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Autore: Peppers    30/07/2014    0 recensioni
"Il Destino plasmò il mondo, poi creò gli Dei affinché popolassero la Terra. Dapprima vennero si destarono le Bestie, poi gli Elfi e i Nani, per ultimi gli Uomini, la giovane gente, ognuno secondo la propria provenienza"
(Incisione Elfica rinvenuta nel nord della Norvegia)
Un Europa nata dall'unione di storia, fantasia e mitologia fa da sfondo alle vicende narrate in questa collezione di one shots. Tante vicende sparse, come mille frammenti di luna, nello spazio e nel tempo.
I capricci degli Dei del pantheon greco-romano, elfico e nanico; la sopravvivenza di culti proibiti e misteriosi come l'adorazione di Bhaal a Cartagho; la guerra fra l'Impero Romano e le creature fantastiche; i meandri più tenebrosi delle caverne degli Elfi Oscuri; le foreste impenetrabili degli Elfi Silvani; le mirabili imprese degli Elfi del Crepuscolo; gli incanti del Palazzo di Ghiaccio dei Nani Nordici. Queste sono solo alcune dei temi della raccolta.
Ogni racconto, un volto. Ogni racconto, una storia. Ogni racconto un filo di un'intricata matassa. Ogni racconto una sfaccettatura di un poliedro fantastico che vi riserverà mille sorprese.
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il Respiro dell’Eternità         
 
La soundtrack consigliata dal bardo: http://www.youtube.com/watch?v=zakVfDY0xZk                              
 
Tarak Rowin non riusciva a scacciare la sensazione che la quiete immobile dei secoli non gradisse alcun intruso. Il silenzio sembrava ritrarsi al passaggio dei due nani, solo per strisciare loro intorno e spiarne ogni movimento.
«C’è qualcosa» disse Khanner Thane, muovendosi a passi lenti sotto un affioramento di cristalli luminescenti nel soffitto della caverna. «Qualcuno ci osserva».
La testa rotonda e calva si muoveva in ogni direzione, mentre le dita tormentavano la grande borsa di cuoio in cui erano riposte le gemme. I piccoli occhi del nano si sforzavano di perforare la foschia verdognola che li circondava: le pareti della caverna erano logorate in aperture irregolari, alcune appena abbozzate, ma in diversi punti erose al punto da divenire veri e propri cunicoli.
«Significa che siamo sulla strada giusta» ribatté Tarak, descrivendo un piccolo arco col braccio destro. Nel cono di luce sbiadita il pulviscolo turbinò, saggiando la tempra del martello della Casa Rowin; le catena che dal pomo dell’arma correva al guanto sinistro si tese, ondeggiando con uno scricchiolio sordo.
Tarak Rowin indietreggiò fino a trovare la schiena di Khanner.
Aggrottò le folte sopraciglia, aggiungendo altre rughe alle tante che solcavano la fronte  stempiata. Sembrano orbite vuote, pensò fra sé, orbite vuote di un ragguardevole numero di nemici. Il pensiero non mitigò il disagio che sentiva formicolare al di sotto dell’armatura brunita. Piegò la testa prima su un lato, poi sull’altro, cercando di sciogliere i muscoli irrigiditi del collo e delle spalle. La barba bigia ondeggiò, facendo tintinnare gli anelli da guerriero sull’orlo della corazza. 
«Riesci a individuare dove si trova?» chiese, tenendo ben alta la guardia.
Khanner grugnì, arricciando il grosso naso.
«Posso provarci»
Scostò il mantello color ocra e frugò al di sotto del corpetto di cuoio, cacciando fuori il medaglione. Le dita tozze accarezzarono le cesellature che ornavano il nome della famiglia Thane. Chiuse gli occhi, divaricando appena le gambe. Stretto nel pugno, il ciondolo d’argento prese a vibrare.
