Cap
1
-
Ne sei assolutamente sicuro? È proprio questo che hai visto?
–
Lupa
osservava con insistenza Octavian, quasi sperasse che il ragazzo
negasse
dicendo che la sua visione poteva essere fraintesa, che magari la
ricerca dell’ancile
era avvenuta secoli prima.
-
So quello che ho visto. Contrariamente a qualche ridicolo Oracolo,
io
non commetterei mai un errore così grossolano su una
questione tanto
importante. –
Non
c’era niente da fare, ancora non aveva digerito il fatto che
Rachel, l’Oracolo
del Campo Mezzosangue, fosse stata ritenuta più affidabile
di lui in passato.
-
Nessuno sta mettendo in dubbio il tuo talento, Octavian, ma si tratta
di una
cosa grave se corrisponde a realtà. –
replicò Lupa, conciliante.
Bè,
non era certo quello il modo di trattare con lui.
Katherine
conosceva Octavian da quando aveva messo piede al Campo per la prima
volta, sei
anni prima, e ormai aveva imparato come gestirlo. L’avrebbe
strozzato
volentieri certe volte, quello era ovvio, ma allo stesso tempo lo
considerava
il suo più caro amico e aveva assoluta fiducia nella sua
Vista.
-
Se Octavian dice che l’ha visto io gli credo. È un
bel problema, Lupa. –
decretò, fissandola a testa alta, senza mostrare il minimo
segno di cedimento.
-
Affronteremo la cosa, ovviamente, dando la giusta importanza alla
visione del
nostro Augure. Katherine, te la senti di prendere il comando
dell’impresa? –
Era
una figlia di Marte, una delle più dotate nel Campo, e non
era certo la prima
volta che le veniva assegnato il comando di un’impresa,
eppure il fatto che
Lupa avesse pensato proprio a lei per una questione così
delicata la riempiva
d’orgoglio. Orgoglio e terrore.
Scacciò
via quei pensieri. Non era una codarda.
-
Sarà un onore andare a prendere a calci qualche chiappa
olimpica. – decretò,
con un sorrisetto arrogante che le increspava le labbra.
Octavian
le rivolse un’occhiata penetrante, come se sapesse
perfettamente cosa le
passava per la testa. E non era da escludere che fosse proprio
così; in quegli
anni aveva imparato a interpretare ogni sua espressione in modo
inquietantemente preciso, neanche fosse fatta della laniccia di uno dei
suoi
peluches.
-
Lascio a te la scelta dei tuoi compagni, vi aspetterò qui
prima della vostra
partenza. –
Con
quelle parole vennero congedati e si ritrovarono a passeggiare lungo il
sentiero che portava verso la loro casa. I primi raggi del Sole
cominciavano a
rischiarare il cielo e l’alba lo tingeva di migliaia di
sfumature che andavano
dall’azzurrino al turchese, al lilla e al rosa.
Katherine
amava l’alba, così come il tramonto,
perché quella mescolanza di colori l’aveva
sempre affascinata fin da bambina. Ricordava che passava interminabili
minuti
sul terrazzo di casa sua a fissare il cielo, svegliandosi presto
proprio per
non perdersi neppure un secondo di quello spettacolo.
-
Ti va se rimaniamo qui fuori? – propose, indicando
l’ampio prato poco distante.
Octavian
non disse nulla, limitandosi a seguirla e lasciarsi cadere a terra
accanto a
lei.
Rimasero
in silenzio per un po’ finchè non fu proprio lui a
prendere la parola.
-
Hai già in mente chi porterai con te? –
Si
mordicchiò il labbro inferiore, pensierosa. Quando pensava a
un’impresa
vincente, c’era un volto che gli affiorava sempre nella
mente.
Capelli
color dell’oro zecchino, occhi di un singolare grigio
bluastro che ricordavano
il mare in tempesta, e un corpo che sembrava essere stato scolpito nel
marmo.
Ate,
figlio di Plutone.
