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Autore: melhopes    30/07/2014    8 recensioni
“E se non dovessi incontrarla di nuovo?”
“Senza volerlo, vi siete incontrati tre volte. Accadrà di nuovo e, quella volta, le parlerai”
“Me lo assicuri?”
“Dovessimo andare in capo al mondo, Harry”
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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Deutsch. 

Sapevo sarebbe successo. Succede sempre ciò che non vuoi. Stavolta, però, non ci sto. Non sono disposto a continuare questo giochetto. Roma, Londra, Parigi e adesso Stoccolma. Credo di averla vista in abbastanza città da avere il capogiro. Di averla persa in abbastanza città da avere il panico.
 
Se avessi la certezza potesse riaccadere a distanza di tempo, non mi importerebbe. Terrei duro e aspetterei. Ma se queste fossero solo coincidenze e non destino? E se prima o poi tutto questo finisse? Rimarrei con una foto. Con dei ricordi ormai sgualciti come i cuscini a cui mi sono aggrappato ogni volta. E non è abbastanza.
 
 
 
Non posso restare. Non mentre lei è così vicina ma allo stesso tempo distante. Non quando aspetta solo di essere trovata.
 
Mi rigiro il cellulare tra le mani, combattuto. Dovrei avvisare o meno i ragazzi della mia fuga?
 
Se lo facessi, avrei due opzioni. Potrebbero impedirmelo e convincermi, come solo loro sanno fare, a restare oppure potrebbero coprirmi con la crew in caso ritardassi. Nonostante li conosca da anni, non riesco a prevedere la loro reazione.
 
Vorrei sgattaiolare via ma non riesco ad essere disonesto nei loro confronti. Devo dirlo. Almeno a Niall.
 
Lanciando un’occhiata distratta all’uscio, mi sembra di scorgere una punta di biondo dirigersi a destra. Mi affretto alla porta e mi sporgo in quella direzione per accertarmi sia lui.
 
<< Niall >> lo richiamo.
 
Si volta di scatto. Sembro quasi averlo spaventato. << Cosa? >> mi chiede.
 
Gli gesticolo di avvicinarsi.
 
Mi guarda interrogativo ma ubbidisce. Probabilmente spinto dalla curiosità che, da sempre, lo contraddistingue.
 
<< Ho bisogno di te >> sussurro.
 
<< Devo preoccuparmi? >> mi chiede, come se gli stessi confessando i miei sentimenti.
 
<< Non fraintendere, non sei il mio tipo >> scherzo.
 
Lui sorride. << Scusa. L’hai detto in modo strano >>
 
<< Ehm…pensavo di passare dal retro e… >> gli spiego, regolando nuovamente il volume della voce affinché nessuno possa sentirmi.
 
<< Tu, cosa?! >> sbotta.
 
Ha capito tutto. << Sshh! Sshh! >> cerco di zittirlo, guardandomi intorno per accertarmi che nessuno si sia fermato ad ascoltarci, incuriosito o preoccupato per la sua esclamazione.
 
Tutto okay. Siamo ancora soli.
 
<< La smetti di volerti cacciare nei guai? >> riprende, in un bisbiglio.
 
<< Non voglio cacciarmi nei guai. Esco dal retro e faccio un giro >> gli spiego.
 
<< Ragiona. Era tra la folla qui fuori, no? >>
 
Annuisco, non capendo dove voglia andare a parare.
 
<< Il che vuol dire che è in zona per noi >> continua.
 
<< Che cosa…? >> provo a chiedere, confuso.
 
<< Potrebbe essere al concerto stasera >>
 
<< Quante possibilità ci sono che sia così? E, anche se fosse, cosa ti fa credere che sia di nuovo nel parterre stavolta? Andiamo, non posso sfidare la sorte così tante volte >>
 
Tace per qualche istante. Non riesco a capirne il motivo dall’espressione che gli attraversa il viso.
 
<< Da solo? >> domanda.
  
<< Mi camuffo >>
 
<< Per quanto? >>
 
<< Solo un’oretta. Non di più >>
 
Spero con tutto me stesso che serva ad averlo dalla mia parte.
 
<< Un’oretta? >> ripete, scrutandomi con insistenza.
 
Annuisco. << Mi copri o no? >> chiedo poi frenetico, appellandomi a tutta la mia sfacciataggine.
 
Rimane immobile. Mi fissa. Sembra riflettere sulle opzioni. O, semplicemente, si prende tempo.
 
<< Okay, vai >> afferma infine, facendomi segno di sparire.
 