«La montagna è lacerata» disse, schiudendo appena le labbra sottili. «Avverto rancore e paura, urla e pianti. Una sensazione orrenda, come lo stridio di unghia acuminate sull’ardesia».
Fece una pausa, voltandosi a guardare il compagno, poi aggiunse: «La Pietra ci cerca, Rowin».
La luce dava uno svogliato tocco di colore alle guance paffute di Khanner, lasciandone però in ombra gli occhi. Tarak imprecò a mezza voce, il tono delle parole del compagno, fra il sorpreso e l’allarmato, non lasciava presagire nulla di buono.
A dirla tutta, era l’intera storia che puzzava di guai. Sin dall’inizio, quando Khanner Thane aveva premuto per una seduta straordinaria del Consiglio, annunciando a tutti i membri delle Case che qualcosa turbava la pietra.
Una presenza, una minaccia forse, nel cuore della montagna su cui sorgeva Farmek, il Palazzo di Ghiaccio dei Nani Nordici.
Solo dopo la scoperta dei primi cadaveri, il Consiglio si era risolto a mandare una spedizione e, naturalmente, Tarak aveva finito col farne parte. Adesso, con un abisso di pietra sopra la testa a separarlo dal confortevole tepore di Farmek, il vecchio guerriero riusciva ad apprezzare meglio l’ironia della sorte.
Braccati. Proprio dalla minaccia a cui dovevano porre rimedio.
«Facciamoci trovare preparati» decretò Tarak con voce asciutta.
L’esasperante gocciolio di un’infiltrazione d’acqua era l’unico suono nel silenzio in cui i due nani scandagliavano ogni recesso della grotta. Più che scovare tracce del nemico, osservò Tarak, Khanner sembrava impegnato a valutare tutte le possibili vie di fuga. L’aria era polverosa, e sapeva di funghi marci.
Nell’udire lo scricchiolio di roccia che sfrega su altra roccia, i nani voltarono la testa contemporaneamente verso un angolo buio della caverna. Il rumore, riflesso dalle pareti di roccia, echeggiò, dando l’impressione che provenisse da ogni direzione.
«Che gli Dei ci aiutino» disse in un soffio Khanner, mentre sfilava un quadrello per caricare la balestra.
La luce dei minerali sbiadì, per poi tornare nuovamente alla stessa intensità; alcuni frammenti di roccia scivolarono dalla sommità di un mucchio di detriti. Tarak colse tutto ciò nel preciso  istante in cui la creatura emergeva, senza fretta, dall’ombra in cui era nascosta.
Un ammasso di roccia irsuta, dalle forme di un uomo. La testa, supposta ne avesse una, si riduceva a un minerale rossastro conficcato di sghembo sulla sommità di quello che appariva come un torace prominente. Era alta quanto entrambi i nani sovrapposti, forse anche di più.
«Grande Raukhur». Khanner Thane si ingobbì in posizione difensiva, puntando la balestra contro l’avversario. «la Pietra è viva».
Tarak evitò di pensare a cosa avrebbero potuto fargli quelle braccia nerborute, se solo fossero riuscite ad agguantarlo. La creatura avanzò lentamente, con un tonfo sordo a ogni passo, accaparrandosi senza problemi il centro della caverna.
Khanner proruppe in una risata stentata. «Temo non vorrà scendere a patti». Fece correre lo sguardo dal mostro di pietra al compagno.
Tarak aprì la bocca, senza emettere alcun suono. Soffocò la tentazione di correre verso l’uscita più vicina. Nessun Nano Nordico deve volgere le spalle all’avversario, si disse. Meno che mai un nano della Casa Rowin.
Khanner abbassò la leva della balestra; il quadrello fendette l’aria con un sibilo acuto, piantandosi nella spalla dell’avversario. Il mostro vacillò appena ma non sembrò avvertire il colpo, piuttosto si mosse verso il nano della Casa Thane. Alzò un piede, tentando goffamente di calpestarlo, ma Khanner si era già infilato a capo chino fra le gambe prima di essere schiacciato.
