorta di paese delle meraviglie dark, per me, e sapere che mancassero cose che avevo sempre dato per scontate, mi fece sentire anche fuori posto: io non sapevo niente di quel luogo.
Iniziai a giocherellare l’anello al dito medio, passandomelo davanti agli occhi.
- Cos’è quello? – domandò Percy.
Gli mostrai l’anello e lui spalancò gli occhi, togliendomelo dalle mani. Se lo rigirò tra le dita affusolate e pallide. Poi lo infilò all’anulare della mano destra. Gli calzava alla perfezione, contrariamente a me, che nel mio dito medio ballava non poco.
-P. G. L. Sono le mie iniziali. – ragionò a voce alta.
Mi misi a sedere. - È vero. Forse è tuo. –
Percy annuì alle mie parole, mentre continuava a studiarlo con attenzione. – Me lo ricordo. – inclinò la testa di lato e i suoi capelli coprirono lievemente l’occhio sinistro. – Me l’hanno regalato per un mio compleanno. – accarezzo l’incisione dell’arco. – Dove l’hai trovato? – mi chiese poi, girandosi verso di me.
Mi mordicchiai il labbro, prima di rispondergli. – Nel cimitero della mia città. Quello del mio mondo. – specificai dopo. – Come può essere finito lì? –
Fece spallucce. – Credimi, non ne ho idea. -

 
Note dell'autrice:
Avevo promesso a Zampa che avrei pubblicato il capitolo ieri, quindi vi porgo le mie scuse, purtroppo ho avuto da fare e non ho avuto il tempo per aggiornare .-. Ad ogni modo, spero che questo capitolo vi piaccia, sebbene sia piuttosto di passaggio.
Però qualcosina succede, no?
Percy ricorda qualcos'altro della sua vita precedente, Ellison può andare nella biblioteca per fare le sue ricerche e si scopre il proprietario dell'anello. Ma ora sorge un ulteriore domanda: come ci sarà finito lì?
Eh, eh, è abbastanza difficile questa, lo so.
Dei, sembro un tizio che annuncia come sarà la prossima puntata di un anime o qualcosa del genere. Forse dovrei considerare l'idea di farmi curare. Forse.
Al prossimo capitolo!

 
   
 
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