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Autore: outofdream    29/07/2014    3 recensioni
Rivisitazione di "Twilight", di S. Meyer.
Dal 17 Capitolo:
Rimasi immobile in quel modo, rossa in viso, coi piedi scalzi e i capelli arruffati, lo sguardo fisso su di lui.
Non ero spaventata, ma non sapevo nemmeno cosa fosse giusto fare.
Le sue mani delicate sfiorarono i contorni rigidi della finestra e ne spostarono con leggerezza le ante, facendo entrare nella stanza un’aria pungente, fredda e morbida. Provò a sorridermi, ma sapevo che in quel momento la sua tristezza non conosceva confini e quando lo capii, non potei resistere: corsi verso di lui, gettandogli le braccia al collo e stringendolo a me.
Oh, Edward.
Genere: Romantico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Bella/Edward
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Twilight
Capitoli:
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Nota dell’autrice: mi scuso, nuovamente, per il ritardo con cui posto questo capitolo (davvero, sono lentissima) e per la sua brevità! Il prossimo sarà più lungo, promesso.

 
                                                                                                              Addii


«Pronto?», quella voce rauca mi fece traballare, tanto che mi ci volle un bel po’ per far forza su me stessa e rispondere. «Sì, pronto? Ciao papà..», mormorai.
«Bells tutto ok?», domandò incerto.
«Mh-mh, qui va tutto alla grande.. Senti uh.. Mi domandavo se.. Se potevo rimanere a dormire qui, stanotte», chiesi timidamente.
«Precisamente, qui dov’è?», potevo vedere la sua espressione perplessa anche senza averlo di fronte.
Sorrisi senza volerlo, «A casa di Edward».
Sentii che stava per dire qualcosa, ma lo bloccai prim’ancora che potesse fiatare, «In realtà.. Ho fatto amicizia con le sue sorelle e sono tipe.. Forti. Mi hanno invitato a stare con loro stanotte, mi presteranno loro dei pigiami, sai. Non farti idee strane comunque, io e Edward siamo solo amici».
Rimase in silenzio per un momento.
«Mh», mugugnò, «Va bene. Se ai genitori di Edward va bene..».
«Va bene», dissi, ormai senza più espressione nella mia voce, «A loro va benissimo».
«Allora divertiti, Bells», un rapido sorriso sulla curva di quelle ultime parole, «Buona notte tesoro».
«Buona notte papà», sospirai, invece di urlare, invece di scatenare il mio dolore e la mia furia, invece di chiamarlo a gran voce, di strapparmi i capelli dalla disperazione, di chiedere aiuto, di pregarlo affinché corresse a salvarmi. Spensi il telefono e solo allora mi accorsi delle lacrime che scendevano copiose rigando le mie gote, bagnando il display del cellulare.
Ancora potevo sentire Edward gridare al piano di sotto, disperatissimo, lo sentivo supplicare («Lasciatemi fare, non fatele chiamare suo padre!»), ma erano forze spese invano le sue: l’evidente superiorità del mio piano rispetto ai suoi era talmente schiacciante che nessun membro della famiglia Cullen si stava dispiacendo più di tanto a trattenerlo con la forza, affinché io potessi telefonare a mio padre e salutarlo.
C’erano cose che avrei voluto dirgli, posti in cui mi sarebbe piaciuto andare o tornare con lui. C’erano momenti che avrei voluto rivivere, in quel preciso istante: tornare bambina e essere di nuovo al mare con Charlie che mi alzava in braccio e sopra il mondo, mentre rideva e mi teneva così in alto che a me pareva possibile perfino toccare il cielo. Avrei voluto..
«Bella!», gridò Edward, quasi sfondando la porta di camera sua, nella quale mi ero rifugiata, finalmente libero. «Perché?», mi fu addosso in un istante, «Sei solo una stupida!», urlò con una ferocia che non gli avevo mai visto in volto, «Come hai potuto fare un gesto così avventato? Non hai idea di quello a cui stai andando incontro! Sei solo un’egoista!».
Alzai il viso verso il suo, colpita da quelle parole.