«Cosa diamine è?» disse Tarak, balzando alle spalle della creatura pronto ad assestare un poderoso colpo di martello. L’arma vibrò e si limitò a scheggiare la roccia, trasmettendo al braccio che l’impugnava un duro contraccolpo. Fu costretto a ripiegare di lato perché l’avversario stava voltandosi a fronteggiarlo.
«Non ci scommetterei la testa, ma ricorda ciò che le leggende chiamano Gho’leem».
Khanner sparò un altro quadrello, mancando di un buon palmo il mostro, poi si chinò a ricaricare l’arma senza staccare gli occhi dal nemico.
«Gho’leem?»
Tarak non ricordava alcuna storia che li menzionasse. Quando la creatura gli si parò innanzi, con tutta la sua mole, il vecchio guerriero dubitò di ricordare una qualsiasi storia.
«Mostri di roccia, animati dalla magia»
La balestra di Khanner sputò una raffica di quadrelli che disegnò una linea lungo la schiena del Gho’leem. La creatura sollevò un braccio, sfiorando il soffitto della caverna, poi spazzò con una manata lo spazio di fronte a sé.
Tarak fu sbalzato contro il muro. Nel battere la testa contro la roccia, sentì la vista offuscarsi. Ebbe un capogiro, ma intuì di trovarsi riverso sul pavimento. Affondò le dita fra i detriti e provò a sollevarsi. Ci vedeva, anche se l’intero campo visivo brulicava di puntini. Ma almeno ci vedeva, quanto bastava per strisciare fuori dalla portata del Gho’leem. Tossì e si passò la mano fra i capelli grigi, ritraendo il guanto macchiato di sangue.
«Le storie non dicono anche come stenderlo?»
«No, a meno che tu non sia un Dio».
Khanner cacciò una mano nella borsa di cuoio, mentre con l’altra continuava a reggere la balestra. «Forse ho un’idea» disse, mordicchiandosi il labbro inferiore.
Tarak fece una smorfia. C’era solo un genere di idea che poteva venire in testa a Khanner: sfruttare le proprietà dei minerali. Che fosse per prevedere i cambiamenti del tempo, o anche solo per ricavare una tintura, un Thane aveva sempre la gemma giusta sottomano. Una volta Tarak aveva sentito dire che Dekhar Thane, fratello di Khanner, era riuscito perfino a distillare una bevanda alcolica raffinando una rara pietra estratta dalle miniere di Farmek.
Qui non si tratta di trucchi da salotto, mugugnò fra sé Tarak che, come un qualsiasi nano della Casa Rowin, preferiva risolvere la faccenda con la tempra delle armi.
«Lo faremo saltare in aria». Khanner sollevò una pietra ovale contro la luce dei minerali luminescenti, controllando che avesse pescato la gemma giusta dalla grande borsa di cuoio.
«Un’esplosione? Vuoi seppellirci in questi sotterranei?»
«Fidati di me, Rowin» disse il nano della casa Thane, umettandosi le labbra. «Basta solo incastrarla nel Gho’leem, colpirla con forza e ...»
La creatura sollevò un piede, poi lo mosse bruscamente, percuotendo il terreno più volte. Tarak sentì il terreno vibrare come un incudine sotto un martello di tonnellate di roccia. Barcollò, aggrappandosi a una sporgenza della parete per non perdere l’equilibrio.
Khanner Thane rischiò di perdere la presa sulla gemma, ma tenne ben salda la stretta e corse, fino a trovarsi di fronte la creatura. Incastrò la pietra fra le irregolarità del torace e, usando il calcio della balestra, iniziò a colpire la gemma.
Ma, per quanto tentasse, non riuscì a generare alcuna esplosione.
Tarak sapeva che l’idea del compagno non avrebbe funzionato; Il pensiero, pur scacciando la preoccupazione dell’esplosione, non fu di gran conforto. Il Gho’leem rimaneva pur sempre lì, muto e minaccioso.