Non
c’era semidea in tutto il Campo Giove che non avesse
fantasticato almeno una
volta su di lui. Non c’era semidio che non avesse sognato,
almeno per una
volta, di essere come lui. Se non altro per sapere cosa si provava
nell’essere
bello, popolare e un abile guerriero.
Katherine
doveva ammetterlo: anche lei non era immune al suo fascino.
Tutto
inutile, però, perché il figlio di Plutone aveva
una relazione con la ragazza
più mozzafiato del campo. Dominique Delafont, figlia di
Venere: un metro e
settanta di scintillanti capelli biondo argenteo, occhioni blu, curve
al posto
giusto e sensualità a mille. Poco importava che fosse anche
una grandissima
stronza egocentrica.
-
Kat, ci sei? –
Octavian
le sventolò una mano davanti agli occhi, leggermente
seccato. Non era un tipo a
cui piaceva ripetersi.
-
Scusa, dicevi? –
-
Ti ho chiesto se avevi già in mente chi portare con te.
– ripetè, scandendo le
parole come avrebbe fatto con qualcuno particolarmente lento di
comprendonio.
Gli
assestò una spallata giocosa, facendogli la linguaccia.
-
Non c’è bisogno che parli così, non mi
chiamo mica Delafont. –
-
Quindi pensavi di portare il principe dei cadaveri ambulanti? Ecco
perché avevi
quella faccia da pesce lesso, ora è tutto chiaro. –
Era
incredibile come Octavian fosse in grado di pronunciare quel nome come
se fosse
la cosa più disgustosa e insopportabile sulla faccia della
terra.
-
È un guerriero molto abile, il migliore del Campo.
–
Persino
alle sue orecchie suonava troppo come una giustificazione. Una
giustificazione tremendamente
debole, si corresse mentalmente.
-
Ma davvero? Quindi il fatto che sia un bel ragazzo non incide per
niente nella
tua scelta? –
Oh,
insomma, perché adesso si metteva a fargli quella ramanzina?
Neanche fosse suo
padre.
Questa
poi, chissà come avrebbe reagito Marte sapendo che sua
figlia aveva una cotta
per il figlio di Plutone. Male, sicuramente molto male.
-
Smettila, tanto ho deciso e non cambio idea. –
borbottò, seccata.
L’Augure
obbedì, ma nei suoi occhi blu si leggeva chiaramente il suo
disappunto.
-
Chi altri? –
-
Pensavo a Ty. –
Un
figlio di Venere. Sbuffò, alzando gli occhi al cielo.
– Fantastico, di bene in
meglio. –
Okay,
adesso ne aveva proprio abbastanza.
-
Si può sapere che diavolo ti prende? So che dopo aver visto
hai sempre
la luna di traverso, ma questa volta è peggio del solito,
sei insopportabile. –
-
Niente, non mi prende nulla. Solo che non credo che sia una buona idea
andare
in giro in compagnia di due ragazzi; avresti potuto scegliere una delle
ragazze
del Campo, magari chiedere a Reyna di venire con te. –
Octavian
che tirava in ballo Reyna? La cosa doveva essere più grave
del previsto visto
che di solito si sarebbe fatto sventrare come un orsetto di peluches
piuttosto
che ammettere che il loro Pretore era in grado di risolvere qualche
problema.
-
Reyna ha già abbastanza cose da fare qui al Campo senza che
la trascini in giro
per il mondo alla ricerca di uno stupido ancile. –
-
Allora lascia che venga anche io, così ti terrò
d’occhio. – replicò.
Scosse
la testa. Finalmente aveva capito cosa c’era che non andava.
Octavian era in
fase iperprotettiva, una cosa che ogni tanto gli capitava e che
riservava
unicamente a lei.
-
Sei l’Augure del Campo, lo sai che non posso portarti, il tuo
posto è qui. –
Poi
lo abbracciò di slancio, prima di dargli il tempo di capire
cosa avesse
intenzione di fare, scoccandogli un bacio sulla guancia. Lo
sentì avvampare
contro le sue labbra.
-
Sei tenero quando ti preoccupi per me, sai? – rise,
punzecchiandogli un fianco.