Entusiasta all’idea, gli do una pacca sulla spalla. << Grazie amico >> mi allontano di corsa.
 
<< Guarda che ti cronometro. Un’ora e ti chiamo >> mi urla dietro.
 
Non rispondo. Sarebbe inutile. Sono troppo distante affinché possa essere il solo a sentirmi.
 
Raggiungo il retro ricordando a me stesso di star calmo e non dare nell’occhio. Saluto Helen, Lou e altri collaboratori lungo il tragitto assicurandomi di non sembrare frettoloso o noncurante.
 
Prima di uscire dallo spiazzale aprendomi un varco tra le alte transenne, mi alzo il cappuccio della felpa sul berretto e indosso gli occhiali da sole. Non dovrei correre troppi rischi in questo modo.
 
 
 
 
 
Non so esattamente dove andare. Non sono pratico della zona e forse andare da solo con le mie conoscenze non è una buona idea. D’altra parte, però, sono pronto a rischiare. Devo trovarla, no?
 
Cercherò di non allontanarmi troppo in modo da non perdermi ma, al tempo stesso, perlustrerò i dintorni. Inizio prendendo una strada secondaria, seguendola finché questa non converge in una delle strade principali. Mi guardo in giro e valuto sia stata un’ottima scelta.
 
 
 
 
Vago per quella che mi sembra un’eternità ma di lei nemmeno l’ombra. E se avessi preso un abbaglio? Uno talmente grande da aver ingannato Niall? Se lei non fosse nemmeno in città? In fondo, pensandoci, sono stato l’unico a vederla. Anche se gli altri ci avessero provato, dubito l’avrebbero riconosciuta. Ma allora, lei c’era o meno? L’ho immaginata?
 
Non riesco più a distinguere cosa sia vero da cosa non lo sia. Sento che di qui a poco Niall chiamerà. Ho l’impressione che il mio tempo stia scadendo. Ho questa frase che riecheggia nella mia mente. Più va avanti e più diventa inquietante.
 
Svolto a destra e proseguo dritto per un breve tratto. Se non dovessi trovarla nemmeno qui, andrò via. Per ripercorrere tutto il tragitto al contrario non mi ci vuole molto.
 
Mi imbatto in uno Starbucks e decido di entrare, nonostante io abbia poco tempo. Una bevanda mi farà bene e non impiegherò molto ad ordinare ed essere nuovamente fuori di qui.
 
Apro la porta e, mentre sono ancora sull’uscio, do una rapida occhiata per avere un quadro generale della situazione. Ci sono appena tre tavoli occupati di cui uno solo da rimasugli di ordinazioni. Altre persone sono sedute sulle poltrone vicino alla vetrina. Sembra molto tranquillo.
 
Guardo di fronte a me. Delle porte. Prima che possa realizzare a cosa possano servire, una delle due si apre e lei esce fuori.
 
Sorride. Parla con qualcuno. Non capisco chi. Dovrei chiudere la porta ed entrare del tutto ma non riesco.
 
In un secondo momento scorgo il suo interlocutore. Una bambina bionda che la precede. E’ adorabile.
 
Il suo sguardo incrocia il mio. Mi ha visto. Mi sembra di non riuscire a respirare. E’ bellissima. Mi fissa. Per un solo istante l’espressione sul suo viso diventa interrogativa. Come se volesse chiedermi qualcosa. Non riesco a capire cosa. Mi piacerebbe conoscerla al punto da decifrare i suoi silenzi ma, purtroppo, non è questo il caso.
 
Viene dalla mia parte. Che debba andare via? Non voglio vada via.
 
I suoi occhi si spostano sulla bambina e la sospinge appena in avanti. All’ultimo svolta e va a sedersi. Il tavolino pieno di rimasugli è il suo. Sono qui da un po’. Il tempo necessario ad ordinare quelle bevande e quel cibo, almeno.
 
Scuoto la testa e, spostandomi, lascio la presa dalla maniglia in modo tale che la porta possa richiudersi.
 
Spero che nessuno abbia fatto caso alla mia paralisi. Chissà quanto è durato il momento. Mi sento così nervoso ad averla a quattro passi. Credo sia la seconda volta che accade. Niente folla, niente security, niente auto. Solo io e lei nella stessa stanza. Con un’altra decina di persone ma questo non conta.
 
La commessa dal retro del bancone mi osserva, alzando un sopracciglio. Si starà chiedendo se sono entrato nel locale per rimanere impalato in un punto a caso. Mi avvicino e do un’occhiata al tabellone. In questo momento non ricordo nemmeno cosa prendo di solito. Cavolo. Spero lei non vada via mentre sono di spalle.
 