E rimaneva anche il problema di come abbatterlo.
«Khanner, attento, sopra di te!»
Il nano alzò gli occhi, ma non fece in  tempo a ritrarsi dalla mano della creatura. Sollevato per aria e stretto nel pugno di pietra, Khanner Thane bestemmiava e si agitava, urlando con voce stridula. Tarak riuscì senza difficoltà a immaginare il dolore che l’altro stava provando. Sperò solo che lo scricchiolio che udiva fosse dovuto alla roccia, e non alle ossa del compagno.
«La g-gemma» boccheggiò Khanner, rivolgendo uno sguardo abbacinato al vecchio guerriero. «Colpisci la g-gemma».
Tarak guizzò, il viso largo e spigoloso contratto in un’espressione granitica. Gli occhi puntarono la gemma che oscillava a ogni movimento del Gho’leem. Trattenne il respiro e caricò un colpo di martello.
«Kharud tri r’ham Izaad!»
L’urlo di guerra della Casa Rowin vibrò con ferocia, mentre Tarak frantumava la pietra. La caverna sembrò capovolgersi mentre, in un attimo, una crepa appariva e si propagava sulla superficie ambrata della gemma.
L’esplosione, con un boato simile a un ruggito, sollevò una coltre di polvere e detriti, oltre la quale Tarak vide la sagoma paffuta di Khanner Thane schizzare verso il soffitto per poi ricadere a terra.
I resti del Gho’leem non si distinguevano più dalle pietre disseminate sul pavimento della caverna.
«È andata» disse Tarak, tirando la catena affissa al guanto sinistro per recuperare il martello.
Khanner annuì con aria assente mentre con un piede scostava, sospettoso, un frammento irsuto di roccia.
«Temo non sia finita qui» annunciò il nano con aria grave.
Il medaglione della Casa Thane vibrava, notò Tarak. Appese alla cinta il martello e afferrò una pietra chiedendosi come fosse possibile che quella stessa roccia, appena pochi attimi prima, avesse tentato di farli fuori senza tanti complimenti.
«Significa che ce ne sono altri?»
Khanner Thane si strinse nelle spalle, senza confermare né smentire la possibilità. Tarak si guardò attorno come se da un momento all’altro l’intera caverna dovesse prendere vita, chiudendosi su di loro come la bocca di un’enorme creatura. Finse di non pensare a loro come dei bocconi succulenti e si diresse verso una galleria illuminata da gruppi di cristalli luminescenti.
Khanner lo scosse per la spalla, facendogli cenno verso un altro cunicolo, un’apertura buia che si ripiegava su se stessa, sparendo nelle profondità del sotterraneo.
«Dobbiamo capire quale fonte anima la Pietra»
«Cosa faremo una volta trovata?»
«Non correre troppo, Rowin. Intanto cominciamo col trovarla»
Tarak inarcò un sopraciglio. «Abbiamo un punto di partenza» disse, senza troppa convinzione.
Di tutte le battaglie che aveva combattuto, questa rischiava di essere la più singolare. Pietra che prendeva vita. Da qualsiasi punto di vista la osservava, la situazione non appariva meno inquietante di prima.
La galleria procedeva in modo tortuoso e in leggera pendenza. Quando fu troppo buio per procedere, Khanner frugò di nuovo nella grande borsa di cuoio. Stavolta ne trasse un rubino grosso quanto un pugno. Per un attimo se lo rigirò fra le mani – dall’espressione accigliata, Tarak indovinò il cruccio per dover dar fondo alla preziosa risorsa – poi lo sollevò ben alto sopra la testa. La gemma iniziò a brillare, stilettando raggi scarlatti che disegnavano lunghe ombre alle spalle dei nani.