-
Lo sai che non mi piacciono gli abbracci e le cose sdolcinate.
– protestò, ma
un lieve sorriso celato a stento gli increspava le labbra.
-
Non mi sembra di sentire proteste. –
Si
rannicchiò contro di lui, costringendolo a sdraiarsi per
permetterle di
poggiare la testa sul suo torace.
La
vicinanza di Octavian le infondeva sicurezza, poco importava che fosse
più
umano che divino e non fosse esattamente un combattente. E in quel
momento lo
sapeva Giove se ne aveva bisogno.
-
Voglio che porti con te qualcuno con cui sia in grado di comunicare nel
caso
qualcosa andasse storto. –
Eccolo
che ricominciava.
-
Porterò Agnes, soddisfatto? –
-
Agnes e Jessie. – rilanciò.
D’accordo
per la profetessa, che poteva sempre tornare utile, ma
perché una ninfa?
-
Che dovrei farci con Jessie? –
Era
simpatica e spigliata, forse anche un po’ troppo per i suoi
gusti, ma non aveva
nessuna qualità indispensabile per la riuscita
dell’impresa.
-
Fidati, ti servirà. –
Gli
occhi blu si erano leggermente offuscati e Katherine lo prese come un
segnale.
Probabilmente la sua sarebbe stata la prima missione di salvataggio
cosmico con
la partecipazione straordinaria di una ninfa.
-
Così avrò anche due ragazze con cui passare il
tempo, dovresti ritenerti
soddisfatto. –
Non
ne fu sicura, ma le sembrò che Octavian avesse borbottato
qualcosa che
assomigliava molto a un “abbastanza”.
La
loro conversazione venne troncata dai rumori e dal chiacchiericcio dei
semidei
che si preparavano per l’inizio della giornata.
Si
alzarono in piedi, spolverandosi i vestiti a vicenda, e raggiunsero i
ragazzi
della Prima Coorte, passandoli rapidamente in rassegna.
Era
comico il fatto che quella mattina l’ispezione toccasse a
loro perché le loro
condizioni non erano certo quelle che si presupponeva avessero due
Centurioni
del Campo Giove. Nessuno, fortunatamente, ebbe però il
coraggio di commentare
in qualche modo.
Nessuno
tranne Dominique, ovviamente, che una volta arrivati davanti
all’ingresso della
casa della Terza Coorte non si lasciò scappare
l’occasione per punzecchiarla.
-
Hai un nido di rovi in testa, Banks, o quelli sono i tuoi capelli?
–
Katherine
avrebbe voluto replicare con la stessa moneta, ma trovare qualcosa in
Dominique
che fosse meno che perfetto era praticamente impossibile.
Così si limitò a
ribattere con la sua solita uscita.
-
Oh, sta zitta, Barbie. –
Non
esattamente originale, ma sapeva quanto il soprannome infastidisse la
figlia di
Venere.
La
vide gonfiare le guance, indignata, per poi allontanarsi da lei
sculettando
esageratamente ed esclamare, con tono miagolante: - Ate, tesoro.
–
Ecco,
adesso cominciava davvero a maledirsi per non essere passata a darsi
una
sistemata prima di cominciare il giro d’ispezione.
-
Possiamo andarcene, mancano ancora la Quarta e la Quinta Coorte e tu
devi fare quella
cosa. –
Già,
per un attimo aveva dimenticato l’impresa.
Si
passò freneticamente una mano tra i capelli, cercando di
dare un senso alle
onde corvine, ma a quanto pareva non volevano saperne di stare in
ordine.
-
Octavian, Katherine. –
La
voce di Ate le giunse alle orecchie all’istante e si
ritrovò a sorridere
amichevolmente rispondendo al saluto mentre il ragazzo al suo fianco
fissava il
figlio di Plutone con la solita palese ostilità.
-
Ate, ciao. Più tardi devo parlarti di una cosa, cerca di non
sparire, okay? –
mormorò, lievemente impacciata.