Scorro la lista. Niente mi sembra avere senso. Realizzo di star leggendo la parte in svedese e, mentalmente, mi schiaffeggio per essere così imbranato.   
 
“Caramel doubleshot iced shaken espresso” mi incuriosisce. Non l’ho mai preso ma sembra invitante. Viste le circostanze, credo sia il caso di provare qualcosa di nuovo.
 
<< In cosa consiste esattamente il “caramel doubleshot iced shaken espresso”? >> chiedo avvicinandomi al bancone.
 
Mi risponde in svedese. Probabilmente mi ha chiesto cosa avessi detto o simili. Se così fosse, penso dovrei girare la domanda. 
 
 << Cosa è il “caramel doubleshot iced shaken espresso”? >> scandisco bene le parole, cercando di semplificare la frase.
 
Dalla sua espressione intuisco non sia servito a niente. Sembra dispiaciuta di non poter aiutare. Mi sembra un po’ ridicolo che una commessa in un negozio non parli una lingua universale come l’inglese.
 
<< Deutsch? >> domanda, incerta.
 
Dalle mie scarse conoscenze direi mi stia chiedendo di parlare tedesco. Per quanto vorrei accontentarla, le lingue non sono mai state il mio forte. Conosco qualche parola e, probabilmente, con un bel po’ di impegno riuscirei a mettere su l’equivalente della mia domanda ma non capirei la risposta.
 
Scuoto la testa. Riusciremo mai a comunicare?
 
Mi fa segno di aspettare.
 
Questo, almeno, mi è chiaro. Scompare dietro una porta a battenti presente alle sue spalle. Chissà cosa è andata a fare. Mi sto quasi pentendo della mia scelta. Volevo solo sapere in cosa consistesse quella roba. Forse avrei dovuto prendere il solito e andare sul sicuro.
 
Ne approfitto per lanciarle un’occhiata discreta. E’ ancora seduta e osserva la bambina. A guardarle meglio non si assomigliano affatto. Che sia una cuginetta? Le sta chiedendo qualcosa. Per quanto mi sforzi non riesco ad origliare. Non che mi interessi di cosa stiano parlando. Vorrei solo sapere in che lingua stiano parlando.
 
Annuisce e si alza. Sta andando via? Cavolo. Cavolo. Cavolo.
 
La bambina non la segue. Forse posso prendere tempo. Devo decidere cosa fare. La avvicino o la seguo a distanza?
 
Non mi sento molto a mio agio all’idea di improvvisarmi stalker (non più di quanto sia adesso, almeno). Non credo nemmeno di riuscire a reggere un rifiuto. E se parlasse svedese?
 
Viene dalla mia parte. Si sta avvicinando al bancone. Collego, finalmente. Dev’essersi alzata per ordinare. Ancora? Non importa, tanto meglio.
 
Mi giro di scatto per evitare che mi sorprenda. Mentre si avvicina la sento ridacchiare. Forse è un po’ tardi. Stringo gli occhi. Devo comportarmi in maniera impeccabile. Niente più stupidaggini. Non devo mettermi in ridicolo.
 
La commessa torna. Non è cambiato nulla. Non ha preso nulla o quant’altro avrebbe potuto fare. Mi lancia un’occhiata dispiaciuta. Non so come ricambiare. Non so come chiederle quale sia il problema.
 
Rivolge una frase in svedese anche a lei. Osservo la scena. Scuote la testa come ho fatto anch’io poco fa.
 
<< Keine Swedisch >> pronuncia con un sorriso.
 
Sobbalzo. E’ tedesca. Ed è la prima volta che sento la sua voce.
 






SPAZIO AUTRICE: Salve a tutti! Ho deciso di postare in notturna (?) perché domani dovrei dedicarmi ad altro quindi non voglio rischiare di dover affrettare le cose o non postare affatto.
Spero che il capitolo sia di vostro gradimento :) vi dispiacerebbe farmelo sapere? Siete stati molto carini, dolci, premurosi e gentili finora. Spero possa continuare in questo modo!


Non intendo far in modo che questa storia sia molto lunga. Credo di fermarmi intorno alla ventina, al massimo. 
(Spero di farlo. Di solito non riesco mai a rispettare la parola detta (?) )


Per quanto riguarda il resto, nessuno mi ha fatto sapere per "Him" quindi ho deciso di rimandare la cosa.  Magari farò un tentativo alla fine di questa storia :)
Buon proseguimento di giornata :) x
  
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