Usando il rubino come fosse una torcia, Khanner guidò il compagno nelle profondità insondate della montagna. Procedevano in silenzio, avvicinandosi con fare guardingo al fondo sbarrato della galleria. Un vicolo cieco o una frana, pensò Tarak. Invece, in quel tratto del tunnel, il tetto si abbassava fin quasi a sfiorare il suolo. Furono costretti a procedere a carponi, strisciando per un lungo tratto umido e fetido.
Quando il soffitto tornò a risollevarsi, i due nani si ritrovarono in una caverna così ampia da non riuscire a scorgere nessuna delle pareti. Tarak fece vagare lo sguardo in quell’oscurità sconfinata, rabbrividì e sfiorò il manico del martello. Khanner rimase immobile, puntando il rubino in ogni direzione, poi chiuse gli occhi, strinse con una mano il ciondolo e annuì.
Procedettero lentamente a causa del pavimento sconnesso. Grossi massi si erano staccati dalla volta, accatastandosi gli uni sugli altri. Negli interstizi fra quelle pietre gigantesche, detriti e licheni si confondevano alla polvere depositata nei secoli in uno strato uniforme.
Khanner saltava da una roccia all’altra, piegando le ginocchia per attutire ogni salto; Tarak lo seguiva in silenzio, cercando di limitare il cigolare dell’armatura. Nelle brevi soste durante le quali Khanner ascoltava il medaglione dei Thane, Tarak si guardava spalle. La via seguita dal compagno, notò il guerriero, continuava a scendere verso il basso.
Giunsero sul fondo della caverna con le gambe indolenzite per l’ardua discesa. Senza più punti di riferimento, Khanner sembrava incerto sulla direzione da seguire. Andava avanti, si bloccava, tornava indietro, riprendeva ad avanzare.
«Insomma, si può sapere che succede?» sbottò Tarak, quando per l’ennesima volta Khanner si fermò.
«La pista è incerta» disse il nano, grattandosi il mento squadrato. «Non riesco a capire dove ...»
«Shhh!»
Tarak tappò la bocca del compagno, guardandosi attorno con circospezione. Era sicuro di aver sentito qualcosa. Attorno ai due nani si stendeva solo un tratto di roccia nuda, segnata da piccoli avvallamenti in cui ristagnavano pozze d’acqua scura. Nient’altro. Tarak si passò la lingua sui baffi. Era quasi sicuro di aver udito qualcosa.
Tolse il guanto metallico dalla bocca di Khanner quando – stavolta ne era certo! – udì un rumore lontano, come lo stridere di una roccia che rotoli giù dalla frana per cui erano scesi.
Il rumore si ripeté, sulla loro destra, ma stavolta più vicino.
E si ripeté ancora, sulla sinistra.
«Gho’leem». Le labbra di Khanner vibrarono in un roco sussurro. «Tanti Gho’leem» ripeté, con la fronte imperlata di sudore.
Scapparono senza una meta precisa, tallonati dalle mostruose creature.
«Non possiamo affrontarli tutti» disse Tarak, che si sforzava di non perdere terreno dietro il compagno. Senza il peso dell’armatura Khanner correva più veloce, ma non azzardava a spingersi troppo lontano senza il vecchio guerriero.
«Non ho altre pietre per generare un’esplosione. E se anche le avessi, dubito basterebbero per eliminarli tutti».
La luce del rubino illuminò la sagoma di un Gho’leem, proprio di fronte a loro. Tarak afferrò per l’orlo del mantello Khanner, costringendo il compagno a cambiare direzione. Anche senza voltarsi, Tarak riusciva ad avvertire la presenza dei nemici: sembravano ovunque attorno a loro.
Quando Khanner si fermò, giunto davanti una parete di roccia, Tarak intuì che qualcosa era andato storto.
«È qui. La fonte è qui» urlava il nano, tastando palmo per palmo la pietra. «Dietro questa parete!»
Tarak sentì una fitta al fianco. Si piegò, poggiando le mani sulle ginocchia.