«Solo un’egoista! Fai tanti bei discorsi, hai tante belle idee ma poi resti solo questo! Un’egoista! Non pensi a Charlie? Pensi che vivere una vita senza sua figlia sia meglio che morire? Non pensi a quanto lo farai soffrire? Non posso credere che tu sia umana, che tu sia viva, che tu abbia un cuore, perché altrimenti in questo momento si starebbe spezzando all’idea di ciò che stai per fare!», tuonò fuori di sé e a sentire quelle parole una rabbia, un tale odio mi salì in corpo, mi avvelenò il sangue nelle vene che per un attimo mi parve di star morendo arsa viva. «Come ti permetti!», strillai così forte che perfino Emmett si affacciò alla porta di camera. «Sei solo un inutile pezzo di merda!», lo spinsi via con tutta la forza che avevo in corpo, «Preferirei morire cento volte piuttosto che scappare e lasciare Charlie da solo! Preferirei sgozzarmi in questo momento, gettarmi da questa stessa finestra! Per te non significa nulla, vero? Tu probabilmente nemmeno ti ricordi di com’è, avere una famiglia! Tutto questo è accaduto per colpa mia, perché sono stata debole, perché ho pensato solo a me stessa, quando infatti Rosalie aveva ragione! Alice aveva ragione! Tutti avevano ragione e a me non è mai importato nulla, perché preferivo pensare che sarebbe semplicemente bastato stare con te per risolvere tutto, perché credevo che potessimo bastare da soli! Ma in realtà non sono stata altro che cieca..», mi alzai dalla sponda del letto, serrando i pugni, «E adesso guarda! Tutto questo è solo colpa mia, ma sto cercando di rimediare! E tu.. Vieni qui, con questa arroganza.. Dici che sono egoista.. Non lo siamo tutti allora? Non siamo tutti soltanto degli egoisti e dei bugiardi? Ma che possiamo farci? Che posso farci io? Voglio soltanto che Charlie sopravviva, voglio soltanto che non corra rischi, è sciocco forse? È mio padre! Io lo amo. E se dovrò morire..», singhiozzai, «Allora morirò».
Edward rimase lì, di fronte a me, senza riuscire a dire nulla, totalmente inerme di fronte alla realtà dei fatti. Nessuno di noi riusciva a lasciare le proprie posizioni, fermi l’uno davanti all’altra, come le due metà esatte di uno specchio – sapevo che non poteva lasciarmi andare, ma non c’era altra possibilità che correre quel rischio. Per un attimo, solo per un momento, ripensai a mio padre e alla sua buona notte. Ripensai a tutte le volte che me l’aveva data, rimboccandomi le coperte, ripensai a mia madre e la mia mente volò lontana, nei luoghi più soleggiati dell’Arizona, come un uccello da mia madre, per posarsi sul suono della sua risata un po’ storta che mi ricordava tanto il mare, ai suoi capelli corti un po’ brizzolati, ai biscotti che preparava volentieri quando mi ammalavo. Avrei voluto chiamarla, tornare fra le sue braccia perché in fondo non ero altro che questo di fronte all’inevitabile: una bambina che lanciava i suoi primi sassi alle sue prime paure.
E non ero pronta.
Edward mi prese il viso fra le mani, fissandomi con i suoi grandi occhi tristi – sì, Carlisle aveva ragione. Se avesse potuto piangere per lui sarebbe stato più semplice e invece, le tristezze gli si fermavano in gola.
«Non puoi e basta», tentò di essere sicuro nel tono e nei gesti, ma la debolezza che scorsi aldilà delle sue parole lo rese di nuovo umano ai miei occhi.
«Non puoi, Bella. Io non ce la faccio, non posso rischiare di perderti di nuovo. Ti prego. Vattene. Ti porterò dovunque vorrai, ce ne andremo, staremo insieme e andremo dove mi chiederai, James non ti farà mai del male finché ti sarò vicino. Troveremo una soluzione anche per Charlie, va bene? Lo tratterò come se fosse mio padre..», mormorò e quando pronunciò quelle parole il cuore mi si ruppe in petto, schiacciato dal peso della crudeltà delle mie precedenti affermazioni: come avevo potuto rivolgere a quel ragazzo triste parole così violente? Oh, le tremende offese che avevo pronunciato conservavano in loro una crudeltà senza confini, come avevo osato tanto? Strizzai gli occhi, trafitta da mille spade, chinando il capo senza più riuscire a aprir bocca.