-
Va bene, ti aspetto in mensa così mi spieghi di che si
tratta. –
E
poi le sorrise. Oh, in nome degli Dei, doveva esserci scritto da
qualche parte
che avere un sorriso come quello era illegale.
Octavian
sbuffò, marciando a passo risoluto verso la Quarta Coorte.
Ultimarono
l’ispezione in fretta e in religioso silenzio
perché il discendente di Apollo
non sembrava proprio dell’umore adatto a fare conversazione.
Giunti
davanti all’ingresso della mensa trovò Ate ad
aspettarla.
Era
appoggiato al muro e se stava aspettando da tanto ed era innervosito
non lo
dava a vedere.
-
Allora, di cosa volevi parlarmi? – le chiese, affiancandola e
sedendosi al
tavolo con lei.
In
sei anni di Campo non ricordava di aver mai condiviso un pasto con lui;
di
solito Ate se ne stava al tavolo con i suoi amici e lei frequentava
praticamente solo Octavian e Reyna.
-
Octavian ha visto una cosa. –
esordì, riepilogandogli velocemente i
fatti delle prime ore del mattino.
Quando
ebbe finito, Ate la fissava con la fronte corrugata.
-
Merda. – commentò.
-
Esattamente quello che ho detto io. Pensavo di chiederti di unirti a me
per
l’impresa. –
-
Perché proprio io? –
-
Bè, sei il miglior combattente del Campo, sarebbe stupido
escluderti. –
-
Ce ne sono molti altri bravi. –
Oh,
insomma, adesso si metteva a fare il modesto o si stava semplicemente
tirando
indietro?
-
Senti, se non vuoi ne trovo un altro. – esclamò,
spazientita. Non le era mai
piaciuto pregare le persone e di sicuro non avrebbe iniziato quel
giorno, neanche
per un bel faccino e un sorriso folgorante.
-
Calma, calma, non ho mica detto che me ne voglio tirare fuori. Ci sto.
Ho solo
una domanda: perché una ninfa? –
Ignorò
il fatto che lei stessa avesse fatto quella domanda appena un paio
d’ore prima
e replicò piccata. – Mi basta il fatto che
Octavian dica che ci servirà. –
Ate
inarcò un sopracciglio, scettico. – Bè,
se lo dice Octavian, allora. –
Poi, notando che si stava
innervosendo, lasciò
perdere l’Augure.
-
Chi altro avevi intenzione di portare? –
Katherine
giocherellò distrattamente con le uova strapazzate che aveva
nel piatto,
rigirandovi la forchetta. – Pensavo a Ty, ma devo ancora
chiedergli se è dei
nostri. –
Ate
si voltò in direzione dell’amico, che sedeva al
tavolo dietro al loro in
compagnia del resto dei figli di Venere. Dominique era tra di loro e
fissava i
due ragazzi con espressione arcigna, come se volesse fulminare
Katherine su due
piedi. – Ty, impresa, ci stai? –
Ty
mise giù il bicchiere di spremuta d’arancia e
alzò un pollice in aria. – Dei,
certo che sì. –
Ty
Collins era probabilmente il semidio più iperattivo che
Katherine avesse mai
incontrato, ma non credeva che fosse davvero capace di accettare una
missione
potenzialmente mortale senza nemmeno chiedere di cosa si trattasse.
-
Hai i tuoi due compagni, una profetessa e una ninfa. Squadra strana, ma
sono
sicuro che andrà alla grande. –
Quanto
avrebbe voluto condividere il suo ottimismo, ma c’era
qualcosa che la
tormentava. Quella non era un’impresa come le altre. Odiava
dirlo, ma c’erano
tutti i presupposti perché si rivelasse un vero e proprio
suicidio.
Spazio
autrice:
Eccoci
qui con l’aggiornamento. Per il momento ho presentato solo i
due OC che faranno
compagnia a Katherine, ma nel prossimo troverete anche la profetessa e
la ninfa
e in quello ancora successivo le Cacciatrici. Spero che vi sia piaciuto
e vi
chiedo intanto cosa ne pensate degli OC finora presenti. Alla prossima.
Baci
baci,
Fiamma Erin Gaunt