«Dobbiamo trovare una passaggio» disse con la voce incrinata dall’ira. «Non abbiamo molto tempo prima che ci piombino addosso».
Khanner annuì distrattamente, senza smettere di camminare febbrilmente avanti e indietro ai piedi della parete, ma il guerriero dubitava che il compagno gli avesse realmente prestato ascolto. Tarak sputò ai propri piedi.
Decise che avrebbe coperto il compagno mentre questi trovava una via per la salvezza. Ognuno aveva il proprio ruolo, fra i Nani Nordici, tanto a Farmek quanto lì sotto. Aveva sempre funzionato. E avrebbe funzionato ancora una volta, sperò in cuor suo.
Il primo Gho’leem che li raggiunse era alto poco più di nano. Tarak divaricò le gambe e attese che il mostro cercasse di colpirlo. Distese le braccia, parando il colpo con la catena tesa fra il guanto sinistro e il martello. Più veloce rispetto all’avversario, Tarak mosse la mano in modo che la catena imprigionasse l’arto dell’avversario. Lo tirò a sé, imprecando a denti stretti per lo sforzo, fino a sbilanciarlo in avanti, poi colpì usando il martello, con tutta la forza che aveva in corpo.
Il cristallo che era conficcato sulla sommità del Gho’leem andò in frantumi. Il mostro era adesso immobile, in ginocchio, e Tarak ne approfittò per darsi una spinta con i piedi. Si svincolò da quel pericolo abbraccio, librandosi in aria; prima di toccare terra, roteò su stesso, lanciando il martello contro il nemico.
Il colpo schiacciò il Gho’leem, mandandolo in frantumi. Tarak atterrò sulla punta del piede destro e ritrasse con uno scatto il guanto sinistro, riprendendo la presa sull’arma.
«Kharud tri r’ham Izaad!» urlò, ebbro della battaglia, alzando il martello della Casa Rowin sulla propria testa.
Ma fu costretto a smorzare l’entusiasmo, perché altri Gho’leem emersero dall’oscurità, senza rallentare la goffa corsa.
Tarak ringhiò, il volto di cuoio sfigurato in una maschera di guerra, e indietreggiò.
«Rowin! Ehi, Rowin, quassù».
Il richiamo di Khanner giunse in tempo per trarre Tarak fuori dalla battaglia: il nano aveva trovato delle sporgenze, una rozza scala, che portava fino a un livello rialzato della caverna, e agitava il rubino cercando di attirare l’attenzione del compagno. Il vecchio guerriero salì più in fretta che poté, rischiando quasi di ruzzolare giù, e fu ben lieto di trovare la mano di Khanner a offrirgli aiuto.
Quando fu al sicuro, Tarak guardò in basso l’assembramento di Gho’leem che si era creato ai piedi della parete di roccia. Spero che non siano così furbi da riuscire a scalare la roccia, si augurò, né di trovare la scala.
«Bel colpo» si congratulò Khanner. «Ma aspetta di vedere il più bello».
Con un ampio gesto del braccio, il nano si volse indicando il pavimento. A pochi metri da dove si trovavano, la roccia era aperta in una crepa larga lo spazio sufficiente per lasciar passare una persona.
«La fonte» disse Khanner, con i piccoli occhi scintillanti alla luce del rubino. «Abbiamo trovato l’accesso per la fonte».
Tarak grugnì una risposta che poteva significare qualunque cosa e, stringendo ben in pugno il martello, avanzò verso la fessura. Khanner fu il primo a calarsi dentro, poi fu la volta del guerriero della Casa Rowin.
Rimasero entrambi ammutoliti di fronte lo spettacolo che si presentò ai loro occhi.
Si trovavano in una piccola grotta il cui pavimento, poco più avanti, si rastremava in uno sperone proteso su un lago sotterraneo. L’acqua brillava d’una luce verde e azzurra per gli affioramenti di cristalli sul fondo.
Ma fu ciò che videro sulla punta dello sperone ad assorbire completamente la loro attenzione.