«Te lo prometto, Bella, guardami», la sua voce cominciava a rompersi, piegarsi come metallo sotto i violentissimi colpi del cielo e della terra, «Guardami per favore. Non posso lasciartelo fare. Non devi, non puoi», balbettò, «Non è giusto».
Alzai lo sguardo verso un ragazzo distrutto, a testa basta come me, che non riusciva più a voler giocare, a sorridere, che stava crollando inesorabilmente sotto il peso del suo dolore.
«Non è giusto, non puoi farlo», mormorò.
«Io cosa farò senza di te?», mi strinse a sé così forte e per un attimo somigliò quasi all’amore.
Lo strinsi a me più forte che potei, cercando di assaporare qualunque cosa di quel momento: l’odore della sua pelle, il corpo freddo, la camicia stropicciata, i capelli morbidissimi sulla mia pelle arrossata dalle lacrime. «Devi fidarti di me», sussurrai, «Non puoi salvarmi per sempre».
«Se tutto andrà bene, magari non morirò», a quelle parole un sorriso isterico comparì e svanì dal mio viso con la stessa rapidità con cui riuscivano a cambiare i miei sentimenti in quei momenti.
«Ma tu devi lasciarmi andare».
«Non posso», balbettò lui, «Non sono abbastanza forte».
«Non lo è mai nessuno», piansi io.
«Edward..», la voce melodiosa di Carlisle ci destò da quell’attimo infinito, «Forse dovremmo occuparci di organizzare il contrattacco. Abbiamo bisogno di te,.. E forse Bella sopravvivrà».
«Vi prego», sussurrò da ultimo il giovane, prima di lasciarsi portare via dalla stanza dal padre,
«Vi prego, lasciatemi con lei».

Sentivo la voce di Edward, e notavo con macerato dispiacere le sue espressioni preoccupate e il tono di voce flebile, il modo sicuro in cui diceva che James non cacciava in gruppo e che viveva in lui la ferma convinzione di voler agire senza aiuti, né da parte di Laurent né da parte di Victoria. Sentivo Carlisle, la maniera delicata e precisa in cui spiegava ai tutti e improvvisamente obbedienti membri della famiglia come posizionarsi all’esterno della casa («Aspetteremo qui, io e Esme insieme a Jasper ci occuperemo di coprire questo lato della casa, cercando di mantenerci a debita distanza, ma lo stesso da essere abbastanza vicini per poter agire nel minor lasso di tempo possibile. Alice, tu e Edward vi occuperete di coprire la parte della casa più prossima all’entrata principale. In quanto a Rosalie, lei si occuperà di rimanere nelle vicinanze dell’entrata di servizio, la più nascosta, ma certamente la più efficace da un punto di vista strategico, perché immediatamente adiacente alle finestre della stanza di Edward al primo piano e della cucina, al pian terreno. Emmett: a te il compito di proteggere Charlie e di appostarti fuori casa di Bella nella maniera più discreta possibile. Ci affidiamo anche e soprattutto a te», diceva l’uomo con fare più che risoluto).
«Bella, per quanto riguarda te..», mi lanciò un’occhiata indecifrabile, «..C’è qualcosa che vorresti facessimo?».