Un piedistallo naturale accoglieva una gemma grossa quanto la testa di Khanner. Era uno splendido cristallo, diverso da ogni altro che Tarak avesse visto e, dallo sguardo allucinato del compagno, suppose che anche per Khanner Thane fosse qualcosa di nuovo.
La gemma brillava, virando continuamente colore. Ora bianco, ma poi azzurro, viola, rosso, arancio, giallo e di nuovo bianco. Emanava anche calore, un tepore ben piacevole dopo la fredda umidità della caverna. Persino Tarak, che non sentiva la Pietra come il compagno, avvertiva il grande potere emanato dalla gemma.
«Eccola, la fonte» sussurrò Khanner con riverente ammirazione. «Secondo te, cos’è?»
«Speravo fossi tu a dirmelo». Tarak gracchiò una risata, senza riuscire a staccare gli occhi dalla pietra. «Quindi basta distruggerla per mettere fine a tutto?».
Khanner sobbalzò, riducendo gli occhi a una fessura. Una fessura minacciosa, non mancò di notare Tarak.
«Non possiamo distruggere una gemma così rara»
Il vecchio guerriero emise un fosco brontolio. Qualcosa gli diceva che doveva aspettarsi una resistenza da parte del compagno. Soprattutto se quel compagno era un Thane.
«Questa gemma è la fonte di tutti i nostri problemi»
«Immagina quali segreti può racchiudere». Khanner si guardò intorno come se si sforzasse di afferrare un pensiero lasciato a metà. «Dobbiamo portarla a Farmek».
«Prova a parlare con tutti quei Gho’leem, prima» aggiunse Tarak con un’ironia che l’altro non sembrò notare. Prima che il compagno muovesse un dito, il vecchio Rowin fece saettare la mano, cercando di afferrare la gemma.
Khanner emise un verso stridulo e graffiò il volto di Tarak.
«Sta fermo, maledizione» urlò il guerriero.
Colpì al volto il nano della Casa Thane, poi allo stomaco e, prima che potesse rialzarsi, fece calare il martello sulla gemma. La pietra andò in frantumi con un fischio che ferì le orecchie dei nani; un’ondata di luce si propagò per la caverna, attraversando le mura di roccia.
Il medaglione dei Thane smise di vibrare.
Khanner si rialzò con uno sguardo di irosa follia, lanciò un urlo e pestò un piede per terra. Fece correre gli occhi sguardo sui frammenti sparsi sulla roccia, poi parlò con tono risentito.
«La Pietra possa inghiottirti nelle sue viscere, Tarak Rowin!». 
«Ringrazia il Grande Grigio di essere ancora vivo, Thane»
«Non capisci? Avevamo in mano la chiave per dare vita alla Pietra».
Tarak capiva, per questo aveva distrutto la gemma. Il Consiglio li aveva mandati per abbattere il pericolo che covava in quei sotterranei: non avrebbe riportato indietro un artefatto che rischiava di gettare Farmek nel caos e nella rovina.
«I segreti degli Dei non mi riguardano» disse, inchiodando sul volto offeso di Khanner uno sguardo affilato che non ammetteva repliche. «Né dovrebbero riguardare te».
 
L’ANGOLO DEL BARDO
Quanto tempo, si è chiesto qualcuno. E ha proprio ragione. Scomparso, riapparso, scomparso, come una lucina lampeggiante che per ora è accesa – spero che rimarrà così ancora per un po’. Allora, quale novità bolle in pentola? Qualcuno era reduce di quella raccolta le Canzoni del Bardo che sono evolute nella presente raccolta più matura, Frammenti di Luna. Ma anche questa è ormai prossima alla vecchiaia, aimè. Non abbiate paura ( coro di voci: ma chi ti caga? ) perché il Bardo di Efp ha sempre un asso nelle manica, stavolta più di uno. 64 racconti sono troppi per una sola raccolta. Si, mi sono fermato a contare le idee appuntate su OneNote. Quindi ho deciso che per una fruizione migliore, sia per me ma soprattutto per voi, le prossime storie verranno pubblicate in raccolte diverse, divise per nuclei tematici. Insomma, è inutile annoiare con storie di guerra chi vuole cercare di respirare un po’ di sana aria quotidiana di una Naniel tranquilla e spensierata. Ecco un po’ quelle che dovrebbero essere le nuove raccolte:
  1. ACCIAIO E SANGUE. Le storie sulla guerra che oppose l’Impero Romano contro le creature fantastiche. Vi troverete molte alcune delle storie pubblicate, ma qualche idea inedita c’è ancora. Basta solo convincersi a scriverla.
 
  1. SCORCI DI NAINIEL. Fra tutti posti del mondo che ho in testa, Nainiel risalta per la varietà e numero di personaggi. Scene di vita quotidiana e le avventure dello scapestrato Principino Uriel, del cugino Caladur e degli altri personaggi che battono la bandiera della Città del Crepuscolo.
 
  1. CRONACHE DEL NORD. Siamo sempre in Norvegia, ma molti anni prima della fondazione di Nainiel. Questa raccolta narrerà le storie legate ai Nani Nordici, con il loro Consiglio dei Sette, e le inacquietabili dispute fra le casate. Qualche nome che può significare qualcosa, Valdak Rowin, il padre Tarak. Ma non solo nani, le storie verteranno anche sui loro nemici secolari, gli Elfi Bianchi. Un nome per tutti, Curhan Norhol, il Leone Bianco.
 
  1. ADAMANTES. Nel 100 d.C. l’Imperatore Traiano, antecedente al Teodosio della guerra con gli elfi, creò un gruppo di soldati scelti per combattere ogni forma di minaccia estranea all’Impero. Seguirete Lucio Milone, la Lancia dell’Imperatore, e Cassandra Rasna nelle vicende che li opporranno ai maghi proibiti in ogni angolo dell’Europa conosciuta.
 
  1. STORIE DELLA FORESTA NERA. Germania, un angolino fra il fiume Reno e il Danubio.A pochi passi dal Limes dell’Impero Romano sorge la Foresta Nera al cui interno vivono ( tra le altre creature ) gli Elfi Silvani. Più a sud, a qualche settimana di marcia, svettano i  Montes Alpes, nelle cui viscere si celano i Peaks, i nani più selvaggi e volubili di tutti.
 
  1. LA COMPAGNIA DELL’ACCIAIO. Nel cuore della Dacia si cela Uran, la città degli Elfi Onirici. In questa raccolta scoprirete le vicende di un gruppo nato dal nulla, senza alcuno scopo e con un’identità incerta. Eppure, qualcosa li accomuna tutti. Ma cosa?
 
  1. IL PRINCIPE VAGABONDO. Uriel Arhathel, figlio di Edheldur. Il Principe Bianco, il Drago Rosso di Nainiel. I suoi titoli sono numerosi almeno quanto le avventure che ha vissuto viaggiando a zonzo per il mondo. Mai due notti sotto lo stesso cielo, mai due notti con la stessa ragazza.
 
Insomma le idee non mancano. Ma oltre ai racconti, è iniziato anche il fatidico lavoro di scrittura della Ruota del Destino. Per la prima volta, un resoconto ordinato delle vicende che formano il corpus delle vicende attorno a cui ruotano tutti i racconti sopra. Nella mia testa assomiglia un romanzo, sulla carta vedremo cosa ne uscirà fuori. Con questa lunga post fazione, lunga quasi quanto il racconto, vi saluto e spero che ci incontreremo su altre pagine.Ovviamente questo racconto era un regalino per chiudere questa raccolta. Si chiude un capitolo, se ne apre un altro. Spero che ci sarete miei pochi lettori xD xD
Saluti
PepperS, il Bardo di Efp.
   
 
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