Impalata di fronte a tutti loro avrei voluto dire qualcosa di sensato, una frase che andasse oltre la mia tenera carne e la mia giovane età, un discorso che mi facesse apparire forte e tranquilla, come s’io fossi stata un albero travolto dal fiume che straripa dagli argini, travolgendo la terra sotto di lui con violenza e noncuranza e proprio come quell’albero avrei desiderato lasciarmi trascinare con la medesima serenità dal tumulto del disastro, dalle onde inferocite e spietate, proprio come quell’albero avrei voluto lasciar fare, avrei voluto lasciare che l’acqua mi portasse via, in terre e luoghi a cui non appartenevo, solo per trasformarmi, pure senza il mio consenso, in qualcos altro. Qualcosa di bello. Ma proprio non riuscivo, proprio non sapevo farmi una ragione di quella paura, proprio non c’era verso. Avrei voluto correre verso Edward e cominciare a piangere come una bambina e gridare di portarmi al mare, di portarmi in India, sulle terre selvagge dell’Australia, avrei voluto rimangiarmi ogni singola parola, ma poi il pensiero di abbandonare Charlie, l’idea di lasciarlo per sempre, di non tentare nemmeno quasi mi strozzavano. Quindi non dissi nulla. Mi limitai a scrollare le spalle e a sedermi sul grande divano in salotto.
«Mi piacerebbe stare un po’ per conto mio», dissi con non troppa convinzione, cercando di non guardare nessuno negli occhi. Piano piano, il modesto campanello di persone che in principio mi circondava cominciò a diradarsi, finché lì ritto di fronte a me non rimase che Edward.
Lo guardai con aria supplice negli occhi: non volevo che mi vedesse crollare a pezzi.
«Edward..», tentai di mandarlo via, ma lui non mi ascoltò e si sedette lì vicino a me.
«Quando tutta questa storia sarà finita, ci penserò io a ucciderti per come mi stai facendo soffrire adesso», provò a sorridere. «Ti importa davvero di cosa dicono Alice e Rosalie, cosa dicono tutti?», avvicinò la sua fronte per toccare la mia.
Un «No» piegato mi uscì dalle labbra strette e torte dal dolore.
«Allora non importa nemmeno a me», sorrise, «Resterò qui per un po’, va bene? Non ti lascio sola».
«Ok», dissi avvicinando a lui a tentoni, cercando conforto e sentii come le sue mani affusolate si infilavano fra i miei capelli, proprio come quella volta, nell’aula di scienze – allora le cose erano più semplici, più semplici davvero.
«Ti ricordi quando hai cantato per me?», chiese al ché io annuii. «Anche io conosco una canzone», sorrise tristemente, accomodandosi sul divano, distendendo le sue lunghe gambe sotto le mie, facendo riposare il mio viso sul suo petto. «Vuoi sentirla?», mi accarezzò dolcemente.
«Sì».
«I have never loved someone the way I love you. I have never seen a smile like yours and if you grow up to be king or clown or pauper, I will say you are my favorite one in town. I have never held a hand so soft and sacred; when I hear your laugh I know heaven’s key. And when I grow to be a poppy in the graveyard, I will send you all my love upon the breeze. And if the breeze won’t blow your way, I will be the sun. And if the sun won’t shine your way, I will be the rain. And if the rain won’t wash away all your aches and pains, I will find some other way to tell you you’re okay. You’re okay..».
Forse in quel momento potevo meglio di prima capire il genere di improvviso calore che si era scatenato in lui quando, per la prima volta, avevo cantato per lui, poiché in quel momento anch’io percepivo la medesima sensazione: era la pace, il più sereno fra i sentimenti, il più quieto e il più difficile da arrivare a cogliere. E io ero un albero e una parte di me cominciava a tranquillizzarsi perfino di fronte l’onda anomala che sapevo stava per raggiungermi e far schiantare sotto l’urto la mia durissima corteccia, spezzare i miei delicati rami, disperdere la mie foglie preziose e infine portarmi via, farmi sparire – non riuscivo più a provare paura in quell’istante, fra quelle note melodiose, fra le sue braccia. Sapevo che in lui nasceva la stessa tristezza che provavo io e lo stesso dolore nel pensare a quale sfortunata sorte ci fosse toccata, ma in quel momento non riuscivo nemmeno più a piangere. Lo strinsi più forte, sentendolo ricominciare la canzone da capo, «I have never loved someone the way I love you. I have never seen a smile like yours and if you grow up to be king or clown or pauper, I will say you are my favorite one in town. I have never..» e così con quella dolcezza che mi si scioglieva in petto, silenziosamente e senza rendermene conto,
mi addormentai.
  
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